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La fluidità delle categorie

1. Il panorama linguistico-filosofico dei Principi di Grammatica Generale

1.2. Il sistema grammaticale: le peculiarità del linguaggio all’opera nella teoria

1.2.3. La fluidità delle categorie

Nei PGG non si trovano altri principi in grado di orientare il linguista nell’identificazione delle categorie linguistiche particolari e generali (di una lingua e del linguaggio), ma da quelli già stabiliti discendono alcune implicazioni interessanti. Dal III aspetto, in particolare, segue la necessità di trattare con la massima cautela un’ulteriore caratteristica dei sistemi semiotici: la cosiddetta “fluidità” del sistema delle categorie, tratto che si suole spesso ricondurre agli effetti della costituzione prelogica del linguaggio (e delle lingue). Su ciò Hjelmslev si pronuncia in modo esplicito al § 56 dei PGG, dedicato esclusivamente a questo problema (cf. PGG: 184-185). Secondo Hjelmslev, nonostante si sia portati a credere che le irregolarità del sistema dipendano dal fatto che limiti delle categorie si trovano nel linguaggio in uno stato di “fluttuazione” o di vaghezza tale da “complicare all’infinito il meccanismo di una lingua fornendone un quadro dai contorni sfumati” (PGG: 185), conviene scomporre il problema nelle sue componenti più piccole. Così facendo, è possibile ricondurre il fenomeno dei “limiti fluttuanti” dall’interazione di due peculiarità fondamentali che agiscono sincronicamente l’una sull’altra:

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Proprio rifacendosi a questa citazione, Swiggers ricorda che “l’établissement d’une catégorie abstraite se fait en tenant compte non pas de son extension, mais de son intension, de son contenu significatif” (Swiggers 1991: 65). Per quanto l’opposizione “intensivo : estensivo” rifletta l’uso terminologico che ne fa (per altro successivamente) Hjelmslev, è necessario tenere presente che per “intensione” si intende il contenuto semantico, rifiuto che il linguista danese rifiuterà risolutamente nell’individuazione delle categorie (cf. qui § 2.5.1.1.), sostenendo invece la necessità di basarsi solo su fattori formali (ovvero sul “valore”, sull’“estensione” propriamente detta). In questo particolare passaggio, dunque, per “estensione” si deve intendere la frequenza di una categoria negli stati di lingua considerati, o meglio i punti in cui la categoria considerata si manifesta negli stati di lingua. Ne consegue che Swiggers utilizza impropriamente la nota coppia concettuale di Hjelmslev.

a. l’uso delle categorie linguistiche da parte del soggetto parlante;

b. il segno (l’idea grammaticale) inteso nella concezione di Steinthal, come rappresentazione di rappresentazione, a differenza dell’atto linguistico che riposerebbe invece su un’appercezione (dunque su una realtà psicologica differente, individuale ed evenemenziale, ovvero puntiforme).

Queste due proprietà interdipendenti introdurrebbero per così dire una discrasia tra il sistema delle categorie – più precisamente un sistema concreto, ovvero una lingua intesa come concretizzazione del sistema astratto – e la relativa “messa in atto” concreta, a livello di parole. La caratteristica dell’uso è precisamente quella di poter sfruttare arbitrariamente ogni variazione concessa all’interno di quella zona di stabilità (Spielraum) definita dalla norma, oltre che l’intero arsenale di soluzioni stilistiche (mezzi espressivi), ammissibili a livello di grammatica ma non grammaticali di per sé:

La categoria è fissa, ma il suo uso non ha limiti determinati. Prendiamo un esempio che chiarirà le idee; in francese si può dire, quasi indifferentemente: le cheval est

un mammifère, un cheval est un mammifère, e les chevaux sont des mammifères. È

dunque evidente che per esprimere un solo e medesimo pensiero, possono entrare in gioco diverse categorie: nella fattispecie, la «generalità» può essere espressa dalla categoria del singolare o dal quella del plurale, e dalla categoria del «definito» o dal quella dell’«indefinito». Una delle caratteristiche fondamentali delle categorie sincroniche è che sconfinano una nell’altra nell’uso a cui si prestano. Questo accade perché l’uso della lingua, e dei mezzi di cui essa dispone, è arbitrario e poggia su un atto di volontà del soggetto parlante […], esistono […] delle sfumature soggettive introdotte dai soggetti parlanti mediante questa o quella espressione possibile. Le categorie possono così servire ad esprimere le idee soggettive (PGG: 184-185).

