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Il subcosciente grammaticale: la dimensione collettiva tra psicologia e

1. Il panorama linguistico-filosofico dei Principi di Grammatica Generale

1.1. La fondazione di una grammatica “immanente”

1.1.5. Logica, psicologia e grammatica descrittive: il ruolo del “subcosciente”

1.1.5.4. Il subcosciente grammaticale: la dimensione collettiva tra psicologia e

La nozione stessa di “abitudine”, in particolare, richiama da vicino un problema affrontato da Delacroix e riproposto negli stessi termini da Hjelmslev: la pertinenza sociologica o psicologica dello studio dei fatti linguistici. La lingua è un’istituzione: questa è l’affermazione che sia Delacroix sia Hjelmslev sottoscrivono (cf. Delacroix 1930: 64; PGG: 208, in cui Hjelmslev cita espressamente Lévy-Bruhl); nel linguaggio si intrecciano l’individuale (l’atto concreto della parole) e il collettivo (la langue, ovvero il sistema di valori che riflette la vita di una comunità di parlanti, nella sua complessità espressa in termini di bisogni, opere, differenziazione sociale, ecc.). Ciò significa che la lingua esiste al di fuori della coscienza individuale del soggetto parlante e che dunque è virtuale, non avendo altra realizzazione concreta che l’insieme puntiforme degli atti linguistici. Nell’affermare il valore subcosciente del grammatismo, tuttavia, è inevitabile sostenere allo stesso tempo che esso non riguardi solo o soprattutto l’esecuzione dell’atto linguistico, ma la struttura linguistica stessa, ovvero le condizioni di possibilità per qualsiasi atto grammaticale che sfrutti quella data forma linguistica. Il ricorso al ruolo esplicativo dell’automatismo e della memoria è pertanto valido solo se tali funzioni caratterizzano la struttura stessa della mente umana, offrendone per così dire le leggi generali comuni a tutti gli individui e, come tali, sovra-individuali. Perché si possa parlare di “grammatismo subcosciente”, dunque, è necessario: 1) che il funzionamento subcosciente dei grammatismi, che in quanto tali sono appartenenti alla langue e non alla parole, possa applicarsi alla comunità dei parlanti: dev’essere possibile cioè uno “psichismo collettivo”, spiegabile non in termini sociologici ma psicologici; e 2) che tali funzioni psicologiche producano qualcosa di specificamente linguistico (infatti, per Hjelmslev ogni fatto linguistico è un fatto psicologico, ma non viceversa), costituendo il substrato psicologico fondamentale a cui tuttavia il linguaggio non possa ridursi. Insomma, l’oggetto in questione deve rimanere pur sempre il grammatismo, di cui il carattere subcosciente è tratto essenziale, in grado di rendere la lingua indisponibile ad un’analisi condotta sulla base della logica o di qualsiasi altra disciplina normativa.

La lingua è un fatto strutturale, che emerge come proiezione complessiva, o meglio moltiplicativa, delle particolarità individuali1. L’automatismo, la memoria e l’abitudine, in quanto strutture della mente umana, sono al contempo funzioni psicofisiologiche individuali e presupposti per il costituirsi dell’intersoggettività stessa: è la ripetizione collettiva (e la ripetibilità) di determinate formule che permette il costituirsi di una struttura linguistica. Questo, tuttavia, non basta ancora. Perché la langue, intesa come sistema di categorie formali, si istituisca, è necessario un requisito in più: che l’intreccio di queste funzioni subcoscienti si sedimenti e che si istituisca una condizione sincronica di relativa stabilità2 (cf. PGG: 54), tramite cui gli automatismi grammaticali si costituiscono a totalità solidale, relativamente indipendente dal variare delle abitudini. Si costituisce cioè una sorta di “pacchetto algoritmico stabile”3 disponibile ad essere continuamente utilizzato dal soggetto parlante ed al contempo relativamente “ancorato”, cioè protetto dai mutamenti più veloci delle abitudini della massa parlante e, in definitiva, in buona parte isolato rispetto alla stessa presenza di quest’ultima. Tale sedimentazione corrisponde alla necessità (psicolinguistica) dei soggetti parlanti di comprendersi4, il che determina a sua volta una sorta di “desiderio incosciente” (PGG: 255, N. XXXV): la “tendenza conservatrice”, “la sola tendenza esterna a cui risulta necessario fare appello per spiegare la condizione evolutiva del sistema” (CdC: 195, 196). L’attività comunicativa coincide dunque con l’elaborazione categoriale di contenuti di coscienza al contempo individuali e collettivi poiché fondati sulla “disposizione linguistica dell’uomo in generale” (PGG: 209):

