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Contratti per i quali la causa è stata definita mista, assicurativa e finanziaria

LE POLIZZE LINKED AL VAGLIO DELLA GIURISPRUDENZA

5.3 Contratti per i quali la causa è stata definita mista, assicurativa e finanziaria

Alcune Corti hanno qualificato i contratti linked a loro sottoposti in giudizio come a causa mista assicurativa e finanziaria, con prevalenza di quella finanziaria, in quanto le prestazioni assicurative non erano comunque legate a eventi attinenti la vita umana. A tal proposito, nel caso pervenuto al tribunale di Venezia134 il contraente di un contratto index linked, stipulato prima dell’entrata in vigore del d. lgs n. 303/2006, dichiarava che la controparte non l’avesse informato in maniera adeguata sull’obbligazione che costituiva il valore di riferimento della prestazione dell’assicuratore. Il tribunale accertava che il contratto fosse privo della causa assicurativa: l’an e il quantum della prestazione dell’assicuratore non erano collegati alla vita dell’assicurato, ma dipendevano dal valore capitale del titolo di riferimento acquistato dall’impresa stessa per far fronte alla prestazione: un’obbligazione emessa dalla Lehman Brothers. Anche in questo caso il valore degli attivi era correlato al titolo di riferimento, facendo in modo che il rischio di controparte ricadesse sul contraente. Difatti non era neanche garantita la restituzione a scadenza dell’ammontare del premio versato. I giudici veneziani, chiamati alla qualificazione giuridica del contratto, hanno

134 Trib. Venezia 24/06/2010, in www.ilcaso.it., L. Bugiolacchi, I prodotti “finanziari assicurativi”:

considerazioni in tema di qualificazione giuridica e disciplina applicabile, in Resp. Civ. e prev. 2011, 4, p. 876-877.

78 optato per il carattere misto dello stesso, caratterizzato in maniera quasi esclusiva da una causa finanziaria che richiedeva di conseguenza l’applicazione della disciplina relativa all’intermediazione mobiliare, ovvero la disciplina del T.u.f.

Il Tribunale di Palermo è stato chiamato a pronunciarsi su una polizza index linked stipulata nel Duemila. Il giudice notava le differenze del contratto in esame con lo schema tipico del contratto di assicurazione sulla vita dell’art. 1882 c.c., poiché accanto allo scopo previdenziale, tipico delle assicurazioni sulla vita, constatava una finalità di carattere speculativo, nella misura in cui una parte delle prestazioni erano collegate all’andamento di un titolo obbligazionario.

Il Tribunale giungeva alla conclusione che le polizze linked si possono ritenere forme assicurative vere e proprie solo quando garantiscono la restituzione del capitale.

Nel fatto in specie, il rimborso era subordinato all’andamento del titolo, circostanza per la quale la disciplina da poter essere applicata era quella del T.u.f., ovvero quella dell’intermediazione finanziaria, poiché al contratto, definito a causa mista, andava applicata la normativa del negozio prevalente. Tra le norme richiamate vi era anche quella dell’art. 23 del T.u.f., che richiede la forma scritta del contratto generale di investimento.

Pertanto la polizza linked in esame è stata definita appartenere ad ogni altro investimento di natura finanziaria, visto che il contenuto prevalente era sganciato da quello di un comune contratto di assicurazione sulla vita.

Inoltre la parte convenuta aveva fatto sottoscrivere all’attrice, in calce alla proposta di assicurazione, un foglio separato dal restante testo contrattuale; si trattava di un modulo prestampato, non collegato con il resto del contratto che invece mancava di firma e che conteneva le previsioni essenziali dell’accordo.

Anche in questo caso la parte convenuta è stata obbligata al risarcimento di una cifra pari alla differenza tra l’importo versato dall’attrice e quello alla stessa conferito, oltre agli interessi legali.

