Alpi sud-occidentali. Specie comuni in questi ambienti sono, invece, Thlaspi ro-tundifolium, Artemisia genipi, Kernera saxatilis e Trisetaria distichophylla.
Prateria alpina d’alta quota con Bromus erectus e splendide fioriture di Gymnadenia conopsea e Trifolium pratense
(S. Bonacquisti).
s ubprovInCIa alpIna oCCIdentale
F lora e vegetazIone
F
lora CulmInale del CervIno,
monte bIanCo,
monte rosaÈ sul Monte Bianco, sul Cervino e sul Monte Rosa, montagne simbolo delle Alpi, che la flora vascolare raggiunge i limiti altitudinali più elevati dell’intera catena alpina e dove, alla rigidità di clima e di condizioni edafiche fortemente limitanti, corrisponde un’elevata ricchezza floristica. Le quote elevate, la persistenza durante tutte le stagioni di masse glaciali, la prevalenza di ambienti rocciosi, morenici e detritici hanno garantito la conservazione di alcuni endemismi evolutisi sulle montagne alpine in epoca Terziaria, così come di specie migrate sulle Alpi durante le epoche glaciali e ivi rimaste isolate alla loro conclusione. La ricchezza della flora è garantita inoltre dalla variabilità dei substrati litologici che caratterizzano questi massicci montuosi dove, ad una prevalenza di rocce granitico-silicatiche, si alternano rocce basiche quali calcari, calcescisti e altre rocce tipiche del metamorfismo alpino. Il fascino dei paesaggi, il mistero dell’origine geologica, e, non ultima, la ricchezza e le peculiarità della flora alpina hanno attratto da tutta l’Europa, a partire dalla seconda metà del Settecento, esploratori che, alla volontà di conquista delle vette, affiancavano una sete di conoscenza scientifica. Tra gli esploratori botanici che per primi hanno contribuito a scoprirne e descriverne la flora si ricordano soprattutto lo scienziato ginevrino Horace-Bénédict de Saussure, promotore della prima ascesa al Monte Bianco nel 1786 ma anche delle prime prospezioni al Cervino, quindi John Ball, alpinista e botanico irlandese fondatore dell’Alpine Club, il naturalista
savoiardo Venance Payot, il botanico siciliano Filippo Parlatore, autore della prima Flora italiana e, più tardi, gli abati Chanoux e Henry, ed infine Lino Vaccari, fondatore della Société de la Flore Valdôtaine.
Per chi voglia oggi avvicinarsi alla conoscenza della flora di queste montagne si raccomandano la divulgativa “Guida della flora della Val d’Aosta” o l’esaustiva “Flora vascolare della Valle d’Aosta” e, relativamente al versante piemontese del Monte Rosa, la
“Flora valsesiana” e la “Flora del Verbano Cusio Ossola”. Le regioni Valle d’Aosta e Piemonte rendono inoltre disponibile documentazione on-line e hanno pubblicato volumi divulgativi relativi alle Aree protette e ai Siti di Importanza Comunitaria individuati sui tre massicci montuosi ai sensi della Direttiva 92/43/CEE
“Habitat” che permettono agli interessati di approfondire le conoscenze distributive sulle specie floristiche a priorità di conservazione e sugli ambienti tutelati a livello europeo.