se è vero che la lingua è una «istituzione» e che essa è funzione della «realtà sociale contingente», così come ha affermato Lévy-Bruhl, non è assolutamente meno vero che la lingua è funzione di una realtà psicologica, o più esattamente di una realtà psicofisiologica. Se i fatti sociali variano all’infinito secondo i tempi i luoghi e gli ambienti, si deve allora avere una psicologia umana che derivi dalla natura stessa dell’uomo e determini il modo in cui gli uomini si comportano in determinate condizioni sociali (PGG: 208).

In quanto processo di formazione di categorie grammaticali, la segnicità è al contempo condizione e prodotto dell’attività dei soggetti parlanti: è tramite la

1 Questi, lo si ricorderà, sono i termini con cui Hjelmslev definisce la norma: cf. PGG: 188. 2

termine che non è affatto indice di “staticità” o di “assenza di dinamismo”: cf. PGG: 45-47.

3 Non a caso di natura “algebrica”.

condivisione comunicativa che la forma grammaticale si costituisce, ma è solo grazie alla forma grammaticale che il soggetto parlante dispone dei mezzi collettivamente condivisi tramite cui esprimere i contenuti di coscienza. La stessa circolarità si applica ai contenuti di coscienza: si tratta al contempo di contenuti individuali a cui l’individuo stesso imprime il carattere di rappresentazione collettiva nel momento stesso in cui egli li rende esprimibili. Il grammatismo non è dunque subcosciente in quanto costituito da elementi che non superano la soglia della coscienza, ma in quanto è essenzialmente un processo, un’attività in cui il singolo e la collettività si trovano a coincidere; l’antinomia “individuale : collettivo”, per di più, non si presta ad essere spiegata in termini di diacronia (“cosa viene prima”), ma solo in termini di differenza di grado: la distinzione più pertinente in questo caso è quella tra “stato astratto”, o generale, comune, e “stato concreto”, o particolare, specifico; una distinzione che è trasversale rispetto alla coppia langue : parole. La composizione tra l’istanza collettiva (sociologica) e l’istanza individuale (psicologica) del linguaggio si attua solo sul piano del meccanismo fondamentale del linguaggio (di natura psicofisiologica), astratto o generale, rispetto a cui tutte le lingue riscontrabili empiricamente (gli “stili di pensiero”, le “mentalità”) ne sono concretizzazioni particolari. Il punto di vista hjelmsleviano trova una felice espressione nella prospettiva dello stesso Delacroix:

une langue se trouve donc définie à tout moment de son développement par le lois et le formes générales du langage et par les lois d’un système particulier et déterminé. Et c’est parce qu’il n’y a qu’un langage que les différentes langues son toutes transposables les unes dans les autres” (Delacroix 1930: 144)5.

