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Principi di analisi grammaticale generale

1. Il panorama linguistico-filosofico dei Principi di Grammatica Generale

1.2. Il sistema grammaticale: le peculiarità del linguaggio all’opera nella teoria

1.2.2. Principi di analisi grammaticale generale

Innanzitutto, l’ipotesi impone che tutti i tipi di categorie grammaticali abbiano un contenuto. Nel corso delle argomentazioni dei PGG (cf. soprattutto PGG: III, §§ II-VI: 135-166) Hjelmslev arriva a riconoscere tre tipi di categorie, specificando il modo in cui ciascuno di essi si comporta in relazione al contenuto significativo:

categorie contenuto significativo

espresso dalle categorie

categorie grammaticali

categorie di morfemi relazioni tra idee

categorie di semantemi idee categorie funzionali

(semantemi dotati di identica funzione)

possibilità delle relazioni tra idee

Le categorie di semantemi, spiega Hjelmslev, sono categorie significative di per sé, in quanto sono categorie costituite da elementi caratterizzati da “particolarità comuni di forma” (PGG: 135). In virtù del principio della stratificazione sincronica tra le parti del segno1, tali elementi sono coglibili solo “attraverso identità foniche accompagnate da identità significative” (Id.: 135-136). Segue che tali categorie debbano essere per forza dotate di contenuto significativo.

Per le categorie morfematiche, l’ipotesi del contenuto significativo è stata di fatto sempre implicitamente ammessa, in tutta la storia della scienza grammaticale. Questo perché il fatto che tali categorie fossero dotate di contenuto è stato sempre evidente per la grammatica: il problema dunque riguarda le modalità di descrizione, non la verifica dell’ipotesi che risulta vera per evidenza.

Le categorie funzionali sembrano contravvenire alla regola per cui la forma grammaticale consta solo di semantemi o morfemi, “se non fosse per il fatto che solo i

1

Enunciato da Hjelmslev come segue: “Nell’aspetto sincronico, una differenza di ordine fonico riflette

sempre una differenza analoga d’ordine semantico o morfologico, a condizione che ciascuno dei diversi fonemi sia accompagnato da una costruzione sintagmatica fissa. Nella misura in cui questo criterio ci sfugge, il significato dei fonemi diventa l’unico determinante: se, sotto tale condizione, vi è identità di significato tra due fonemi, vi è anche identità di forma (i due fonemi ricoprono un unico e medesimo elemento grammaticale); se, al contrario, vi è differenza di significato, vi è anche differenza di forma”

semantemi e i morfemi possiedono la facoltà di combinarsi gli uni con gli altri” (PGG: 156). Le categorie funzionali sono pertanto costituite dalle combinazioni linguisticamente ammissibili tra semantemi (che soli hanno la facoltà di combinarsi, di contrarre ciò che nei PGG viene definita “funzione”) e morfemi (gli elementi che possono solo essere combinati), ovvero dalle parti del discorso. Questa è “l’unico dominio in cui si sia dubitato del contenuto significativo in modo serio e in termini di principio” (Id.: 159) ed è dunque il vero e proprio banco di prova per questa ipotesi. Si badi che il tentativo di reperire un contenuto significativo non sposta affatto la grammatica al di fuori del dominio formale del valore, e non coincide con il tentativo di assegnare una definizione semantica, basata sul significato lessicologico. Le categorie funzionali avranno quasi sempre un significato completamente astratto: questo non solo perché costituite da semantemi (di significato astratto), ma perché devono garantire la composizione di elementi più complessi, che soli possono avere significati concreti (cf. PGG: 264). Ciò significa che le categorie funzionali devono mantenere significati astratti poiché questi devono potere essere “modalizzati” dai significati delle unità a cui i semantemi si combinano. Ecco perché le categorie funzionali esprimono la “possibilità delle relazioni di una nozione data” (Id.: 166; c.vo ns.).

