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All’interno di questo contesto la tecnologia si pone con l’obiettivo di supportare attività sociali e collaborative all’interno degli ambienti produttivi e professionali.

Numerose ricerche hanno documentato come il contesto lavorativo eserciti un'influenza importante sul benessere e sul comportamento degli individui. Lo spazio di lavoro, dunque, non deve essere più inteso solo come un semplice luogo fisico, ma deve racchiudere il concetto ben più ampio di benessere dei lavoratori. Concetti che si riflettono poi di

conseguenza sulla performance economica di un’azienda, in quanto la produzione di valore si determina infatti nell’ambiente lavorativo attraverso l'interazione tra lavoratori nello spazio di lavoro.

Questo piccola introduzione si ritrova negli studi legati al concetto “social facilitation effect” (Allport, 1924) che focalizzano la propria attenzione sulle performance dell’individuo quando lavora con altre persone invece che da solo.

Alcuni studi hanno inoltre dimostrato come questo effetto sia stimolato anche dalla sola presenza di altre persone all’interno dello stesso ambiente, cioè dal verificarsi di quel fenomeno definito coaction.

La presenza sul posto di lavoro dà modo agli individui di creare delle relazioni interpersonali, che si riflettono poi anche nelle capacità produttive e nei processi organizzativi in cui gli individui stessi sono coinvolti.

Lo studio di queste relazioni, che vengono definite workplace relationships (Sias, 2008), indaga le relazioni da molteplici punti di vista e in tutte le direzioni, come quelle che possono intercorrere tra supervisore e subordinato, coworker, amicizie lavorative o anche quelle relative al rapporto coi clienti.

L’utilizzo della tecnologia in ambienti lavorativi identifica la propria utenza con il termine di “digital workforce”, cioè tutti gli individui che grazie alle loro interazioni con la tecnologia presenti e sfruttabili sul posto di lavoro hanno avuto modo di sviluppare diverse competenze consentendo loro di manipolare informazioni, costruire idee e utilizzare la tecnologia per raggiungere obiettivi strategici (Colbert et al., 2016; Hsi, 2007).

Il grado delle loro abilità e il loro comfort nel raggiungere i risultati desiderati utilizzando la tecnologia viene definita “digital fluency” (Briggs & Makice, 2012), aspetto che va oltre il

semplice saper come usare alcuni programmi o applicazioni di base e più legato alla capacità di selezionare e utilizzare gli strumenti e le tecnologie digitali appropriati.

L’interesse verso l’applicazione delle tecnologie rispetto all’ambiente lavorativo ha origini molto profonde e ha dato luogo alla nascita di un filone di ricerca denominato Computer Supported Cooperative Work (CSCW), cioè lavoro cooperativo assistito dal computer, il cui scopo è lo studio delle modalità in cui il lavoro in team, o più in generale la cooperazione fra esseri umani, possa essere resa più efficace dall’uso di strumenti informatici (Grudin, 1994). L’origine di questo termine viene fatto risalire agli anni Ottanta quando una serie di fattori tecnologici e sociali portarono a una rapida crescita di interesse per i sistemi informatici intesi come supporto all'attività cooperativa ed evoluzione del precedente concetto di office automation.

Uno degli aspetti che incise sicuramente in maniera maggiore fu la diffusione dei personal computer negli uffici e la loro successiva connessione in rete. Questo fatto fornì una base tecnologica adeguata alla crescita della presenza di tali sistemi e contemporaneamente all’aumento generalizzato di competitività nel mercato fece sorgere la necessità di nuove forme di organizzazione del lavoro, al prezzo di una aumentata complessità e dinamicità dei rapporti di cooperazione.

Nacque quindi l’interesse per lo sviluppo di nuove forme di software che potessero assistere ogni forma di cooperazione e di attività sociale in modo talmente profondo da fondere il concetto di software stesso e processi sociali coinvolti in un nuovo termine, definito groupware (Johnson-Lentz & Johnson-Lentz, 1982).

Questo termine è caratterizzato da due dimensioni che possono assumere diversi gradi di profondità e da due componenti che combinandosi tra loro danno luogo ad una matrice con diverse tipologie di interazioni (Ellis et al., 1991).

Le due dimensioni (Fig. 53) riguardano una quanto l’obiettivo e le attività da eseguire sono condivise da un maggior numero di persone (common task), mentre la seconda dimensione è legata a quanto lo spazio che viene condiviso durante le attività (shared environment). Le due componenti che vanno

invece a descrivere la matrice che definisce quattro tipologie di interazioni diverse sono quelli legati ai concetti di spazio e tempo.

Il concetto di tempo varia in due modalità, ovvero con attività che avvengono nello stesso tempo

attività che avvengono in tempi diversi cioè asincroni.

Il concetto di spazio invece varia con attività che avvengono nello stesso spazio cioè co- located, oppure in attività che avvengono in posti differenti cioè in modalità remote.