È dunque necessario ammettere il carattere di “istituzione collettiva” della lingua: l’approccio psicologico a cui ci si richiama è collettivo, sebbene affatto coincidente con l’impianto della Völkerpsychologie (che anzi viene da Hjelmslev espressamente criticata6); con più precisione, l’approccio psicologico avallato nei PGG non riguarda i meccanismi cognitivi che agiscono solo a livello del singolo soggetto, ma quelli che valgono a livello individuale perché comuni a tutti gli individui. In altre parole, non si tratta di considerare uno “psichismo di massa” come qualità “emergente”, il cui carattere collettivo derivi da una realtà eccedente il singolo individuo, ma uno “psichismo fondamentale”, collettivo nella misura in cui costituisce il nucleo cognitivo

5

Come affermerà Hjelmslev nei FTL, l’unità e la diversità delle lingue sono due aspetti di un’unica realtà.

6 “Non pensiamo neppure alla creazione di qualcosa come una «psicologia dei popoli». Questo termine

della mente umana, substrato comune a tutte le operazioni più complesse. Crediamo si possa spiegare così la critica alla prospettiva sociologica presente nei PGG:

In generale, il linguaggio non è esclusivamente né soprattutto un fatto sociale. Esso è primariamente un fatto psicologico. Questa verità è stata messa in luce con molta chiarezza dalla scuola di Herbart. La linguistica e la grammatica appartengono alla psicologia collettiva. I fatti sociali si possono studiare solo negli individui che costituiscono la società […]. In effetti, essendo il segno linguistico interamente psichico, la spiegazione più vicina ai fatti grammaticali risulta essere una spiegazione di ordine psicologico, in questo senso del termine. Abbiamo sufficientemente sottolineato che non si tratta di una spiegazione ricavata da fatti esterni alla linguistica; ma, poiché i fatti linguistici stessi sono di ordine psicologico, o più precisamente di ordine psicofisiologico, qualunque spiegazione linguistica deve essere innanzitutto una spiegazione psicologica, intesa in questo senso (PGG: 221).

È necessario tenere presente questa considerazione per discutere un altro tratto che si sarebbe tentati di attribuire al “subcosciente”: le “rappresentazioni collettive”. Spieghiamoci meglio: nell’atto di parole, il soggetto parlante farebbe appello a un sistema di automatismi, costituiti da abitudini accumulate mnemonicamente e legate da associazioni, che in definitiva egli eredita, e che dunque non sono suoi (posizione del tutto affine alla suggestione per cui sarebbe la lingua a “parlare il parlante”, e non viceversa). Il subcosciente sarebbe dunque costituito da rappresentazioni collettive, sfuggenti in quanto tali alla percezione del singolo che si limiterebbe a sfruttare automaticamente del materiale (fonico, psichico, segnico) già presente. Questa prospettiva è stata presa in considerazione dallo stesso Hjelmslev, proprio nel momento in cui cerca di stabilire “in quale dominio e in quale ordine d’idee” vadano collocate le condizioni di esistenza del sistema categoriale del linguaggio:

Potremmo forse ricercarle innanzitutto nei fatti sociali. Secondo la teoria di Emile Durkheim, per la quale le categorie linguistiche sono necessità sociali, dobbiamo attenerci ad una interdipendenza tra i sistemi concreti e la struttura delle società. In generale, è fuori di dubbio che questa tesi contenga una certa verità. È noto anche quanto la linguistica contemporanea ne abbia subìto l’influenza. Ci si è impegnati a studiare, soprattutto in Francia, i rapporti tra lingua e società, e a considerare la lingua come un fatto sociale (PGG: 217).

Hjelmslev discute alcuni punti in cui si può trovare affinità tra prospettiva linguistica e prospettiva sociologica, registrabili soprattutto nei fatti propri della cosiddetta linguistica esterna (“l’unità linguistica, la differenziazione delle lingue e la creazione di lingue comuni”7

