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I contenuti positivi del principio

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 62-65)

SEZIONE II: IL LIBERO CONVINCIMENTO RAZIONALE

7. I contenuti positivi del principio

La locuzione “libero convincimento” non ricorre in nessuna delle disposizioni ordinarie e costituzionali che regolano il processo penale, ma è comunque ampiamente condivisa, in dottrina e giurisprudenza, l’idea che la formula sia espressione di un “Principio Cardine” del sistema.

Va sottolineata la difficoltà di aderire alla tesi che attribuisce rango costituzionale al principio.

In quest’ottica, il riferimento normativo che senza dubbio evoca il libero convincimento è la previsione dell’obbligo di motivare tutti i provvedimenti giurisdizionali (art. 111, 6° comma, Cost.), ma tale dato non sembra esprimere un’opzione vincolante in favore di un determinato regime di valutazione della prova.

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Scrive in proposito G.D. Romagnosi: “Il legislatore [...] appose all’intimo convincimento certi limiti, ed assegnò certe regole, se non positive, almeno negative. Io voglio dire che se il Legislatore non disse ai Giudici quando dovevano essere convinti, disse loro almeno quando non dovevano esserlo. In sostanza disse loro: mancando le tali e tali condizioni, i mezzi di prova addotti mancheranno di credibilità”. G.D. ROMAGNOSI, Cenni sui sistemi della convinzione

intima e delle prove legali, e sul calcolo degli indizi, in Opere, vol. IV, p. II, Perelli e Mariani,

Milano, 1842, p. 964.

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Così E. DOSI, Sul principio del libero convincimento del giudice nel processo penale, Giuffrè, Milano 1957, pp. 59-60, nt. (2), in cui, peraltro, riporta un’ulteriore precisazione interessante quando afferma che “intimo convincimento” e “persuasione razionale” altro non sono che “due modi dell’attuarsi del libero convincimento, il quale, quindi, può distinguersi in libero convincimento immotivato e in libero convincimento motivato”.

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Infatti, pur rappresentando un limite alla libertà di giudizio, l’obbligo di motivazione non è affatto inconciliabile con il sistema delle prove legali, poiché la predeterminazione, in astratto, del valore probatorio di ogni singola fonte cognitiva introdotta nel processo non esclude la necessità di verificare, in concreto, come il giudice sia giunto alla decisone attraverso l’apprezzamento complessivo dei fatti emersi dall’attività istruttoria.

Non si può, tantomeno, desumere la valenza costituzionale del principio rispetto a quanto disposto dall’art 101,2° comma, Cost., sostenendo che la soggezione del giudice alla legge implichi la incondizionata possibilità di accertare i presupposti fattuali per la sua corretta applicazione e, di conseguenza, l’assenza di qualunque vincolo nella valutazione del dato probatorio.

Per confutare la tesi, basta ricordare, infatti, che l’automatismo tipico delle prove legali è comunque oggetto di previsione normativa, sicché sembra illogico ipotizzarne il contrasto con il principio che impone al giudice la rigorosa osservanza della legge.

Il principio del libero convincimento va incluso tra i “Principi generali dell’ordinamento giuridico”, ovvero nel novero di quelle “regole fondamentali del sistema”, ricavabili, per astrazione, da norme specifiche, che orientano l’interprete nei casi in cui la mancanza di una espresse disciplina non è colmabile neppure attraverso il ricorso all’analogia87.

La versione codicistica del libero convincimento si ritrova indubbiamente nella formulazione dell’art.192 c.p.p. .

In questo articolo i compilatori del codice hanno espresso la loro scelta in favore del libero convincimento del giudice, affermando il principio e, nel contempo, ponendo i limiti all’esercizio indiscriminato del potere decisorio.

La previsione dell’art. 192 c.p.p., collocata, non a caso, nel titolo di apertura del libro III del codice, tra le disposizioni generali in tema di prova, concentra in sè regole suscettibili “di potenziale irradiazione applicativa a qualsiasi fede o stadio del procedimento”, per evitare una incongruente frantumazione settoriale dei parametri normativi che orientano il convincimento del giudice88.

Quanto ai contenuti, il raccordo tra valutazione delle prove e obbligo di motivazione, di cui al 1° co. dell’art.192 c.p.p., segnala l’adesione ad una concezione razionalistica del principio del libero convincimento, che impone un accertamento del fatto scevro da fuorvianti suggestioni emotive89. Nell’apprezzare i dati probatori sottoposti alla sua cognizione, il giudice non può affidarsi ad intuizioni istintive, ma è tenuto a seguire criteri logici, che deve necessariamente indicare quando enuncia le ragioni sottese alla decisone.

In ciò si sostanzia il vero limite al libero convincimento, poiché il semplice resoconto dei risultati dell’attività valutativa non consentirebbe di ricostruire il

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In questi termini, BOBBIO, Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, 1960, pp. 179 ss.

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Vedi in questi termini, COMOGLIO, Prove ed accertamento dei fatti nel nuovo c.p.p., in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1990, p. 120 ss.

