Il bacio, secondo Paul Verlaine, è una primula nel giardino delle carezze e d’altra parte l’umanità della primula ha radici profonde, che risalgono all’arrivo di Homo sapiens nell’Eurasia temperata. Qui la nostra specie dalle abitudini tropicali si adattò all’inverno con il suo freddo e la sua uggia, soprattutto imparò a vivere l’attesa emozionante del ritorno della primavera. Era dunque inevitabile che rondini e primule, fra le tante magie naturali del risveglio, venissero investite di un ruolo simbolico nella rinascita stagionale e nel ridestarsi dei sentimenti.
Questa storia è mirabilmente riassunta nel nome Primula, sostantivo del latino classico con il significato originale di piccola primizia, annunciatrice di primavera; ci penserà Linneo, nel 1753, a conferire a quel nome tutta la dignità scientifica del noto genere botanico.
A seguito degli studi filogenetici (ricostru-zione delle discendenze attraverso la sequenziazione del DNA), il genere Primula (420-500 specie, secondo i punti di vista) è stato ampliato con l’inclusione di generi come Cortusa, Dodecatheon, Sredinskya e altri finora trattati a parte (Kovtonyuk e Goncharov 2009); tra questi la flora italiana è interessata dal primo con la rara e bella specie dal look himalayano Primula matthioli, propria dei ghiaioni umidi, colatoi e rupi stillicidiose in ombra, tra 800 e 2.000 m in Piemonte, Trentino e Veneto (Pignatti 1982).
Ma d’altra parte la stessa famiglia delle Primulaceae ha subito rimaneggiamenti profondi e la sua circoscrizione attuale rappresentate da una sola specie; in Italia si incontrano tre di queste sezioni, ma il totale delle specie ammonta a 25 (in Europa 33 su quattro sezioni). Tale ricchezza è spiegata dalla catena alpina, che si attesta secondo hot spot della diversità del genere Primula, dopo la regione himalayana (oltre 300 specie in 24 sezioni) e prima dell’intero Nordamerica (20 specie in cinque sezioni). Specie isolate si rinvengono ancora sui rilievi africani e in Sudamerica. Fra i menzionati territori, la flora delle Alpi è la meglio conosciuta (prima esplorazione di H.-B. de Saussure nel 1773), ciò nonostante negli ultimi venticinque anni
sono venute alla luce ancora due specie endemiche del distretto calcareo esalpico (Prealpi Lombardo-Venete), P. albenensis e P. recubariensis; e non è finita, perché altro materiale è tuttora allo studio.
Le primule alpine. Al territorio alpino (con l’Appennino settentrionale e le Alpi Apuane) appartengono tre specie della sezione nominale (Primula), che vivono sui suoli humiferi della fascia boschiva: P. elatior , P.
veris e P. acaulis (= P. vulgaris), quest’ultima conosciuta come la comune primula gialla.
Due specie della sezione Farinosae (P. farinosa e P. halleri) caratterizzano i prati umidi e le torbiere alle quote medio-alte. Infine (Zhang e Kadereit 2004) la sez. Auricula (tipificata su P. auricula) domina la scena con 23 specie (19 in Italia) diffuse in montagna negli ambienti rocciosi. P. palinuri, endemica della costa tirrenica tra Capo Palinuro e Scalea (falesie e pareti calcaree), costituisce un’affascinante, singolare e antica estensione mediterranea della sezione.
Le primule della sez. Auricula sono davvero figlie del sistema alpino, infatti ben 14 delle 23 specie vi risultano endemiche (corotipo alpico); tra le non endemiche (corotipo orofita SW-europeo) ricordiamo P. hirsuta, P. latifolia, P. integrifolia e P. pedemontana.
Fra le endemiche, 12 specie sono limitate a territori geograficamente ristretti o talvolta quasi puntiformi: P. glutinosa (Alpi Orientali dal Bormiese al Cadore), P. allionii (Alpi Marittime in Val Roya e Val Gesso), P.
apennina (Appennino tosco-emiliano e Alpi Apuane al Lago Santo, M.te Orsaro, Alpe di Mommio, Pania di Corfino, Palodina e M.te Vecchio), P. marginata (Alpi dell’Ossola, Cozie e Marittime), (dalle Alpi Pennine alle Marittime), P. villosa (Alpi occidentali di SE, fra le prov. di Torino, Aosta, Vercelli e Biella), P. glaucescens (= P. longobarda; Prealpi tra le prov. di Lecco e Brescia), P. daonensis (Alpi Retiche meridionali, inclusi Lagorai), P.