Ma come cogliere fattivamente le categorie grammaticali? Come comportarsi nel complesso lavoro di ritaglio tra significato e significante che la forma grammaticale esige per sua stessa costituzione? Nella prassi descrittiva vera e propria è utile seguire le seguenti “regole”:

1. in virtù della particolare struttura del segno (per come esso è concepito in questa fase: significato e forma+significante), è necessario “prendere le espressioni come punto di partenza e cercare i loro significati” (PGG: 159), e non viceversa;

2. è necessario escludere dalla considerazione il significato lessicologico delle categorie o delle loro occorrenze più superficiali (per esempio: le parole nel caso delle categorie funzionali): “la grammatica è una disciplina che per definizione è indifferente rispetto a qualsiasi problema di ordine semantico” (ibid.);

3. “se la categoria è una, anche il significato deve essere uno” (PGG: 165); questa esigenza sembra andare in direzione di una maggior semplicità epistemologica e presuppone già un andamento di tipo deduttivo:

Capita che, di frequente, vengano fissate delle categorie […] senza preoccuparsi di cercare di ridurre il significato ad una formula generale. […] Accade […] troppo spesso che i grammatici si accontentino di enumerare una serie di significati eterogenei di una determinata categoria senza cercare di definire ciò che, all’interno di tutta questa varietà, costituisce una categoria unica. Quello che infatti si ritrova nelle grammatiche ordinarie sull’«uso» (vale a dire il significato) dei casi, degli articoli, dei tempi, dei modi, ecc., presenta molto spesso questo aspetto, ed è per tali ragioni che non possiamo esserne soddisfatti. A maggior ragione, stabilire queste formule generali per le categorie più ampie, risulterebbe nella maggior parte dei casi più facile, piuttosto che stabilire i significati propri a ciascuna delle sotto- categorie (ibid.);

considerare l’uso come criterio per l’attribuzione (o meglio, per la ricostruzione) del significato delle categorie, significa perdere di vista il problema della “persistenza della forma” nonché tradire lo stesso principio di classificazione che è alla base del linguaggio2. Attribuire a ogni uso un significato proprio e cercare il significato comune minimale a tutti i fatti di significazione vuol dire porsi dalla prospettiva sbagliata: è la categoria a costituire l’oggetto e il fine delle ricerche grammaticali. Essa va intesa come condizione di possibilità per i diversi usi linguistici concreti. Un sistema linguistico, che si presenta nell’aspetto di una complessa stratificazione “non solo di categorie, ma di gruppi di categorie” (ciò che nei termini di FTL viene definita una “gerarchia”), non si confonde mai con una semplice sommatoria di usi, fatti atomistici e particolari;

4. per la ricostruzione dello stato astratto è necessario adottare un accorgimento specifico: laddove le categorie degli stati concreti possono essere individuate e registrate come tali in base ai criteri di ordine formale e in relazione alla loro manifestazione in uno stato di lingua concreto, per le categorie appartenenti allo stato astratto ci si trova a dover fare i conti con l’istanza comparativa, ovvero con la possibilità che vi sia una discrasia tra le categorie registrate nei diversi stati concreti. L’approccio tradizionale mette di fronte il linguista a due alternative: registrare una categoria astratta in relazione alla sua maggior frequenza di occorrenza nei diversi stati concreti oppure registrare solo le categorie comuni ai diversi stati di lingua, escludendo le categorie particolari. Neanche a dirlo, Hjelmslev propende per una terza opzione:

[…] crediamo che l’unico metodo possibile sarà quello di determinare una

categoria astratta corrispondente a ciascuna categoria concreta, senza tenere conto, primariamente, della sua estensione. […] L’esistenza di una categoria in un

solo stato concreto è sufficiente, in linea di principio, per arrivare alla conclusione che questa stessa categoria esiste come possibilità all’interno delle basi psicologiche del linguaggio. La categoria astratta non è altro che una possibilità

astratta. Con questo metodo la grammatica non fa che seguire il principio della

fonologia generale che […] prende in considerazione tutti i fonemi possibili ed esistenti senza rendere conto della loro estensione o della frequenza della loro realizzazione (PGG: 212)3.