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La ricezione hjelmsleviana delle tesi di Lévy-Bruhl

1. Il panorama linguistico-filosofico dei Principi di Grammatica Generale

1.1. La fondazione di una grammatica “immanente”

1.1.8. Logica, psicologia e grammatica descrittive: il ruolo del “prelogismo”

1.1.8.2. La ricezione hjelmsleviana delle tesi di Lévy-Bruhl

Conviene subito notare che la “ricezione” di Hjelmslev non coincide affatto con un’assunzione in toto del punto di vista dell’etnologo francese, né, d’altra parte, con una semplice critica delle posizioni contrarie alla propria, ma si configura piuttosto come una sorta di complessa riformulazione attraverso la quale il linguista danese utilizza un concetto sviluppato in seno ad una riflessione di fatto “anti-generalista” ma rovesciandone il valore, innestandolo all’interno del linguaggio e facendolo diventare così condizione generale per la scienza che egli cerca di fondare.

Innanzitutto, possiamo riassumere nei seguenti punti ciò che Hjelmslev non accetta nell’impostazione dell’etnologo francese:

1. l’atteggiamento “scettico” (PGG: 196): quanti sostengono l’impossibilità di stabilire uno stato astratto generale è perché ha considerato solamente l’eterogeneità delle fenomeni considerati e non (anche) la loro unitarietà; un tale atteggiamento si preclude a priori il processo di verifica di un’ipotesi;

2. l’assunzione “cieca” dell’eterogeneità a livello di “oggetto indagato” e, dunque, del particolarismo a livello di metodo.

Fin dal § 60 (“Il sistema astratto”), Hjelmslev è impegnato a dimostrare la seconda parte della “doppia ipotesi” su cui si fonda la proposta scientifica concreta dei PGG, riguardante l’esistenza e la descrivibilità dello “stato astratto”, pancronico, del linguaggio. La pratica scientifica tradizionale ha operato su due binari paralleli: da un lato essa ha registrato una diversità di fondo nel materiale raccolto, dall’altro ha potuto riconoscerne somiglianze via via circostanziali, che tuttavia ha saputo rielaborare solamente in vista di una ricostruzione genealogica e diacronica degli stati di lingue. Tuttavia, sostiene Hjelmslev, per guadagnare una prospettiva scientifica generale, è necessario unire le componenti della “profonda somiglianza” e dello “studio sincronico”

in un unico approccio di analisi: “Sembra che possa essere vantaggioso comparare le lingue non esclusivamente per fini genealogici, genetici e diacronici, ma anche per fini generali e sincronici” (PGG: 199). Gli autori citati a sostegno di questa working hypothesis sono soprattutto Saussure (CLG), Boas (1911a, 1991b, 1922), Schuchardt (1922), Van Ginneken (1907), Sechehaye (1926), Vendryes (1921), Wackernagel (1920- 1924), accomunati dall’idea per cui alla radice delle diverse lingue opera la struttura cognitiva (o, come si è visto: psicofisiologica; cf. qui § 1.1.5.4. sgg.) comune del linguaggio. Per una tale concezione – lo si è visto – Hjelmslev ha preparato il terreno fin dalla questione, apparentemente solo epistemologica, della collocazione della grammatica tra le diverse discipline linguistiche:

Se il sistema fonico è definito ovunque dalle caratteristiche fisiologiche dell’uomo, il sistema grammaticale dipende analogamente da certe caratteristiche psicologiche

proprie del genere umano. In generale, i procedimenti del linguaggio sono costretti

ad operare nei limiti determinati dalla natura dell’uomo che li produce (PGG: 197; c.vo ns.);

«l’occorrenza dei concetti grammaticali più importanti in tutte le lingue va considerata come la prova dell’unità dei processi psicologici fondamentali» (PGG: 199, cit. Boas 1911a: 71);

Schuchardt insisteva, con buone ragioni, sul fatto che la parentela genealogica non è l’unica esistente tra le lingue, poiché esiste anche una parentela fondamentale (elementare Verwandschaft) che poggia sulla natura umana, sulle leggi generali che regolano la psicologia umana, e che consiste in procedimenti grammaticali comuni alle lingue più diverse, totalmente o in parte, e profondamente motivati dalla natura stessa del linguaggio umano (PGG: 199).