Il Monte Bianco. Il versante italiano del Monte Bianco si presenta come un unico contrafforte roccioso le cui vette raggiungono un’altitudine media di 4.000 m, disposto frontalmente a chiudere la testata della Valle d’Aosta. Alle quote più elevate gli imponenti paesaggi rocciosi e detritici si alternano a ghiacciai e nevai in mezzo ai quali è possibile osservare isole di vegetazione dette giardini nivali, tra gli ambienti più spettacolari delle Alpi. De Saussure individuò e descrisse, sul versante francese del Monte Bianco, le Jardin de Talèfre, un’isola di vegetazione rocciosa e detritica immersa nel ghiacciaio omonimo e posta a 2.787 m di quota. Tra le specie più rare e significative della flora del Monte Bianco si possono citare le endemiche ovest-alpiche Androsace pubescens e Artemisia glacialis, rare sulle rocce e i detriti rocciosi consolidati di alta quota. Nei settori dove affiorano substrati roccioso-detritici costituiti da calcescisti o calcari, in particolare nell’alta Val Veni, vegetano rarità come Valeriana saliunca, Hedysarum hedysaroides e Chamorchis alpina. Nelle praterie d’alta quota è da segnalare la presenza di specie relitte a distribuzione artico-alpina come Astragalus frigidus e, su substrati più acidi, di Silene suecica. Nei limi acquitrinosi della piana del Lago di Combal in Val Veni e nelle torbiere della vicina Val Ferret sono segnalate Carex bicolor e Juncus arcticus, specie caratteristiche dell’habitat di interesse Chamorchis alpina,
rara orchidea alpina, tipica degli ambienti prativi pionieri di alta quota su calcari o calcescisti (A. Selvaggi).
comunitario prioritario 7240* - Formazioni pioniere alpine del Caricion bicoloris-atrofuscae. Sulle creste e le cime esposte all’azione del vento, che durante l’inverno spazza via la coltre nevosa di protezione ed espone le piante a temperature molto rigide e durante l’estate ne favorisce il disseccamento, vegeta una flora peculiare adattatasi a queste condizioni estreme.
In questi ambienti si trovano le specie legnose che raggiungono le quote più elevate nelle Alpi, caratterizzate da uno sviluppo abnorme dell’apparato radicale rispetto alle parti aeree, dal tipico portamento prostrato.
Tra di esse si segnalano le caratteristiche Vaccinium gaultherioides e Loiseleuria procumbens, varie specie del genere Salix (S. herbacea, S. serpyllifolia, S. retusa, S.
reticulata) ed infine le più rare Arctostaphylos alpinus e Empetrum hermaphroditum. Nel cuore del massiccio, al Pavillon du Mont Fréty, a 2.175 m, si trova uno dei più alti giardini botanici d’Europa, il Giardino alpino Saussurea, dove è possibile osservare con comodità la flora caratteristica del Monte Bianco. Esso prende il nome dal genere Saussurea, dedicato allo scienziato ginevrino Horace-Bénédict De Saussure.
Cervino. Il Cervino, considerato non a torto il più bel quattromila delle Alpi, è una piramide generata dall’erosione glaciale che svetta alla testata della Valtournenche, nel cuore delle Alpi Pennine. Le ripidissime pareti del Cervino ospitano poche specie, alcune delle quali raggiungono record altitudinali per le Alpi. Notevole interesse floristico rivestono gli estesi ambienti di origine morenica che costituiscono la conca alla base del Cervino, purtroppo in parte danneggiati dalle alterazioni paesaggistiche e ecologiche Carex bicolor,
e a destra Juncus arcticus, specie relitte artico-alpine che vegetano sui limi glaciali (A. Selvaggi).
Il Cervino visto da Plan Maison (sopra Cervinia) con i suoi ambienti rupicoli e glaciali
(A. Selvaggi).
generate dallo sviluppo urbanistico selvaggio e dalla realizzazione di impianti di risalita e piste da sci.
Alle quote più elevate, nel piano nivale e alpino, i detriti ospitano una vegetazione discontinua e pioniera, dove le specie manifestano adattamenti alle condizioni estreme di xericità, elevata escursione termica giornaliera e stagionale e esposizione alle radiazioni ultraviolette. Le piante come Silene acaulis e Androsace alpina si adattano a queste condizioni formando piccoli cuscinetti (o pulvini) costituiti da diramazioni fogliose e compatte del fusto principale, in grado di trattenere l’acqua, difendere la pianta dall'eccessiva traspirazione e attenuare le escursioni termiche. Achillea nana ha invece sviluppato su fusti, foglie, e altre parti della pianta una densa pelosità lanosa in grado di offrire protezione termica, protezione dai raggi UV e ridurre l’evapotraspirazione.
