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Contestualizzando questi princìpi agli accertamenti tecnici, è opportuno chiedersi quale sia il compito del pubblico ministero, vale a dire se questi debba valutare i

risultati degli accertamenti o semplicemente fare da “passacarte” al giudice che se li ritroverà “cristallizzati” tra le prove da valutare per la decisione. La risposta muta in funzione della decisione che deve adottare il pubblico ministero. Questi, a differenza delle parti private non può selezionare il materiale delle indagini, producendo solo quello speculare per la tesi che deve propugnare; d’altronde, un simile atteggiamento, anche se consentito, sarebbe contrario alla logica di parte pubblica

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del titolare delle indagini che non può trascurare nessuna ipotesi e inserirle tutte nel contesto delle decisioni che deve adottare: dalla richiesta di emissione di una misura cautelare

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all’opzione azione/inazione, tanto per fare gli esempi più significativi. Ed è proprio questo il punto. Vi sono decisioni che egli stesso deve adottare e allora sarà suo compito valutare l’apporto tecnico derivante dall’accertamento irripetibile, ma, allo stesso tempo, la valutazione spetta anche al giudice in considerazione dell’inserimento del verbale dell’accertamento ex art. 360 c.p.p. nel fascicolo dibattimentale. Nella prima ipotesi il pubblico ministero assume un ruolo decisionale pari a quello del giudice, valendo anche per lui i parametri valutativi della prova scientifica.

2.6 Il nuovo articolo 359-bis c.p.p. sui prelievi biologici coattivi e occulti

220 Secondo la chiara definizione offerta da SIRACUSANO, Il ruolo del pubblico ministero nel processo penale, in Il pubblico ministero oggi, Milano, 1994, 39, che definisce il pubblico ministero «giusta parte».

221 Si veda il tenore dell’art. 291, comma 1, c.p.p.

Prima di concludere sul tema, merita dar conto di un’ulteriore questione, invero piuttosto delicata. Si discute se, nell’ambito degli accertamenti tecnici non ripetibili, il pubblico ministero possa disporre l’effettuazione di prelievi coattivi nei confronti dell’indagato o di altre persone. Come è noto, ormai da tempo la Consulta

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si è pronunciata in relazione alla perizia, dichiarando incostituzionale l’art. 224, comma 2, c.p.p.

223

, nella parte in cui consentiva al G.i.p. di disporre coattivamente, in sede di incidente probatorio per l’esecuzione della perizia ematologica, il prelievo di sangue nei confronti tanto dell’indagato quanto di terzi, senza determinare con carattere di tassatività i casi ed i modi in cui era possibile procedere a tale prelievo coattivo, atto invasivo dell’integrità fisica. Il tema degli accertamenti processuali, che intervengono sul corpo della persona

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, ha come necessario ed insuperabile riferimento costituzionale l’art. 13, comma 2, Cost., ove si stabilisce che «non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e

222 Corte Cost., 9 luglio 1996, n. 238, nel celeberrimo caso della Madonnina di Civitavecchia, aveva fissato rigidi paletti ad operazioni giudiziarie “invasive” della sfera di libertà personale dell’individuo, eliminando la possibilità di disporre «misure che comunque incidono sulla libertà personale dell’indagato e dell’imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei casi e nei modi dalla legge». Inoltre si veda, KOSTORIS, Alt ai prelievi di sangue coattivi, in Dir. pen. proc., 1996, 1194.

223 Il quale testualmente recita: «Il giudice dispone la citazione del perito e dà gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle persone sottoposte all'esame del perito. Adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendono necessari per l’esecuzione delle operazioni peritali»

224 MONTAGNA, Accertamenti tecnici, cit., 79, ci chiarisce che «con l’espressione accertamenti personali si intende quel tipo di atti collocati in seno al processo ed aventi funzione probatoria che hanno ad oggetto il corpo umano o parte di esso. Il riferimento è ad una categoria vasta e variegata, rientrante nel più generale concetto di prova scientifica. A quest’ultima si possono ricondurre analisi chimiche e tossicologiche, esami psicologici, informazioni derivanti da studi epidemiologici, calcoli statistici, ricostruzioni dell’evento con mezzi informatici e computer, stilometria. Quando l’accertamento probatorio ha ad oggetto il corpo umano entrano in gioco, più che in altri momenti procedurali, i diritti del singolo. In questa sfera le esigenze di carattere probatorio e di ricostruzione dei fatti di reato si contrappongono ai diritti fondamentali dell’individuo. Diritto alla libertà personale e diritto di difesa sono, in particolare, i primi elementi di questa contrapposizione».

nei soli casi e modi previsti dalla legge»

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. Le indicazioni provenienti dalla Corte sono chiare: deve considerarsi inibito il compimento di ogni provvedimento limitativo della libertà personale necessario per l’esecuzione di accertamenti tecnici.

Si tratta di atti di enorme importanza per l’efficacia dell’accertamento. Al tempo stesso, è di tutta evidenza che il dictum della Corte non appare risolutivo né con riguardo alla singola questione affrontata, né per le ripercussioni sistematiche che sortisce: da un lato, infatti, non è chiaro quali sono i prelievi non coattivi che possono essere effettuati nel corso dell’accertamento peritale; dall’altro, la Consulta ha limitato la propria declaratoria all’art. 224, comma 2, c.p.p. senza in alcun modo prendere in considerazione le altre norme che disciplinano gli accertamenti personali nell’ambito dell’attività di indagine del pubblico ministero

226

.

Era previsto che la polizia giudiziaria, ove procedesse all’identificazione dell’indagato ex art. 349, comma 2-bis, c.p.p. o nel corso del sopralluogo ex art. 354, comma 3, c.p.p.

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, potesse provvedere coattivamente al prelievo di capelli e saliva, previa autorizzazione del pubblico ministero conferita per scritto, oppure resa oralmente e confermata per iscritto. Si doveva pervenire alla stravagante conclusione

225 Si tratta di indicazioni dalle quali non è dato prescindere ed a cui, non a caso, hanno fatto riferimento i giudici di legittimità delle leggi nel vagliare la normativa codicistica.

226 Restavano altre palesi lacune normative. Il riferimento esplicito solo a capelli e saliva non consente l’estensione della disciplina ad altro materiale organico: lo stretto principio di legalità che informa la materia, induceva a ritenere vietato ogni altro prelievo coattivo. La prestazione del consenso era inspiegabilmente priva di formalità. Anche l’autorizzazione resa in via preventiva oralmente rischiava di assumere i connotati di un non atto: nella prassi si verificava spesso l’ipotesi in cui la polizia giudiziaria procedeva senza autorizzazione orale, così che quella “postuma” scritta finiva per atteggiarsi a sub specie di convalida. Non è previsto alcun tipo di controllo sul rilascio dell’autorizzazione: i caratteri di atto insindacabile contrastano apertamente con i dettami costituzionali e sovranazionali in tema di tutela della libertà personale. A ciò si aggiunga la totale mancanza di regole circa i casi, modi e tempi dei prelievi “coattivi”; l’assenza di qualsivoglia forma di garanzia partecipativa e di adeguati strumenti di controllo sull’accertamento: troppo debole il controllo in via successiva indotto dall’art. 366 c.p.p., che pure appare applicabile in forza del richiamo operato all’art. 349 c.p.p. dall’art. 354 c.p.p. Del tutto ignorata poi l’ipotesi, tutt’altro che marginale, dei c.d. prelievi occulti.

227 Inseriti con Legge 31 luglio 2005, n. 155.

in forza della quale la polizia giudiziaria, sia pure dietro autorizzazione del pubblico

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