SEZIONE II: IL LIBERO CONVINCIMENTO RAZIONALE
8. La motivazione, quale limite intrinseco al principio
8.1. Ratio degli altri limiti al principio
Il significato del principio del libero convincimento consiste, come già affermato, nel ripudio del regime delle prove legali, a valutazione vincolata, e non nell’affermazione di un sistema a prova libera.
Il principio anzidetto attiene, infatti, soltanto al momento della valutazione della prova e non riguarda, invece, le fasi del procedimento probatorio che la precedono (ammissione, acquisizione, formazione), che restano soggette ad un regime di stretta legalità: deve senz’altro escludersi che, in nome del libero convincimento, il giudice possa disattendere le tassative prescrizioni sancite dagli artt. 188 (libertà morale della persona nell’assunzione della prova), 189 (prove non disciplinate dalla legge), 190 (diritto alla prova) e 191 (inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge).
Il principio del libero convincimento viene fatto retroagire alla fase dell’ammissione e dell’assunzione della prova da quelle decisioni che, attraverso una confusa giustapposizione del principio di non tassatività dei mezzi di prova e
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Così G. SPANGHER, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in www.penalecontemporaneo.it, p. 8;
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G. SPANGHER, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, cit., osserva come “il riferimento relativo ai capi si correla all’imputazione ed al dispositivo della sentenza; quello sui punti si rifà alle indicazioni di cui ai numeri 1,2,3 e 4 della lett. e) dell’art. 546, comma I, c.p.p.; quello attinente alle prove trova riscontro alla lettera e) del comma I dell’art. 546 c.p.p., alla quale si rifà anche l’esposizione dei motivi in fatto ed in diritto di critica della decisione appellata e le richieste, anche istruttorie”.
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del principio del libero convincimento, attraggono nell’ambito del quadro probatorio elementi irritualmente acquisiti.
Affatto incongruo appare il richiamo al principio di non tassatività dei mezzi di prova, a prescindere da sbavature e approssimazioni nella definizione di un principio, che meglio si presta ad essere formulato in termini di “tassatività temperata”108.
Va rilevato che il prodotto finito non possiede quell’intensità tale da giustificare l’appellativo di norma modificatrice del diritti vigente ma, invero, quale meccanismo che “incide solo su una delle due possibili interpretazioni trasformandola in regola iuris”109.
E come se il legislatore recepisse, fra numerose esegesi possibili, quella più confacente a dichiarato intendimento di contenere entro limiti fisiologici l’intime conviction del giudice110.
Se a tutto a questo si aggiunge la tradizionale riluttanza della legge formale ad esporsi a definizioni non stupisce affatto il perdurante attivismo giurisprudenziale, di certo controllato, ma per nulla moderato in ordine alla proprio capacità espansiva.
E’ innegabile, pertanto, una dimensione positiva del criterio dell’intime conviction, seppure negativamente costruita.
Da un lato, infatti, l’approccio prescelto ostacola il ricorso incondizionato ed esclusivo a tecniche motivazionali fondate sul rinvio ad un quid estrinseco al prodotto decisorio - motivazione cosiddetta per relationem-; dall’altro, viene bandita la possibilità di esigere a modulo di verifica del decisum criteri che innestano su fondamenti metagiuridici.
In definitiva, la norma acquisisce sostanza nella misura in cui depura il principio suddetto da quelle componenti irrazionalistiche che ne hanno distinto l’origine e lo sviluppo nonché cagionato gli eccessi. L’art 192 comma 1, quando raccorda con corrispondenza biunivoca l’aspetto valutativo all’obbligo di rendiconto, traduce fin dove possibile la detta direttiva.
Riguardo al tema dei limiti posti alla piena e libera valutazione delle prove oggetto della cognizione del giudice, occorre citare la distinzione tra regole di esclusione probatoria e criteri di valutazione.