In una sentenza del Tribunale di Verona135 una donna, cliente da molti anni della sede della città veneta di un istituto di credito, aveva stipulato nel 2000 una polizza assicurativa unit linked; non avendo mai avuto competenze tecniche in materia finanziaria, si era sempre affidata alla consulenza della banca, preferendo comunque profili di investimento a basso rischio nell’ottica di una gestione sicura del suo

79 patrimonio. La banca non aveva fornito informazioni specifiche sulle caratteristiche della polizza, né aveva effettuato una valutazione di adeguatezza del prodotto rispetto alla propensione al rischio della sua cliente, che all’epoca aveva raggiunto l’età di 87 anni. Quest’ultima aveva versato per l’investimento un premio netto di 700 milioni di lire, oltre imposte e altre spese. Nel 2002 aveva versato altri risparmi nella polizza, portando complessivamente il suo investimento ad una cifra di 514'519,83 euro, una somma che corrispondeva alla quasi totalità del suo patrimonio; ma anche in questo caso la banca non aveva valutato l’adeguatezza dell’operazione. Intanto aveva cominciato ad interessarsi all’intera vicenda un suo erede: l’investimento aveva destato immediatamente le sue perplessità e nel 2005 aveva richiesto alla banca di inviare copia della documentazione contrattuale per conoscere il valore di riscatto a quella data; dal dettaglio era risultato un andamento negativo dei fondi ai quali erano collegati i rendimenti della polizza. Il mese successivo la cliente faceva richiesta di riscatto per cercare di limitare il più possibile le perdite che ammontavano a 74'743,12 euro.

L’anno successivo la cliente moriva e l’erede, sul presupposto che la polizza avesse natura di prodotto finanziario e ricadesse nell’ambito di applicazione del T.u.f. e dei regolamenti Consob, conveniva in giudizio la banca chiedendo la nullità o l’inefficacia della polizza e l’inadempimento della banca alle obbligazione che le derivavano dalla distribuzione del contratto stesso.

La banca convenuta spiegava che aveva semplicemente sottoposto ai clienti le proposte di contratto standardizzate della compagnia di assicurazione emittente, senza aver mai avuto la possibilità di modificarne il contenuto: dal ragionamento faceva derivare la conseguenza che il rapporto contrattuale intercorreva tra la cliente e la compagnia. Inoltre la polizza assicurativa non poteva essere sottoposta alla normativa in tema di intermediazione finanziaria e comunque precisava che aveva consegnato tutta la documentazione della polizza e ne aveva illustrato dettagliatamente le caratteristiche relative ai possibili rendimenti: quindi il consenso non poteva essere viziato da errore. L’erede sosteneva che la nota informativa non fosse stata mai consegnata e che l’attestazione della sua ricezione costituiva una clausola vessatoria e come tale era inefficace: inoltre conveniva in giudizio anche la compagnia di assicurazione, sostenendo che i fatti in causa le fossero comuni. Anche la compagnia costituita in giudizio sosteneva che la polizza unit linked non avesse natura di strumento finanziario; affermava che la cliente aveva ricevuto la nota informativa e il fatto che nel corso del rapporto contrattuale non avesse mai palesato insoddisfazione per l’investimento fatto

80 dimostrava che non avesse sottoscritto un contratto diverso da quello effettivamente voluto.

Il tribunale adito si soffermava inizialmente sulla natura giuridica della polizza, e sulle differenze che i contratti unit linked presentano con lo schema di assicurazione sulla vita prevista dal legislatore nel 1942, nel quale la prestazione della compagnia è predefinito nel contratto, mentre al contrario nelle linked mancano molto spesso le garanzie di restituzione del capitale e il quantum delle prestazioni viene determinato a posteriori. Il sinallagma contrattuale risulta essere sbilanciato a favore dell’assicuratore che ha il vantaggio di percepire sicuramente delle provvigioni, le cosiddette spese di emissione del contratto o di gestione dei fondi.

Il tribunale arrivava così a definire la polizza in oggetto come contratto a causa mista, con prevalenza di quella finanziaria: la veste di polizza assicurativa serviva solo ad individuare il momento in cui l’assicuratore doveva adempiere alla prestazione alla quale era obbligato.

La legge applicabile non era quella individuata dalle convenute, ovvero il d. lgs. n. 174/1995 che aveva contribuito a dare ingresso alle linked nel mercato italiano, ma potevano essere ricondotte alla nozione di strumento finanziario, intendendosi con questa definizione titoli normalmente negoziati che permettono di acquisire altri strumenti finanziari, ed essere sottoposte quindi al T.u.f. e al regolamento Consob n. 11522/98.

Per quanto riguardava le doglianze dell’attore circa il comportamento tenuto dalla banca intermediaria, alla luce del lungo rapporto che negli anni aveva intrattenuto con la cliente, l’attività che aveva svolto nel caso in specie poteva essere qualificata come di negoziazione per conto terzi, una fattispecie rientrante nella tipologia dei servizi di investimento prevista dal T.u.f.

