2. IL CONTROLLO NELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA LA LEGGE 20/1994 E LA CORTE DEI CONTI NELL’”AMMINISTRAZIONE PER RISULTATI”
2.1 I controlli nella Costituzione repubblicana: profili generali, principio di autonomia e posizione della Corte dei Cont
La Costituzione repubblicana conteneva, nella formulazione originaria, numerose disposizioni relative alla funzione di controllo; in via generale, malgrado il definitivo tramonto dell’assetto liberale e stato-centrico dell’amministrazione italiana e, parallelamente, l’emersione di un nuovo modello ordinamentale fondato sull’autonomia, è opinione consolidata in dottrina che la Carta del 1948 non si ponesse in modo realmente innovativo in merito alla problematica in oggetto, limitandosi ad apportare soltanto alcune modifiche rese necessarie dall’esperienza precedente e riproponendo sostanzialmente ancora schemi e criteri del passato122.
A livello sistematico si potevano distinguere le norme che si occupavano espressamente di controlli sull’amministrazione quali l’art. 100, tutt’ora vigente, relativo alle funzioni della Corte dei Conti e gli artt. 125 e 130, oggi aboliti, concernenti rispettivamente il potere di vigilanza dello Stato sulla Regione e della Regione sugli enti locali; l’ampiezza e l’incisività dei controlli nei confronti degli enti territoriali definivano l’esatta portata e l’effettivo contenuto del principio generale di autonomia ex art. 5 Cost..123
A quest’ultimo proposito, da un lato si riscontrava la necessità di rispettare la sfera giuridica di autodeterminazione politica, normativa ed amministrativa propria dei singoli enti territoriali, dall’altro quello di impedire che determinate attività potessero contrastare o turbare l’ordine giuridico, ossia, in altri termini, ledere il principio di unità della Repubblica sancito nell’espressione “una e indivisibile” 124.
122
Cfr. in tempi relativamente recenti U. ALLEGRETTI, I controlli sull’amministrazione dal sistema classico all’innovazione, in I controlli amministrativi, a cura di U. ALLEGRETTI, Bologna, 1995, 15; in part. 17 e ss. ; G. PASTORI, Amministrazione locale e controlli, in Regione e governo locale, 5-6, 1984, 35.
123 A.M.S
ANDULLI, I controlli sugli enti territoriali nella Costituzione, in Rivista Trimestrale di diritto pubblico, 1972, 575: l’A. rileva, in particolare, come la limitatezza della sfera di autonomia dei Comuni e delle Province fu causata proprio in ragione di una serie di tutele e controlli, retaggio dell’antico modello stato-centrico, che sottoponevano l’efficacia dell’azione amministrativa degli enti locali alla volontà, spesso politica, dello Stato. Correttamente, inoltre, nell’ambito del modello autonomista, si distinguevano le Regioni, in quanto enti costituzionali, dotati di piena autonomia politica e svincolati dallo Stato-amministrazione, come correttamente sottolineato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. 143 del 1968) secondo cui “nel contesto del nostro ordinamento, caratterizzato dalla pluralità dei poteri la Regione si colloca come ente dotato di autonomia politica pur nell’autonomia dello Stato”. Inoltre, aggiungeva, il problema più generale in uno Stato autonomista era quello di evitare di realizzare un sistema di controlli troppo eccessivi e pervasivi e dall’altro impedire che l’apparato del controllo sia ordinato in modo tale da rendere facilmente possibile gli abusi.
124 In dottrina la problematica dei controlli nel nuovo assetto dello Stato democratico fu particolarmente avvertita: si
sottolineano, in particolare F.BENVENUTI, Il controllo mediante richiesta di riesame, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1954, 376; G. GUARINO,Autonomia e controlli, in Giur. Compl. Corte Cass., 1951, XXX, 861; C. ESPOSITO, Autonomie locali e decentramento amministrativo, in Rivista diritto pubblico, 1948, 12; A. AMORTH, Problemi del
La funzione di controllo si inseriva dunque all’interno di queste ultime dinamiche, costituendo strumento di coordinamento e razionalizzazione dell’ordine giuridico, ovvero, in altri termini “un mezzo con cui il nostro ordinamento…attua la coordinazione delle varie attività dei
vari poteri o soggetti dotati di autonomia, onde garantire in uno con la loro validità…la validità dell’intero sistema” (Benvenuti); in termini costituzionali, più specificatamente si osservò come la
sovranità dello Stato democratico, si declinasse ormai in senso plurale: conseguentemente, al fine di assicurare una migliore esternazione delle singole manifestazioni di sovranità, era necessario garantire un efficace equilibrio tra l’autonomia dei singoli enti e l’unità dell’ordinamento125.
