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Polizze linked a cui è stata applicata la disciplina dell’intermediazione finanziaria

LE POLIZZE LINKED AL VAGLIO DELLA GIURISPRUDENZA

5.4 Polizze linked a cui è stata applicata la disciplina dell’intermediazione finanziaria

Nel caso sottoposto a giudizio del Tribunale di Rimini139, il cliente di un’impresa di assicurazione, al momento della sottoscrizione di una polizza unit linked nel 2004, aveva scelto di investire i premi esclusivamente in un fondo interno all’impresa, che prevedeva una serie di rischi, tra i quali il rischio di controparte, il rischio che la società emittente non fosse in grado di adempiere alle proprie obbligazioni. La prestazione assicurata non era inoltre coperta da una garanzia di rendimento minimo.

Il giudice sosteneva così che il contratto, la cui componente finanziaria andava ad alterare la sua natura assicurativa, non sarebbe stato in grado di adempiere alla funzione previdenziale tipica delle assicurazioni sulla vita, ovvero garantire una rendita minima a decorrere dall’evento assicurato, perché il rischio di investimento risultava essere trasferito completamente sull’assicurato.

88 Richiamava inoltre la disciplina degli artt. 27 e ss. del regolamento Consob n. 11522 del 1998, che già all’epoca erano ispirati dall’esigenza di porre un rimedio all’asimmetria esistente tra gli intermediari e i risparmiatori, richiedendo un’informativa più puntuale per gli investitori in una fase precontrattuale.

Inoltre non risultavano il contratto quadro ex art. 23 T.u.f. e la conseguente profilatura del cliente.

Sanciva così la restituzione dei premi versati, oltre agli interessi legali.

Il Tribunale di Bologna140 è stato chiamato ad emettere giudizio in una vicenda che vedeva il titolare di un’impresa poi fallita che aveva sottoscritto nel 2004 una polizza vita corrispondendo a una compagnia di assicurazione 20'000 euro.

Il curatore, dichiarato il fallimento della ditta, chiedeva gli venisse restituito tale importo. Il legale della compagnia riteneva la richiesta infondata perché al caso concreto andava applicata la disciplina in materia di assicurazioni sulla vita, quindi anche l’art. 1923 c.c., che rendeva di fatto la somma richiesta non sottoposta ad azioni esecutive o cautelari, mentre la curatela riteneva applicabile la normativa dell’intermediazione finanziaria, quindi di conseguenza l’inefficacia della polizza e la condanna della compagnia alla restituzione del capitale.

La decisione del tribunale appare interessante sotto molteplici aspetti: la corte ha provveduto a una disamina di quegli aspetti che dovrebbero condurre a una corretta valutazione della reale natura giuridica di un contratto unit linked.

Il primo elemento sottoposto a giudizio è stato il rischio, nella misura in cui sia posto a carico dell’assicurato o dell’assicuratore. Nel caso concreto i rischi erano addossati all’assicurato ed erano tali da “comprimere, o addirittura rendere assente la componente assicurativa del contratto”.

Il tribunale giungeva addirittura a un’indicazione operativa all’industria per la strutturazione e la progettazione dei prodotti finanziari assicurativi: occorre prestare attenzione all’allocazione dei rischi presenti nelle polizze, per scongiurare la possibile riqualificazione delle stesse nell’ambito dei prodotti finanziari.

Inoltre, per la corte bolognese, la presenza del rischio demografico non bastava a escludere la componente finanziaria della polizza linked: è un elemento imprescindibile che va assunto dall’assicuratore e la sua mancanza comporta la mancata qualificazione del prodotto come assicurativo.

89 Il Tribunale aveva quindi applicato la normativa vigente prima della Legge Risparmio n. 262/2005, ovvero il T.u.f. e il regolamento Consob n. 11522/98, normativa che sanciva la nullità della polizza, perché la compagnia non aveva rilasciato all’imprenditore un documento che esponesse i rischi di investimento e una scheda sulla sua profilatura.

Nel caso al vaglio del Tribunale di Firenze141, un soggetto aveva investito 60’000 euro in una polizza quadriennale index linked nell’aprile del 2005.

A suo dire la banca che aveva predisposto il collocamento aveva descritto il prodotto come affidabile e sicuro, non l’aveva informato adeguatamente dei rischi connessi e non aveva sottoscritto il contratto di intermediazione mobiliare. Aveva richiesto inoltre l’apertura di un dossier eccependo il carattere apocrifo delle firme apposte alla documentazione prodotta. A seguito di alcune vicende finanziarie relative ai titoli di stato irlandesi non recuperava il capitale versato: chiedeva così che venisse riconosciuta la nullità del contratto.

La banca convenuta, opponendosi alla citazione in giudizio, si dichiarava mera collocatrice del contratto, avendo rispettato tutti gli obblighi gravanti su di essa. Inoltre il contratto di intermediazione finanziaria contestato dalla parte attrice poteva essere contestabile solo dopo l’introduzione della lettera w-bis dell’art. 1 del T.u.f. ad opera del decreto Pinza del 2006 (d. lgs. 303/2006). Quindi la disciplina richiamata non sarebbe potuta essere applicata nel caso in specie; si sarebbe dovuta applicare la disciplina precedente del T.u.f.

Il tribunale si soffermava sull’inquadramento giuridico del contratto in questione: all’epoca della sottoscrizione della proposta la disciplina che regolava i contratti linked era diversa da quella invocata dalla parte attrice: non poteva applicarsi l’art. 25–bis T.u.f. Tuttavia lo stesso T.u.f. sottraeva dalla disciplina sulla sollecitazione all’investimento i prodotti assicurativi emessi dalle imprese di assicurazione: quindi già prima dell’intervento del legislatore si poteva ritenere che l’esclusione di tali prodotti assicurativi si basava sulla natura assicurativa degli stessi.

Esaminando la polizza emergeva chiaramente che, pur essendo strutturata come contratto assicurativo, agganciava le prestazioni a uno strumento finanziario collegato all’emissioni di titoli provenienti da società le cui solidità patrimoniali non erano accertate.

90 Il giudice ha richiamato una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione142 secondo la quale per i contratti di assicurazione sulla vita stipulati prima della legge n. 262/2005, se viene stabilito che le somme corrisposte dall’assicurato vengono investite in fondi di investimento, interni o esterni all’impresa e a scadenza l’assicuratore è tenuto a versare una somma pari al valore delle quote del fondo stesso, il giudice di merito deve interpretare il contratto per stabilire se sia effettivamente un contratto assicurativo o invece un investimento in strumenti finanziari, prescindendo dal nome del contratto stesso.

Anche la Cassazione ha quindi previsto la possibilità che se il contratto si sostanzia in un servizio di investimento la normativa da applicare è quella prevista in materia di intermediazione finanziaria.

Nel caso in specie si sarebbe dovuta applicare la norma dell’art. 23 T.u.f. sulla forma scritta del contratto; la CTU grafologica ha accertato che le firme sul contratto quadro stipulato con la Banca intermediaria fossero apocrife: ne derivava la nullità del contratto quadro e del contratto linked, con conseguente obbligo di restituzione delle somma complessiva ricevuta dalla banca.