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I contenuti del linguaggio: un’altra sfida per le discipline descrittive

1. Il panorama linguistico-filosofico dei Principi di Grammatica Generale

1.1. La fondazione di una grammatica “immanente”

1.1.6. I contenuti del linguaggio: un’altra sfida per le discipline descrittive

Per Hjelmslev gli oggetti della considerazione descrittiva, ovvero del dominio comune a psicologia e grammatica scientifica, non sono i concetti o le nozioni, ma le idee, ovvero i contenuti di coscienza nella loro accezione più ampia: le “rappresentazioni di rappresentazioni” che vengono espresse, o meglio formate,

nell’attività comunicativa. Abbiamo anche notato come l’inclusione della forma nell’espressione risulti problematica, in quanto presuppone un significato che è al contempo linguisticamente formato (un qualsiasi contenuto diviene significato solo all’interno della dimensione segnica) e non-formato, in quanto opposto al significante; non solo: esso risulta disponibile immediatamente all’analisi solo nel momento in cui assume forma (nel momento in cui è associato al significante), ma al contempo si dice che la “constatazione del significato può essere fatta, in modo efficace, solo attraverso un metodo indiretto” (PGG: 92). Questa contraddizione può essere risolta solo con una doppia mossa: ammettendo una confusione terminologica (riconosciuta per certi versi anche dallo stesso Hjelmslev: cf. N. VIII della copia di Odense, PGG: 23, n. 52) e concependo l’associazione segnica come processo solidale, difficilmente scomponibile in “fasi”. Il significato a cui Hjelmslev fa riferimento starebbe per “contenuti puramente psicologici”, quelli sì disponibili solo tramite analisi indiretta ma immediatamente reperibili una volta divenuti significati propriamente detti (una volta associati al significante). È questa considerazione – crediamo – che permette a Hjelmslev di concludere che la forma non agisca puramente sul lato del significante ma operi in qualche modo anche sul lato del significato, organizzando tanto il materiale fonico quanto la nebulosa del pensiero. Questo ha come conseguenza il fatto che la forma sia concepita come un fattore indipendente e che come tale debba essere studiata in modo autonomo rispetto al fonema e al significato (cf. PGG: 94). Già nei PGG, dunque, Hjelmslev è sulla strada verso una più compiuta definizione di forma come “unico strato sintetico tra i due piani” (cf. Prampolini 1981b: 75), questa volta sì legittimamente equidistante tanto dalla Sostanza del Contenuto che da quella dell’Espressione. Ma che cosa trova espressione nel processo psicolinguistico di formazione grammaticale?

Non si tratta solamente dell’espressione del solo pensiero ma del contenuto della coscienza in generale, non solamente della coscienza intellettuale, ma anche della coscienza affettiva, dell’emozione e della volizione […]. Anziché dire che il linguaggio esprime dei pensieri, bisogna dire che esprime delle idee – intellettuali, emotive o volitive (PGG: 20, n. 46).

Anche in questo caso, la delimitazione dell’oggetto si proietta sulla tassonomia delle discipline, ritagliando confini prima invisibili o per lo meno confusi:

nozioni (logica)13

idee o rappresentazioni (psicologia)

idee linguistiche o rappresentazioni di rappresentazioni (grammatica)

I contenuti di coscienza, siano essi puramente psicologici o specificamente grammaticali, presentano una caratteristica distintiva che ne ostacola la considerazione da parte delle discipline non descrittive: l’essenziale eterogeneità. Inteso come attività comunicativa, infatti, il linguaggio è realtà psicologica integrale, costituita da operazioni cognitive subcoscienti che investono tutti gli aspetti della quotidianità e che culminano di volta in volta, nella lingua, in un vago “sentimento popolare”; d’altra parte, inoltre, l’attività comunicativa non è solo mera espressione intersoggettiva di dati psichici, non costituisce affatto l’espediente per uno studio “funzionale” del linguaggio14

, ma va intesa soprattutto come una vera e propria procedura di elaborazione di emozioni, percezioni, fatti di adesione15 in “rappresentazioni di rappresentazioni”. Gli oggetti stessi della grammatica, le categorie, non vanno intesi come prodotti “razionali” dell’intelletto, ma come espressioni di catene di operazioni che possono dimostrare una fluidità “irrazionale”, in quanto sono frutto di un meccanismo complesso e stratificato, indipendente dalla natura dei dati che è chiamato a organizzare e che comprende un sistema astratto generale (il linguaggio), un sistema concreto o particolare (la langue) e le specifiche esigenze comunicative del soggetto parlante, ovvero i suoi atti linguistici puntiformi (la parole). Nell’analisi linguistica, il lato puramente concettuale, del pensiero, e il lato puramente convenzionale dell’espressione, intesa dal punto di vista del materiale fonico, possono essere isolati solo arbitrariamente rispetto all’eterogeneità dei dati cognitivi che il linguaggio organizza, dando forma e rendendo esprimibili elementi provenienti allo stesso tempo dalla sfera affettiva, emotiva, percettiva, volitiva