Tra gli endemismi si segnala la presenza di Campanula cenisia, specie esclusiva delle Alpi nord-occidentali. Spettacolari sono le fioriture di Linaria alpina, che si può occasionalmente osservare anche a quote molto più basse, sui greti torrentizi, dove i semi fluitati dalle acque trovano un substrato adatto alla germinazione.
Tra le rarità si segnalano inoltre, negli ambienti umidi limosi prossimi a laghetti o ai ruscelli glaciali, le rarisime Carex maritima e Carex bicolor, specie artiche rimaste come relitti sulle Alpi dopo la fine delle glaciazioni.
Il settore delle Cime Bianche, sulla sinistra orografica della conca del Cervino, ospita una flora tipicamente calcifila tra cui meritano menzione le presenze di Draba hoppeana e di Saponaria lutea, quest’ultima endemica delle Alpi nord-occidentali.
Monte Rosa. La ricchezza floristica degli ambienti culminali del Monte Rosa non ha eguali in altri massicci montuosi delle Alpi occidentali, come dimostrano gli studi di Lino Vaccari. Il numero di piante che superano i limiti delle nevi perenni raggiunge valori particolarmente elevati se confrontate con massicci analoghi per estensione e altezza media come il Monte Bianco. Lino Vaccari evidenziò come su 264 entità dei piani culminali della flora alpina ben 113 raggiungono sul Monte Rosa i limiti altitudinali massimi per le Alpi o li eguagliano.
La flora alpina e nivale del Monte Rosa ha una ricchezza eccezionale, a dispetto del notevole sviluppo dei ghiacci e delle quote medie molto elevate e ciò è dovuto alla eccezionale diversità di litologie che costituiscono il massiccio e alla contiguità e continuità con altri massicci montuosi che hanno permesso di mantenere elevati gli scambi floristici.
Tra le specie che superano i 4.000 m di altezza si possono citare Poa laxa, Androsace alpina, Saxifraga oppositifolia, S. moschata e Ranunculus glacialis, specie quest’ultima che sul versante meridionale dei Lyskamm raggiunge la quota record di 4.250 m, limite massimo per l’Italia per una fanerogama.
Il massiccio ospita numerosi endemismi delle Alpi nord-occidentali come Campanula excisa, Phyteuma humile, Saponaria lutea, Saxifraga retusa subsp. augustana, Jacobaea uniflora (= Senecio halleri), Thlaspi sylvium, Valeriana celtica subsp. celtica. tipica dei detriti e delle morene dell’orizzonte alpino, è presente sul Monte Bianco in alta Val Veni (A. Selvaggi).
Jacobaea uniflora, endemismo delle Alpi nord-occidentali e a destra Valeriana celtica, frequente negli ambienti ventosi di cresta del piano subalpino e alpino del Monte Rosa (A. Selvaggi).
Androsace alpina, una delle poche specie che raggiungono quote superiori ai 4.000 m nelle Alpi
(A. Selvaggi).
In basso
Campanula excisa, a destra
Phyteuma humile, endemismi peculiari della flora di alta quota del Monte Rosa (A. Selvaggi).
l
a valledIsusa:
unarICChezzaFlorIstICad’
eCCezIonetraIlmedIterraneoelealpIAlcune specie mediterranee in Valle di Susa:
Leuzea conifera ed Euphorbia sulcata (E. Davì).
In primo piano la profonda incisione dell'Orrido di Foresto incluso nel SIC Oasi xerotermiche dell’Orrido di Chianocco e Foresto.
Sullo sfondo, il Monte Rocciamelone (TO) (L. Giunti).
