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L’ipotesi del contenuto significativo

1. Il panorama linguistico-filosofico dei Principi di Grammatica Generale

1.2. Il sistema grammaticale: le peculiarità del linguaggio all’opera nella teoria

1.2.1. L’ipotesi del contenuto significativo

[…] crediamo utile sostenere a titolo di ipotesi di lavoro, e almeno fino a nuova sistemazione, che ogni categoria formale ha un contenuto significativo, e non solo nella prospettiva diacronica, ma anche sincronicamente. […] Per costruire la scienza grammaticale, crediamo dunque necessario presupporre, per principio, il contenuto significativo in ogni momento dell’esistenza di ciascuna delle categorie. Bisogna liberarsi del pregiudizio che consiste nel considerare a priori tale categoria come sprovvista di fondamento; una volta constatata una categoria formale, bisogna sempre presumere che essa abbia una base significativa (PGG: 130, 134).

Questa ipotesi costituisce il punto in cui le esigenze di metodo e le esigenze “realiste” dell’oggetto trovano quel bilanciamento la cui necessità verrà reclamata anche nei FTL (nei rispettivi termini di “arbitrarietà” e “adeguatezza”): infatti, nonostante nel passo immediatamente successivo Hjelmslev sostenga il carattere puramente metodologico di tale ipotesi (“è una questione di metodo, non una questione di fatti”, PGG: 134), egli è in fondo portato a questa considerazione dalla constatazione della persistenza subcosciente della forma grammaticale. Ad essere decisiva, a questo riguardo, è proprio la considerazione sulla natura psicologico-cognitiva del linguaggio:

laddove il carattere subcosciente del grammatismo sembra rappresentare il limite più grave per una corretta e coerente sistemazione dei fatti linguistici – in quanto rende necessario l’abbandono della “coscienza del parlante” come criterio descrittivo e il ricorso a congetture ricostruttive da parte del linguista – esso tuttavia costituisce la chiave per comprendere il contenuto significativo delle categorie. Se la tradizione grammaticale non ha mai ritenuto di poter “encatalizzare” un particolare significato alle categorie morfologiche, spiega Hjelmslev, è perché nella maggior parte dei casi il contenuto significativo delle categorie è sempre stato considerato in relazione all’evoluzione di una lingua. Di fronte a categorie immotivate, come ad esempio il genere, si ritiene che esse si siano progressivamente svuotate di significato a tal punto da costituire, negli stati di lingua attuali, una mera sopravvivenza40. La presenza del significato, se attestata, costituirebbe dunque solamente una possibilità, ovvero una variabile nel costituirsi del sistema linguistico; in altre parole, si è normalmente portati a supporre “che l’origine della categoria in questione sia da rintracciare in una categoria significativa, ma si pensa che la categoria, nel suo «aspetto formale», sia sussistita negli stati più recenti, in cui il suo significato primordiale è tuttavia scomparso” (PGG: 130). Al contrario, secondo l’ipotesi formulata da Hjelmslev, anche supponendo che in un qualsiasi stato sincronico una data categoria si presenti priva di contenuto significativo, la categoria si doti di un qualche significato per il semplice fatto di entrare nel sistema grammaticale sincronico, ovvero per il fatto stesso di costituire una significazione, un valore linguistico. La ragione risiede nella costituzione psicologica (propria cioè del linguaggio) della forma grammaticale:

I soggetti parlanti introducono, in una forma qualunque, un determinato contenuto significativo. L’organizzazione grammaticale stessa poggia su tale necessità, sebbene i limiti di questa forza che agisce nel subcosciente vengano completamente ignorati. La limitazione dell’arbitrarietà, discussa in modo tanto fecondo da F. de Saussure, è difficile proprio perché è difficile sapere in che misura l’analisi oggettiva ricopra l’analisi soggettiva e subcosciente. Il segno, che è arbitrario, può essere relativamente motivato. In molti casi, la motivazione può essere interamente subcosciente; questo va ricordato affinché non si affermi con superficialità che essa sia inesistente (PGG: 133)41.

40

Circa la critica ad una tale interpretazione del genere grammaticale, cf. PGG: 130-131, 221.

41 Vale la pena specificare subito che per Hjelmslev il carattere motivato del segno linguistico non

Questo passaggio rende possibile un’ulteriore interessante considerazione: nei PGG l’elemento subcosciente ha il precipuo vantaggio teorico di sostituirsi al carattere apparentemente “irrazionale” di categorie grammaticali non immediatamente riconducibili ai fatti di sostanza, che risultano cioè difficilmente motivabili e che per questo sono state spiegate dal punto di vista diacronico in termini di “sopravvivenza irrazionale”. Questa sostituzione ha un ulteriore guadagno: l’ipotesi del carattere subcosciente del significato sincronico rimane valida per ogni analisi linguistica, in quanto il subcosciente è caratteristica cognitiva pancronica; per contro, il criterio della “sopravvivenza irrazionale” ha un qualche potere esplicativo solo nei casi dubbi o di difficile spiegazione, come la categoria grammaticale del genere, ma solo a patto di venire riformulato. In effetti, il concetto stesso di “sopravvivenza” non rappresenta di per sé una prova decisiva contro i tentativi di motivare (o spiegare) le forme linguistiche, visto che è sufficiente che di una forma “sopravviva” anche solo una parte, un residuo o un frammento (ovvero perché mantenga un qualsiasi ruolo funzionale, per quanto difettivo) perché essa possa continuare ad agire, esercitando la propria “forza suggestiva” (in fondo, “È nota la forza suggestiva esercitata dalla forma, messa in luce soprattutto da Esajas Tegnér”, PGG: 133; ma cf. anche Hjelmslev 1953): come Hjelmslev spiegherà molto più tardi, ma riprendendo le stesse considerazioni, è importante non dimenticare che