Per decostruire la tesi lévy-bruhliana circa l’impossibilità di ricondurre le mentalità riscontrate negli studi etnologici ad un unico tipo e la conseguente impraticabilità di un loro studio generale, Hjelmslev si affida a R. Allier che, in Le non-civilisé et nous (Allier 1927), contesta lo stesso valore euristico di un’ipotesi che stabilisce a monte l’esistenza di due tipi completamente differenti di mentalità, salvo poi arrivare a stabilirne gradi di interazione. Mai come in questo caso è necessario distinguere le concretizzazioni storicamente individuate e particolari dalle loro stesse condizioni di possibilità; anche le mentalità, come le lingue, vanno considerate alla luce di un substrato psicologico comune:

Non è conveniente porsi a priori all’interno di un tipo speciale di mentalità o di lingua e assumerlo come punto di partenza. Quello che invece bisogna fare è porsi su un terreno esterno a tutti i fenomeni osservati, su un punto di Archimede, per così dire, che sarà l’unico a permettere di dare un giudizio oggettivo dell’insieme dei fatti. In tal modo è possibile determinare con facilità ciò che è comune da ciò che non lo è, tanto tra le diverse mentalità quanto tra le diverse lingue. È proprio ciò che facciamo quando stabiliamo lo stato astratto (PGG: 205).

condizioni di possibilità o realizzabili struttura cognitiva (psicologia) costante struttura cognitiva (linguaggio) costante realizzati mentalità particolari variabili lingue particolari variabili

A questa prima precisazione, comune agli oggetti a prescindere dalla loro natura (si tratti cioè di mentalità, società, lingue, ecc.), se ne deve aggiungere una riguardante invece il rapporto specifico tra mentalità e lingua: intendere quest’ultima come una delle istituzioni-prodotto della prima significa fuoriuscire dall’immanenza. Si è visto come per Hjelmslev, nonostante il carattere psicologico comune dei fatti linguistici, essi manifestino una specificità irriducibile, derivante tra l’altro anche dagli stessi caratteri psicologici loro sottesi (la stabilità sincronica, l’istanza comunicativa). Tale specificità costituisce la lingua a sistema solidale, tale che, una volta costituito, rimane indisponibile ad una descrizione posta in termini sociologici o psicologici. Da ciò segue che non è legittimo, ai fini di uno studio di grammatica generale, esaminare le lingue come prodotto di una mentalità e a partire da queste: vale semmai il contrario, in fondo è solo attraverso le lingue, e dunque a partire dal linguaggio, che possiamo osservare oggettivamente il modo di espressione dei presunti sistemi (psicologici o logici) di idee27. Abbiamo visto, infatti, che gli stessi fatti psicologici possono essere studiati oggettivamente solo tramite l’adozione del metodo indiretto applicato alle forme

27

Cf. inoltre, quanto sostenuto da Hjelmslev circa il problema della tipologia linguistica: “D’altra parte conviene ritenere che, essendo la linguistica parte essenziale della psicologia descrittiva, i tipi che essa giunge a costituire contribuiscono in maniera determinante a conoscere i tipi psicologici” (PGG: 227).

espressive di tali fatti (cf. qui § 1.1.7.); se l’indagine delle mentalità e delle relative istituzioni può portare all’utilizzazione di categorie logiche o psicologiche, è necessario verificare passo passo se effettivamente tali categorie valgano anche all’interno del linguaggio. Ora,

A priori non sembra che la lingua rifletta necessariamente tutte le particolarità,

anche essenziali, della mentalità del soggetto parlante. Al contrario, vi sono molte nozioni, indispensabili per la filosofia, che non hanno alcuna importanza per la linguistica, poiché sono inesistenti nella lingua (PGG: 206).

Rispetto alle esigenze di una linguistica immanente, dunque, lo schema di cui a Fig. 8 va modificato come segue:

struttura cognitiva (psicologia) variabile struttura cognitiva (faculté du langage) costante langue mentalità particolari variabili lingue particolari (langues) costanti

Crediamo che questo schema rappresenti adeguatamente la posizione di Hjelmslev, per cui “Tra lingua e civiltà c’è solo un’interdipendenza limitata. È possibile aggiungere che, soprattutto nel dominio grammaticale propriamente detto, l’interdipendenza tra lingua e civiltà è quasi inesistente” (PGG: 222). Non si tratta di considerazioni accessorie: anche se Hjelmslev non lo afferma esplicitamente, esse hanno come conseguenza il fatto che il prelogismo non si limita a riflettersi nelle lingue, ma ne diventa carattere costitutivo. Non solo: poiché il linguaggio si costituisce come sistema sincronico di categorie, il prelogismo cessa di essere una fase, diacronicamente individuabile e socio-culturalmente isolabile, nell’evoluzione etnologica delle mentalità e delle istituzioni, e guadagna un’estensione pancronica, rispetto alla quale la stessa opposizione “primitivo : civilizzato” perde del tutto pertinenza. Questa complessa operazione di ricollocamento della dimensione prelogica investe naturalmente anche la questione dell’interazione tra “logica” e “prelogica”: sostenendo che “la differenza non

