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Il consolidamento del sistema inquisitorio, quale forma ordinaria di

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 31-34)

La trasformazione del Comune in Signoria e di questa in Principato segnò la fine del pluralismo medioevale e il ritorno del potere assoluto, destinato a trovare il proprio apice con l’avvento delle grandi Monarchie45.

Ebbe in tal modo inizio una nuova era di cui Signorie e Principati furono solamente un’anticipazione in tono minore. In questo periodo mutarono radicalmente la concezione e la legittimazione del potere.

Il Comune era stato l’espressione, sia pur parziale, della comunità cristiana governata in vista delle finalità indicate dalla Chiesa, sicché la gestione del potere era avvertita come affare di tutti e non dei soli governanti.

La nascita dell’assolutismo, invece, fu la nascita di un potere terreno, laico, che trovava in sé la propria legittimazione, allontanandosi per ciò stesso dalla comunità su cui era esercitato. I precetti cristiani furono così sostituiti da quelli di una nuova religione: la «ragion di Stato»46.

Questo cambiamento culturale non tardò a manifestarsi anche nell’amministrazione della giustizia e, in particolare, nel processo penale, da sempre fedele riflesso del tipo di regime al potere.

45

A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa. Dal Medioevo all'Età contemporanea, Il Mulino, Bologna, 2007, pp. 227 ss.

46

G. ALESSI, voce Processo penale (diritto intermedio), cit. pp. 375 ss; G. SALVIOLI, Storia

28

Se prima del XV secolo vi fu l’esaltazione del procedimento inquisitorio, poi si assistette all’esasperazione dello stesso47: la logica processuale divenne logica di potere, il processo strumento di sopraffazione dell’individuo da parte dell’autorità e le garanzie dell’accusato furono totalmente soppresse. L’impianto del processo penale rimase sostanzialmente lo stesso, solo che si ebbe un inasprimento delle singole fasi rispetto all’inquisizione medievale.

Innanzitutto si accentuò il valore attribuito alla pubblica fama: se, prima, essa era da sola sufficiente ad individuare il sospetto, poi si arrivò ad arrestare, torturare e addirittura condannare quanti venivano accusati tramite denunce segrete48.

Il processo continuava ad essere articolato nelle due fasi dell’inquisizione «generale» e «speciale», ma, in molti casi, si riteneva sufficiente la prima fase, peraltro svolta da organi di polizia, legati più al sovrano che al giudice.

L’inquisizione speciale si basava sempre sulla tortura, ma questa conobbe eccessi mai riscontrati prima d’ora: se nel tardo Medioevo questa pratica feroce era stata comunque assoggettata a regole processuali49, durante l’assolutismo queste vennero meno.

A tutto ciò deve aggiungersi quella che fu la novità più importante, cioè l’introduzione delle c.d. pene straordinarie o di «sospetto».

Qualora l’imputato, nonostante la tortura, non avesse confessato o ratificato la confessione già resa, il giudice lo poteva condannare proprio per la sua incostanza o, in generale, perché le prove dell’innocenza non erano tali da scagionarlo interamente.

La pena era lasciata alla discrezionalità dell’organo giudicante e la condanna era sganciata dall’accertamento del reato.

La presunzione d’innocenza non conobbe mai oscurantismo maggiore che durante l’assolutismo. Posto che bastava una denuncia segreta per doversi discolpare, che carcerazione preventiva e tortura erano i mezzi ordinari di accertamento del reato e che la legge prevedeva la possibilità d’irrogare pene basate sul sospetto di colpevolezza, appare evidente come il principio allora in auge fosse quello dell’in dubio contra reum.

47

I. ROSONI, QUAE SINGULA NON PROSUNT COLLECTA IUVANT, la teoria della prova

indiziaria nell’età medievale e moderna, cit., pp. 119 ss.

48

Sono rimaste famose le bocche dei leoni a Venezia, il tamburo di Firenze, la capsieta di Genova, dove chiunque poteva depositare denunce anonime. Così G. AMATO, Individuo e autorità nella

disciplina della libertà personale, cit., p. 92, nota 31.