E tuttavia, proprio nell’esprimere contenuti di coscienza soggettivi, il parlante fa spontaneamente affidamento a classi di operazioni cognitive già per così dire connotate a livello di significati generali (le rappresentazioni di rappresentazioni), che egli intesse nei propri atti linguistici senza accorgersene. È dunque dalla prospettiva dell’uso che le categorie appaiono dotate di limiti sfumati; la grammatica scientifica impone tuttavia di passare dal livello della parole (che presenta gli inconvenienti di tipo normativo delineati soprattutto in §§ 1.1.2., 1.1.3., 1.1.4.) al livello del sistema delle langues e di non prendere tale fenomeno come “alibi per non fissare i reali limiti delle categorie”

(PGG: 185). Ora, dal punto di vista del linguaggio, l’aspetto dei “limiti fluttuanti” assume un’altra fisionomia: non si tratta di vaghezza del limite delle categorie, ma del loro sconfinamento reciproco, ovvero di quel fenomeno che verrà definito overlapping (sovrapposizione, danese: overlapning). Per esempio, prendendo in considerazione i singoli morfemi, si sarà portati quasi inevitabilmente a rilevare che in ognuno di essi collidano categorie diverse, e che dunque i morfemi stessi manifestino l’esigenza di stabilire continuamente “zone grigie” tra le categorie, o criteri di appartenenza fluida; assumendo il punto di vista delle categorie, invece, sono piuttosto i morfemi a dover essere interpretati come veri e propri “fasci di funzioni”, come grandezze che si costituiscono sull’intersezione dei domini delle categorie stesse. Ciò significa che dal punto di vista dei morfemi, i morfemi stessi sono grandezze “semplici” e le categorie grandezze “complesse”, mentre dal punto di vista delle categorie la prospettiva è esattamente invertita.

Inoltre, secondo Hjelmslev – per lo meno in questo periodo – i limiti delle categorie non sono affatto “soglie” (cf. Zinna 2004: 50):

Da un certo punto di vista i limiti sono effettivamente fluttuanti, nel senso che le categorie sconfinano costantemente l’una nell’altra. I limiti di due categorie vicine non coincidono mai; si tratta piuttosto di compenetrazione tra le categorie. Questo

però non significa che i limiti di ciascuna categoria, considerata isolatamente, siano fluttuanti (PGG: 185; c.vo ns.).

La “fluidità” non riguarda la natura dei limiti, ma le intersezioni e le sovrapposizioni tra i domini di categorie ben definite4: il problema, pertanto, si pone a livello di rapporti inter- ed infra-categoriali, ovvero tra categorie e all’interno di esse, una volta che si considerino i criteri di distribuzione qualitativa dei relativi membri (cf. FTL: 107). L’aspetto qualitativo in particolare risulta imprescindibile: vale la pena di ribadire, in effetti, che le categorie linguistiche non sono degli insiemi, non sono cioè raggruppamenti di elementi derivanti dall’applicazione di istruzioni sintattiche5; esse

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Sfruttando un paragone geometrico: non è un problema di perimetri, ma di aree.