La Valle di Susa è stata molto studiata dal punto di vista floristico perché da alcuni secoli si è evidenziato che questa valle ospita un numero di specie vegetali molto più elevato delle altre zone vicine e, più in generale, della maggior parte delle vallate delle Alpi. Inoltre, già dall’inizio del 1800 sono state segnalate molte specie endemiche, limitate soltanto alle Alpi occidentali italiane o a parte delle Alpi limitrofe francesi e numerose specie
che hanno il loro areale principale nel Mediterraneo e che hanno qui una parte del loro areale frammentato, come se un’isola del Mediterraneo fosse presente nella Valle. Il ritrovamento di specie endemiche, rare o fuori dall’areale principale ha spinto molti botanici a approfondire le esplorazioni in Valle di Susa, a partire da Giovanni Francesco Re (1805), agli inizi dell’ottocento, a Mattirolo (1907) agli inizi del novecento e poi a Vignolo-Lutati (1949),
fino ad arrivare alle analisi floristiche ma anche ai numerosissimi lavori ecologici e vegetazionali di Montacchini, relativi a singole specie o relative all’intera cartografia fitosociologica della Valle di Montacchini et al. (1982).
Complessivamente le entità censite nel tempo sono state circa 2.800 (2.770 da Vignolo-Lutati), un numero estremamente elevato se confrontato con l’intera flora d’Italia che conta 7.634 entità e con l’intera flora delle Alpi, che ne enumera 4.500 circa o con quella di altre regioni alpine come la Val d’Aosta (circa 2.000 entità). Come evidenziato da Aeschimann la ragione di questa maggiore ricchezza floristica è dovuta alla presenza di un contingente importante di specie mediterranee, che si aggiunge alle altre specie con areale incentrato sulle Alpi ed è per questo che le regioni con il più alto numero di specie sono la Valle di Susa, le Alpi Marittime e l’Alta Provenza (con circa 2.700 entità).
Le ragioni ambientali di tale presenza del contingente mediterraneo sono legate al clima tipicamente xerico, con precipitazioni medie annue di 650-750 mm nelle zone interne alla Valle e alle temperature relativamente miti, sempre sopra 0 °C in molte zone del versante esposto a sud, a quote comprese tra 600 e 900 m. Tali condizioni, determinate in gran parte dai massicci montuosi che ostacolano l’afflusso delle masse d’aria umida provenienti dal sud e dalla
Francia, vengono definite xerotermiche e sono accentuate da venti che soffiano quotidianamente da ovest, portando masse d’aria secca dalle Alpi interne francesi. L’estrema aridità estiva presente nelle oasi xerotermiche esposte a sud della media e bassa Valle viene inoltre ulteriormente accentuata dal substrato costituito da calcescisti e da calcescisti e pietreverdi (serpentiniti, anfiboliti e prasiniti) che sono facilmente erodibili e che facilitano la percolazione dell’acqua che non si accumula nel suolo causando carenza idrica nei mesi estivi. La localizzazione geografica, la geomorfologia e il clima hanno anche permesso l’arrivo delle specie mediterranee da sud e probabilmente dai passi alpini di confine con la Francia, e hanno limitato l’area coperta dal ghiacciaio durante le glaciazioni quaternarie, lasciando libere alcune zone di rifugio sul versante esposto a sud, dove le specie mediterranee si sono conservate. Tra le specie mediterranee più interessanti, presenti nelle praterie del SIC Oasi xerotermiche della Valle di Susa-Orrido di Foresto e Chianocco, vi sono Leuzea conifera, Linum strictum, Euphorbia sulcata e Ononis minutissima, che crescono insieme a numerose specie tipiche delle steppe come Achillea tomentosa, Crupina vulgaris e Stipa capillata e a un contingente ricco e vario di orchidee che rendono la conservazione di questo habitat prioritaria in presenza di splendida fioritura di orchidee, come
Alcune specie steppiche nella Riserva Orrido di Foresto e Chianocco, in bassa Valle di Susa:
Achillea tomentosa (D. Bouvet) e a destra Crupina vulgaris
(E. Davì).
risulta dalla Direttiva 92/43/CEE – Habitat 6210 Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometea).