il sistema linguistico, una volta costituitosi e propagatosi nel tempo, s’impone costantemente ai soggetti parlanti […], a tal punto che qualche residuo può assurgere a nuova vita e costituire l’oggetto di una reinterpretazione; il fatto che il nome della luna sia femminile in francese, maschile in tedesco e quello del sole maschile in francese ma femminile in tedesco, nelle attuali condizioni può venire considerato un fatto del tutto arbitrario ed immotivato, una mera sopravvivenza priva di senso; resta nondimeno il fatto che una tale situazione colpisce comunque l’attenzione e che una sua interpretazione semantica tende a nascere in qualsiasi momento, nella poesia ed anche nel pensiero quotidiano; una nozione di personificazione sussiste potenzialmente ed è possibile servirsene in ogni momento […]. Quindi soltanto con riserve chiaramente espresse è possibile parlare in tali casi di sopravvivenza e questo è giustificabile soltanto a condizione di aggiungere che il sistema linguistico, anche se privato di «ragione» (e forse proprio a forza

essere sia più o meno referenzialmente adeguato alla realtà delle cose, ma dal maggior o minor grado di coincidenza rispetto alla Weltanschauung veicolata a livello di apprezzamento collettivo. La motivazione segnica rimane un “fatto interno” al segno.

d’essere privato di ragione) continua a parlare all’immaginazione e a governarla;

continuazione, non sopravvivenza, è necessario dire, anche se talvolta la continuazione è allo stato potenziale (Hjelmslev 1988: 283-284).

Il termine “continuazione” previene da una possibile confusione, derivante da un’interpretazione diacronica del concetto di “sincronia”, che consiste nel ritenere che gli elementi prelogici ritrovabili in sincronia appartengano alla realtà sociologica contemporanea, propria cioè della mentalità coesistente al rispettivo sistema linguistico. Insomma, non è detto che gli usi linguistici adottati da una società e vigenti in un contesto dato si lascino spiegare spiegano necessariamente nei termini di “mentalità attuale”; anzi è possibile che si spieghino solo

par la mentalité qui prédominait dans la société à la date où l’usage actuel a été fixé. Beaucoup trop souvent on s’adonne l’illusion qui consiste à croire que la langue est le reflet d’une mentalité coëxistante. Ce n’est presque jamais le cas. Grâce à la tendance conservatrice de la société […] les transformations d’une langue ne s’accomplissent que par de longues intervalles, et de la cause à l’effet la distance est bien longue. (CdC2: 46, n. 2).

Vi è dunque una tensione (cf. §) tra la mentalità espressa negli usi linguistici in atto e la mentalità espressa dallo schema. In entrambi i casi vi è sincronia, ma nel primo caso si tratta di una sincronia intesa come attualità, che fa corrispondere mentalità e lingua vincolandole biunivocamente al singolo momento storico “fotografato” e bloccato dall’analisi; nel secondo caso si tratta di una sincronia intesa come coesistenza: mentalità e lingua sono sì compresenti, ma libere l’una rispetto all’altra. In questo senso, per esempio, la lingua potrebbe costituirsi su sostanze del contenuto (mentalità o “apprezzamenti collettivi” – cf. Hjelmslev 1988: 231 sgg.) che da un punto di vista sociologico e diacronico si ritengono scomparsi dalla mentalità vigente, ma che invece non cessano di agire en profondeur: in altri termini, solo la lingua può rivelare su quali elementi di mentalità essa riposi.

Ebbene, il concetto di “subcosciente” è legato alla sincronia intesa come coesistenza: è cioè possibile che la struttura grammaticale e il sistema di sostanze del contenuto (mentalità) non siano direttamente apprezzabili, né “consciamente” disponibili, ovvero giacere al di là dell’autocomprensione che una mentalità ha di se stessa. Da un punto di vista teorico, dunque, il concetto di “subcosciente” è dotato di un maggiore potere

esplicativo rispetto al concetto di “sopravvivenza”: esso giustifica la presenza sia di categorie difficilmente motivabili sia di categorie il cui significato è invece perfettamente evidente (si è visto, in effetti, come il carattere subcosciente non contraddica la possibilità che esso possa emergere a coscienza ma ne costituisca anzi la condizione di possibilità). Al contrario, il concetto di “sopravvivenza” può essere invocato solo per giustificare categorie difficilmente motivabili. L’ipotesi del contenuto significativo è pertanto formulata anche per rendere conto di quelle irregolarità la cui soluzione è stata troppo frettolosamente relegata alla diacronia: si tratta di una soluzione solo apparente, vista la realtà sincronica delle categorie. È proprio il carattere sincronicamente irregolare che è necessario spiegare!

