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Criticità del sistema delle prove legali ed ulteriori riflessioni sulla dicotomia

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 38-41)

Anche e soprattutto a seguito delle suddette compilazioni legislative, iniziarono ad emergere le prime contraddizioni intrinseche al metodo delle prove legali.

L’originaria teorizzazione del sistema delle prove legali presupponeva che la prova piena si ottenesse, oltre che con la confessione, con due testi attendibili, mentre con la deposizione di un solo teste si raggiungeva soltanto una prova semipiena; ma due prove semipiene formavano una prova piena76.

La difficoltà di assumere su un fatto due testimonianze dirette e, altresì, completamente corrispondenti e la conseguente impossibilità di condannare in caso di soli indizi, portarono la prassi giudiziaria a discostarsi da quel rigido regime di predeterminazione della prova77.

Per ovviare alla difficoltà di pervenire ad una pronuncia di condanna, la prassi elaborò una serie di correttivi, tra cui la prova privilegiata78, ovvero la predeterminazione del valore probatorio di determinati indizi quale prova piena nei casi di crimini gravissimi (ad esempio della lesa maestà e della falsificazione di moneta) e la cosiddetta “pena straordinaria”. Quest’ultima consentiva di condannare il reo ad una pena minore di quella edittale, determinata ad arbitrio del giudice, nel caso in cui, pur non sussistendo una prova piena, fossero presenti tanti e tali indizi da far presumere la sua colpevolezza79.

Il ricorso alle pene straordinarie era il risultato di un compromesso tra le difficoltà insite in una rigida applicazione del sistema delle prove legali e l’esigenza avvertita dagli Stati moderni di una forte repressione dei crimini.

Altro punto debole del sistema delle prove legali tipico del processo inquisitorio era la mancata motivazione della sentenza: la ragione principale addotta per giustificare una tale carenza era la pericolosità intrinseca alla motivazione, ovvero la possibilità di riscontrare in essa contraddizioni nell’iter argomentativo80. Soprattutto nel caso di condanna e conseguente irrogazione di pena straordinaria, la quale non si limitava ai soli casi di prove insufficienti, ma copriva anche i casi di irregolarità di rito81 o di previsioni normative lacunose, la

76

Sul punto confronta I. ROSONI, QUAE SINGULA NON PROSUNT COLLECTA IUVANT, la

teoria della prova indiziaria nell’età medievale e moderna, cit., pp. 119 ss.

77

Cfr G. ALESSI, voce Processo penale (diritto intermedio), cit., p. 386.

78

Il ricorso alla categoria della prova privilegiata si può riscontrare in numerose prammatiche napoletane del Seicento, ove, ad esempio, si prevedeva, in relazione alla falsificazione delle polizze di credito che “per la pena ordinaria debbono ricercarsi due testimoni de visu e per la pena straordinaria di galera vita durante basti un solo testimonio, purchè degno di fede”. Cfr Pramm. XIII de falsis del 1964 riportata da G. ALESSI, Prova legale e pena. La crisi del sistema tra

Medio Evo e Moderno, cit., p. 26.

79

Cfr G. ALESSI, Prova legale e pena. La crisi del sistema tra Medio Evo e Moderno, cit., p. 23.

80

Cfr G. ALESSI, voce Processo penale (diritto intermedio), cit., p. 386.

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Nel corso del Cinquecento il ricorso alle pene straordinarie avvenne anche in tutte quelle ipotesi in cui si potesse riscontrare un’infrazione nell’ordo in procedendo. G. ALESSI, Prova legale e

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presenza di un obbligo motivazionale avrebbe comportato la possibilità di riscontrare nella stessa deficit argomentativi.

Per esempio, in relazione all’istituto della confessione, si giunse ad attribuire conseguenze sfavorevoli al rifiuto di ratifica della stessa da parte dell’accusato82.

Nel caso di mancata ratifica, inoltre, si stabilì che il reo potesse essere sottoposto a tortura; qualora non fosse stato possibile ricorrere alla tortura, invece, si ricorreva alla cosiddetta pena straordinaria.

Un tale sistema consentiva praticamente al giudice, sulla base degli stessi elementi di prova, la scelta tra la tortura o il ricorso alla prova straordinaria: così lo stesso giudice poteva pervenire a conclusioni anche antitetiche tra loro, dando paradossalmente risalto alla sua discrezionalità in un sistema di prove legali, che avrebbero dovuto vincolare il giudizio.

Alla fine del XVI secolo vi fu una prima presa di coscienza da parte della dottrina delle suddette contraddizioni del sistema e dell’anacronismo dello stesso.

Sul punto Matthaeus83, sostenitore di un modello processuale di tipo accusatorio, considerava scorretto il ricorso alle pene straordinarie, in quanto, secondo lui, era assurdo che esistesse una prova che, sebbene sufficiente a fondare la responsabilità penale, non permettesse di pronunciare una condanna con l’irrogazione della pena edittale.

Ma critiche ben più accese sia alla tortura giudiziaria che al rito inquisitorio saranno sollevate dagli illuministi, in particolare da Cesare Beccaria, e saranno raccolte dai rivoluzionari francesi, che segneranno un punto di svolta nella dicotomia accusatio/inquisitio, favorendo il rito accusatorio e introducendo l’istituto della giuria e il principio del libero convincimento in contrasto con il sistema delle prove legali.

Ciò che importa in questa sede sottolineare è come la dicotomia accusatio/inquisitio non trovò un punto d’arrivo con la rivoluzione francese, ma continuò ad influenzare il diritto continentale.

A titolo esemplificativo, i codici austriaci del 1788 e del 1803 rimarranno ancorati al sistema inquisitorio84.

Ulteriore dimostrazione dell’infinita dicotomia tra sistema accusatorio ed inquisitorio, sarà il modello cosiddetto misto, con l’istruttoria segreta e il dibattimento orale e pubblico, che, dopo il codice francese del 1795 (code Merlin)

82

P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, Giuffrè, 1953, pp. 106 ss.

83

Matthaeus, giurista del Seicento, nato in Germania, ma trasferitosi successivamente nei Paesi Bassi è autore di un manifesto, denominato “De criminibus”; informazioni tratte da E. DEZZA,

Lezioni di storia del processo penale, cit, p. 79.

84

Cfr E. DEZZA, L’impossibile conciliazione. Processo penale, assolutismo e garantismo nel

codice asburgico del 1803, in Codice penale universale austriaco (1803), rist. anast., studi raccolti

da S. Vinciguerra, Padova 1997, pp. CLV-CLXXXIII, e in E. DEZZA, Saggi di storia del

processo penale nell’età della codificazione, Padova 2001, pp. 141-169; CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, Vol. II, cit., p. 310.

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e i codici napoleonici, sarà ripreso da alcuni codici preunitari e dai codici italiani successivi all’unificazione fino al codice Rocco del 193085

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Come meglio analizzato nel successivo capitolo in realtà, quanto al codice Rocco, sarebbe più corretto parlare di un codice misto con prevalenze inquisitorie.

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Capitolo III – Il principio del libero convincimento del

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