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La trasparenza e la buona fede

TRA CODICE CIVILE E NORME DI COMPORTAMENTO DI IMPRESE E INTERMEDIARI ASSICURAT

4.7 La trasparenza e la buona fede

Il concetto di trasparenza non è una nozione classica del diritto civile106: si tratta di una clausola generale che ricorre nelle leggi volte a disciplinare i settori bancario, assicurativo e finanziario, per la loro complessità e il loro tecnicismo, che determinano una significativa asimmetria informativa tra coloro che distribuiscono i prodotti sul mercato e coloro che li sottoscrivono.

La trasparenza implica chiarezza e indica tutti quei comportamenti volti trasferire in modo appropriato le informazioni a contraenti e assicurati; implica anche completezza delle informazioni, dal momento che trattenerne una parte potrebbe essere fuorviante per coloro che stipulano i contratti.

In materia assicurativa, impresa e intermediari si comportano in modo trasparente se pongono l’assicurato nelle condizioni di poter apprendere nel miglior modo possibile gli elementi essenziali del contratto; il compito risulta essere sicuramente più gravoso per l’intermediario, soggetto che mette in contatto chi offre un prodotto e chi è potenzialmente interessato a comprarlo, che ha quindi il compito di spiegare e tradurre in termini semplici e comprensibili il contenuto del contratto.

Le previsioni degli art. 183 cod. ass. e 21 T.uf. sono molto simili per quanto riguarda l’acquisizione di informazioni: entrambi contengono la previsione che, imprese, intermediari e soggetti abilitati devono acquisire le informazioni necessarie dai contraenti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati.

Non si può non riconoscere la presenza di asimmetrie informative nel rapporto contrattuale: in ambito assicurativo le imprese strutturano contratti di vario genere,

106 V. Sangiovanni, Le norme di comportamento di imprese e intermediari assicurativi, 3/02/2010, in

63 mentre i contraenti non dispongono di conoscenze specifiche del settore anche per il fatto che i prodotti collocati hanno natura virtuale107, per i quali i contraenti si trovano in una posizione di debolezza, per la possibile non comprensione delle informazioni ricevute.

La soluzione per ridurre le asimmetrie informative è la prescrizione di un flusso informativo diretto al cliente, volto a metterlo nelle condizioni di capire in maniera chiara e completa il significato dell’atto che compie e di dargli la possibilità di un consenso informato.

Gli artt. 1892 e 1893 c.c., che impongono al cliente di rivelare le informazioni richieste e sanzionano quelle inesatte o reticenti, tutelano in primis l’assicuratore, mentre gli obblighi dell’art. 183 cod. ass. tutelano i contraenti. Si è infatti osservato che in ambito di intermediazione assicurativa la raccolta delle informazioni mira prevalentemente a soddisfare l’interesse del contraente, in modo che l’intermediario possa proporgli un contratto adatto alle sue esigenze.

La diligenza poc’anzi richiamata fa inoltre supporre che l’intermediario possa continuare a raccogliere informazioni dal cliente durante il corso contrattuale, nonostante la legge non preveda espressamente quest’obbligo, in modo da potergli suggerire eventuali modifiche se constatasse che le sue esigenze assicurative e previdenziali sono cambiate.

La Suprema Corte ha affermato in una sua sentenza108, richiamando gli articoli 1175, 1337 e 1375 del codice civile, che l’assicuratore ha il dovere primario di fornire al contraente un’informazione chiara, completa ed esaustiva sul contenuto del contratto, oltre a proporgli innanzitutto polizze realmente utili alle sue esigenze: in questo modo l’impresa o i suoi intermediari si comporterebbero in maniera pienamente corretta, collocando non qualsiasi prodotto sul mercato, magari a discapito degli utenti, ma analizzando la propensione al rischio degli stessi e le loro reali necessità di coperture assicurative e di conseguenza offrendo le polizze più adatte alle loro esigenze.

Se in effetti la buona fede, già nei rapporti inter pares richiede di preservare gli interessi della controparte, a maggior ragione lo stesso principio vale quando una delle due parti

107 Di Amato, Trasparenza delle operazioni e protezione dell’assicurato (artt. 182-187), (inedito), in Le

norme di comportamento di imprese e intermediari assicurativi, di V. Sangiovanni, 3/02/2010, in www.tidona.com.

108 Corte di Cassazione n.8412 del 24 aprile 2015, in D. Pirilli, La buona fede dell’assicuratore al vaglio

64 possiede una maggiore quantità di informazioni e si trova in una posizione di maggior forza contrattuale109.