Per gli obblighi informativi invece, si era riscontrato che le informazioni di cui l’attore lamentava l’omissione erano contenute nella nota informativa e nelle condizioni generali di polizza, documenti che la cliente aveva dato atto di aver ricevuto per la presenza delle firme. La consegna dei documenti risultava comprovata ed era avvenuta prima della conclusione del contratto, mentre la vessatorietà dell’attestazione non poteva essere dichiarata perché l’attore non aveva fornito la prova contraria delle risultanze documentali.

81 Il tribunale dichiarava inoltre le informazioni contenute nei documenti come dettagliate e complete, potenzialmente comprensibili anche da un soggetto di non elevata cultura finanziaria: doveva essere onere della cliente prestare la dovuta attenzione al contenuto. Risultava comprovata l’inadeguatezza dell’intera operazione e per diversi motivi: il primo era riconducibile al profilo di rischio della polizza. I fondi collegati avevano una percentuale azionaria pari al 40%, alcuni titoli che li componevano erano extraeuropei, e questo non faceva che aumentare il rischio complessivo: tutto ciò strideva con gli investimenti fino ad allora effettuati dalla cliente, che consistevano in una gestione individuale composta da fondi comuni a basso rischio. Il secondo motivo era legato all’età della cliente e all’investimento azionario dei fondi: solitamente un investimento in azioni risulta essere meno rischioso se i titoli vengono mantenuti per un periodo di tempo medio lungo: eventualità che risultava improbabile a causa dell’età avanzata della cliente, che risultava essere decisiva anche per il terzo motivo di inadeguatezza del contratto: per effetto del coefficiente di moltiplicazione previsto nelle condizioni generali di assicurazione, l’incremento del valore delle quote dei fondi sarebbe risultato maggiore se la cliente fosse stata molto più giovane. Anche questo aspetto avrebbe limitato l’entità dei proventi dell’investimento.

Il fatto poi che la cliente avesse versato nel giro di due anni quasi tutte le sue disponibilità e non una somma inferiore si configurava come un ulteriore elemento di rischio.

L’operazione era inoltre soggetta al conflitto di interessi: con la vendita della polizza la banca avrebbe avuto diritto ad ottenere delle commissioni di negoziazione di una certa consistenza. Anche questo aspetto avrebbe richiesto una segnalazione scritta.

Gli obblighi comportamentali descritti diventavano attuali al momento della conclusione della polizza vita, e la violazione degli stessi costituiva un inadempimento dello stesso contratto: veniva quindi accolta la domanda di risarcimento danni, che venivano calcolati tramite differenza tra la somma versata al momento della sottoscrizione della polizza e quella retrocessa al momento del riscatto, pari a 74'743,12 euro. Inoltre al totale andavano aggiunti gli interessi legali, la rivalutazione monetaria e le spese processuali .

Un ultimo aspetto interessante da notare è che, come quanto sancito dal Tribunale di Trani di cui sopra, il Tribunale di Verona ha ritenuto che la polizza unit linked potesse essere paragonata alla nozione di strumento finanziario del T.u.f., dato che nella

82 definizione del Testo unico sono ricompresi tra gli altri strumenti le quote dei fondi comuni di investimento.

Nella sentenza n. 1020 del 27/06/2011136, la parte attrice conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Ferrara una compagnia di assicurazioni per la restituzione del premio versato al momento della sottoscrizione della polizza: l’assicurata richiedeva la nullità del contratto per difetto dell’elemento volitivo, sostenendo che l’operazione si configurasse come un’operazione di investimento finanziario, anche se denominata come polizza vita; inoltre sosteneva la vessatorietà della dichiarazione che aveva sottoscritto nella proposta di contratto, nella quale affermava di aver ricevuto il fascicolo informativo, in quanto tale proposta era composta da tre fogli che non contenevano il regolamento contrattuale; chiedeva inoltre l’annullabilità del contratto perché a suo dire convinta di sottoscrivere un investimento obbligazionario invece che una polizza di assicurazione sulla vita e conveniva in giudizio anche l’istituto di credito. Le due parti convenute in giudizio negavano la natura vessatoria della clausola posta sotto osservazione, in quanto la parte attrice non aveva esercitato il diritto di recesso nei trenta giorni successivi alla stipula del contratto, e ribadivano la natura assicurativa del contratto che prevedeva che il rischio demografico fosse assunto dalla compagnia. L’istituto di credito eccepiva di aver causato danni alla cliente: l’attività di intermediazione che aveva svolto aveva previsto l’incasso di una provvigione e non si era servita di un promotore finanziario.