L’art. 125 Cost. stabiliva un generale controllo di legittimità sugli atti della Regione, esercitato da un organo dello Stato, rinviando alla legge la definizione, la disciplina delle modalità di esercizio ed i limiti di detta funzione; era previsto, in determinati casi, anche un controllo di merito, al solo fine di promuovere un riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale; l’art. 130 conferiva analoghi poteri di controllo ad un organo della Regione, costituito secondo i modi stabiliti da una legge della Repubblica, nei confronti degli territoriali.126
La formulazione delle disposizioni in esame fu oggetto di particolare dibattito in assemblea costituente; nell’ambito dei vari temi connessi alla riforma regionale, infatti, quello dei controlli risultò essere tra i più delicati e controversi: pur nella generalità degli atteggiamenti critici verso il sistema ereditato dall’esperienza fascista, infatti, le posizioni a riguardo risultarono essere molteplici distinguendosi in due correnti principali.
Si sviluppò, anzitutto, una prima impostazione caratterizzata dall’opposizione ad ogni tipologia di controllo, in quanto lesivo della sfera di autonomia degli enti territoriali, poiché “una
vera autonomia suppone…che si possa fare a meno del controllo esterno, cioè dell’intervento dello Stato Centrale” (Mortati); parallelamente, si registrò una seconda, che, al contrario, mirava a
individuare nuove forme e strumenti di vigilanza nei confronti delle amministrazioni regionali e locali, compatibili con il nuovo assetto delle autonomie: quest’ultima opzione risultava essere, in
controllo sugli enti locali dopo le norme in Costituzione, in Amministrazione italiana, 1950, 1. ORTOLANI, I controlli nell’amministrazioni locali nella costituzione della Repubblica, in Corr. Amm., 1948, 324
125 F.B
ENVENUTI, op. cit., 377. Al contrario, l’A. osservava che in uno Stato autoritario il potere esecutivo al fine di preservare l’unità dell’ordinamento, è titolare di una penetrante possibilità di intervento su atti e attività dei poteri pubblici, con conseguente diminuzione dell’autonomia.
126 Prima dell’abrogazione l’art. 125 Cost. 1° c. disponeva espressamente che “Il controllo di legittimità sugli atti
amministrativi della regione è esercitato, in forma decentrata, da un organo dello Stato, nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica. La legge può, in determinati casi, ammettere il controllo di merito, al solo effetto di promuovere, con richieste motivate, il riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale”. Parallelamente l’art. 130 sanciva che “Un organo della regione, costituito nei modi stabiliti da leggi della Repubblica, esercita, anche in forma decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle province. In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di merito, nella forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la loro deliberazione”.
base ad una lettura obiettiva del fenomeno, maggiormente rispondente ad “un sano principio di
buona amministrazione” (Ambrosini). 127
Pur prevalendo un’impostazione teorica favorevole all’istituzione di un sistema di controlli propri dello Stato nei confronti degli enti autonomi, purtuttavia si registrarono diverse opinioni in merito ai caratteri strutturali e funzionali di esso; segnatamente, circa il parametro, ad esempio, era dubbio se, ed entro quali limiti, fosse opportuna l’estensione della funzione di controllo anche al merito delle scelte operate dagli enti territoriali; viceversa, sul punto, meno problemi pose concettualmente la previsione di un controllo sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi128.
In ordine alla configurazione dell’organo di controllo le posizioni furono particolarmente diversificate: taluni, invero la minoranza, propendevano per perpetuare l’assetto istituzionale quale risultante dalla precedente esperienza incentrando sulle giunte provinciali amministrative e sui prefetti l’esercizio della funzione; secondo altra impostazione, al contrario, era necessaria una giurisdizionalizzazione del controllo affidandolo, cioè, a sezioni di Consiglio di Stato o alla Corte di Cassazione; in terzo luogo, fu avanzata l’opzione di affidare detta funzione ad un organo burocratico costituito ad hoc.