Le prime afferiscono alla prova come premessa probatoria, operando il divieto di ammissione o di utilizzazione, nel momento antecedente alla
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Il legislatore, infatti, “ha imboccato una strada intermedia” tra il modello di libertà di prova, cosı` come concepito dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi sotto il vigore del codice abrogato, e l’opposto principio di tassatività della prova. V. AMODIO, Libero
convincimento e tassatività dei mezzi di prova: un approccio comparativo, cit., 6. In termini di
«tassatività temperata» si esprime N. GALANTINI, Inosservanza di limiti probatori e
conseguenze sanzionatorie, CP, 1991, p. 597; Vedi anche DOMINIONI, La prova penale scientifica. Gli strumenti scientifico-tecnici nuovi o controversi e di elevata specializzazione,
Milano, 2005, p. 84.
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Cosi Cass., Sez.Un. 3 febbraio 1990, Belli, in Cass. Pen., 1990,II, p. 37, n.12.
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Si veda M. DEGANELLO, Criteri di Valutazione della prova penale. Scenari di diritto
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valutazione, poiché affermano la non idoneità del dato acquisito a fungere da prova valutativa della fattispecie criminosa.
I secondi implicano che le prove siano state costituite validamente, incidendo sul valore da attribuirvi, confluendo in un eventuale annullamento delle prove in assenza di certi requisiti legalmente previsti.
Tralasciando la distinzione classificatoria apportata da parte della dottrina111 tra le due regole, ciò che veramente rileva, sotto il profilo probatorio, è individuare i segmenti di discrezionalità, in cui si inseriscono le regole di esclusione o valutazione attraverso le quali il giudice giunge ad una decisione.
Tali segmenti possono essere rintracciati anche in riferimento a fattispecie che configurano veri e propri divieti d’uso (regole di esclusione), ma che, in presenza di certe condizioni, dettano i modi in cui quel determinato dato conoscitivo deve essere valutato (regole di valutazione).
Diverso è, quindi, che un dato non possa essere valutato perché non utilizzabile, sottratto per la sua natura dall’ambito di valutazione del giudice; altro è che il valore della prova venga azzerato sulla base dei criteri legali, per cui la regola di esclusione vieta la valutazione del giudice, il criterio la condiziona e la guida.
Emblematico, in tal senso, è l’art. 192 c.p.p., il quale, recitando che le dichiarazioni degli imputati di reati connessi o collegati devono essere valutati “unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità, sancisce un’esclusione dal materiale conoscitivo del giudice in mancanza degli «altri elementi di prova”.
In tal caso, non si tratta di una regola che impone al giudice come valutare una prova, bensì che cosa valutare. Si è, quindi, al di fuori del campo di azione di una vera e propria regola di valutazione, integrando più esattamene un limite d’uso del dato conoscitivo.
Il giudice è chiamato, sulla base dei singoli elementi di prova, a dar conto alle citate massime di esperienza utilizzate a suffragio della prova stessa.
L’art. 192 c.p.p. non consente al giudice un proprio giudizio sull’attendibilità – inattendibilità del dato conoscitivo, bensì gliene preclude l’uso in carenza di alcuni presupposti. Con l’espressione secondo cui “l’esistenza di un fatto non può non essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti”, si fa riferimento non ad un particolare genere di prove quali premesse probatorie, ma alla proposizione che più verosimilmente può essere provata: si allude a tutte quelle prove indiziarie che si fondano non su una legge scientifica, ma sulla massima di esperienza corrente.
La prova del dolo, dei momenti di azione, obbedisce, infatti, a questa determinazione logica, poiché non esistono prove scientifiche delle determinazioni che vincolano i rapporti interpersonali, sebbene sono elementi che influiscono sulla colpevolezza del reo.
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Sul punto DANIELE, Regole di esclusione e regole di valutazione della prova, Torino, 2009,
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Putnam parlava di comprensione epatica e di come “si comporta la gente”112, ridefinendo il concetto che intravede causa ed effetto dell’agire umano che non ricadono sotto la scure delle leggi scientifiche e deterministiche, come accade per la causalità naturalistica.
Le interferenze non propriamente scientifiche, danno luogo ad una valutazione, da parte dell’organo giudicante, plausibile e verosimile, che va al di là della possibilità logica e fisica, anche se non contrassegnata dalla assoluta certezza.