si riscontra tra mentalità prelogica e mentalità logica, quanto tra mentalità dominata dalla prelogica e un’altra in cui logica e prelogica sono coesistenti” (Allier 1927: 36, 226, cit. in PGG: 206) si dimostra come il prelogismo sia per così dire “spalmato in sincronia” e non si costituisca affatto in alternanza esclusiva rispetto alle rappresentazioni governate dal principio logico. Anche in questo caso, dunque, si riafferma il carattere asimmetrico del rapporto “logismo : prelogismo”, per di più “sbilanciato” – se si vuole – in favore di quest’ultima dimensione. Traspare qui la concezione per cui la tendenza al logicismo (evidentemente inteso non nel senso descrittivo) rappresenta una sorta di sclerotizzazione delle strutture linguistiche, originariamente elastiche e non condizionate da requisiti e da regole applicate metalinguisticamente proprie di quello che alla fine è un sotto-codice: prova ne sia la non pertinenza grammaticale di categorie quali “causalità” e “identità” che, pur potendo venire costruite linguisticamente e utilizzate con finalità metalinguistiche28, non fanno parte del sistema originario del linguaggio (cf. PGG: 206). Ecco perché esse sarebbero indifferenti per la prelogica. Crediamo che qui si colga bene la radice “sincretica” della logica intesa come codice normativo metalinguistico (come teoria) e come tendenza del pensiero/linguaggio29.

Secondo Hjelmslev, le stesse caratteristiche che l’etnologo francese riconosce come peculiari delle lingue primitive possono ed anzi devono essere generalizzate ed estese anche alle lingue cosiddette “civilizzate”30

:

Secondo Lévy-Bruhl, la differenza linguistica consiste soprattutto nel fatto che le categorie delle lingue «primitive» hanno un significato più concreto rispetto alle categorie delle nostre lingue […]. Rimane […] la possibilità che un esame più

28 D’altra parte, nulla impedisce che una mentalità si imponga anche dall’uso estensivo delle categorie

logiche di causalità, identità, contraddizione, ecc; ciò non contrasta minimamente con la loro inesistenza a livello di categorie cognitive, costituendo il linguaggio una totalità solidale, indipendente dagli “stili di pensiero”.

29 A questo riguardo, facciamo nostre le osservazioni di Almeida che, esprimendosi sulla questione del

“formalismo glossematico”, sottolinea l’inusuale posizione di Hjelmslev nel contesto epistemologico del Novecento. Egli spiega che “L’essor de la logique des prédicats de Frege, tout en représentant un immense progrès par rapport à la logique d'Aristote, a contribué a créer un malentendu dont les épistémologies modernes ont du mal à se libérer. Il comporte, en effet, le risque de considérer la forme logique comme une abstraction de la matière linguistique” (Almeida 1997). Per Hjelmslev, invece, “le langage ne contient rien que du langage” (Almeida 1997). Difficile trovare definizione più concisa e chiara. Ciò significa che le istanze logiche, se presenti, sono in ultima analisi inestricabilmente dipendenti dal linguaggio, a pari titolo delle rappresentazioni percettive, emotive, affettive, stilistiche, ecc.

30

Significativamente, Hjelmslev sembra sostenere che la frettolosa assunzione delle diversità radicali tra le lingue non deriva tanto dall’esame delle lingue esotiche, antiche o addirittura morte, ma dall’ignoranza del funzionamento delle stesse lingue moderne.

approfondito, anche delle lingue «civilizzate», porti a scoprire in queste ultime un numero più ampio di categorie «concrete», in modo da far scomparire la differenza essenziale rispetto alle lingue «primitive». Secondo le indicazioni di Lévy-Bruhl, nelle lingue «primitive» vi è un gran numero di categorie spaziali che non si ritroverebbero nelle nostre lingue. Tuttavia, è fuori di dubbio che anche nelle lingue indoeuropee, forse soprattutto nelle loro forme moderne, vi sono numerose categorie spaziali che non sono ancora state scoperte. Ricordiamo che il francese, ad esempio, distingue la nozione di punto esatto da quella di una certa estensione, in casi come à Paris e dans Paris, distinzione questa che coincide con una identica operata dal lituano, in cui […] miške “nella foresta” ha un diverso accento a seconda della concezione spaziale: si dice miškè per indicare una piccola foresta, o una foresta la cui estensione è priva di importanza per il soggetto parlante o per l’idea che si intende esprimere, ma si dice miške allorché si tratta di una grande foresta comprendente più luoghi (PGG: 207-208).