Il tribunale adito riconosceva la nullità del contratto e condannava la compagnia alla restituzione del capitale versato e alle spese processuali. La clausola riguardante la dichiarazione dell’attrice di aver ricevuto il fascicolo informativo non è stata considerata come vessatoria, ma sul piano sostanziale emergeva che la definizione di assicurazione sulla vita del contratto era impropria perché la prestazione della compagnia era legata al valore di un’obbligazione e di un’opzione, e la prestazione dovuta sarebbe potuta essere inferiore al premio corrisposto: inoltre il rischio di controparte gravava sull’assicurata, quindi in caso di insolvenza dell’emittente il titolo obbligazionario, la stessa avrebbe perso il capitale investito; c’è da aggiungere che il rischio demografico assunto dalla compagnia rilevava marginalmente sulla prestazione dovuta.

136 Riva, Trib. Ferrara, 27/06/2011, in Assicurazioni, 2011, p. 761 e ss., R. Cavalli, Polizze linked: contratti

di assicurazione o contratti di investimento mobiliare? Commento a Tribunale di Ferrara 27 giugno 2011, n. 1020, in www.dirittobancario.it.

83 Il tribunale arrivava così a definire la natura del contratto come mista, quasi completamente estranea alla causa del contratto di assicurazione e che di conseguenza avrebbe richiesto la disciplina dell’intermediazione mobiliare.

Il caso sottoposto al Tribunale di Milano137 vedeva protagonista una cliente che aveva sottoscritto tramite un intermediario incaricato da una banca un modulo di proposta per una polizza unit linked denominata “proposta di assicurazione sulla vita” con scadenza 25 maggio 2009. La sottoscrittrice aveva informato il funzionario della volontà di mettere al sicuro i modesti risparmi di una vita e le era stato assicurato a scadenza il capitale investito più un importo prodotto da una rivalutazione temporale. Non le era stato consegnato più alcun documento informativo in sede di stipulazione del contratto, anche se dal modulo sottoscritto risultava, in una nota scritta, che lei stessa aveva ricevuto e preso visione delle condizioni di assicurazione.

In tutto aveva investito un premio iniziale di 22000 euro e successivamente un importo complessivo di 10000 euro; alla scadenza de contratto le venivano restituiti 4954,53 euro assieme alla documentazione informativa non ricevuta all’inizio che comprovava la natura altamente rischiosa del contratto sottoscritto. Chiedeva dunque che la compagnia di assicurazione e la banca intermediaria fossero condannate in solido al risarcimento del danno subìto, in misura pari al capitale iniziale e ai successivi importi versati; chiedeva inoltre la pronuncia di nullità del contratto per mancata previa sottoscrizione del contratto quadro tra essa stessa e la banca intermediaria e tra quest’ultima e la compagnia di assicurazione.

La compagnia di assicurazione osservava che poteva rispondere unicamente dell’eventuale violazione degli obblighi informativi del fascicolo informativo, obblighi che invece erano stati adempiuti in quanto le condizioni di assicurazione e il prospetto informativo risultavano completi delle informazioni necessarie.

Il giudice adito osservava che all’epoca della sottoscrizione delle polizze, il 2004, la legge non contemplava l’estensione ai prodotti finanziari assicurativi emessi dalle compagnie di assicurazione della disciplina di tutela dell’art. 21 e 23 del T.u.f., né della disciplina regolamentare Consob n. 11522/98.