La Suprema Corte ha continuato affermando che si deve evitare la strumentalizzazione della posizione di forza, una strumentalizzazione che potrebbe violare la lealtà nel trattare, e che impone di chiarire alla controparte la situazione reale delle cose, astenendosi da reticenze fraudolente o passive che possano indurre false determinazioni del volere della controparte.

Anche se le informazioni devono essere dettagliate, si può tuttavia obiettare che l’eccesso di informazioni può essere paradossalmente un ostacolo per un’appropriata comprensione del testo contrattuale, in quanto può contenere clausole alquanto complesse110.

Il legislatore ne è consapevole e ha previsto, al comma 2 dell’art. 185 del codice delle assicurazioni private, la prescrizione della consegna della nota informativa che deve contenere informazioni non pubblicitarie e necessarie affinché l’assicurato possa pervenire a un giudizio fondato sui diritti e sugli obblighi contrattuali.

La buona fede di cui si è appena fatto cenno, è prevista dall’art. 1337 c.c., che impone alle due parti di comportarsi secondo buona fede durante le trattative, informando la controparte sulle circostanze relative all’affare, usando espressioni chiare e intellegibili e non inducendo la controparte a stipulare contratti invalidi, nulli, inutili o dannosi. Anche l’art. 1375 c.c. richiama la buona fede, imponendo alle parti di eseguire il contratto seguendo questo principio. Ciò si traduce, nei contratti di assicurazione sulla vita, a tenere informato il contraente sui costi per la riscossione dei premi e per la gestione della polizza fino al termine del periodo contrattuale.

La buona fede di cui si è scritto può risultare in certi casi un concetto astruso: a tal proposito mi permetto di condividere l’opinione di autorevole fonte111 secondo la quale “la buona fede di cui si tratta è essenzialmente un atteggiamento di cooperazione, rivolto ad adempiere in modo positivo l’aspettativa dell’altra parte” e “ha precisamente la portata che è stata notata dai giuristi tedeschi, o di ampliare gli obblighi letteralmente assunti mediante il contratto o eventualmente di restringere questi obblighi nei casi e

109 D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale nei confronti dei consumatori, (inedito), in Le norme di

comportamento di imprese e intermediari assicurativi, di V. Sangiovanni, 3/02/2010, in www.tidona.com.

110 Sangiovanni Valerio, Le polizze linked come prodotti finanziari e la forma scritta del contratto, in

Contratti, 2012, 5, p. 357.

111 Betti, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, p.65, (inedito) in La buona fede

65 nella misura in cui, farli valere nel loro letterale tenore, contrasterebbe con quel criterio112”.

Il dovere dell’assicuratore o del distributore dei prodotti finanziari – assicurativi, come già scritto sopra, è quello di analizzare con accuratezza e precisione la necessità di copertura assicurativa del cliente e la sua propensione al rischio, non quello di collocare qualsiasi prodotto sul mercato.

E sul piano dell’informativa non è necessario affermare che l’assicurato possa richiedere qualsiasi informazione che vuole, ma è necessario porlo nelle condizioni di comprendere in maniera esaustiva l’impegno che sta per assumere.

Anche qui mi sento in grado di condividere pienamente il pensiero di un altro autorevole autore113 secondo cui “un’informazione adeguata, per quantità e per qualità, è per essa la condizione per il valido esercizio dell’autonomia privata, perché senza un sufficiente intendere non è possibile volere razionalmente; ed è la volontà razionale che il diritto eleva a strumento di rapporti. Occorre dunque che il contraente prima di determinare le proprie scelte e tradurle in regole possa acquisire le informazioni necessarie alla valutazione dell’utilità marginale che dallo scambio ricaverà; è questa infatti nella sua prospettiva la ragione che muove lo scambio, e la ragione che nella prospettiva giuridica ne fonda la rilevanza”.

Richiamando nuovamente la sentenza della Corte di Cassazione di cui sopra, il Supremo Collegio ha definito un sotterfugio il pretendere di adempiere all’obbligo di fornire informazioni precontrattuali dichiarando alla controparte, come è successo nel caso in specie, frasi del tipo: “io non ti do informazioni, però se vuoi puoi chiedermele”; perché il contraente può non possedere le nozioni necessarie per valutare il contratto di assicurazione, e di conseguenza può non porre domande pertinenti il contratto. In questo senso non si può invocare il principio di autoresponsabilità, per il quale ciascuno compie scelte nella logica di perseguire il proprio interesse, perché sarebbe in contrasto con un comportamento dettato da buona fede.