127 Per una ricostruzione recente del dibattito in Assemblea costituente e un’analisi generale dell’articolo 125 L.
VANDELLI, Art. 125 1°c., in Le Regioni, le province i comuni Tomo II Commentario della Costituzione, a cura diG. BRANCA e A.PIZZORUSSO,. Bologna- Roma, 1990, 252 e ss. L’A. sottolinea in particolare la ciclicità, nel dibattito sui controlli, di alcuni temi in ordine alla natura e funzione di essi. Contrario all’ipotesi di un sistema di controlli esterni, C. MORTATI rilevava che “anche l’esame di legittimità degli atti dovrebbe essere affidato in proprio agli enti locali: occorrerebbe cioè ricorrere al controllo interno nell’ambito degli stessi enti, attraverso l’interessamento dei cittadini alla cosa pubblica con mezzi (come per esempio azioni popolari) che diano agli amministratori le possibilità più efficaci di controlli” Res. II Sott.C. 29 luglio 1945, 844 ss. In La Costituzione della Repubblica nei lavori dell’Assemblea Costituente a cura della CAMERA DEI DEPUTATI, Roma In senso parzialmente difforme cfr.E.TOSATO, che distingueva la posizione delle Regioni da quella degli enti locali (ivi, Res. II sott. 11 dicembre 1946, 1502): le prime avrebbero dovuto infatti non essere sottoposte ad un controllo gerarchicamente gestito dallo Stato ma, al contrario, ad organi particolari, partecipati e di composizione mista. Inoltre, sul punto profili particolarmente problematici si registrarono nell’individuazione delle previsioni che avrebbero dovuto essere espressamente contenute in Costituzione rispetto a quelle viceversa da rinviare alla legislazione nazionale.
128 L.V
ANDELLI, op. cit., 1990, 273 e ss. Il controllo di legittimità infatti non presentava alcuna difficoltà in ordine alla sistemazione concettuale atteso che esso si poneva quale giudizio logico di conformità al paradigma normativo cfr. anche, per i lavori BOZZI Res. II Sott. C. 11 dicembre 1946 1500; non mancarono, tuttavia, voci critiche: segnatamente, secondo alcuni autori, avrebbero dovuto essere sottoposti al controllo esclusivamente gli atti più importanti delle Regioni come l’approvazione del bilancio. MALINVERNO, Decentramento ed autonomia locale, in Nuova rassegna 1945, 3. Non si registrò un particolare interesse in ordine alla definizione dell’acquisto di efficacia degli atti e la procedura del controllo. Circa il controllo di merito, portato alle estreme conseguenze in epoca fascista, e criticato duramente da ZANOBINI secondo cui “l’estensione del controllo del merito importa senza dubbio una menomazione dell’istituto dell’autarchia molto più decisiva che non sia quella della nomina governativa degli enti territoriali” in L’amministrazione locale, Padova, 1936, 297. In assemblea costituente, si registrarono opinioni favorevoli alla soppressione (MORTATI e LUSSU) ovvero ad una drastica riduzione di essi (in caso di contrasti con l’interesse nazionale): a quest’ultimo proposito BOZZI suggeriva una sua riduzione ai casi più rilevanti affidandone l’esercizio ad un organo eletto democraticamente. Prevalse la soluzione di configurare il controllo di merito non in termini di rigida approvazione o annullamento ma come semplice richiesta di riesame della deliberazione. Per una ricostruzione del dibattito in ordine al controllo di merito cfr. gli interventi contenuti nella seduta del 12 dicembre 1946 Res. II sott. 1501 e ss. Tendenzialmente favorevole al controllo di legittimità e perplesso nei confronti del controllo di gestione anche A.M.SANDULLI,op. cit., 1972, 578.
Prescelta la soluzione dell’organo appositamente costituto, particolarmente controversa risultava essere la sua composizione; a riguardo vennero prospettate tre distinte ipotesi: esclusivamente statale, di composizione mista statale-regionale, di carattere elettivo129.
Tra i progetti avanzati in Assemblea Costituente merita di essere sottolineato quello che, in virtù del carattere di neutralità propria della funzione di controllo tout court, individuava nella Corte dei Conti l’unico organo preposto alla vigilanza sull’intera attività amministrativa dell’apparato pubblico; ciò coerentemente, peraltro, con il ruolo e le funzioni da essa già svolte nei confronti delle amministrazioni statali, nonché, parimenti, nei confronti delle Regioni a statuto speciale, tra cui in primis, la Sicilia: in altri termini, alla Corte si sarebbe dovuto attribuire “la
duplice veste di organo statale al centro e di organo della regione, sotto la forma di sezioni speciali, in periferia” (Mortati)130.
A livello funzionale, alla Corte, nella sua duplice veste di sezione centrale e sezioni staccate, sarebbe stata riconosciuta dalla Carta una generale funzione di controllo preventivo di legittimità sui singoli atti dell’amministrazione statale e regionale, nonché una vigilanza sulla gestione del bilancio e sulle finanze regionali e locali.
