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Riflessioni di sintes

LE POLIZZE LINKED AL VAGLIO DELLA GIURISPRUDENZA

5.6 Riflessioni di sintes

Quello che si può desumere dalle sentenze citate in questo capitolo è che tutti i tribunali si sono soffermati sulla natura giuridica delle polizze, definendola in certi casi mista, assicurativa e finanziaria, solo finanziaria, o anche semplicemente assicurativa.

Ma in tutti i casi, anche quando la natura del contratto è stata definita assicurativa, i tribunali hanno comunque ravvisato differenze significative con i contratti tipici di assicurazione sulla vita, e ne hanno fatto derivare a volte l’inapplicabilità delle disposizioni volte a rendere impignorabili le somme detenute dall’impresa, in altri l’applicazione della normativa del T.u.f. anche per quei contratti stipulati prima del 2006, considerandoli quindi come contratti di investimento.

L’altro spunto è quello relativo al comportamento degli intermediari. Le norme di legge hanno fatto in modo che nel corso degli anni i contratti abbiano previsto sempre maggiori informazioni, e ad onor del vero i contratti presenti adesso sul mercato risultano essere ricchi di informazioni, magari lunghi e complessi, ma sicuramente completi delle informazioni richieste dalla normativa (riguardo a mancanza di garanzie, rischi, aumento degli stessi rischi durante i corso del contratto): ed infatti è stato il comportamento degli intermediari a rivelarsi come fattore determinante per la risoluzione del contratto in favore degli assicurati.

Ad essere sotto esame è stato l’andamento dei rapporti contrattuali nei confronti dei clienti prima della conclusione dei contratti, nei momenti in cui gli intermediari hanno offerto tali prodotti, quando si trattava di dare informazioni e spiegazioni su ciò che i clienti stavano per sottoscrivere.

A prescindere dalle regole di adeguatezza, appropriatezza, delle norme del codice delle assicurazione e del T.u.f. che comunque le prevedono, se si fossero considerate le norme di trasparenza, correttezza, diligenza (presenti anch’esse nei due citati testi normativi) e buona fede, le banche avrebbero potuto consigliare meglio i loro clienti? Sarebbe sempre valsa la pena di provare a collocare quei prodotti, rischiando di essere citate in tribunale e rischiando di perdere le cause (come poi in effetti è successo)? Ma anche a prescindere dalle commissioni, che sicuramente in questi prodotti saranno maggiori rispetto ai prodotti a basso rischio, le banche avrebbero potuto offrire e magari

95 vendere altri contratti, più consoni alle aspettative e ambizioni dei clienti, senza rinunciare comunque ad una buona dose di profitto?

96 Conclusioni

Il contesto normativo che oggi disciplina i contratti linked è profondamente mutato con il passare del tempo.

Il legislatore ha preso atto della natura di tali prodotti separandoli nel 2005 dai tradizionali prodotti vita e assoggettandoli alla normativa del T.u.f. e sottoponendo l’attività degli intermediari che ne effettuano la distribuzione all’osservanza dei principi e delle regole dettati dalla normativa in materia di prestazione di servizi di investimento. Si poteva quindi supporre che il contenzioso sarebbe almeno diminuito col passare del tempo, ma dall’analisi dei giudici è emerso come sia nato un problema di qualificazione giuridica dei prodotti linked: in tutti i casi esaminati, la giurisprudenza ha proceduto ad un’ approfondita analisi dei contratti sottoposti al suo giudizio, ravvisando per lo più in essi l’assenza della funzione previdenziale e di risparmio tipicamente perseguibile mediante la schema tipico del contratto di assicurazione sulla vita, e una differenza con le norme del codice civile, pervenendo alla qualificazione delle polizze nei termini tali da poter rendere applicabile alla loro distribuzione la disciplina della prestazione dei servizi di investimento.

Se la normativa ha fatto in modo che i contratti presenti adesso sul mercato prevedano le informazioni più importanti (difatti solo in alcuni casi le sentenze sono andate a sfavore degli emittenti), ancora molto si può fare nell’ambito della distribuzione delle polizze al pubblico.

Le sentenze sopra esposte hanno dimostrato una certa negligenza da parte degli intermediari nell’applicazione della disciplina in materia.

Il nostro ordinamento, oltre alle regole di adeguatezza e di appropriatezza per la distribuzione di prodotti assicurativi e di prodotti linked, prevede dei canoni di comportamento che valgono nella formazione di qualsiasi negozio: diligenza, correttezza, trasparenza, buona fede, che impongono alle parti il rispetto non solo di quanto è previsto dalla legge, ma in aggiunta tutto ciò che questi principi possano comportare per la tutela dell’altra parte.

La correttezza impone il dovere di agire in modo da preservare gli interessi propri e degli altri, la diligenza è quella del buon padre di famiglia e va valutata in riferimento alla natura dell’attività esercitata; dalla diligenza deriva la professionalità, perché l’operatore diligente non può che essere professionale.

97 La nozione di diligenza esclude quella di colpa, intendendo per colpa lo stato d’animo del debitore che sussiste nel caso in cui lo stesso non adempie alla propria obbligazione, violando norme giuridiche o di comune prudenza.

In ambito assicurativo la prudenza richiama norme comportamentali che qualunque assicuratore saggio, zelante e prudente deve osservare nel suo lavoro prima di proporre contratti assicurativi: se tale soggetto osserva queste norme potrà proporre al cliente contratti utili, informandolo sulle caratteristiche del contratto.