49

Nel tardo Medioevo la tortura si sarebbe dovuta applicare (almeno in teoria) come extrema

ratio, cioè solo nel caso in cui non ci fossero stati altri mezzi per arrivare alla verità. Poteva essere

ripetuta due o tre volte, ma non nello stesso giorno. Il cancelliere verbalizzava ogni cosa: domande del giudice, risposte, grida, lamenti, durata e ora della tortura, qualità e grado della stessa, ragione della sua applicazione, condizioni del soggetto prima e dopo; il tutto per attestarne la legittimità in relazione al tipo di reato e alla gravità degli indizi. Inoltre, era sempre presente un medico per curare l’imputato e controllare che non ne fosse provocata la morte. Infine, era stabilito che la deposizione resa sotto i tormenti doveva essere ratificata lontano dagli strumenti di tortura ed a distanza di tempo per essere valida. Cfr. A. MALINVERNI, Lineamenti di storia del processo

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Alla metà del Cinquecento, l’assetto sopra descritto del sistema penale è illustrato ed analizzato da un giurista di quel secolo, Giulio Claro50.

L’autore51, dopo aver precisato che, secondo lui, le forme procedurali dovevano essere condotte a due, ovvero all’accusa privata su istanza di parte ed all’accusa ex officio, riteneva che, secondo i dettami del diritto comune, la forma processuale ordinaria dovesse essere quella dell’accusa privata.

In realtà, però, lo stesso Claro era costretto a rilevare che nella prassi del tempo la situazione era ben diversa52. Infatti scriveva testualmente53:

“Ma certamente, qualunque sia la regola di diritto comune, tutte questo viene meno grazie alla consuetudine del tempo presente; infatti, [oggi] anche secondo il diritto civile in qualsiasi caso è consentito al giudice di procedere ex officio, e dunque per via d’inquisizione.

(«Sed certe quidquid sit de iure communi, haec omnia cessant ex consuetudine praesentis temporis; nam etiam de iure civili in quocunque casu permissum est iudici procedere ex officio, et sic per inquisitionem»)54.

Sulla base di tale consuetudine, si deve senz’altro pervenire, secondo l’autore, ad una conclusione diversa rispetto alla posizione ufficiale espressa dalla maggioranza della dottrina: l’inquisizione è un metodo ordinario, quanto lo è quello dell’accusa («inquisitionis remedium est ita ordinarium, prout est remedium accusationis»)55.

Claro si interroga sulle motivazioni che hanno inevitabilmente portato all’ascesa del sistema inquisitorio e le ritrova nella pubblicizzazione degli apparati giudiziari e nella figura dell’avvocato “fiscale”, il quale sempre più di frequente propone l’accusa e la sostiene di concerto con i giudici.

50

Giulio Claro (Alessandria 1525 - Cartagena 1575) consegue il dottorato a Pavia nel 1550; nel 1557 entra a far parte del Senato di Milano. Pretore a Cremona (1560) e Presidente a Milano del Magistrato delle entrate straordinario (1563), dal 1565 si trasferisce a Madrid come reggente del Supremo Consiglio d’Italia.

Informazioni tratte da PAOLA MAFFEI, voce “Giulio Claro”, in Dizionario Bibliografico dei

giuristi Italiani, Vol. I, cit., pp. 945 ss. e A.MAZZACANE, voce Claro Giulio, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXVI, Milano, 1982, pp. 141 - 144. In argomento cfr anche G.P.

MASSETTO, Un magistrato e una città nella Lombardia spagnola, Giulio Claro pretore a

Cremona, Milano, 1985, pp. 239-301.

51

Egli è autore del Liber Quintus Sententiarum Receptarum, pubblicato a Venezia nel 1568. Cfr. E. DEZZA, Lezioni di storia del processo penale, cit., pp. 21 ss.

52

Tale mancata corrispondenza tra quanto scritto a livello dottrinale e quanto avvenga in realtà nella prassi si era già avuto modo di notarla nelle opere di Alberto da Gandino e di Angelo Gambiglioni.

53

Il passo riportato è tratto dall’ultimo paragrafo dell’opera dal titolo aggiuntivo di Practica

Criminalis.

54

Passo e traduzione tratti da E. DEZZA, Lezioni di storia del processo penale, cit, p. 23.

55

E. DEZZA, Accusa e inquisizione dal diritto comune ai codici moderni, cit., pp. 32 ss.; G.P. MASSETTO, Un magistrato e una città nella Lombardia spagnola, Giulio Claro pretore a

30

In questo modo si rafforza il procedimento d’ ufficio a danno dell’accusa privata.

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 31-34)