COMMENTO LINGUISTICO
2. Rappresentazione dell’occlusiva velare
Per la resa dell’occlusiva velare sorda la mano principale usa nella grandissima maggioranza dei casi <c>, sia davanti a vocale posteriore (per un totale di 1694 occorrenze di <co> e 8 di <cu>), sia nel contesto che precede a (tot. 114), mentre <ch> è usato nel solo caso di blancha 32v.22; è invece
1 Per ogni forma vengono riportate le prime tre occorrenze (tutte, invece, se sono quattro), mentre il totale è indicato tra
parentesi tonde. Il rinvio è alla carta e al numero di rigo dell’originale; le forme divise tra due righe sono citate con riferimento alla riga nella quale terminano; eventuali rinvii a voci dei documenti raccolti in Appendice sono preceduti dalla sigla App. I grafemi sono rappresentati tra parentesi angolari, i foni tra quadre e i fonemi tra barre oblique. Diversamente dall’edizione, le abbreviazioni vengono qui sciolte direttamente.
2 Il segno <j>, usato in fine di parola senza sistematicità, è ridotto a i a eccezione dei casi in cui rappresenti l’unica o
l’ultima cifra di un numero romano (cfr. Criteri di edizione).
3 A questi si aggiungono <x> nella resa dei numerali, espressi solo col sistema romano, e la nota tironiana simile a 9,
che compare esclusivamente e senza eccezioni nella parola (con)te(n)t, parte del formulario adibito a registrare il saldo dei debiti (del tipo «Io mag(ist)ro Nicolò sì sun (con)te(n)t e pagà ecc.»).
4 Nel caso del canzoniere derossiano y compare anche come allografo di i qualora ci sia una rispondenza con l’etimo
latino (cfr. BRUGNOLO 1974-1977, II, pp. 134-135).
5 Limitandoci al solo Veneto medievale e alle sillogi di una certa estensione, basti vedere i Testi veneziani di STUSSI
1965, quelli padovani di TOMASIN 2004a e quelli veronesi di BERTOLETTI 2005; affatto simili, inoltre, sono i testi raccolti in Appendice. Quanto al nostro registro contabile, tali consuetudini potranno essere interpretate come indizio di una scarsa – se non del tutto assente – competenza di grammatica dei due scriventi, a sua volta riflesso di una formazione di tipo tecnico e probabilmente in volgare come quella che doveva essere impartita nelle scuole d’abaco di una realtà relativamente marginale com’era Treviso (in centri di maggior rilievo quali la Toscana ma anche Venezia, invece, la formazione di professionisti doveva prevedere anche il latino: cfr., da ultimo, FORMENTIN 2015); di questo genere di scuole a Treviso, per altro, non ci sono giunte notizie: una sintesi sull’attività scolastica della Treviso medievale è in ARNALDI 1976.
abitudine di β utilizzare il digramma <ch> davanti a vocali centrale e velari: anchora 7r.18, 31r.38, 32r.19 (tot. 7), Chalço 13v.20, charet 33v.25, 34r.3, Chasal 34r.17, chatas 10v.18, Chatelana 26r.40, chavala 34r.17, chonc 34v.8, chugnà 34v.13, duchat 7r.18, 33r.21, 34r.12, 34v.12, Iachom (Iachomo) 7r.18, 30r.22, 34r.5, Marchadiera 28r.17, mèrchol 34r.12, Nicholò 1r.4, 7r.18, 10v.17 (tot. 49), peschador 34r.2, Çachola 4v.18, vacha 27r.13.6
Il digramma <ch> è utilizzato davanti a vocale palatale, oltre che nei numerosi casi di che, ch’ (tot. 511), negli antroponimi Iachelin 34v.13, Françeschin 13r.23, 33v.30, 34r.10, 24, Lanfranchin 22r.26, Michiel 16v.2, 16v.7, 33r.13; rappresenterà lo stesso suono velare anche il segno <c> davanti a -i nei diminutivi formati con suffisso derivante da forme con c seguito da vocale posteriore come Françescin 16r.7, 11, 24r.30, 34, 25r.2 (con Françiscin 13r.19) e Lanfrancin 13r.13 (dei quali, come si è appena visto, si trovano esempi anche col gruppo <ch>) e, davanti a -e, nel personale femminile Marcesina 6r.29. Si è già accennato (§ 1) all’assenza del segno <k> per il suono occlusivo velare sordo, che riflette un uso certo arcaico ma ancora vitale all’altezza cronologica che ci interessa.7
Davanti alla semivocale u si trova, per la velare sorda, il segno <q>, che rappresenta la labiovelare in qua 26r.29, quaderni 15v.38, qual 1r.5, 5r.7, 12 (tot. 35), Quaranta 16v.19, 20r.11, 21r.21 (tot. 5), quarta 4v.20, 21r.15, 24v.2 (tot. 5), que’ 1r.2, 28r.18, quel 7r.19, 22, quest 1r.2, 8v.56, 15v.22 (tot. 7), questa 15r.23, 15v.35, queste 5v.41, 26r.5, questi 28v.22, Quint 23v.14, 18, 25v.30 quisti 27r.3, 31r.40; non è chiaro, invece, se alle grafie di quarnaça, quarnaçe, quarnaçon (tot. 57) debba corrispondere una consonante sorda, così come suggerirebbe l’etimologia dei termini (cfr. § 37).