Tra le 29 specie di orchidee censite nel SIC, le più abbondanti sono Anacamptis pyramidalis, Ophrys fuciflora, Orchis morio e O. tridentata, tutte legate alle praterie che sono minacciate dall’abbandono del pascolamento ovino che era diffuso nella zona fino agli anni cinquanta del secolo scorso ma che poi gradatamente è stato interrotto con conseguente ricolonizzazione da parte del bosco di roverella che non permette la vita di tali specie erbacee, tipiche di ambienti aperti. Per questo motivo l’Unione Europea ha finanziato il progetto Life "Conservazione e recupero delle praterie xerotermiche della Valle di Susa"
mediante la gestione pastorale (2014-2018) che ha come scopo la conservazione di tali praterie attraverso le tecniche tradizionali del pascolamento ovino.
Tale finanziamento è determinato dal fatto che la maggior parte delle attività agro-silvo-pastorali che caratterizzavano il paesaggio, specialmente sul versante orografico sinistro esposto a sud, sono state abbandonate in quasi tutte le zone di pendio e sono rimaste soltanto nel fondovalle che è molto antropizzato. L’uso del territorio, che da tempi antichissimi aveva trasformato il paesaggio con i terrazzamenti per la coltivazione della vite e dei cereali e con i grandi prati e pascoli, è andato via via riducendosi e ha lasciato spazio alla colonizzazione boschiva: oggi i boschi occupano non solo il versante orografico destro come era nel passato, ma anche gran parte di quello sinistro esposto a sud. Sul versante esposto a nord prevalgono i castagneti in bassa quota e poi, salendo più in alto, i boschi misti di latifoglie, pochi lembi di faggeta, e poi i lariceti e le peccete, le larici-cembrete e i boschi di pino uncinato. Sul versante Anacamptis pyramidalis
(L. Giunti).
Orchis morio (D. Bouvet).
A destra Ophrys fuciflora (D. Bouvet).
A destra Orchis tridentata (D. Bouvet).
esposto a sud, a partire dalle basse quote, sono in rapida espansione i boschi di roverella e di pino silvestre mentre più in alto sono diffusi il pino silvestre e il larice
che occupano tutte le aree abbandonate in relazione alla loro grande capacità di adattamento all’aridità.
Uno dei boschi più ampi e interessanti dal punto di vista naturalistico e forestale è il Gran Bosco di Salbertrand, situato nell’alta Valle, che dal 1980 è diventato Parco regionale. Alle quote più basse, tra 1.000 e 1.300 m si estendono gli ultimi lembi interni di faggeta e poi procedendo verso ovest il faggio si mescola all’abete bianco e poi ancora all’abete rosso.
Salendo ancora in quota si trovano grandi estensioni di larice e cembro, che arrivano fino al limite altitudinale superiore del bosco, a circa 2.250 m. La grande varietà di boschi che si alternano in quest’area è stata determinata, da una parte, dalle diverse condizioni ambientali relativamente alla quota e ai substrati e, dall’altra, dalle diverse gestioni forestali che sono state adottate nel tempo. I boschi presentano quindi livelli diversi di naturalità, in relazione al periodo in cui si sono formati e alla gestione forestale;
alcuni, come parte del Gran Bosco di Salbertrand, presentano alta naturalità e ospitano anche, seppure in misura minore rispetto ai pascoli ed ai detriti di cui parleremo in seguito, alcune specie rare di particolare pregio come Corthusa matthioli, una meravigliosa primulacea molto rara sul versante meridionale delle Alpi, che è verosimilmente un relitto della flora tardoterziaria, e Cypripedium calceolus, la più grande orchidea italiana, detta scarpetta di Venere per la forma dei suoi fiori, che è rara in tutte le Alpi e rarissima, con poche stazioni, nelle Alpi occidentali.
Questi boschi offrono innumerevoli servizi ecosistemici di tipo ambientale, quali la protezione dall’erosione dei versanti, la Alcune specie dei
pascoli alpini su sub-strati acidi (curvuleti):
Senecio incanus (D. Rosselli),
in basso, Silene acaulis subsp. exscapa (D. Bouvet) e a destra Trifolium alpinum (L. Cancellieri).