Dalla lettura delle condizioni di assicurazione leggeva che la prestazione di indennizzo in caso di morte dell’assicurata sarebbe stata superiore dello 0,1% rispetto alla prestazione in caso di riscatto anticipato o a scadenza, e che, pur essendo esclusa una

137 P. Corrias, Sulla natura assicurativa oppure finanziaria delle polizze linked: la riproposizione di un

84 garanzia di rimborso del premio versato, erano previste prestazioni anticipate annuali di importo pari al numero di quote moltiplicato per il 6,5% del valore iniziale della quota al 30 maggio 2001, pari a 100 euro. Quindi durante gli otto anni di durata della polizza sarebbe stato anticipato al cliente con cadenza annuale, un importo pari al 52% del premio versato inizialmente: questa prestazione era garantita, e la garanzia risultava anche dal nome del fondo azionario cui erano agganciate le prestazioni, denominato “azionario globale con cedola garantita”. Le componenti del prodotto portavano il giudice a qualificarlo come contratto a componente mista, finanziaria ed assicurativa. La compagnia di assicurazione emittente del prodotto aveva assolto i propri obblighi informativi dato che aveva rilasciato doviziose spiegazioni del prodotto nelle condizioni di assicurazione e nella nota informativa. Il suo operato era stato legittimo anche quando le era pervenuta ed aveva accettato dall’intermediario della banca la proposta di acquisto della cliente, perché la proposta in questione riportava in grassetto la dichiarazione firmata di aver ricevuto ed esaminato attentamente la nota informativa. Il giudice rigettava quindi la domanda risarcitoria nei confronti della compagnia; trovava invece una grave carenza di informazioni dell’intermediario incaricato nel momento di proporre la polizza alla cliente: seppur non ricordando esattamente le parole utilizzate nella descrizione, l’intermediario dichiarava che solitamente il contenuto del contratto, durante la spiegazione, viene esemplificato per renderlo comprensibile ai cliente, e successivamente si consegna la documentazione che riporta il tutto con annessa nota informativa. Ma la consegna prima della sottoscrizione non avrebbe consentito alla cliente di comprendere o avere anche solamente una panoramica generale delle 12 pagine ricevute, caratterizzate da sottosezioni e tabelle e da un linguaggio tecnico finanziario abbastanza complesso. La descrizione del livello di rischio del fondo, definito medio – alto, si trovava alle pagine 7 e 11 e non aveva carattere grassetto.

Inoltre l’intermediario, proponendo la polizza non alla data di emissione, il 2001, ma nel 2004, non si era sentito in dovere di spiegare alla cliente che le prime tre prestazioni anticipate non sarebbero state percepite e che di conseguenza aumentava il profilo di rischio e contemporaneamente diminuivano le garanzie.

Per quanto riguarda le prestazioni anticipate garantite, convenendo la cliente alle scadenze previste, si limitava a rendere nota la possibilità di incassare le cedole o di reinvestire le somme nella polizza, come se le due alternative avessero conseguenze simili, e non puntualizzando invece il fatto che reinvestendo il denaro la polizza perdeva

85 sempre più i suoi connotati assicurativi e andava caratterizzandosi unicamente come prodotto a contenuto finanziario e ad alto rischio.

Dal 17 maggio 2006 la suddetta polizza entrava a far parte di cui prodotti a cui andava applicata la normativa del T.u.f., che vincolava l’intermediario agli obblighi di correttezza e trasparenza informativa a favore del cliente e che sarebbe divenuta operante alla ricorrenza successiva del reinvestimento delle anticipazioni erogate, il 25 marzo 2007.

Ne conseguiva quindi la responsabilità dell’intermediario per la violazione degli obblighi informativi verso la cliente, sia per il momento antecedente alla nuova normativa sia per quello successivo.

La banca era convenuta al risarcimento del danno pari alla somma del premio iniziale, degli importi reinvestiti e degli interessi legali.

L’ultima pronuncia riguardante il filone giurisprudenziale che definisce le linked come negozi a causa mista atipica, è quella del Tribunale di Torino138 del 17 marzo 2016. Il cliente aveva sottoscritto il 28 febbraio 2008 un contratto unit linked con un intermediario che aveva descritto il prodotto come più che sicuro rispetto ad altri investimenti detenuti all’epoca dall’attore.

Il 13 marzo successivo aveva versato un milione di euro per l’acquisto di 999 quote di un fondo interno all’impresa collegato alla polizze.

A distanza di quasi un anno, nell’aprile 2009, gli veniva comunicata un’esposizione del fondo di investimento verso alcuni fondi Madoff, alcuni tra gli strumenti di investimento del finanziere noto per la gigantesca truffa finanziaria scoperta nel 2008. In conseguenza delle perdite subite da questi fondi l’investimento presentava una perdita del 59%; nel 2012 l’attore prendeva atto che non gli era mai stata notificata una