polliniana (= P. spectabilis; settore esalpico tra le Alpi venete e le bergamasche), P. albenensis (Prealpi bergamasche nell’area del M.te Alben), P. recubariensis (Prealpi di Recoaro, Vicenza), P. tyrolensis (Dolomiti, dalla Valsugana a P.so Mauria e Val Cimoliana) e P. wulfeniana (Alpi Carniche, dal territorio di Sauris al Canale di Cimolais). L’orologio molecolare ottenuto dalle sequenziazioni ITS del DNA (Zhang e Kadereit 2004) rivela la discendenza delle Auricula da un lontano ancestro giunto
in Europa dall’Asia orientale, nel periodo compreso fra 3.6 e 2.4 milioni d’anni fa (fine Pliocene). La catena alpina in fase terminale di formazione e le successive vicende glaciali del Pleistocene stimolarono processi speciativi, soprattutto per frammentazione e isolamento, senza particolare coinvolgimento dei genomi. Il numero cromosomico, esaploide in quasi tutte le specie (2n » 66), fa ritenere che la radiazione evolutiva delle Auricula sia culminata nel Pleistocene a opera delle glaciazioni, con l’isolamento in aree-rifugio (nunatakker) e la conseguente deriva genetica di numerose, piccole popolazioni distribuite sull’intero arco alpino; Claude Favarger, biosistematico e fitogeografo svizzero che studiò a fondo l’origine della flora alpina, definì schizoendemico questo modello di speciazione intraterritoriale.
Habitat ed ecobiologia. Le primule alpine vivono a quote comprese fra 300 m (P.
auricula) e 3.100 m (P. glutinosa), dove abitano le pareti rocciose, i pendii rupestri, le vallette nivali, le morene a lungo innevate e i pascoli impietrati, spesso a mezz’ombra e in presenza di scorrimento; il loro ambito primario di crescita si trova nelle associazioni rupicole della classe Asplenietea trichomanis cui, secondo la Direttiva 92/43 CEE, sono attribuiti gli habitat 8210 (pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica) e
8220 (pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica).
Durante la buona stagione, in assenza di competizione, le rosette fogliari crescono con estrema lentezza e la fioritura, cadenzata sullo scioglimento delle nevi, si manifesta in modo vistoso, spesso spettacolare, ma con basso numero di fiori e bassa produzione di semi. Tali caratteristiche sono proprie della sindrome biostrategica S (stress-tolleranza), riconosciuta dal bioecologo inglese John Philip Grime (Grime 1979) nelle piante che vivono in ambienti estremi, privi di nutrienti ma liberi da competizione, dove uno sviluppo lento, una contenuta ma vistosa fioritura e pochi semi di buona qualità (geneticamente diversificati) sono strumenti vincenti.
Le radici delle primule si interfacciano con il substrato litologico attraverso uno scarno straterello di suolo, che risente direttamente del chimismo della roccia sottostante, per cui ogni specie è preadattata alle condizioni di acidità o basicità determinate dal substrato.
Nella catena alpina si contano 9 specie acidofile (blocchi e affioramenti cristallini) e 13 basifile (calcari e dolomie), variamente distribuite dalle Alpi Marittime alle Giulie, in relazione alla topografia dei litotipi; P. hirsuta, diffusa dalle Alpi occidentali ai Pirenei, è l’unica entità capace di vivere su entrambi i tipi di substrato con adeguata selezione di ecotipi.
Primula marginata in habitat su rocce calcaree presso Ostana (CN) (E. Banfi).
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6 7 8
9 10 11
2 1
1.
Primula acaulis (M. Zepigi).
2.
Primula farinosa (E. Guarnaroli).
3.
Primula auricula (V. Volonterio).
4.
Primula palinuri (F. Fenaroli).
5.
Primula hirsuta (G. Valsecchi).
6.
Primula latifolia (V. Volonterio).
7.
Primula integrifolia (L. Carloni).
8.
Primula pedemontana (C. Severini).
9.
Primula glutinosa (G. Valsecchi).
10.
Primula allionii (C. Severini).
11.
Primula apennina (B. Romiti).
Le Primule alpine:
13 14
15 16 17
18 19
12
12.
Primula marginata (G. Bellone).
13.
Primula glaucescens (G. Valsecchi).
14.
Primula daonensis (A. Federici).
15.
Primula polliniana (= P. spectabilis auct., non Tratt.).
(M. Banzato e L. Tosetto).
16.
Primula albenensis (E. Pallotti).
17.