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Al riguardo per un’analisi da rilievi comparatistici, vedi E. AMODIO, Libero convincimento e

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percorso argomentativo che ha portato alla decisione, vanificando la funzione di garanzia contro l’arbitrio assegnata alla motivazione.

Lo sforzo legislativo volto ad assicurare la razionalità del giudizio non è certamente compromesso dal singolare richiamo all’intimo convincimento che ancora compare nella formula del giuramento prestato dai giudici popolari della Corte d’Assise (art. 30, legge 10 aprile 1951, n. 287).

Si tratta, in realtà, di un mero retaggio storico, chiaramente superato dalla previsione dell’art. 527, 2°comma, c.p.p., che obbliga tutti i giudici impegnati in deliberazioni collegiali ad enunciare le ragioni della loro opinioni all’atto del voto espresso sulle singole questioni poste in decisone; a riconferma dell’impegno legislativo per la “codificazione” di un principio di libero convincimento c.d. razionale è stato inserito l’art. 546 comma 1 lettera e) c.p.p., il quale stabilisce che la motivazione in fatto debba contenere “l’indicazione delle prove poste a base della decisione” e “l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie”90.

La disciplina del libero convincimento, come si analizzerà, non si esaurisce nella previsione di un razionale apprezzamento dei dati probatori e del correlativo obbligo di enunciare le ragioni delle decisione.

Il dovere di motivare si inserisce, infatti, in un più ampio contesto di garanzie che tendono a prevenire il rischio dell’arbitrio attraverso l’opposizione di ulteriori limiti, diretti o indiretti, all’indiscriminato accertamento dei fatti su cui si fonda il giudizio.

L’art 192 del c.p.p. nell’intento del riformatore del 1988 avrebbe dovuto soddisfare un duplice obiettivo, ovvero in primis fondare un criterio metodologico stabile al fine di garantire l’imprescindibile raccordo tra metodo valutativo e successivo redde rationem e, successivamente, verificare il peso probatorio da assegnarsi a taluni dati conoscitivi di controversia efficacia dimostrativa.

Un proponimento sicuramente ambizioso soprattutto in considerazione della necessità di riaffermare la supremazia della legge formale, come fonte del diritto, nei confronti del massiccio interventismo giurisprudenziale. Il ricorso al formante legislativo avrebbe potuto ovviare, se inteso nei giusti termini, ad inconvenienti pratici.

Come osservato da Amodio91, tale obiettivo del nuovo codice di evitare involuzioni di carattere giurisprudenziale è altresì testimoniato dalla previsione delle nuova sanzione dell’inutilizzabilità, di cui meglio in seguito.

Il primo comma dell’art. 192 ha avuto l’effetto di fare emergere a livello legislativo il principio del libero convincimento del giudice che rappresenta il canone basilare di valutazione della prova.

Nella Relazione al progetto preliminare del codice è chiarito che l’art. 192 conferma la scelta in favore del principio del libero convincimento di cui offre

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Cfr E. AMODIO, La rinascita del diritto delle prove penali. Dalla teoria romantica della intime

convinction al recupero della legalità probatoria, cit., p.125.

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E. AMODIO, La rinascita del diritto delle prove penali. Dalla teoria romantica della intime

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una formulazione che in parte ricorda il disposto dell’art. 116 c.p.c. (“il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”).

Nella stessa Relazione è precisato che “decisamente nuovo è, però il raccordo tra convincimento del giudice e obbligo di motivare su un piano generale, esso mira a segnalare, anche a livello legislativo, come la libertà di apprezzamento della prova trovi un limite in principi razionali che devono trovar risalto nella motivazione, sotto un profilo più strettamente operativo; il nesso vuol far risaltare il contenuto della motivazione in fatto, che si esprime nella enunciazione dei criteri di valutazione (massime di esperienza) utilizzate per vagliare il fondamento della prova”.

L’art 192 del c.p.p. da un lato prevede la libertà del giudice nella valutazione della prova con una rigorosa enunciazione del dovere di motivazione e dall’altro lato, richiede l’esplicita enunciazione dei criteri di apprezzamento degli elementi di prova sottoposti.

La lettura dell’art. 192 e la precisa collocazione delle disposizioni in esso contenute all’interno di un corpus normativo formante il “diritto delle prove penali” sono univocamente indicative della preoccupazione del legislatore di arginare possibili fenomeni degenerativi, tant’è che la disciplina della valutazione della prova, in cui manca ogni riferimento al termine “libertà”, è delineata in termini di dovere e di limiti all’attività del giudice: l’apprezzamento delle prove deve esplicarsi, infatti, “con obiettività e prudenza” ed è inscindibilmente collegato con l’obbligo di provvedere, nel modo più rigoroso e completo, alla motivazione posta a base della decisione adottata al fine di evitare che il libero convincimento trasmodi in arbitrio e in scelte dettate da opzioni meramente soggettive che rappresentano la negazione della giurisdizione, la cui essenza è quella di costituire una “attività razionalmente fondabile in quanto ancorata a criteri di valutazione precisi e riconoscibili”.

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 62-65)