Prima di r si ha sempre <c>: Cranet 16v.23, Cremon 3v.35, Crespan 7r.26, 30, 11v.20 (tot. 5), Crior 29v.2, Cristina 30v.5.
Per coerenza paradigmatica si dovrà interpretare come indicatore di un suono velare il segno <c> che talvolta compare in fine di parola a seguito dell’apocope della vocale atona finale (per la quale cfr. § 24): [k] è etimologico in Doménec 6v.8, 12, 8v.23 (tot. 15), Domìnic 21r.6, Enric 22v.2, Franc 21v.8, Françesc 6v.2, 4, 6 (tot. 25), Indric 4r.33, 35, 39 (tot. 10), Lançenic 33r.21, Marc
6 L’uso del gruppo <ch> davanti a vocale non posteriore non è esclusivo in β, che alterna <c>, usato tuttavia in misura
minore. La grafia con <c> è prevalente anche nel corpus di testi veronesi allestito da BERTOLETTI 2005 (pp. 15-18), mentre nei testi padovani raccolti da TOMASIN 2004a la preferenza di <c> rispetto a <ch> non è così marcata (pp. 85- 87); nel Lapidario estense, infine, i due segni occorrono indiscriminatamente (cfr. TOMASONI 1973, p. 164).
7 Se ne trova traccia, anche se in pochi casi, nei Testi veneziani di Stussi, nel Lapidario estense e nel canzoniere di
Nicolò de’ Rossi (cfr. STUSSI 1965, pp. XXIV-XXV, TOMASONI 1973, p. 165 e BRUGNOLO 1974-1977, II, pp. 131-
132); per qualche considerazione sull’impiego di <k> in testi arcaici d’area veneta, cfr. CORTI 1960c, pp. 125-126. Ricaviamo un solo esempio della grafia con <q> per la velare sorda: que ‘che’ 1r.2, secondo un uso ben testimoniato in area veneta: cfr. § 37.
5v.22, 26, 32 (tot. 7), miedec 33v.22, Munic 20v.2,8 Odoric 1r.1, sorc 24v.8, 34r.25, Todesc 9r.21, 31v.16, Vedelac 26r.34,9 mentre compare come esito della desonorizzazione della consonante occlusiva etimologicamente sonora riuscita finale in seguito all’apocope in borc ‘borgo’ 13v.14, 16v.19, 20r.11 (tot. 8) e in Merlenc 8r.17, 12v.20, 22.10
Per la resa del suono occlusivo velare sonoro davanti a vocale non palatale è usato esclusivamente il segno <g>: prima di a Bergam 1v.25, degan 21v.25, doménega 3r.37, 3v.9, 17r.32 (tot. 6), dugat 5v.2, Gabi 5r.2, 6, Galvan 1v.17, Garda 23r.29, Gavaleda 2v.22, 27, Gavenel 9v.20, Gagart 18v.8 (limitatamente al primo <g>),11 largar 14r.27, Luganege 2v.19, mànega 8r.12, Marostega 31v.6, 33r.27, monega 9r.2, Mùniga 16v.2, pagà 1v.6, 12, 23 (tot. 347), pagar 30r.30, plaga 2v.18, Pregalçuol 5v.17, 13r.7, 11, 33v.6, Priegadio 3v.9, Robegan 3v.26, 33, 15r.32 (tot. 11), Somaga 24r.16, Valasugana 32r.29, vergà 23r.20; davanti a o: Agolant 19r.34, 39, 39r.23, Goba 15v.29, Gobo 24r.9, 13, 26r.39, Gonbert 15v.33, 28v.20, 22, gonela 1r.2, 2r.16, 2v.28 (tot. 31), goneleta 8v.17, 18v.9, 20v.18, manegot 2v.2, 3v.26, 13r.30 (tot. 10), Pigon 23r.14, Pigoril 6r.5, 9, Piçegot 27v.16, 18, 31r.2 (tot. 5), Rigo 1v.20, 24, 22v.7, Rigobon 6v.15, 7r.34, 36 (tot. 11); davanti a u: agugin 6v.21, 15r.34, 20r.11, segurtà 1v.20, 7r.18. Lo stesso segno <g> può indicare un suono velare anche davanti a vocale anteriore;12 in questi casi la pronuncia velare era senz’altro
suggerita dall’etimo e, dunque, dalla pertinenza paradigmatica, che rendeva superfluo l’uso di <h>:13 Brage 16r.13, caleger 20r.10, Luganege 2v.19, mànege 7v.48, 8v.36, 11r.23 (tot. 11),