Primula recubariensis (P. Arrigoni).
18.
Primula tyrolensis (F. Fenaroli).
19.
Primula wulfeniana (R. Del Sal).
Segue
Le Primule alpine:
12 Primula marginata Habitat 8210 (rupi calcaree);
endemica SW-alpica, dalle Alpi Pennine (Val d’Ossola) alle Marittime, fino al Delfinato e al Nizzardo (Francia) (Limone Piemonte, CN, 1.650 m);
13 Primula glaucescens Habitat 8210 (rupi e pietraie umide a lungo innevamento su base calcarea);
endemica E-alpica, dalle Alpi Lombarde (Grigne) alle Tridentine (M.te Bondol) (M.te Resegone, LC, 1.200 m);
14 Primula daonensis Habitat 8220 (rupi e pascoli impietrati su base silicea); endemica E-alpica (Lombardia-Trentino), vicariante edafica di P.
glaucescens (Val Fredda, BS, 2.100 m);
15 Primula polliniana (= P. spectabilis auct., non Tratt.). Habitat 8210 (rupi, pietraie e pascoli impietrati su base calcarea); endemica E-alpica, diffusa fra le provincie di Bergamo e Belluno (Ala, TN, 2.000m);
16 Primula albenensis Habitat 8210 (rupi calcareo-dolomitiche); endemica E-alpica ristretta al massiccio del M.te Alben in provincia di Bergamo (M.te Alben, BG, 1.900 m);
17 Primula recubariensis Habitat 8210 (rupi calcareo-dolomitiche); endemica E-alpica ristretta alle Prealpi di Recoaro (prov. Vicenza) (gruppo del M.te Fumante, VI, 1.740 m);
18 Primula tyrolensis Habitat 8210 (rupi calcareo-dolomitiche umide e ombrose); endemica E-alpica presente nel territorio compreso tra la Valsugana (prov. Trento), Passo Mauria (prov. Belluno-Udine) e Cimolais (prov. Pordenone) (Alpi Feltrine, BL, 1.900 m);
19 Primula wulfeniana Habitat 8210 (rupi stillicidiose e ghiaioni a lungo innevamento su matrice calcarea); endemica E-alpico-carinziaca, diffusa dai Monti di Sauris (prov. Udine) alle Alpi Caravanche (Austria e Slovenia) (Forcella Clautana, PN, 1.400 m; (R. Del Sal).
1 Primula acaulis Habitat: incluso nei gruppi 91-92 del codice di Natura 2000 (foreste di latifoglie mesofile); assente solo in Sardegna, caratterizza le aperture e i margini dei boschi (faggeti, querceti, querco-carpineti, robinieti di sostituzione) (Endine Gaiano, BG);
2 Primula farinosa Habitat 7230 (torbiere basse alcaline); specie-tipo della sezione Farinosae;
distribuzione generale: Eurasia; distribuzione italiana:
arco alpino (rara) e pianura padana orientale (non confermata di recente) (Montespluga, SO, 1.900 m);
3 Primula auricula Habitat 8210 (rupi calcaree);
orofita Sud-europea con distribuzione nazionale includente l’arco alpino e la catena appenninica fino alla provincia di Salerno (M.te Alben, BG, 1.850 m) 4 Primula palinuri Habitat 8210 (pareti rocciose calcaree, rupi stillicidiose); endemica sud-tirrenica presente nelle formazioni a garofano rupestre (Dianthus rupicola) lungo il tratto di costa compreso fra Capo Palinuro e Scalea (Romagnese, PV, Giardino Alpino di Pietra Corva, culta);
5 Primula hirsuta Habitat 8220, 8210 (rupi, morene, pietraie, pascoli impietrati); presente dalle Alpi Retiche alle Graie (Montespluga, SO, 1.900 m);
6 Primula latifolia Habitat 8220, 8210 (rupi, pietraie);
presente dalle Alpi Marittime (Liguria e Piemonte) alle Orobie (prov. Bergamo) (Pizzo Zerna, BG, 2.400 m);
7 Primula integrifolia Habitat 8220 (rupi silicee stillicidiose, vallette nivali su base cristallina);
diffusa sulle catene interne della Lombardia (Tonale, Gavia, Valtellina) e del Piemonte orientale (alta Val d’Ossola);
8 Primula pedemontana Habitat 8220: rupi, morene e pascoli impietrati su base silicea; distribuzione non endemica rispetto al territorio alpino: dalle Alpi Pennine ai Pirenei di Spagna (Valle di Champorcher, 2.000 m);
9 Primula glutinosa Habitat 8220 (rupi, morene e vallette nivali su base cristallina); endemica E-alpica, dal territorio di Bormio (prov. Sondrio) al Cadore (prov. Belluno) (Passo Gavia, 2.700 m);
10 Primula allionii Habitat 8210 (rupi calcaree ombreggiate); endemica W-alpica con distribuzione in Val Roya (da dove sconfina in Francia) e in Val Gesso (Entracque, CN, 1.200 m);
11 Primula apennina Habitat 8220 (rupi silicee);
endemica N-appenninico-apuana (M.te Braiola, MS, 1.750 m);
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Tutte le immagini (1-19) sono state tratte da Acta Plantarum, Forum. Disponibili on line (varie date di consultazione): http://www.actaplantarum.org
Le rupi. L’ambiente delle rupi è certamente uno dei più sfavorevoli per la vita vegetale, tuttavia il numero di organismi che riesce a sopravvivere in questo tipo di habitat è sorprendentemente elevato in termini di diversità di forme e di varietà di gruppi sistematici. Sulle rupi possono vivere, infatti, alghe, licheni, briofite e numerose piante vascolari, ovvero piante provviste di veri tessuti, capaci di colonizzare le pareti rocciose nelle più svariate condizioni microambientali.