La Corte, si osservava, avrebbe peraltro garantito in modo sicuramente migliore l’oggettivo rispetto della legalità da parte degli enti territoriali rispetto ad un organo burocratico, legato al potere esecutivo centrale, e, dunque, soggetto alla mutevole volontà delle fazioni politiche: nei confronti delle Regioni, in particolare, in quanto enti dotati di autonomia costituzionalmente riconosciuta, sarebbe stato dunque auspicabile affidare il controllo “ad un organo dello Stato
129 L.V
ANDELLI,op. cit. 1990, 263, e ss. “Nessun accordo fu possibile sugli organi di controllo” così AMBROSINI. Alcuni reputarono il criterio elettivo quello maggiormente coerente con il nuovo sistema democratico, oltre che alle esigenze di garanzia dell’autonomia; la proposta fu collegata anche ad una seconda camera rappresentativa Stato- regioni, espressione congiunta delle istanze centrali e regionali. Circa l’articolazione territoriale la formulazione sembrava propendere per l’unicità dell’organo controllante con mere sezioni decentrate per i controlli a livello regionale; purtuttavia parimenti negativa risultava essere l’ipotesi di un unico soggetto centrale.
130 M
ORTATI il quale distingueva, in ordine all’estensione del controllo, tra fondi statali erogati alla Regione e fondi propri. In seno all’Assemblea costituente favorevole a questa impostazione risultava essere il partito liberale. Inoltre, l’ipotesi di un controllo di gestione sul bilancio delle regioni venne proposta sulla base dell’esperienza dello Statuto siciliano; segnatamente l’art. 23 dispone che “Le sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti svolgeranno altresì le funzioni rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei Conti sono nominati di accordo dai Governi dello Stato e della Regione”; analogamente fu altresì suggerito di disporre che la nomina dei membri della Corte dei Conti fosse affidata congiuntamente allo Stato e alla Regione così che “in questa materia la regione avrebbe una certa interferenza ed un potere di controllo sulla nomina dei magistrati che esercitano nel suo seno questa delicata funzione” sic MANNIRONI Res. II sott. C. 1946, 1503. Successivamente, cfr. anche lo Statuto del Friuli per cui ex art. 58 “Il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato in conformità alle leggi dello Stato, che disciplinano le attribuzioni della Corte dei Conti, una delegazione della Corte stessa avente sede nel capoluogo della Regione stessa” ovvero il D.P.R. 16.1.978 n. 21 “Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna concernente il controllo sugli atti della Regione.” Che ex art. 1 conferisce espressamente ad una sezione della Corte dei Conti il controllo di legittimità sugli atti della Regione. E il D.P.R. 15 luglio 1988, n. 305 Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino - Alto Adige per l'istituzione delle sezioni di controllo della Corte dei conti di Trento e di Bolzano e per il personale ad esse addetto.
ordinamento e non ad un organo dello Stato-amministrazione, naturalmente esposto al rischio di essere guidato da chi contingentemente presiede agli indirizzi politici dello Stato” (Sandulli) 131.
La Corte, organo indipendente dal potere legislativo ed esecutivo, si presentava idoneo ad esercitare quel controllo con la necessaria autorevolezza, terzietà e competenze tecniche necessarie; circa il controllo sui bilanci, specificatamente, si aggiungeva la considerazione che, poiché la gestione finanziaria delle Regioni risultava essere partecipata in larga misura dallo Stato, la Corte, in quanto organo dell’ordinamento, avrebbe potuto garantire in modo maggiormente efficace, rispetto ad altro controllore incardinato nell’amministrazione dello Stato, la stabilità complessiva dell’intero assetto finanziario statale e regionale senza ledere la sfera di autonomia riconosciuta.132
Successivamente, abbandonata l’ipotesi della Corte quale unico titolare della funzione di controllo nella Repubblica, con specifico riferimento alle autonomie territoriali, venne altresì suggerito di affiancare organi burocratici governativi a sezioni distaccate della Corte stessa, caratterizzate da neutralità e indipendenza. Ciò al fine di temperare la duplice esigenza di garantire sia una certa unità d’azione politica-amministrativa tra esecutivo ed enti territoriali e, parimenti, assicurare che il controllo venisse svolto in modo imparziale e non strumentale esclusivamente ad esigenze di carattere politico.
Anche quest’ultima soluzione fu tuttavia respinta, preferendo distinguere i due momenti del controllo, quello neutro della Corte (che rimaneva così circoscritto all’amministrazione centrale e agli enti cui lo Stato contribuiva in via ordinaria) e quello esercitato da organi dello Stato-persona nei confronti delle autonomie, finalizzato a garantire non solo uniformità giuridica ma soprattutto, almeno nell’intento dei costituenti, un certo grado di unitarietà politica tra i diversi enti.