112 Betti, Teoria generale delle obbligazioni, op. cit., p.93, (inedito), in La buona fede dell’assicuratore al

vaglio della Suprema Corte, di D. Pirilli, in “I contratti 11/2016”, p. 1012.

113 Gentili, Carenza e/o eccesso di informazione contrattuale, in Conoscenza e diritto, L’informazione tra

responsabilità e auto responsabilità, atti del convegno del 4-5 ottobre 2002, S.Trada Reggio Calabria, (a

cura di) Tescione-Siclari, Napoli, 2008, p. 68, (inedito), in La buona fede dell’assicuratore al vaglio della

66 4.8 Il richiamo alla buona fede in una sentenza del Tribunale di Gela

A proposito di buona fede nei rapporti contrattuali, a mio parere è importante in questa sede citare una sentenza del Tribunale di Gela114 relativa a una polizza unit linked per la quale il giudice adito ha accolto la domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale formulata dal sottoscrittore, proprio ai sensi dell’art. 1337 c.c.

Entrando brevemente nei termini della questione, il giudice ha inizialmente definito la natura dei prodotti linked come finanziaria, posto che la prestazione a carico dell’impresa di assicurazione è collegata al valore del fondo interno scelto dal sottoscrittore della polizza, fondo che è assimilabile a un fondo comune di investimento, senza che vi sia una garanzia di esito positivo della gestione dei premi investiti.

Proprio per queste caratteristiche il giudice ha individuato i comportamenti in buona fede che avrebbero dovuto tenere le parti nello svolgimento delle trattative per la conclusione del contratto. Anche se la polizza era stata stipulata nel Duemila, in epoca antecedente l’emissione del Codice delle assicurazioni private e all’introduzione nel T.u.f. dell’articolo 25 bis sui prodotti finanziari assicurativi, il giudice ha ritenuto che alla fattispecie andava applicata la disciplina del T.u.f. e del relativo regolamento Consob n. 11522/98, in quanto i contratti linked non potevano considerarsi alla stessa stregua di contratti assicurativi sulla vita, ma piuttosto come una forma di investimento di natura finanziaria.

Lo stesso T.u.f. all’articolo 100 lett. f prevedeva che nel Duemila le disposizioni in materia di sollecitazione all’investimento non si potessero applicare ai prodotti assicurativi emessi dalle imprese di assicurazione.

Il giudice ha osservato che non erano stati rispettati gli articoli 21 e 23 del T.u.f. sull’obbligo di acquisire dai clienti le informazioni necessarie per la loro profilatura e sull’obbligo di tenerli sempre adeguatamente informati: difatti si era dimostrato che nel Duemila il sottoscrittore non avesse una buona esperienza nel settore finanziario e che sotto il profilo dell’adeguatezza della tipologia di investimento lo stesso aveva inteso di stare concludendo un contratto di assicurazione sulla vita, anche a causa della denominazione posta sul modulo utilizzato dalla compagnia che riportava la dicitura “proposta di assicurazione sulla vita”.

Tutte queste omissioni hanno portato il giudice a supporre che il cliente non avrebbe concluso il contratto se avesse conosciuto tutte le caratteristiche, con conseguente

67 emersione di responsabilità precontrattuale in capo alla banca intermediaria, in forza dell’art. 1337 c.c., in quanto la violazione dei doveri di informazione del cliente, in sede di intermediazione finanziaria, nella prestazione dei servizi di investimento può dare luogo a responsabilità precontrattuale qualora queste violazioni si verifichino nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto.

Il giudice estendeva quindi la fattispecie dell’art. 1337 c.c. al contratto, richiamando la pronuncia della Corte di Cassazione n.19024/2005 per la quale, in caso di responsabilità precontrattuale relativa a un contratto valido ma sconveniente, il risarcimento del danno deve essere pari al minor vantaggio o al maggior aggravio economico subìto dalla vittima per il comportamento sleale della controparte: dichiarava quindi che la perdita del capitale investito nella polizza rappresentava un evento del tutto inaspettato che non si sarebbe verificato se il contratto fosse stato invece una tradizionale polizza di assicurazione sulla vita; condannava quindi la banca intermediaria alla restituzione di una somma pari alla differenza tra i premi versati dall’assicurato e il valore che ad esso era stato conferito, pari al valore delle quote del fondo di investimento.

4.9 Le regole alla prova dei fatti: la responsabilità nel collocamento delle linked