13 A tal riguardo, cf. PGG: 166, n. 108. 14

Non si troverà mai, nell’intera riflessione di Hjelmslev, un qualche accenno o vicinanza all’approccio funzionalista di Bühler o di Jakobson.

15 Van Ginneken definisce “adesione” un valore psicologico aggiunto e distintivo rispetto alle semplici

percezioni e rappresentazioni, che si presenta nel momento della loro formazione linguistica e che sta per l’espressione della soggettività, o, più precisamente, delle qualità della realtà che il soggetto veicola nella comunicazione. Che le rappresentazioni grammaticali non siano riducibili alle rappresentazioni psicologiche, nonostante la loro comune origine, è un tema che verrà ripreso da Hjelmslev stesso e proposto proprio nei termini psicolinguistici di Van Ginneken nel saggio dedicato a La natura del

pronome (cf. Hjelmslev 1937c), dunque ben nove anni dopo aver apparentemente abbandonato gli

e così via16. Carattere precipuo della descrittività delle discipline linguistiche è la disponibilità a considerare e valutare l’intero spettro dei contenuti di coscienza, senza assumerne la componente “intellettuale” come unica pertinente e senza, dunque, “viziarne” a monte la natura. Dal punto di vista della grammatica, per esempio, non è possibile né legittimo stabilire a priori quali fatti linguistici siano riconducibili alle singole componenti (solo affettiva, solo intellettuale, solo stilistica, e così via): Hjelmslev cita il caso dell’interiezione (cf. PGG: 100), tradizionalmente classificata come “parte del discorso” (PGG: 234), ma anche dei cosiddetti “gesti vocali” (termini onomatopeici) presenti nelle lingue a forte componente simbolica e rubricati come associazioni foniche immediate, derivanti dall’urgenza comunicativa dei parlanti (PGG: 145 e sgg.). Al fine di una adeguata comprensione della struttura linguistica, non si tratta né di escludere tali fenomeni dal dominio di una grammatica puramente “razionale”17, né di registrarne l’occorrenza ricavando una sorta di griglia categoriale

omnicomprensiva fondata su un’inclusione indiscriminata di tutti i fattori che si presentano all’osservazione. L’adesione al principio della descrittività impone di non trascurare l’evidenza di questi elementi “ibridi”, e, soprattutto, di verificarne l’estensione. Evidentemente, dunque, tra l’impulso di produrre una mappa troppo astratta (le categorie grammaticali rigidamente definite) e quello di produrne una invece perfettamente coincidente con il territorio (ovvero il linguaggio) vi è una terza opzione: un atteggiamento di cauta riformulazione, grazie a cui e fenomeni di dubbio incasellamento, come i gesti vocali, o quelli che apparentemente richiederebbero una valutazione particolare, come le interiezioni, vengono ridefiniti in base a criteri strutturali uniformi. È in questo modo che i Lautbilder vengono riconosciuti come “fonemi di semantemi”, o meglio “semantemi espressivi” o “onomatopeici”, in grado di combinarsi o sostituirsi ai cosiddetti “semantemi nozionali” (PGG: 146, 149-150); e sempre in questo modo la categoria dell’interiezione può essere ricondotta a quella dell’avverbio (cf. PGG: 236). Tutto ciò non è privo di rilevanza per il nostro discorso: è proprio il problema della collocazione dell’interiezione a permettere a Hjelmslev di

16 PGG: 20, n. 46. Si noti che l’inventario non sembra affatto completo: Hjelmslev non è interessato a

stabilire esattamente da quali “facoltà” provengano i dati, ma piuttosto a sottolinearne la vaghezza.

