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In particolare: l’art. 192, III comma

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 83-88)

SEZIONE II: IL LIBERO CONVINCIMENTO RAZIONALE

8. La motivazione, quale limite intrinseco al principio

8.3. In particolare: l’art. 192, III comma

Il codice del 1988, a differenza di quanto inizialmente prevedeva quello abrogato, ha espressamente riconosciuto il valore probatorio delle dichiarazioni rese da coimputati del medesimo reato, nonché da imputati di fatti connessi o probatoriamente collegati, disciplinando al terzo e quarto comma dell'articolo 192 del codice di procedura penale, il fenomeno della cosiddetta "chiamata in correità".

Con una fraseologia non del tutto perspicua il riformatore del 1988 subordina la piena utilizzabilità del contributo orale di coimputati, imputati connessi e di imputati collegati ex articolo 371 comma 2 lett. b), alla simultanea presenza di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità149.

La scelta del legislatore è stata, dunque, quella di non rinunciare al possibile contributo conoscitivo di soggetti coinvolti in fatti rilevanti ai fini del giudizio, optando, invece, per l'introduzione di limiti normativi alla valutazione di tali contributi rispetto della previsione di inutilizzabilità degli elementi di prova acquisiti da chi è portatore di un interesse qualificato in relazione alle esito dell'accertamento penale150.

Il motivo di una tale esclusione valutativa risiede nella consapevolezza che il dichiarante, in considerazione della sua posizione soggettiva, è portatore di un interesse nel processo, ed indi, tale circostanza lo pone in una presunzione di inattendibilità.

Le dichiarazioni degli imputati di reato connesso o collegato devono essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità, anche quando l'imputazione elevata a carico del dichiarante risulta già definita con pronuncia irrevocabile.

La dottrina, sulla natura della previsione di cui al terzo comma dell'articolo 192 del codice di procedura penale, è divisa, tra chi la considera una regola di esclusione probatoria 151 e chi, invece, collocandola a pieno titolo nella fase

149

Convenzionalmente si riconduce sotto l'egida dell'articolo di specie il complesso delle dichiarazioni etero accusatorie, indipendentemente da una previa auto assunzione responsabilità e consigliabile; cfr A. MELCHIONDA, La chiamata di correo, in Riv. it. Proc. Pen., 1967, p.148.

150

Per comprendere il senso della scelta, basta pensare alle difficoltà di accertamento di quei reati che, per la loro natura o per le modalità esecutive della condotta illecita, "vedono come informate solo persone che hanno preso parte ai fatti". (Così DALIA, Le innovazioni in tema di formazione

della prova nel processo penale, 1998).

151

In tal senso, Nobili, nel commento all'articolo 192, cit.,148, Che prefigura un divieto indiretto, la cui lesione è suscettibile di produrre l'inutilizzabilità del dato conoscitivo ex Art.191 c.p.p., e Taormina, Il regime, cit., 284 ss, per il quale il giudice è tenuto ad una valutazione preliminare "volta a determinare l'utilizzabilità della chiamata in quanto tale", anche perché la disposizione in esame "non avrebbe avuto senso fuori dalla necessità di sancire la regola di esclusione, pur se condizionata".

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valutativa, ritiene che essa costituisca un limite al libero convincimento152 o una vera e propria deroga al principio153.

La giurisprudenza154 ha affermato sia che la chiamata in correità avrebbe “valore di prova e non di mero indizio”, sia, in altra sede155, che la stessa costituirebbe un tertium genus con natura di prova, ma distinta dall’indizio e dalla testimonianza”; di contro, in altre pronunce giurisprudenziali156, è stato affermato che, qualora vi siano “dubbi sulla credibilità personale del chiamante”, la chiamata in correità è ritenuta “indizio”, da assumere ai sensi del II comma dell’art 192 c.p.p. “anziché ai sensi del successivo comma III”, valutabile con i criteri della prova indiretta.

La valutazione congiunta di plurimi dati probatori, imposta dal terzo comma, rievoca la sinergia indiziaria, ovvero quella integrazione logica tra una molteplicità di elementi cognitivi che caratterizza la formazione della prova diretta.

Gli indizi, però, in quanto indicativi di un fatto diverso da quello di interesse processuale, consentono l'accertamento del thema probandum esclusivamente in termini inferenziale, mentre la chiamata in correità il più delle volte fornisce

elementi direttamente rappresentativi del fatto da provare, sicché

l'approfondimento valutativo richiesto dal legislatore è motivato, in tal caso, da esigenze giocoforza diverse.

Non può, pertanto, sfuggire il rigore imposto dal legislatore alla valutazione del contributo dichiarativo di imputati di reati connessi o collegati.