Pèrtege 10r.34, Menegel 22v.16, 20, 23r.15 (tot. 6), Minigin 8r.7, 12r.7, 23v.19 (tot. 7) e Gelf 9v.7, 9, 10 (tot. 10), con riduzione della labiovelare [gw] esito di w- germanica (§ 38). A parte vanno registrati gli antroponimi Gibelin 3v.19, 24, 5v.34 (tot. 16, con Givelin 27r.32, Givel 1r.4) e Girart 8r.2, 5, 8v.12 (tot. 13),14 la pronuncia velare dei quali è garantita anzitutto dalla concorrenza della forma Çeraut 29v.2, 7 che rappresenta la variante del nome, di tramite francese (cfr. ROSSEBASTIANO-PAPA 2006, s.v. Gherardo), con iniziale palatale, andata poi incontro a un regolare
8 Corrisponde all’attuale Monìgo (cfr. Indice toponomastico, s.v. Munic), che OLIVIERI 1961, p. 11 propone di
ricondurre a un personale MONIUS col suffisso -ĪCUS.
9 Cfr., dal canzoniere di Nicolò de’ Rossi, alec ‘anguilla’ 429 11, Nabuch 344 6, poch 225 8 (ed. BRUGNOLO 1974-
1977); numerosi sono anche gli esempi che si ricavano da testi d’area friulana (cfr., fra tutti, VICARIO 1998 e BENINCÀ-
VANELLI 1998). Per lo spoglio delle forme apocopate cfr. § 24, mentre per le osservazioni sulla desonorizzazione cfr. § 41. Limitatamente alle voci che presentano l’occlusiva velare sorda in posizione intervocalica latina si dovrà presupporre una desonorizzazione successiva alla lenizione avvenuta in posizione intervocalica: per il processo, comune ai volgari settentrionali che partecipano all’apocope generalizzata, cfr. § 41 (sulla lenizione delle consonanti in posizione intervocalica cfr. invece §§ 25, 27, 28).
10 Per OLIVIERI 1961 deriva dal personale germanico Merling (per cui cfr. FÖRSTEMANN 1900, I, col. 782).
11 Iagart 14r.25, 27 sarà verosimilmente il risultato di un’inversione di sillabe rispetto alla forma Gagart (cfr. § 33): lo
scrivente incorre nel medesimo errore anche altrove (cfr. Catarin 8r.23, 27, 9r.7 e Caratin 9v.25, 29).
12 Poteva inoltre rappresentare, come si vedrà, un’affricata palatale (cfr. § 3).
13 <gh> per [g] non compare neppure nei Testi veneziani editi da STUSSI 1965 (cfr. p. XXIV). 14 Cfr. FÖRSTEMANN 1900, I, coll. 571 sgg.
processo di affricazione; è a favore di una simile lettura anche il fatto che le uniche occorrenze con <g> a indicare l’affricata palatale sonora riguardino termini di matrice dotta, sicuramente mediati dalla pronuncia ecclesiastica del latino (cfr. § 32); questa soluzione è infine supportata da motivazioni di ordine storico-culturale legate al significato dei due nomi personali e alla loro diffusione: mentre in Gibelin si potrà individuare un riferimento alla fazione filoimperiale (< ted. wībelingen), Girart sarà probabilmente da accostare alla base, pure germanica, *gairhardus, cui rinvia la forma Gherardo, affermatasi nel Trecento e ben più diffusa, in Alta Italia, rispetto alla variante Gerardo (di tramite, appunto, francese: cfr. ancora ROSSEBASTIANO-PAPA 2006, s.v. Gherardo). Presupporrà una pronuncia velare, infine, ge 22r.21, 27r.29, c.e.3 (da distinguere dall’omografo ge, pronome obliquo di III s. < ILLĪ, sul quale cfr. §§ 3, 34, 54), avverbio pansettentrionale col significato di ‘ci’, ‘vi’ derivante da HIC (cfr. ROHLFS 1966-1969, § 903 e più avanti § 58).