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Torbiera di sella di valico con

F lora delle paretI roCCIose e deI ghIaIonI delle alpI e dell ’ appennIno

3. Torbiera di sella di valico con

caratteristi-che intermedie tra le tipologie trattate.

4. Torbiera alberata con vegetazione del Pino

mugo-Sphagnetum.

Esempi di torbiere alpine

(R. Venanzoni).

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Il termine torbiera si riferisce principalmente al luogo ove si produce e si raccoglie la torba e dà poco risalto alle caratteristiche naturalistiche di questo habitat. La torba si origina grazie al processo di accumulo di sostanza organica, prodotta quasi esclusivamente dagli sfagni, che prevale su quello della decomposizione o mineralizzazione. Infatti, le acque fredde e acide e le condizioni anossiche inibiscono fortemente l’attività dei batteri e funghi decompositori di cellulosa e lignina, pertanto la biomassa

prodotta dalle piante dopo ogni stagione vegetativa si accumula in strati sempre più compressi sotto il proprio stesso peso che danno origine al deposito di torba.

Al di là di questi aspetti le torbiere sono gli ambienti umidi e palustri che si caratterizzano per la specializzazione delle forme di vita, la biodiversità e la tipicità del paesaggio.

La loro origine e la distribuzione attuale risalgono al periodo post glaciale e possono essere considerate a tutti gli effetti testimoni e superstiti della flora

e del paesaggio vegetale di quel periodo climatico.

Sulla superficie terrestre sono presenti alle alte latitudini degli emisferi nord e sud. In Italia le troviamo principalmente nell’arco alpino e frammentariamente, con poche stazioni, nell’Appennino settentrionale;

nel centro-sud, sono presenti solo rarissime e piccole popolazioni di sfagno che occupano estensioni di poche decine di metri quadrati.

In natura le torbiere si formano principalmente tramite l’attività colonizzatrice di sfagni e muschi secondo due modalità: il riempimento di una depressione o di uno specchio d’acqua e la colonizzazione di terreni umidi e acquitrinosi pianeggianti o di pendio.

La colmata di uno specchio d’acqua è determinata dal progressivo accrescimento della vegetazione briofitica.

Sfagni e muschi, partendo dalle rive, si sviluppano in due direzioni:

orizzontalmente verso il centro dello specchio d’acqua e verticalmente accumulandosi su se stessi. Una volta terminato il processo di riempimento si forma un tappeto vegetale pianeggiante e continuo che nel tempo, grazie allo sviluppo incessante degli sfagni, può innalzarsi anche di alcuni metri rispetto al suolo assumendo il tipico profilo bombato delle torbiere del nord Europa.

La parziale colonizzazione del bacino lacustre è osservabile per la presenza di un caratteristico lago residuale centrale di forma circolare detto anche occhio della torbiera. Le torbiere di pendio si sviluppano lungo pianori alimentati da sorgenti o ruscelletti. Le nostre torbiere sono di dimensioni più modeste rispetto al nord Europa e spesso con caratteristiche intermedie tra le tipologie illustrate. I cumuli di sfagni, alti fino 70-80 cm, si distribuiscono in formazioni a cuscino intercalate da depressioni profonde pochi

Schema semplificato della formazione di una torbiera alta.

A.

Palude d’interrimento B.

Torbiera di transizione (è visibile il tappeto galleggiante di sfagni e lo specchio d’acqua centrale, detto occhio della torbiera) C.

Torbiera alta dal tipico profilo bombato

cm con acqua stagnante o leggermente fluente.

Per queste ragioni si origina un variegato e complesso mondo vivente che è classificato dai botanici ed ecologi, a seconda delle caratteristiche idrologiche, geomorfologiche ed ecologiche della stazione, in tre tipologie principali:

torbiere alte alimentate solo da acque piovane (ombrotrofiche), torbiere basse alimentate da acque di superficie e torbiere di transizione con caratteristiche intermedie.

Le torbiere alte e di transizione rappresentano gli ambienti più rari: il sistema ecologico è molto particolare perché l’equilibrio idrico è regolato dalle condizioni climatiche e dalle precipitazioni meteoriche mentre è scarso o nullo l’apporto di acqua dalla falda freatica o dai corsi d’acqua superficiali. Questa particolarità ambientale, assieme a quella del substrato generalmente privo di carbonati e povero di nutrienti classifica questi habitat da oligotrofici a distrofici.

Ciò rende questi fragili ecosistemi Torbiera di transizione

a Passo Avanza, presso le sorgenti del Piave, Sappada (BL) (C. Lasen).

Popolazione di Sphagnum subsecundum nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini (Umbria)

(R. Venanzoni).

popolati da forme di vita estremamente specializzate e particolarmente vulnerabili rispetto ai cambiamenti climatici e alla pressione antropica.

La vegetazione di queste torbiere è caratterizzata da una preponderante componente briofitica attiva e da poche piante superiori: dal punto di vista fitosociologico (http://www.prodromo-vegetazione-italia.org/) è inclusa principalmente in tre grandi unità sintassonomiche (classi): Oxycocco palustris-Sphagnetea (torbiere alte e di transizione), Scheuchzerio palustris-Caricetea nigrae (torbiere basse acide e alcaline) e Utricularietea intermedio-minoris (vegetazione sommersa e semisommersa delle pozze d’acqua). Queste tipologie sono riconducibili agli habitat 7110*-7150 e 91D0 della direttiva habitat.