Non bisogna dimenticare che la grammatica di una lingua è completamente subcosciente. Ora, se la coscienza rifiuta di vedere una ragione in questo, ciò non è la prova che i fatti non possano spiegarsi con una ragione subcosciente. In materia scientifica, niente è più pericoloso di voler constatare l’impossibilità della spiegazione, della soluzione di un problema. Questo è proprio il modo migliore per evitare di giungere ad una soluzione. Non serve a nulla chiudere gli occhi sul problema, poiché, nonostante tutto esso continua ad esistere. Nella fattispecie, il problema consiste nel fatto che la categoria del genere si sia conservata per migliaia di anni senza che ve ne fosse una ragione evidente (PGG: 131).

La spiegazione diacronica (e il rifiuto dell’ipotesi del contenuto significativo) rappresenta dunque una doppia elusione al problema delle categorie: questo perché il concetto di “sopravvivenza irrazionale” è frutto di un giudizio normativo di valore e non di una considerazione descrittiva. Si può cogliere bene, qui, una ricaduta di quella distinzione metodologica tra approccio normativo e approccio descrittivo ritenuta da Hjelmslev imprescindibile per una corretta collocazione della grammatica (cf. § 1.1.2.). Il carattere subcosciente delle categorie fa sì che queste ultime coincidano con Weltanschauungen in cui la tendenza “razionale”, volta cioè a stabilire valori fissi e ben delimitati, è continuamente temperata da esigenze emotive, stilistiche e affettive, o addirittura a istanze percettive: non è affatto detto, per esempio, che i generi “maschile”, “femminile” e “neutro” siano associati in modo rigido a ciò che la mentalità riconosce come entità rispettivamente biologicamente maschili, femminili o non-biologicamente determinabili, come non è affatto certo a priori che la categoria del numero obbedisca a necessità di classificazioni quantitative. Così come non è detto che, laddove si

riscontrino siffatte discrasie, ciò derivi da un processo diacronico di “svuotamento di significato” e che l’originario stato fosse invece perfettamente motivabile. Ciò che conta è che nelle categorie, il modo di rappresentare il modo viene a sua volta rappresentato, secondo criteri affatto razionali: una razionalizzazione del sistema dovrebbe necessariamente derivare da una forma di contrattualismo linguistico stipulativo, in cui cioè tutti i soggetti parlanti potessero concordare esplicitamente; questo tuttavia non è il caso del linguaggio, che riposa invece su un consensus in cui le diverse componenti agiscono a livello implicito, spontaneo o mimetico (addirittura sulla base di alcuni elementi “psicofigiologici”), e non consapevole.

Per lo Hjelmslev del 1928, se è vero che una qualsiasi norma particolare si impone ai soggetti parlanti, è perché la comunicazione richiede una condizione (psicologica) di stabilità sincronica, in virtù delle necessità del linguaggio. Ma questo significa anche che, a rigor di termini, non esiste una norma generale del linguaggio: la norma appartiene solo agli stati concreti, in quanto realizzazioni storiche di un sistema pancronico e astratto di possibilità. La norma si impone agli individui non nei termini imperativi delle leggi sociali, collocabili all’intersezione tra langue e parole, ma in virtù delle necessità psicofisiologiche42 proprie della struttura cognitiva comune che agiscono all’intersezione tra faculté du langage e langue.

Tuttavia, una volta fissata l’ipotesi del contenuto significativo e ammessa la natura subcosciente delle categorie, a fronte della difficoltà (per il linguista e per il parlante) di encatalizzarvi un significato proprio, è necessario andare oltre, formulando anche un modo di procedere nell’analisi. Senza questo, infatti, l’ipotesi rimarrebbe euristicamente vuota e, dunque, illegittima. Qual è l’algoritmo proposto da Hjelmslev?

42 Hjelmslev non cessa di sottolineare questo aspetto: anche per quanto riguarda il carattere simbolico dei

semantemi espressivi (i Lautbilder), il linguista danese afferma che “Senza trascurare le individualità degli stati di lingua particolari, sarebbe interessante studiare almeno una volta il problema per sapere in che misura le categorie di semantemi constatate in queste lingue risultino da tendenze generali dipendenti dalle condizioni psicofisiologiche del linguaggio umano, vale a dire che poggiano sulla particolare natura di certe impressioni psichiche, da un lato, e sul carattere psicologico dei fonemi e sugli effetti psichici che essi provocano, dall’altro. Sarebbe particolarmente interessante mettere i fatti osservativi in rapporto alla teoria di Darwin, il quale ha cercato di dare delle spiegazioni fisiologiche di certi fonemi caratteristici di determinate impressioni psichiche (PGG: 147).