In definitiva, dunque, l’art. 100 Cost. e, in particolare, le disposizioni relative alle attribuzioni della Corte dei Conti, si situarono nell’ordinamento in posizione assolutamente diversa rispetto agli artt. 125 e 130, senza connessioni o collegamenti: il sistema dei controlli nell’ordinamento repubblicano venne dunque caratterizzato ab origine da questa summa divisio che, sostanzialmente, impediva di delineare un’organicità del modello complessivo.
Le soluzioni proposte nel corso del dibattito in assemblea costituente circa l’assetto dei controlli nell’ordinamento repubblicano, come visto, furono molteplici: non si pervenne tuttavia ad
131
A.M.SANDULLI, op. cit., 1972, 578. l’A. rilevava come il controllo di legittimità dei prefetti fosse stato utilizzato come strumento di lotta politica, per annullare o non vistare atti legittimi, ovvero, al contrario, per rendere operanti atti illegittimi: conseguentemente “era logico attendersi che, nei confronti delle Regioni,il controllo di legittimità fosse affidato a un organo particolarmente qualificato, capace di esercitarlo in condizione di imparzialità, perché dotato di effettiva indipendenza”. Dello stesso A. La problematica dei controlli, in Contributi italiani al XV congresso Internazionale di scienze amministrative Roma, 1971, 117 e ss. Il quale rilevava che opportunatamente nei confronti delle Regioni a Statuto speciale, il controllo di legittimità è stato affidato alla Corte dei Conti: nei confronti delle altre regioni e degli enti territoriali esso, in quanto affidato a organi dell’esecutivo, le regioni potevano vedere lesa la propria autonomia.
132 M
una piena condivisione delle scelte da parte delle diverse correnti, per cui la formulazione degli articoli specificatamente concernenti la funzione di controllo furono volutamente ambigui ed ampi.
Il testo dell’art. 125 Cost individuava solo in via di principio i caratteri strutturali e funzionali del controllo, demandando alla legislazione successiva la definizione ulteriore; il legislatore, con la nota l. 10.2.1953 n. 62 “Costituzione e funzionamento degli organi regionali”, attribuì l’esercizio dei compiti ex art. 125 Cost. al commissario del governo, individuato in base ad una procedura avviata dal Ministro degli interni, coadiuvato da una struttura composita da tre rappresentanti dell’amministrazione civile dello Stato e uno della Corte dei Conti, uno delle autonomie: la composizione dell’”organo dello Stato” ex art. 125 Cost., secondo un’autorevole lettura critica, rifletteva l’antico rapporto di autarchia in quanto in esso predominavano chiaramente i componenti di derivazione statale.
La previsione costituzionale di “organo dello Stato”, determinò la prevalente interpretazione dell’istituto “anziché come organo di tutela dell’ordinamento complessivo, come organo inteso ad
assicurare l’armonizzazione tra l’ordinamento regionale e l’ordinamento statale, considerato come ordinamento prevalente”(Benvenuti); la stessa Cassazione riconosceva alla commissione la natura
di organo statale in quanto “inserito nell’apparato dell’amministrazione dello Stato e non è
provvisto di…garanzie di indipendenza” (Cass. Sez. un. 28.5.1977 n. 2184).
In senso critico rispetto all’opzione seguita dal legislatore statale autorevole dottrina rilevava che, al fine di configurare un sistema dei controlli compatibile con un ordinamento fondato sul principio di autonomia urgeva, viceversa, una definizione strutturale e funzionale dell’organo di controllo caratterizzata dalla collaborazione tra Stato e Regione133.
A livello funzionale, in particolare, la natura dei controlli, come visto, era di legittimità e merito; tuttavia, se nulla quaestio circa l’astratta previsione di compiti di verifica della conformità del provvedimenti regionali e locali al paradigma normativo (anche se, particolari problemi si ponevano comunque in ordine all’individuazione dell’organo preposto alla funzione di controllo), maggiori perplessità poneva la riconosciuta possibilità, di sindacare anche l’opportunità delle scelte compiute in sede regionale e locale.
A quest’ultimo proposito, esclusa l’ipotesi di caratterizzare il controllo di merito quale condizione di efficacia dell’atto, in quanto eccessivamente lesiva dell’autonomia degli enti
133 F. B
ENVENUTI, I controlli amministrativi dello Stato sulla Regione, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1972, 587 e ss. In particolare 591 il quale criticamente rilevava che “non sia stato riconosciuto nessuno spazio di vera e sostanziale autonomia per l’attività regionale le cui manifestazioni sono tutte sottoposte al controllo di legittimità”. La Cassazione citata è in Giustizia Civile 1977, I, 1529. La Corte, in particolare, osservava che “il controllo sia come