L’habitat 7110*, denominato Torbiere alte attive, è considerato habitat prioritario d’importanza comunitaria (http://vnr.

unipg.it/habitat/).

Le torbiere basse o torbiere a tappeto sono quelle che mantengono un profilo pianeggiante sviluppandosi su versanti e pendii poco acclivi e anche in stazioni pianeggianti. La vegetazione è fortemente

influenzata dall’acqua di falda superficiale che fornisce una maggiore quantità di nutrienti e determina una minore acidità del substrato rendendo l’ambiente più favorevole alla vita delle piante. È quindi presente una rappresentanza maggiore delle piante superiori. La natura del substrato e la falda freatica sono quindi i fattori principali che determinano l’ecologia e la tipologia della vegetazione delle torbiere basse; in accordo con queste caratteristiche si avranno torbiere basse acide e torbiere basse alcaline, quest’ultime con suoli più ricchi di nutrienti da mesotrofici a eutrofici. La vegetazione può essere sostanzialmente suddivisa, in accordo con i fattori ambientali esposti, in due categorie principali: torbiere basse di ambienti acidi (ordine Caricetalia nigrae) e torbiere basse di ambienti neutro-alcalini (ordine Caricetalia davallianae) entrambe incluse nella classe Scheuchzerio palustris-Caricetea nigrae. Le torbiere alcaline, per rarità, biodiversità ed elevati rischi di trasformazioni del territorio, sono state incluse nella lista degli habitat prioritari della direttiva habitat 92/43 con i codici 7210* e 7240* (http://vnr.unipg.it/

habitat/).

La pianta carnivora Drosera longifolia (R. Venanzoni).

L’interesse botanico delle torbiere è dovuto a una notevole diversità di specie adattate a questi ambienti particolarmente inospitali.

Le briofite sono le piante che costruiscono la piattaforma su cui possono svilupparsi tutte le altre piante. Tra le specie più tipiche vanno ricordati gli sfagni che, per le loro caratteristiche intermedie tra piante acquatiche e terrestri, determinano l’intera fase di colonizzazione (Sphagnum rubellum, S. nemoreum, S. medium, S. subsecundum, S. magellanicum, S.

compactum etc.) a cui si aggiungono i muschi (generi Aulacomnium, Polytrichum, Drepanocladus, Calliergon etc.). Anche i macrofunghi possono rappresentare rare entità floristiche in questi ambienti.

Con il consolidamento di questo tappeto galleggiante arrivano le prime piante superiori rappresentate da Ciperaceae del genere Carex quali Carex davalliana, C. hostiana, C. panicea, C. dioica, C. nigra etc. e da altre tra cui Eriophorum latifolium, E. angustifolium, Blysmus compressus.

Compaiono Parnassia palustris, Tofieldia calyculata, Primula farinosa, orchidee quali Epipactis palustris, Orchis incarnata etc. e da numerose specie tra cui le più rare come Andromeda polifolia, Vaccinium microcarpum, V. uliginosum subsp.

microphyllum, Scheuchzeria palustris, Rhynchospora alba, Menyanthes trifoliata e l’orchidea Liparis loeselii.

Particolarmente evocativa è la presenza delle cosiddette specie carnivore. Infatti le torbiere rappresentano ambienti estremamente poveri di nutrienti. Per questo alcune specie dei generi Drosera, Pinguicola e Utricularia riescono a procurarsi azoto e fosforo catturando piccoli insetti attraverso vari stratagemmi:

piccoli tentacoli, cuticole vischiose, fino a vere e proprie trappole acquatiche.

Le Drosere, per mezzo di piccoli tentacoli, attirano e imprigionano minuscoli insetti che poi digeriscono tramite la secrezione di succhi specifici che scompongono le proteine.

Le Pinguicole, similmente, riescono a predare piccoli insetti che rimangono attaccati sulla superficie particolarmente vischiosa delle foglie che, dopo la cattura degli incauti visitatori, si incurvano portando a termine la digestione.

Le Utricularie, sono piante acquatiche semisommerse delle quali emerge sopra il pelo dell’acqua soltanto lo stelo fiorale durante la fioritura. A causa della scarsa attività fotosintetica, presentano delle strutture fogliari a forma di vaso (otricoli) che costituiscono una sofisticata trappola con la quale possono catturare piccoli

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Flora delle torbiere (R. Venanzoni):

1. Polytrichum vulgare 2. Sphagnum fallax:

è osservabile la pianta viva (verde) che cresce sui resti ormai morti delle stagioni precedenti (marrone)

3. Tappeto di sfagni 4. Sphagnum squarrosum 5. Sphagnum compactum 6. Sphagnum subnitens 7. Sphagnum rubellum 8. Lycopodium inundatum 9. Carex davalliana 10. Carex flava 11. Carex rostrata 12. Carex pauciflora 13. Carex magellanica 14. Carex limosa 15. Scheuchzeria palustris

16. Rhynchospora alba 17. Cladium mariscus 18. Epipactis palustris 19. Eriophorum latifolium

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Ericacee frequenti (R. Venanzoni):

1. Vaccinium vitis-idaea 2. Andromeda polifolia

3. Calluna vulgaris 4. Vaccinium microcarpum Ericacee più rare (R. Venanzoni):

5. Vaccinium.

uliginosum subsp.

microphyllum 6. Vaccinium myrtillus

I Monti Sibillini e il tipico paesaggio rurale marchigiano a Collamato fraz. di Fabriano (AN) (T. Baldoni).

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