Queste ultime costituiscono la componente di gran lunga predominante nella flora rupicola.
La biodiversità vegetale delle rupi in termini di piante vascolari dipende dai gradienti ambientali relativi a insolazione, temperatura e disponibilità idrica e di nutrienti, in altre parole dal variare delle condizioni del microclima e delle caratteristiche del substrato roccioso. La natura chimica della roccia, in particolare, condiziona la biodiversità della flora rupicola non solo indirettamente, determinando la morfologia delle pareti rocciose, ma anche e più profondamente, condizionando la qualità e quantità dei nutrienti minerali resi disponibili per l’assorbimento radicale. Numerose piante rupicole sono del tutto indifferenti alla natura del substrato, ma ancor più numerose sono quelle che risultano sensibili
alle variazioni di questo parametro. Queste ultime vengono tradizionalmente distinte in specie calcifile (o calcicole), che colonizzano le rupi carbonatiche e specie calcifughe (o silicicole), tipiche delle rupi silicatiche. Le due distinte tipologie differiscono per la capacità di utilizzare e tollerare la presenza di calcio nella minima quantità di terreno che si forma entro le fessure rocciose.
Le specie vascolari radicanti nelle fessure della roccia vengono anche suddivise in casmofite e comofite sulla base delle loro modalità di crescita ed esigenze trofiche. Le casmofite sono specie perenni con habitus a cuscinetto o a rosetta che riescono a crescere anche nelle fessure rocciose più sottili, grazie alla loro radice a fittone. La crescita è molto lenta, perché limitata dalla scarsa disponibilità dei nutrienti che in parte provengono dalla decomposizione delle parti morte della pianta stessa. Le comofite non hanno una radice capace di esplorare in profondità le fessure della roccia e riescono a colonizzare una parete rocciosa solo se i loro semi germinano in corrispondenza di piccoli ripiani, cenge e terrazzi dove si è formata una copertura di detriti fini ai quali possono ancorarsi; inoltre, le loro esigenze nutritive sono decisamente superiori a quelle di una comune casmofita.
Le felci delle rupi. Le felci che vivono sulle rupi delle Alpi e dell’Appennino settentrionale non sono molto numerose. La maggior parte appartiene alla famiglia delle Polypodiaceae con i generi Asplenium e Ceterach. Altri generi che annoverano specie strettamente rupicole sono Cystopteris, Woodsia, Adiantum e Notholaena. Alcune felci rupicole sono tipiche di quote non troppo elevate e di pareti rocciose soleggiate. Tra queste ricordiamo Notholaena marantae, che cresce principalmente su rupi formate da rocce ofiolitiche del tipo delle serpentiniti fino a 1.400 m di quota, e Adiantum capillus-veneris, presente in tutto il territorio nazionale, che predilige pareti rocciose carbonatiche umide o soggette a costante scorrimento d’acqua e che non supera i 1.500 m di altitudine.
Il genere Asplenium comprende numerose specie rupicole. Tra le più comuni ricordiamo Asplenium ruta-muraria, la cui sottospecie dolomiticum è presente solo nelle Alpi e nell’Appennino settentrionale con spiccata predilezione per i substrati carbonatici e A.
septentrionale che, a differenza dalla specie precedente, colonizza substrati acidi ed è