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Nemmeno le funzioni sfuggono a tale considerazione: già a partire dal 1928, infatti, sebbene sia possibile distinguere la forma grammaticale dalla funzione grammaticale, con cui Hjelmslev intende “1°

la facoltà di combinarsi esclusivamente con certi morfemi dati e, 2° la facoltà di combinarsi con altri semantemi esclusivamente per mezzo di certi morfemi dati” (PGG: 97), quest’ultima dev’essere

ricondotta alla prima. Secondo il linguista danese, infatti, “la funzione grammaticale è […] una specie di

sono piuttosto “inventari”6

, ovvero grandezze fondate e costruite sul valore, ovvero sulla mutazione7 tra significato e significante. Esattamente come gli elementi che esse organizzano, anche le categorie sono dotate di una precisa caratterizzazione sul piano del significato (segnico) e posseggono quasi sempre “un contenuto molto astratto” (PGG: 163)8, in grado cioè di fare “astrazione da una o più delle qualità dell’oggetto preso in

considerazione”9 (PGG: 264) garantendo così una generale versatilità nell’uso. Di qui la difficoltà nella verifica empirica dell’ipotesi del contenuto significativo: i fatti significativi propri delle categorie sono “estremamente astratti” (Id.: 163) in quanto prescindono dalle qualità dell’oggetto (e in alcuni casi dall’oggetto stesso) che attraverso di esse viene rappresentato. A tal riguardo è utile tenere presente che Hjelmslev utilizza la nozione di “oggetto” nel senso di “variante (concreta) di significato” e non in termini di referenzialismo: qualsiasi “oggetto” si costituisce all’interno alla dimensione linguistica, la quale a sua volta non si limita a darne espressione, ma lo forma secondo criteri specifici, cioè sulla base dei propri sistemi di categorie. Posta l’equivalenza tra oggetto e segno, il significato della categoria prescinde da (leggi: non coincide con) la somma dei significati particolari assunti dai membri della categoria in questione nei diversi atti linguistici, esattamente allo stesso modo in cui – poniamo – l’idea di cavallo (la classe) non coincide con la somma di tutti i possibili cavalli che ci si può rappresentare (i componenti), sebbene dipenda da questi e ne debba rendere conto (in quanto condizione di possibilità). Si è già visto (cf. PGG: 207-208) come Hjelmslev sostenga la presenza di categorie spaziali non solo nelle lingue cosiddette “primitive” ma anche nelle lingue “civilizzate”, cosa che rende vana l’assunzione del criterio della presenza delle “categorie concrete” al fine di stabilire una distinzione di fatto inesistente. Ebbene, proprio l’idea di categorie basate sul contenuto significato di “spazio” costituiranno il miglior banco di prova per l’ipotesi del contenuto significativo:

6 “Il n'y a, somme toute, qu'un inventaire, et tout se trouve dans l'inventaire. La notion d'inventaire est

précisément celle qui manque aux linguistiques dites post-hjelmsléviennes, et c'est, pourtant, l'élément déterminant du style épistémologique de Hjelmslev. Ce n'est que par une opération de catalyse appliquée à un inventaire donné, que l'on peut arriver à avoir une notion de la langue comme entité virtuelle” (Almeida 1997).

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Si tratta di un termine assente nei PGG, a cui Hjelmslev approderà nel corso della ricerca successiva.

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Il compito di stabilire il contenuto significativo delle categorie, afferma Hjelmslev, “può rivelarsi arduo a causa del carattere estremamente astratto dei significati di cui si tratta” (PGG: 163).

9 Al contrario, “una nozione concreta è una nozione che implica tutte le qualità, […]. Ma è necessario

anche tenere presente che a sua volta la qualità stessa può essere concreta o astratta: è concreta se nello stesso tempo si considera l’oggetto che la possiede; è astratta se la si considera senza tenere conto dell’oggetto che la possiede (PGG: 264).

Alcune ricerche da noi intraprese in quest’ordine d’idee ci sembra che mostrino il fatto che le lingue europee possiedono categorie spaziali abbastanza varie, o per lo meno più varie di quanto generalmente non si creda. Speriamo di poter esporre questi fatti in un’altra occasione (PGG: 207-208).