), ma le concessioni alla sociologia finiscono qui. Per quanto riguarda le rappresentazioni collettive, valgono le considerazioni fatte in merito alla psicologia collettiva: stabilire che sia l’elemento “collettivo” delle rappresentazioni sociali a definirne il carattere subcosciente (intese dunque come indisponibili al singolo) significa sostenere che la dimensione collettiva non riguardi l’approccio psicologico, e che questo sia limitato alla sola sfera individuale (della parole). Crediamo che nei PGG Hjelmslev sia impegnato a contrastare proprio questa prospettiva: il subcosciente non è un tratto appartenente all’esecuzione individuale, al meccanismo psicologico del soggetto umano in quanto produttore singolo di atti linguistici, ma d’altra parte esso non è nemmeno legato a concezioni formate e veicolate dalla collettività, espressioni di una socialità vincolante; il subcosciente appartiene già ad una dimensione collettiva, generale, garantita dalla struttura comune della mente umana. In altre parole, ciò equivale a dire che il corredo “cognitivo” fondamentale dell’individuo è automaticamente, per definizione, quello di tutti. Proponiamo di riassumere la posizione di Hjelmslev nel seguente schema:

parole individuale realizzato

langue collettivo

langage al contempo individuale e collettivo virtuale

L’opposizione di Hjelmslev alla prospettiva sociologica si accosta alla critica di Delacroix alla teoria di Durkheim:

Le système de Durkheim donne trop à la société humaine, aux dépens de la constitution naturelle de l’homme qu’il reconnaît peut-être en principe, mais à condition de n’y penser ou de n’en parler jamais. Or, toute la suite de ce livre montrera qu’il est arbitraire de fixer aussi bas l’activité proprement humaine, et que l’homme ne recevrait rien et n’assimilerait rien de ce que la société lui fournit, s’il n’était à peu près capable de le produire. Une institution s’établit dans les consciences et s’y conserve en partie par le jeu des motifs qui la constituent (Delacroix 1930: 78).

Anche per Delacroix, infatti, si tratta di individuare quella “disposizione al linguaggio” che riposa sulla natura umana (“ce n’est ni l’homme actuel, ni le soi-disant primitif, mais ce qu’on trouve à travers tous les changements, ce qui persiste à travers eux et le conditionne”, Delacroix 1930: 81) e che viene concepita come una stratificazione di meccanismi psicologici generici (quali la ripetizione, l’abitudine, la memoria, l’automatismo) e specifici, prettamente linguistici (come l’associazione, l’analogia, l’analisi e la sintesi8

) ; in più, secondo Delacroix, il funzionamento congiunto di tali meccanismi – come d’altra parte lo stesso principio strutturale per cui il tutto supera la somma delle parti – “non ha niente di strettamente sociale” (cf. Delacroix 1930: 80). Di conseguenza la sociologia si dimostra del tutto inadatta a individuare e descrivere le leggi alla base dell’attività linguistica umana: “la vie sociale n’explique pas davantage ces lois de l’esprit. […] C’est en vain, croyons-nous, que Durkheim et Mauss ont essayé d’établir que la classification, la division par genres, la formation même des genres est d’origine sociale” (Id.: 113).

Tuttavia, anche negando al carattere collettivo della lingua una connotazione puramente sociologica, sembra che l’abitudine alla base del funzionamento automatico del linguaggio debba pur sempre venire validata dalla comunità dei parlanti: è davvero possibile ridurre questo aspetto al puro funzionamento psicologico? Crediamo che sia per Hjelmslev che per Delacroix la risposta possa essere affermativa, sebbene solo a patto di considerare la lingua nella prospettiva del linguaggio inteso a sua volta come struttura psicologica unitaria e comune (cf. PGG: 209). Proponiamo due osservazioni a riguardo:

(1) innanzitutto, è proprio qui che interviene l’aspetto da noi definito come “convenzionalismo implicito”, ovvero il fatto che la norma linguistica si costituisca spontaneamente tramite una convenzione che in sé non ha nulla di “stipulativo”9; a questo riguardo, l’aspetto della “stabilità sincronica”, che abbiamo citato più sopra come condizione affinché la lingua si costituisca come totalità solidale relativamente

8 “Il y a donc un certain mode de fonctionnement mental qui régit le cours des représentations,

indépendamment de la pensée proprement dite […]. Quelque chose de nouveau apparaît avec l’esprit humain: ce pouvoir d’apercevoir des rapports, de les composer entre eux, au lieu des groupes naturels immédiats, de classer les objets et de les ordonner, de se les opposer par conséquent” (Delacroix 1930: 111).