Corthusa matthioli, una primulacea relitto della flora arctoterziaria (D. Bouvet).
fissazione dell’anidride carbonica e la produzione di ossigeno, la conservazione di una notevole biodiversità vegetale, fungina e animale, fornendo rifugio a popolazioni ormai molto importanti di ungulati selvatici e anche del lupo
che, negli ultimi anni, è stato oggetto di monitoraggio costante attraverso diversi progetti, tra cui il progetto Life "WolfsAlps".
Inoltre questi boschi forniscono servizi di tipo culturale, ricreativo e paesaggistico ai residenti e ai turisti italiani e stranieri che sempre più numerosi visitano l’alta Valle di Susa. Per l’aumento rapido dei boschi che coprono ormai quasi completamente i suoi versanti fino a circa 2.200 m di quota, la Valle di Susa risulta sempre più caratterizzata da aree ad alta naturalità.
Oltre il limite dei boschi il paesaggio diventa ancora più ampio e grandioso e tra gli habitat più estesi vi sono i pascoli alpini, che sono caratterizzati da una biodiversità sorprendente, dovuta alla variazione in quota e all’alternanza di substrati calcarei e silicei. Nel primo caso sono presenti numerose comunità di pascolo con specie calcifile come Aster alpinus, Arnica montana e Elyna myosuroides, mentre sui substrati acidofili è presente l’habitat del curvuleto, con specie come Senecio incanus, Minuartia sedoides, Silene acaulis subsp. exscapa e Trifolium alpinum. Anche in questi habitat pascolivi viene ospitata una fauna selvatica con molte specie animali, in particolare con ungulati selvatici molto abbondanti.
Oggi la pratica del pascolamento di animali allevati è ancora molto presente nei grandi comprensori di pascolo dell’alta Valle e contribuisce a mantenere alta la biodiversità di questi pascoli evitando l’inarbustamento delle aree al confine con i boschi.
I pascoli alpini sono alternati a pareti rocciose e detriti mobili, prevalentemente formati da rocce calcaree, che sono parzialmente colonizzati da specie di grande bellezza come Thlaspi rotundifolium, Anemone baldensis, Saxifraga oppositifolia e Hutchinsia alpina e da alcune specie endemiche o subendemiche (presenti cioè anche in alcune aree limitrofe delle Alpi Cozie e Marittime, anche in Francia) come Berardia subacaulis, Brassica repanda, Campanula alpestris e Campanula cenisia.
In particolare Berardia subacaulis, isolata filogeneticamente da tutte le altre entità delle Alpi, è un antichissimo relitto del Terziario, simile probabilmente a specie del Sahara algerino, che si è conservato in poche stazioni di questo territorio e delle vicine vallate localizzate più a sud, nel cuneese. L’habitat è molto diffuso in alta Valle e caratterizza il paesaggio con ampie Alcune specie dei
aree detritiche simili a quelle dolomitiche.
La straordinaria varietà di condizioni geografiche, climatiche e geomorfologiche e di diversi effetti delle glaciazioni quaternarie sui versanti e sul fondovalle hanno mantenuto una notevolissima biodiversità vegetale ed animale che risulta eccezionale rispetto a quella presente nella grande maggioranza delle vallate alpine.
Per le stesse condizioni ambientali sopra citate, ed in particolare per il clima mite,
la Valle è stata abitata dall’uomo da tempi antichissimi e conserva innumerevoli testimonianze della capillare azione dell’uomo che ha modellato il territorio lasciando tracce chiare e inequivocabili dello stretto rapporto tra uomo e ambiente.
Da alcuni decenni l’attività dei Parchi regionali presenti ha evidenziato le risorse naturalistiche e i segni della vita dell’uomo nel passato rendendo questa Valle sempre più attrattiva e interessante per i visitatori.
Comunità erbacee e arbustive primarie. Al di sopra del limite del bosco (circa
Comunità erbacee e arbustive primarie. Al di sopra del limite del bosco (circa