Ciò che è importante sottolineare è che nei PGG il prelogismo non riveste ancora il ruolo teorico che assumerà a partire soprattutto dagli studi di Hjelmslev condotti sulle correlazioni linguistiche, ma è legato a doppio filo con l’elemento subcosciente del linguaggio: su questi due elementi, infatti, Hjelmslev fa leva per individuare la grammatica in seno alle altre discipline e attribuirle uno statuto autonomo. La grammatica scientifica sarà caratterizzata, sul piano del metodo, dall’adozione di un punto di vista descrittivo e generale, e, sul piano dell’oggetto, dalla considerazione dei tratti peculiari del linguaggio stesso, ovvero il suo costituire un sistema articolato in modo autonomo, non logico, ma subcosciente e versatile, ovvero una griglia categoriale fondamentale a cui il soggetto parlante fa naturalmente ricorso nell’attività quotidiana di elaborazione e comunicazione di qualsiasi contenuto di coscienza.

D’altra parte è significativo che Hjelmslev si serva di un concetto come quello del “prelogismo”, originariamente sviluppato in seno ad una riflessione entologica di tipo relativista volta a mostrare l’impossibilità di una descrizione pancronica (basata su un’illegittima generalizzazione di un tipo particolare), per dimostrare esattamente il contrario: che un’analisi pancronica è possibile solo se descrittiva, ovvero se ottenuta tramite la pari considerazione di tutti i tipi particolari, ivi incluse le peculiarità manifestate dagli oggetti. Pertanto, anche se nei PGG non è ancora discussa la “partecipazione” intesa come modalità squisitamente linguistica e non-logica di correlazione (con tutto ciò che ne seguirà: termine neutro, opposizione tra “intensivo”

ed “estensivo”, critica del concetto di “marca” e così via), tuttavia la “prelogica” viene già posta in essere dotata di alcuni tratti fondamentali costanti31, riassumibili come segue: il prelogismo è inerente al linguaggio (e non alla mentalità); il linguaggio è a sua volta l’insieme pancronico delle categorie possibili nelle singole lingue; dunque il prelogismo non costituisce affatto il limite tra uno stadio “primitivo” (in cui si presenta per così dire “allo stato puro”) ed uno “civilizzato” (in cui si trova diluito e sfumato rispetto alle esigenze logiche), ma si presenta come peculiarità strutturale, consistente nell’indifferenza ai particolari usi o stili di pensiero che derivano dal linguaggio ma tendono a retroagire su di esso in termini “normativi”, non cogliendone il carattere spontaneo e immediato (subcosciente). Insieme all’ipotesi del carattere subcosciente dei grammatismi32, dunque, l’ipotesi prelogica si costituisce a partire dalla necessità di assumere il linguaggio

1) come sistema formativo categoriale: le rappresentazioni eterogenee e provenienti dalla sfera percettiva, dalla dimensione affettiva o emotiva o anche dalla componente simbolico-espressiva (rispettivamente, per esempio, le categorie spaziali, “concrete”; i fatti di adesione soggettiva come le interiezioni, formalmente riconducibili alla categoria funzionale dell’avverbio; i Lautbilder) vengono di fatto “ri-rappresentate” e raggruppate in categorie formali, in modo da potersi combinare morfologicamente; 2) come sistema categoriale sincronico: diretta conseguenza della “concezione grammaticale”, la priorità della sincronia è stabilita grazie al riconoscimento della realtà psicologico-cognitiva del linguaggio (la condizione di “stabilità sincronica” a fini comunicativi – cf. qui § 1.1.5.1.) per cui “è solo in sincronia che le categorie ed i sistemi si rendono visibili” (PGG: 44)33; infatti “Rigorosamente parlando, i sistemi sincronici

non si spiegano con la diacronia, ma, in definitiva, si spiegano solo da sé” (PGG: 54). La scelta metodologica della sincronia come asse descrittivo si conforma all’ipotesi sulle peculiarità dell’oggetto descritto;

31

Rispetto, ovviamente, alle opere successive.

32 Vale la pena di ricordare che il carattere subcosciente e il carattere prelogico del linguaggio vengono

introdotti da Hjelmslev nella stessa occasione e con lo stesso scopo: la delimitazione della grammatica rispetto alla logica (cf. PGG: 18-19).

33

Cf. anche il seguente passo: “Se adottiamo questo punto di vista esclusivamente sincronico, reso necessario dalle realtà psicologiche stesse, le ripercussioni diacroniche passano ad essere inesistenti per definizione. […] La sincronia ha dunque un’esistenza indipendente,e trae le sue spiegazioni necessarie solo all’interno del proprio dominio. Questo è l’unico modo, sia per rendere sufficientemente conto di ciò che realmente accade nei soggetti parlanti, sia per cogliere questa realtà psicologica che è l’unica realtà linguistica” (PGG: 178).