Anche se il concetto di trasparenza non rientra tra le nozioni classiche del diritto civile, si tratta di una clausola generale richiamata nelle leggi volte a disciplinare i settori particolarmente complessi e tecnici come quelli bancari, assicurativi e finanziari, che possono comportare una significativa asimmetria informativa tra coloro che distribuiscono i prodotti sul mercato e coloro che li sottoscrivono.

La trasparenza implica chiarezza e completezza nelle informazioni da trasferire a contraenti e assicurati: trattenerne una parte potrebbe infatti essere fuorviante per questi ultimi.

Impresa e intermediari si comportano in modo trasparente quando pongono l’assicurato nelle condizioni di poter apprendere nel miglior modo possibile gli elementi essenziali del contratto; il compito risulta difficile nella misura in cui si devono spiegare e tradurre in termini semplici e comprensibili tutte le clausole contrattuali, tenendo conto delle asimmetrie esistenti tra le due parti; sono le imprese a strutturare i contratti e sono i contraenti a non disporre di conoscenze specifiche del settore.

La soluzione per ridurre tali asimmetrie è la prescrizione di una continua informazione diretta al cliente, volta a metterlo nelle condizioni di capire in maniera chiara e completa il significato dell’atto che compie e di dargli la possibilità di un consenso informato: non è plausibile supporre che l’assicurato possa richiedere qualsiasi informazione che vuole, ma è necessario porlo nelle condizioni di comprendere in maniera esaustiva l’impegno che sta per assumere.

Il dovere dell’assicuratore o del distributore dei prodotti finanziari assicurativi deve essere quello di analizzare con accuratezza la necessità di copertura assicurativa del cliente e la sua propensione al rischio, non quello di collocare qualsiasi prodotto sul mercato.

Si è visto che anche la Suprema Corte si è pronunciata sui problemi attinenti l’asimmetria informativa, sostenendo che l’assicuratore ha il dovere primario di fornire al contraente un’informazione chiara, completa ed esaustiva sul contenuto del contratto,

98 oltre a proporgli innanzitutto polizze realmente utili alle sue esigenze ed evitando di collocare qualsiasi prodotto sul mercato.

Il Supremo Collegio ha definito un sotterfugio il pretendere di adempiere all’obbligo di fornire informazioni precontrattuali aspettando che siano i clienti a chiederle, perché questi possono non possedere le nozioni necessarie per valutare adeguatamente i negozi assicurativi, e di conseguenza possono anche non porre domande pertinenti.

La buona fede di cui si è scritto può risultare in certi casi un concetto astruso: spiegato in termini semplici, e a mio parere condivisibili, è un atteggiamento di cooperazione verso l’altra parte che amplia o restringe gli obblighi assunti dal contratto quando tali obblighi sarebbero in contrasto con un atteggiamento cooperativo.

In conclusione, se si fossero considerate le norme appena citate, ci si può chiedere se nell’ambito della distribuzione dei prodotti linked gli intermediari avrebbero potuto agire in maniera diversa nei confronti dei propri clienti, continuando comunque a perseguire i loro obiettivi in termini di profitto delle operazioni poste in essere.

Rimane un ultimo dubbio per ciò che attiene le regole di comportamento delle imprese di assicurazione che emettono i prodotti linked.

Si è visto infatti che la norma dell’art. 183 cod. ass. si applica a due distinte categorie di soggetti: le imprese assicurative e gli intermediari assicurativi. L’impresa proponente e il soggetto intermediario che vi collabora sono posti sullo stesso piano quando operano nella relazione col cliente.

Questa disposizione ha un risvolto pratico: chi conclude un contratto di assicurazione è tutelato doppiamente, perché sono tenute al rispetto delle regole di condotta sia l’impresa che emette il prodotto, sia l’intermediario che lo colloca sul mercato; inoltre, da un punto di vista delle possibili sanzioni civili, l’art. 183 cod. ass. permette la possibilità di agire in giudizio nei confronti di entrambe le categorie di soggetti, perché le norme di comportamento si applicano cumulativamente, alle imprese e agli intermediari. Questa duplicità di doveri comportamentali si sostanzia in una garanzia maggiore per i contraenti.

Nel contesto dell’intermediazione finanziaria invece l’approccio è diverso. Le norme di comportamento degli intermediari finanziari sono difatti imposte ai soli “soggetti abilitati” menzionati dall’art. 21 TUF, e per “soggetti abilitati” si intendono: le SIM, le imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, le imprese di investimento extracomunitarie, le SGR, le società di gestione armonizzate, le SICAV nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del

99 testo unico bancario e le banche italiane, le banche comunitarie con succursale in Italia e le banche extracomunitarie, autorizzate all’esercizio dei servizi o delle attività di investimento (art. 1, comma 1, lett. r, TUF).

Ricapitolando, nel TUF le norme di comportamento riguardano solo gli intermediari e non gli emittenti; in ambito assicurativo, invece, le regole di condotta sono indirizzate, oltre che agli intermediari, anche alle imprese di assicurazione.

Sembra allora delinearsi un aspetto “sfuggito” alla normativa, ovvero le regole di comportamento per le imprese di assicurazione che emettono i prodotti linked: ci si può chiedere se le stesse debbano seguire la normativa dell’articolo 183 cod. ass. o dell’art. 21 T.u.f. anche se non sono ricomprese tra i soggetti abilitati.

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