Per cui, pur dando vita ad una disciplina per certi aspetti assimilabile le disposizioni inserite al secondo e terzo comma dell'articolo 192 del codice di procedura penale ,si basano, in definitiva su giudizi di valore profondamente diversi: da un lato va rilevato il limite all'affermazione di responsabilità sulla scorta di indizi è riconducibile alla minore capacità dimostrativa che intrinsecamente caratterizza tali elementi, dall'altro l'esigenza di non fondare la prova esclusivamente su dichiarazioni provenienti da soggetti interessati ma subordinandola invece all'attendibilità e affidabilità delle fonti.

Quanto richiesto dall'art 192, comma 3, c.p.p. rappresenta uno dei profili più delicati della c.d. Accomplice evidence, una tecnica, questa, ampiamente sperimentata dai sistemi di Common Law, che esige il rafforzamento logico di un elemento cognitivo considerato idoneo, di per sé, a supportare il risultato probatorio.

Per conseguire valore probatorio la chiamata in correità deve superare una duplice verifica di attendibilità, prima intrinseca poi estrinseca.

152

Cfr. RAFACI, Chiamata in correità, riscontri e controllo della Suprema Corte nel caso Sofri, in RIDPP,1994, il quale avverte che si tratta di un finto limite.

153

È la tesi sostenuta, tra gli altri, da GREVI, Prove, in Corso-Grevi, Compendio di procedura

penale, Padova, 2006, pp. 314 ss.

154

Cfr Cass. Sez. V, 15 giugno 2000, Madonia e altri, in Guida dir. 2000, pp. 35-60.

155

Cfr Cass. Sez. II, 26 ottobre 1989, Guzzardi, in Arch. Nuova proc. Pen., 1991, p. 128.

156

81

Il giudice deve, innanzitutto, affrontare il problema della “credibilità del dichiarante”157, in relazione tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni economiche, al suo passato, ai suoi rapporti con l’accusato, alla genesi e alle ragioni che li hanno condotto alla confessione ed alla accusa a carico dei coautori e complici158.

Tale criterio, come sottolineato da parte della dottrina159, risponde in realtà più ad una logica processuale che non alla logica della valutazione della prova dichiarativa: infatti non è detto che colui che abbia sempre detto il falso, anche nell’occasione de qua dica il falso; di contro il giudice, nel caso in cui ritenga che il dichiarante abbia detto il vero, nonostante altre volte abbia mentito, potrà sempre addurre motivazioni quali che il “percorso interiore del dichiarante verso la collaborazione è stato un percorso accidentato, progressivo, fatto di ripensamenti….”160.

Da quanto sopra esposto appare evidente come il criterio della credibilità soggettiva debba sempre essere contestualizzato; infatti, nel caso in cui venga assolutizzato (ad es.: la sfiducia nel dichiarante preclude a priori che le dichiarazioni dello stesso vengano prese in considerazione161) tale criterio sfocerebbe verso una deriva irrazionale162.

157

Quanto alla credibilità intrinseca del dichiarante (intesa come credibilità soggettiva) parte della dottrina ha messo in luce come tale valutazione, dati i parametri, risulti ancorata al soggettivo convincimento del giudice. Sul punto in particolare, M. DEGANELLO, Criteri di Valutazione

della prova penale, cit., il quale a pagina 173 osserva: “l’efficienza in termini di “utile” dei

parametri a monte della verifica della c.d. attendibilità intrinseca risulta deprezzata giacchè fa assegnamento su criteri non valutativi, che identificano le costanti di esistenza del fenomeno dichiarativo, ma che, del pari, appaiono “neutri” rispetto al quesito sul livello di credibilità plausibile/implausibile del propalante.

La labilità dei contenuti, nonché relazionale, dei medesimi, per di più, avvalora un’esegesi del controllo giudiziale osteggiata dalla ratio sottesa al disposto di cui all’art. 192 c.p.p., che bandisce possibili recuperi delle aliquote irrazionali dell’ intime convinction”.

Da sottolineare come altra parte della dottrina (vedi F. M. IACOVIELLO, La tela del ragno:

ovvero la chiamata di correo nel giudizio di Cassazione, in Cass. Pen., 2004, 10, 3452), osservi

come la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante, se intesa quale credibilità assoluta e non contestualizzata, rievochi il sistema delle prove legali, in quanto lo stesso prevedeva determinate categorie di persone incapaci di testimoniare perché, di natura, inattendibili. Qualora, invece, la credibilità soggettiva venga contestualizzata, è la dichiarazione del correo ad essere valutata e non il correo stesso ad esserlo; in tal modo rispetto al processo di stampo inquisitorio, si inverte la sequenza logica: viene valutata la dichiarazione e non il dichiarante.