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Curioso che, a questo riguardo, Delacroix utilizzi un lessico del tutto particolare: citando Savigny (1834) e il suo allievo, Grimm (1819), egli parla di “necessità interiore”, “espressione spontanea”, “accordo segreto” (cf. Delacroix 1930: 27-28).

indipendente da mutamenti esterni, e l’istanza comunicativa del parlante giocano un ruolo teorico decisivo:

In ultima istanza, l’esistenza necessaria di sistemi concreti è solo la conseguenza immediata della natura del linguaggio. È noto che la costituzione degli stati di lingua poggia sul bisogno che gli uomini hanno di capirsi tra loro. I soggetti parlanti sono incessantemente portati a stabilire un sistema fisso, un sistema che poggi esclusivamente su una causalità interna. Se la stabilità di un tale sistema rimane sempre illusoria, è perché […] uno stato non permane nel corso del tempo […]. Ma questo non impedisce che un sistema sia in vigore in un qualsiasi momento dato. […] Nella lingua, dunque, vi è sempre una stabilità che, sebbene sia relativa dal punto di vista diacronico, è quasi assoluta per i parlanti (PGG: 187).

Ciò significa che, anche qualora si volesse assumere il carattere esclusivamente sociale o collettivo dell’istanza comunicativa e della stessa norma linguistica, è necessario considerare che alla base di entrambe vi è la stabilità sincronica, cioè una pura “realtà psicologica” (cf. PGG: 177; ma anche 178: “lo stato sincronico è una realtà, anzi è la prima realtà in materia linguistica […]. Questo è l’unico modo […] per cogliere questa realtà psicologica che è l’unica realtà linguistica”). Si noti che questa prospettiva avalla già, nei PGG, un atteggiamento che si potrebbe definire di “nominalismo moderato”: il sistema astratto delle categorie grammaticali, necessariamente sincronico10, possiede infatti “una sua propria individualità, che risulta da ciò che dipende immediatamente dalla psicologia umana, e serve a spiegare la natura della mente umana. Esso ha «un’esistenza astratta e tuttavia reale, così come la specie cavallo, o la specie cane esistono in virtù degli individui di tali specie» [cit. da Sechehaye, Programme et méthodes, p. 107; N.d.R.]” (PGG: 210). La comunicazione e la stabilità sincronica sono le condizioni psicolinguistiche interdipendenti per la socialità, e dunque per la stessa “validazione” delle abitudini che il singolo introduce nella pratica linguistica: per spiegare la costituzione della norma linguistica non si richiede nulla di più che la condivisibilità delle distinzioni che la forma grammaticale introduce nel sistema fonico e concettuale (del “pensiero”), condivisibilità che è a sua volta garantita dal fatto che la forma grammaticale poggia sulla struttura fondamentale del linguaggio. Gli aspetti della “sincronia”, della “stabilità”, e della “collettività” si trovano così ad essere a tal punto intrecciati nel meccanismo psicologico, da divenire un fondamento metodologico per la

teoria linguistica. Ancora una volta, dunque, una caratteristica del metodo (l’approccio sincronico) viene selezionata in quanto intimamente legata alla natura stessa dell’oggetto considerato (la sincronia come realtà psicologica) in base al fatto che “alcune distinzioni di metodo […] sono inerenti all’oggetto stesso che si è cominciato a studiare” (PGG: 49). Si tratta di un’operazione non solo perfettamente legittima e plausibile, ma in fondo addirittura “usuale” nella poetica di Hjelmslev, anche rispetto all’impianto successivo della Glossematica: nonostante le apparenze11

, infatti, l’affermazione della “natura dell’oggetto” non deriva da una qualche suggestione metafisica, ma dipende – vale la pena di sottolinearlo – direttamente dalla “concezione grammaticale”, la chiave di volta dei PGG, il cui valore operativo è esplicitato da Hjelmslev fin dall’inizio del proprio lavoro (cf. § 1.1.1.).