L’occasione si sarebbe presentata dopo pochi anni, e precisamente nel 1934, data in cui Hjelmslev tiene un ciclo di lezioni a Copenhagen che vengono raccolte in SoS e che a loro volta culmineranno nella pubblicazione di numerosi saggi tra cui per esempio CdC, CdC2, Hjelmslev 1938a o altri anche di molto successivi (Hjelmslev 1956b). Ciò dimostra come nel 1928 Hjelmslev abbia inaugurato e applicato un vero e proprio programma di ricerca, volto allo studio della struttura profonda delle categorie morfologiche e del loro contenuto (la sublogica), nonché dei criteri di distribuzione qualitativa dei membri nel dominio di ciascuna categoria (la “prelogica” intesa nel suo significato tecnico di particolare tipo di opposizione linguistica – significato al quale, lo ribadiamo a scanso di equivoci, la concezione del prelogismo sostenuta nei PGG non è ancora direttamente connessa). Nei PGG, la prima applicazione dell’ipotesi e dei principi proposti in direzione della successiva ricerca sublogica è riscontrabile nell’analisi della categoria morfematica dell’articolo. In effetti, seguendo un ragionamento che si ritroverà anche in CdC, Hjelmslev esamina come tradizionalmente10 si sia stati propensi a riconoscere all’articolo una funzione di “definizione”, “determinazione”, “individualizzazione”, “attualizzazione” (cf. PGG: 263). Per il linguista danese, invece, l’unica idea linguistica (successivamente: sematema; cf. §) in grado di saturare adeguatamente il dominio della categoria dell’articolo è l’idea di “concretizzazione”. In funzione di tale idea, ogni semantema (astratto per definizione11) che si trovi combinato ad un articolo riceve un significato concreto:

Il ruolo grammaticale dell’articolo consiste dunque nel concretizzare il semantema […]. Il cosiddetto articolo definito è un morfema di concretizzazione che indica che l’oggetto, o la sua qualità, si suppone sia noto all’interlocutore […]. Il cosiddetto articolo indefinito è un morfema di concretizzazione che indica che l’oggetto, o la sua qualità, si suppone sia sconosciuto all’interlocutore. L’articolo zero, al contrario degli altri due articoli, è un morfema d’astrazione (PGG: 264).

10 Per esempio, così fa Kalepky 1928. 11

“Una parola può essere concreta, un semantema no. È solo la combinazione con altri elementi grammaticali, semantemi o morfemi, che può costituire un significato concreto dell’insieme, e cioè della parola o della combinazione di parole” (PGG: 264).

Questa prima “ricostruzione” ante litteram della sublogica della categoria di articolo è resa possibile dall’attribuzione di un adeguato contenuto significativo. L’idea di concretizzazione sembra cioè già essere concepita sulla base di un sistema dimensionale: in effetti, il contenuto significativo non è un semplice “concetto ombrello”, ma piuttosto di un parametro di contenuto che può essere fatto variare secondo degli assi qualitativi (in questo caso, il grado massimo di concretizzazione, proprio dell’articolo definito, e il grado minimo di concretizzazione, a sua volta coincidente con il grado massimo di astrazione, proprio dell’articolo zero).

Nel corso delle successive ricerche, Hjelmslev avrà modo di riformulare il contenuto significativo dell’articolo, la “concretizzazione”, nella pressoché analoga idea di “realtà” (cf. SoS: 166; Hjelmslev 1991: 102, 105) mantenendone dunque invariata la definizione estensionale. Non solo: a partire dal 1935 il linguista danese recupererà proprio il contenuto significativo di “spazio” che aveva discusso come controprova del carattere sincronico e attuale del “prelogismo”. Nello studio speciale dedicato alla categoria del caso, Hjelmslev mostrerà che l’idea di spazio può e dev’essere declinata in termini “astratti” nonostante essa sia stata spesso concepita come “naturalmente più concreta” (cioè come il prodotto di un’astrazione “più debole”) rispetto ad altri contenuti significativi tradizionalmente associati alle categorie grammaticali, come l’idea di numero, alla base della categoria di quantità, o l’idea di genere, alla base della categoria del genere grammaticale (cf. Lévy-Bruhl 1951).

LA SECONDA FASE:SPROGSYSTEM OG SPROGFORANDRING E CATEGORIA DEI CASI

2. Nel laboratorio del linguista: l’idea di “partecipazione” e la sua applicazione