158

Analizzando la giurisprudenza si riscontra, circa la credibilità intrinseca, che essa non è compromessa dal fatto che il loquens sia “seminfermo di mente” (Cass. Sez. I, 27 febbraio 1998, Pollaro, in Riv. Pen., 1998, p. 824); si deve tenere conto della personalità del soggetto (Cass. Sez. VI, 17 febbraio 1996, Cariboni e altri, in Giust. Pen., 1997, III, p. 383), ed altresì dei suoi rapporti di inimicizia ovvero di contrasto con l’imputato (Cfr. Cass. Sez. Fer., 25 agosto 1994, Prudentino, in Cass. Penale, 1995, p. 1568).

159

F. M. IACOVIELLO, La tela del ragno: ovvero la chiamata di correo nel giudizio di

Cassazione, cit.

160

Così testualmente F. M. IACOVIELLO, La tela del ragno: ovvero la chiamata di correo nel

giudizio di Cassazione, cit.

161

Illuminanti sul punto le osservazioni di F. M. IACOVIELLO, La tela del ragno: ovvero la

chiamata di correo nel giudizio di Cassazione, cit.,: “la credibilità non è uno status del dichiarante.

Tanto meno è uno status permanente. La credibilità va vista in relazione alla dichiarazione: è una qualità della dichiarazione e non del dichiarante.

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Ciò che deve essere attendibile è la dichiarazione, a prescindere dalla credibilità del soggetto dichiarante.

In secondo luogo il giudice dovrà valutare “l’attendibilità delle dichiarazioni rese” verificandone l’intrinseca consistenza e le caratteristiche, alla luce di determinati criteri, tra i quali, la spontaneità, la precisione, la completezza della narrazione dei fatti, la coerenza e le costanza.

In particolare il giudice dovrà valutare la logicità della dichiarazione, verificando che la stessa, sulla base della comune esperienza e delle regole della logica, presenti sia una coerenza interna sia una razionale collocazione all’interno della ricostruzione processuale del fatto163.

L’intrinseca attendibilità viene definita dalla giurisprudenza quale “spontaneità, disinteresse, costanza della narrazione e logica interna”164.

Oltre alla logicità della dichiarazione, il giudice dovrà, altresì, valutare l’articolazione della stessa (la dichiarazione, infatti, deve essere articolata “così da consentire il controllo attraverso il riferimento a fatti obiettivamente accertabili”165), la sua univocità (ovvero la dichiarazione deve essere formulata con parole e locuzioni insuscettibili di essere intese in significati diversi)166 e la sua verosimiglianza; secondo tale ultimo criterio la dichiarazione deve essere simile al vero, cioè ictu oculi non falsa.

Infine, il giudice dovrà esaminare la presenza o meno dei c.d. “riscontri esterni”, ovvero ulteriori elementi di prova che confermino la attendibilità delle dichiarazioni167.

Il riscontro esterno deve essere un fatto certo, idoneo ad offrire garanzie obiettive circa l’attendibilità di chi ha effettuato la narrazione accusatoria.

Da sottolineare come il riscontro non debba svolgere funzioni di supplenza dimostrativa rispetto alla chiamata in correo e non debba recuperare fattori già esaminati in sede di valutazione della credibilità intrinseca168.

Un dichiarante è credibile, perché è attendibile la sua dichiarazione. Non: una dichiarazione è attendibile perché il dichiarante è credibile”

162

Per le considerazioni circa una deriva in senso irrazionalistico del principio del libero convincimento in caso di valutazione dell’attendibilità soggettiva del correo vedi supra nota 158.

163

Cfr A. BEREVE, La chiamata in correo, Itinerario del sapere dell’imputato nel processo

penale, Teoria e pratica del diritto, Giuffrè Editore, Milano, 2001, p. 125.

164

Cfr Cassazione Sez. I, 29 ottobre 1990, Di Giuseppe, in Banca Dati De Jure.

165

Cfr Cass. Sez. I, 22 novembre 1984, Re, in Riv. pen. 1986, p. 114, Cass. Sez. I, 11 luglio 1987, Benacchio, Cass. Pen., 1989.

166

Cfr Cass. Sez. I, 25 giugno 1984, Rebeschi, Cass. Pen., 1986, 1149. Da sottolineare come parte della dottrina ritenga che il criterio della univocità sia vago, in quanto è “incerto il confine tra chiamata univoca e chiamata equivoca e, facendo leva su ciò, la giurisprudenza ha ritenuto univoche chiamate in realtà generiche e nebulose”. Così G. DI CHIARA, Chiamata in correo,

garantismo e diritto di difesa, in Riv. it. Dir. e proc. Pen., 1987, p. 235.