L’incrocio di queste due componenti e queste variazioni dà luogo alle seguenti interazioni (Fig. 54):

● face to face, caratterizzate dall’avvenire nello stesso tempo e nello stesso posto fisico;

● continuous task, si svolgono nello stesso posto ma in tempi differenti; ● remote, attività avvengono nello stesso tempo e in modalità distribuita; ● communication+coordination, attività che avvengono in modalità distribuita e

asincrona.

Fig. 54 Tipologie di interazioni lavorative

Fra le discipline scientifiche e i campi di ricerca che furono coinvolti dall'interesse per le possibilità offerte dal supporto tecnologico a questo tipo di attività vi furono la sociologia, la psicologia e l'antropologia e nello specifico del contesto lavorativo quelle per l’automazione d'ufficio, i fattori umani, l'organizzazione scientifica del lavoro e la teoria del management. Focalizzandoci sull’utilizzo delle tecnologie immersive legate a questo contesto possiamo dire che esse stanno agendo in due modi: uno trasformando le pratiche di lavoro e l’altro ridefinendo quelle che sono le modalità di progettare gli spazi di lavoro in modo da

migliorare ergonomia, sicurezza ed efficienza del lavoratore senza dover creare fisicamente le postazioni e agli ambienti lavorativi (Grajewski et al., 2013; Schultze & Orlikowski, 2010). L’utilizzo di ambienti immersivi a supporto inoltre di CSCW permette di superare le barriere e i limiti imposti dalle tecnologie e le applicazioni legate in maniera vincolante alle nostre postazioni di lavoro e a tutte i sistemi basati su interfacce desktop, potendola considerare come una tecnologia abilitante per queste pratiche di lavoro collaborativo (Wexelblat, 1994). Quando si intende progettare e sviluppare questo genere di soluzioni bisogna sempre

considerare quelle che sono le pratiche dell’ambiente di lavoro in cui il sistema immersivo deve operare, in modo da conoscere i task e le procedure che il lavoratore deve poter eseguire e consentire l’esecuzione di interazioni fluide(Kruger et al., 1995).

L’analisi di queste soluzioni, fa emergere una categoria di sistemi definiti Collaborative Virtual Environments (Snowdon et al., 2001), che permettono il delineamento di quattro aspetti principali da considerare per la progettazione:

● shared context; ● awareness of others;

● negotiation and communication; ● flexible e multiple viewpoints.

L’aspetto del contesto condiviso fa riferimento, come anche evidenziato da altri studi, alla relazione che esiste tra le persone e lo spazio di lavoro, ovvero se vi è una fruizione che avviene in modalità teleconferenza o condivisa fisicamente, mettendo in evidenza problematiche differenti (Takemura & Kishino, 1992).

Alcune delle problematiche che si possono trovare in contesti lavorativi che utilizzano ambienti immersivi sono quelle che fanno riferimento alla capacità di controllo e manipolazione di oggetti virtuali quando le esperienze sono cooperative.

La consapevolezza riguarda il fatto di sapere chi è incluso nella fruizione e nell’interazione dei contenuti, ma può anche riguardare attività al di fuori dell'attuale fruizione in cui si è immersi come ad esempio la presenza di un collaboratore che non sta lavorando attivamente sull'attività condivisa. Può essere infatti importante sapere dove trovare qualcuno, in modo da poter modificare i nostri piani in base alla presenza di altri individui nelle vicinanze.

L’aspetto della negoziazione riguarda non solo il contenuto, ma anche la struttura delle attività in termini di ruoli e compiti. L’aspetto comunicativo non riguarda solo la capacità di potersi scambiare informazione ma anche la tipologia e il grado di formalità della

conversazione sulla base delle relazioni sociali esistenti tra gli individui.

L’ultimo aspetto da considerare è quello legato al punto di vista degli individui rispetto ai contenuti virtuali, in modo da averne molteplici e flessibili al fine di rendere possibili

rappresentazioni alternative in grado di adattarsi ai diversi ruoli che le persone assumono e alle diverse informazioni di cui hanno bisogno.

Ad esempio possono essere ricreate visualizzazioni “opposite”, cioè con le persone coinvolte che sono una di fronte all’altro e coi contenuti virtuali nel mezzo, così come visualizzazioni “common”, cioè con individui che osservano e agiscono sui contenuti dallo stesso punto di vista.

L’insieme di queste considerazioni hanno un rilevante peso nella progettazione e sviluppo di soluzioni immersive dedicate all’ambiente di lavoro e che devono avere l’obiettivo da un lato

di facilitare e velocizzare le pratiche lavorative e dall’altro quello di supportare e migliorare il proliferare di comportamenti collaborativi in quanto le persone quando si sentono connesse con altri lavorano duramente e meglio.