(2) Secondariamente, anche per quanto riguarda l’aspetto della validazione collettiva delle abitudini linguistiche, tanto Delacroix quanto Hjelmslev si richiamano prima ancora che alle circostanze sociali ad un presupposto di tipo psicologico-collettivo: l’espressione del “sentimento”. Nel caso di Delacroix, tale concetto è sinonimo di “emozione” e di “elemento affettivo”, la cui esclusione dalla considerazione empirica può solo portare a un’impropria razionalizzazione delle complesse strutture del linguaggio – è bene infatti tenere presente che “l’élément affectif, dans tout langage, se mêle inévitablement à l’élément rationnel” (Delacroix 1930: 83): il sentimento rappresenta uno dei motori della comunicazione, in quanto è “esternazione spontanea”, puramente riflessa e dunque alla base di un “linguaggio naturale, attivo” (ibid.)12. L’emozione, espressa naturalmente in quanto tale, rende l’individuo trasparente a chiunque sia capace delle stesse emozioni, delle stesse espressioni (Id.: 87): essa si declina cioè nella “simpatia”, a sua volta forma elementare dell’intellezione. È grazie ad

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Per esempio l’aspetto “assertorio” o “dogmatico” di certe affermazioni.

12 Delacroix compie un’interessante osservazione. Il substrato emotivo del linguaggio rende quest’ultimo

affine alla magia: si tratterebbe di una tecnica nata dal desiderio, in grado di assicurare al desiderio la sua realizzazione, tramite dei mezzi nati dal desiderio (cf. Delacroix 1930: 89); questa osservazione, apparentemente puramente suggestiva, ha il merito di mostrare come la valenza magica che antropologicamente l’uomo assegnerebbe al linguaggio riposi in definitiva sulla struttura stessa del linguaggio: prima ancora che essere una pratica codificata culturalmente, o un dato osservabile sociologicamente, la magia è un dato psicologico, un sentimento che deriva al soggetto dal meccanismo fondamentale del linguaggio: “Ainsi s’explique la magie implicite du langage, à laquelle succède une magie codifiée” (Id.: 89). Curioso notare dunque l’utilizzazione di un lessico affine a quello da noi utilizzato per distinguere il carattere implicito della norma linguistica a fronte del “caractère obligatoire del la vie sociale, […] la puissance contraignante des sociétés, qui tendent à modeler les habitudes de leurs membres, et qui assurent leur autorité par des formes de pression plus ou moins subtiles” (Id.: 65- 66): si tratta delle teorie della scuola di Durkheim, che secondo lo psicologo francese, “vont trop loin” (Id.: 65).

essa che “l’expression réflexe, mécanique et inévitable est donc employée comme signe, parce qu’elle est comprise par un autre individu de constitution analogue. Les manifestations collectives, qui ont pour caractère l’unisson des sentiments et des attitudes corporelles, en fondent solidement l’association” (Id.: 92). Si intravedono qui le tesi di Hume sulla comune costituzione umana: infatti, nonostante Delacroix sostenga di fatto una “dialettica” tra aspetti psicologici e sociali (egli si affretta a ribadire che “fino a un certo punto, la società è la condizione del linguaggio”, cf. Id.: 91), e oscilli dunque da un polo all’altro, crediamo sia possibile interpretare questa oscillazione come conseguenza di una prospettiva impegnata a reperire il carattere comune dei meccanismi psichici, ovvero la loro validità collettiva, garantita a priori dal fondamento biologico-