167

Tali “altri elementi di prova”, per DEGANELLO, Criteri di Valutazione della prova penale, cit., oltre a proporsi quale componente necessaria del riscontro di affidabilità, presidiano avverso letture tendenti a ripensare il modulo valutativo secondo archetipi che esaltano la fides in chiave di valore sovraordinato. Vedi supra nota 157.

168

Cfr A. BEREVE, La chiamata in correo, Itinerario del sapere dell’imputato nel processo

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Indi, se da un lato il riscontro non deve necessariamente riguardare il thema decidendum (in quanto la funzione del riscontro è quella di confermare ab estrinseco l’attendibilità del dichiarante), ma deve illustrare fatti che concernono direttamente la persona dell’accusato in relazione allo specifico fatto che gli viene addebitato169.

I riscontri estrinseci, inoltre, debbono avere carattere individualizzante, ovvero “devono riferirsi a fatti che riguardano direttamente la persona dell’accusato, in relazione a fatti che riguardano la persona dell’accusato, in relazione a tutti gli specifici reati a lui addebitati170”.

L’oggetto della conferma di attendibilità deve riguardare fatti e circostanze specificatamente attinenti al fatto da ricostruire ed alla responsabilità penale che si deve dimostrare.

Inoltre il riscontro deve essere certo: “l’elemento di riscontro, negli aspetti essenziali di fatto in cui ne è ritenuta rilevanza verificatrice della attendibilità del chiamato in correo, deve essere obiettivamente certo, e non soltanto possibile, o, ancor meno, congetturale, non essendo logicamente ammissibile che venga attribuita funzione verificatrice della certezza di un fatto ad un elemento del quale, a sua volta, dovrebbe essere verificata la certezza”171.

Ovviamente, come illustrato, l’iter valutativo del giudice è ispirato ad un rigoroso procedimento logico “a tre tempi”172: prima occorre verificare la dichiarazione in sé indipendentemente da eventuali elementi esterni (sia dal punto di vista soggettivo di chi la rende, che dal punto di vista oggettivo delle dichiarazioni rese) e solo successivamente valutare la dichiarazione unitamente ai “riscontri esterni”173.

Si richiede, indi, una verifica progressiva in grado di pervenire alla valutazione circa l’esistenza del riscontro solo se il giudizio sulla credibilità intrinseca del dichiarante e sulla attendibilità supera il vaglio.

169

Cfr Cass. Sez. I, 19 febbraio 1990, Pesce, Cass. Pen., 1991, II, n. 14.

Quanto alla osservazione che il riscontro non deve necessariamente riguardare il thema

decidendum, ma deve illustrare fatti che concernono direttamente la persona dell’accusato in

relazione allo specifico fatto che gli viene addebitato A. BEREVE, La chiamata in correo,

Itinerario del sapere dell’imputato nel processo penale, cit., p. 143, riporta un esempio della Corte

di Appello di Napoli 15 settembre 1986, Acquaviva e precisamente: se T afferma che C ha ucciso S sotto la torre di Pisa, non può essere accertata la l’esistenza della Torre a dimostrare la credibilità di T.

L’esistenza della Torre, comunque indifferente rispetto al tema storico da ricostruire (omicidio di S), può divenire efficace a dimostrare il tema probatorio intermedio (credibilità di T) se in questo luogo sono state ritrovate tracce di sangue dell’ucciso e, prima delle dichiarazioni accusatorie, tutti ignoravano la circostanza che l’omicidio fosse stato consumato sotto la Torre.

170

Cfr Cass. Sez. VI, 16 aprile 1998, Civardi, CED, Cass. n. 210734.

171

Così Cass. Sez. II, 16 febbraio 1972, Masci, in Banca Dati De Jure.

Cfr altresì A. BEREVE, La chiamata in correo, Itinerario del sapere dell’imputato nel processo

penale, cit., p. 145.

172

Così F. M. IACOVIELLO, La tela del ragno: ovvero la chiamata di correo nel giudizio di

Cassazione, cit, il quale osserva che tale forma di razionalizzazione non è priva di ambiguità.

Tanto è che parte della giurisprudenza (cfr Sez. Unite del 30 ottobre 2003) sembrerebbe auspicare per una valutazione a due tempi: attendibilità della dichiarazione – riscontri esterni individualizzanti.

173

Nel documento Prove legali e libero convincimento (pagine 83-88)