3) come sistema categoriale generale; la doppia ipotesi che apre il § IV dei PGG risulta qui decisiva: con essa si stabilisce 1) che “Qualsiasi lingua, in un dato luogo, in un dato ambiente e in una data epoca, costituisce uno stato idiosincronico che si presenta come un insieme di fatti psichici” (PGG: 169) e 2) che “Mediante il confronto tra tutti gli stati sincronici esistenti o conosciuti è possibile stabilire uno stato pancronico, un sistema astratto di categorie, che ci fornirà il materiale per una descrizione psicologica e logica generale e comune, e che può essere proiettata di riflesso su tutti gli stati sincronici” (ibid.). Viene da chiedersi se tale stato astratto sia una mera ricostruzione metalinguistica operata dal grammatico conformemente ad un’istanza conoscitiva non linguistica. Che per Hjelmslev le cose non stiano così lo dimostra l’assunzione di un’ipotesi decisiva, finalizzata a dimostrare esattamente l’opposto. Si tratta della vera “chiave di volta” dei PGG, non a caso definita “assioma fondamentale” dallo stesso linguista danese:

La scienza delle categorie linguistiche poggia necessariamente su un solo assioma che stabiliamo immediatamente: Le categorie sono, in quanto tali, una qualità fissa

del linguaggio. Il principio di classificazione è inerente a qualsiasi idioma, in ogni tempo e in ogni luogo. Questo assioma è così evidente che risulta impossibile

giustificarlo attraverso la prova induttiva. […] La tesi secondo cui le categorie sono una qualità fissa del linguaggio viene a porsi a titolo di assioma, essendo impossibile, per definizione, una qualunque dimostrazione completa della sua realtà (PGG: 62, 65);

4) come sistema categoriale immanente, ovvero non logico (né, se per questo, specificamente psicologico); per Hjelmslev, la ricerca delle categorie linguistiche immanenti è una conseguenza necessaria dell’assioma del principio di classificazione, e non un vezzo arbitrario del linguista:

Si tratterebbe dunque, rimanendo strettamente all’interno della linguistica, di cogliere le categorie che sono, secondo il nostro assioma, inerenti al linguaggio. La scienza delle categorie linguistiche deve porsi sul terreno del linguaggio stesso e andare alla ricerca, senza considerare le categorie stabilite dalla logica e dalla psicologia, di categorie che sono caratteristiche del linguaggio, che gli sono proprie e che si ritrovano esclusivamente all’interno del suo dominio. […] Se si è del

parere che bisogna necessariamente dirigere l’attenzione su un’altra disciplina per stabilire un sistema categoriale, si ammette allo stesso tempo che le categorie in quanto tali non sono una qualità fissa del linguaggio (Id.: 65; c.vo ns.);

5) come sistema categoriale espressivo, ovvero formativo: le categorie costituiscono le operazioni tramite cui il linguaggio plasma e, dunque, rende esprimibile, qualsiasi contenuto; vale la pena notare, tra l’altro, come per Hjelmslev la funzione comunicativa sia secondaria rispetto all’aspetto formativo del linguaggio: “Conviene ritenere che la formazione dei sistemi sia di certo il fenomeno fondamentale del linguaggio” (PGG: 185). Ora, posto il fatto che il linguaggio non solo si comporti come sistema ma ne sia anzi la condizione di possibilità, e data la natura non-logica del linguaggio stesso, segue che l’istituzione di classi e la loro organizzazione non abbia nulla di logico in sé, ma tutto di “cognitivo”34

;

6) come sistema categoriale significativo; questa ultima specificazione è di fondamentale importanza e non è stata ancora trattata qui se non per quanto concerne la funzione espressiva/formativa del linguaggio; al problema del significato delle categorie sarà dedicata la successiva e ultima parte del nostro capitolo in quanto esso rappresenta la radice di un’ulteriore componente nella teoria delle “opposizioni partecipative”: la “sublogica”. Nell’ipotesi di Hjelmslev, il sistema delle categorie è formale non perché costituisca un’articolazione di classi vuote, o, se si preferisce, un insieme di insiemi non connotati a priori e pronti per essere riempiti da qualsiasi elemento si presti ad essere così organizzato; anzi, il sistema delle categorie è formale perché intrinsecamente segnico, in quanto esso stesso significativo. La forma (linguistica) non è tale perché priva di contenuto, ma, giusto al contrario, proprio perché dotata di contenuto.