A questo genere di prove ha fatto riferimento il Legislatore del 1988 nel redigere la novella del 192 c.p.p., fissando un più severo criterio di valutazione in base al quale gli indizi devono essere gravi, precisi e concordanti: con gravi si qualifica il legame tra le premesse probatorie e la proposizione da provare; con precisi si analizza la circostanza che siano ben determinati nei loro contorni; concordanti con le esigenze che convergano verso la stessa proposizione da valutare.113
Altra distinzione in materia che occorre rilevare è quella tra regole di valutazione e le c.d. regole di giudizio, ovvero le modalità di “valutazione probatoria complessiva nel momento decisorio”114; esistono due differenti criteri l’uno valutativo, con riferimento al singolo esperimento probatorio, e l’altro decisorio inerente l’intero compendio conoscitivo. Tali momenti valutativi si adeguano a diversi criteri: infatti, il giudice deve prima vagliare i singoli risultati probatori per poi procedere ad una valutazione complessiva, che tenga conto di tutte le evidenze conoscitive disponibili e legittimamente utilizzabili. Il giudice, con riferimento ai singoli elementi di prova, è chiamato a dar conto, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., delle «massime di esperienza» utilizzate per valutare il “fondamento della prova” 115.
Così, di fronte al singolo elemento di prova, la funzione di giudizio si estrinseca in un’operazione inferenziale di natura probabilistica, che non riguarda solo il singolo elemento di prova, ma si estende alla valutazione dei “fatti secondari” e cioè di quegli elementi necessari a raggiungere il grado di attendibilità del dato conoscitivo acquisito e la possibilità di comprensione dello stesso.
Il risultato conoscitivo del singolo elemento di prova non soggiace, però, a regole quali quelle dell’oltre ragionevole dubbio, non dovendo sottostare ad un “giudizio assertorio di “concludenza probatoria”116, dovendosi limitare a rispettare le regole di valutazione individuate dall’art. 192 c.p.p., che costituisce limite al principio del libero convincimento.
112
H. PUTNAM, La sfida del realismo, 1987, trad. it. Milano, 1991, p.101.
113
P. FERRUA, Studi sul processo penale, Torino, 1992, p.68.
114
In tal senso vedi le corrette argomentazioni di MAZZA, Il ragionevole dubbio nella teoria della
decisione, in Criminalia, 2012, p. 363.
115
UBERTIS, La prova penale. Profili giuridici ed epistemologici, Torino, 1995, p. 80; da ultimo, cfr. anche le puntuali argomentazioni di MAZZA, Il ragionevole dubbio, cit., p. 364.
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Il singolo risultato di prova, quindi, viene poi considerato congiuntamente a tutte le evidenze disponibili al momento della decisione. Potrà, quindi, essere giudicato differentemente anche in ragione delle interferenze con altri dati conoscitivi che evidenzino ed impongano diverse massime di esperienza proprio in ragione della valutazione complessiva del quadro probatorio. In tale contesto l’influenza induttiva del giudice con riferimento al singolo mezzo di prova subisce delle inevitabili modificazioni determinate dalla valutazione congiunta di più elementi di prova o di più fatti secondari.
Inoltre appare opportuno osservare che mentre l’attività di valutazione del singolo risultato probatorio non è condizionata al conseguimento di una soglia qualitativa di convincimento (c.d. libero convincimento) pur potendo essere assoggettata a regole prudenziali di valutazione (art. 192 cfr.), l’attività decisoria soggiace ad una precisa disciplina di giudizio individuabile di volta in volta in quella indicata dal legislatore con riferimento alla specifica funzione di giudizio che vede variare il parametro normativo di decisione a seconda della tipologia di pronuncia da adottare.
I rilievi formulati trovano riscontro anche in una pronuncia dell’organo nomofilattico, laddove si è precisato che in tema di valutazione delle prove “non può dirsi adempiuto l’onere della motivazione ove il giudice si limiti ad una mera considerazione del valore autonomo dei singoli elementi probatori, senza pervenire alla valutazione unitaria della prova (…).
Viola tale principio il giudice che parcellizzi la valenza significativa di ciascun elemento probatorio, analizzandolo e valutandolo separatamente e in modo atomizzato dall’intero contesto probatorio, astenendosi dalla formulazione di un giudizio logico complessivo dei dati forniti dalle risultanze processuali, che tenga conto non solo del valore intrinseco di ciascun dato, ma anche e soprattutto delle connessioni tra essi esistenti”117.