17

Non si dimentichi che la rilevazione di tali “irregolarità” o “eccezioni” si è spesso costituita a forma di reazione nei confronti di ricostruzioni grammaticali puramente ragionate, “accademiche” o lontane dalla sensibilità del vissuto umano. Anche in questo caso, tuttavia, opporre la rigidità dell’approccio razionale alla fluidità delle considerazioni “vitali” può essere controproducente e, in definitiva, inadeguata: vi è la possibilità di compendiare le due esigenze, costruendo una grammatica formale che in quanto tale sia in grado di restituire il genius all’opera nella sensibilità linguistica.

impostare la descrizione grammaticale come inclusiva rispetto alle componenti espressive definite “stilistiche” o “affettive” (cf. per esempio Bally 1905, 1913):

da un certo punto di vista particolare, può essere interessante considerare, nel linguaggio, tutto o quasi tutto come affettivo, così come vorrebbe Bally. Ma, se osserviamo la cosa da un punto di vista grammaticale, non è affatto meno giustificato considerare tutto, compresi gli elementi affettivi, come appartenenti alla grammatica. […] È possibile definire la forma grammaticale in modo da comprendere in essa i fatti stilistici o affettivi […]. Il sistema grammaticale comprende, in realtà, il linguaggio affettivo, e la stilistica può essere concepita come facente parte della teoria grammaticale […]. Non è dunque il caso di considerare l’interiezione a parte, come una sorta di «linguaggio nel linguaggio», ma può essere facilmente sottoposta ad un esame di ordine formale, che porta immediatamente ad inserirla nella categoria dell’avverbio (PGG: 236-237).

Il rispetto del carattere della “descrittività” impone dunque di non predeterminare la natura dei fatti considerati18 in modo da evitare di porsi nelle condizioni di dover poi oscillare entro due estremi, l’aspetto “razionale” (gli elementi logici, le regolarità sintattiche, gli elementi lessicali e semantici ben definiti) e l’aspetto “irrazionale” (la stilistica, le pure forme espressive). Adottare la “descrittività” non significa dunque fissare una volta per tutte la larghezza delle “maglie” dell’analisi, ma ammettere una progressiva raffinabilità dei propri strumenti descrittivi. In particolare, riteniamo che la possibilità di ridefinire entità che sembrano sfuggire alle classi istituite dall’analisi lasci intravedere qui un primo, non dichiarato argomento in favore del procedimento deduttivo: la ridefinizione dell’“interiezione” e dei “gesti vocali” risulta infatti possibile solo ad un certo livello dell’analisi linguistica, laddove cioè concetti come quelli di “semantema”, “morfema”, “fonema”, dotati di estensione e generalità maggiori rispetto a “interiezione” e “gesto vocale”, siano già stati definiti e inclusi nei precedenti stadi dell’analisi. Da ciò segue che la natura (razionale o irrazionale) del linguaggio non sia determinata dalla scelta di includere o meno le entità di difficile incasellamento, ma che viceversa tale scelta possa avvenire in virtù di una ricollocazione sistematica, riposante su concetti più generali e necessari. Ecco perché in definitiva non bisogna accentuare troppo la distinzione tra linguaggio intellettuale e linguaggio affettivo (cf. PGG: 236) visto che di per sé “Nulla rende impossibile classificare tutte le unità che l’insieme di

18 Contro il procedimento di “assumere in partenza la natura delle idee che ricevono un’espressione nella

questi due elementi della lingua comporta tra le parti del discorso” (ibid.). Dunque, non solo la natura dei fatti espressi nel linguaggio non è affatto fissa o predeterminata a priori, in un momento pre-linguistico, ma non è nemmeno univoca e omogenea: all’interno dei contenuti di coscienza trovano spazio componenti che riflettono la versatilità del linguaggio nella sua funzione espressiva (o formativa). Ciò equivale a dire che le strutture linguistiche non sono di per sé solo affettive o stilistiche, emotive o logiche, ma possono rivestirsi di tali valori in base ai loro diversi usi, ovvero mano a mano che a partire dalla comune struttura del linguaggio si vengono a concretizzare le lingue particolari in relazione alla pratica quotidiana, ai contesti sociali, alle diverse mentalità, e così via19. Non è un caso che, a questo riguardo, Hjelmslev citi Vendryes, per cui “le lingue rappresentano l’utilizzazione pratica dei procedimenti del linguaggio” (PGG: 215, cit. Vendryes 1921: 275). È dunque nel trovare espressione linguistica – o formazione grammaticale – che il pensiero può articolarsi in contenuti di coscienza definiti in modo più o meno netto, raggruppati e differenziati reciprocamente, assumendo quella stabilità necessaria alla loro condivisione: questo, in definitiva, significa che per Hjelmslev l’esistenza di un sistema ben articolato di categorie non costituisce affatto un istanza “logica” o “razionalistica” ma inerisce alle leggi proprie del funzionamento psicologico del linguaggio che possono essere colte solo tramite la scelta di un metodo adeguato, specifico della psicologia grammaticale.