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Gli elementi di crisi del modello “classico” dei controlli Il rapporto Giannini e le linee guida dell’Intosa

2. IL CONTROLLO NELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA LA LEGGE 20/1994 E LA CORTE DEI CONTI NELL’”AMMINISTRAZIONE PER RISULTATI”

2.3 Gli elementi di crisi del modello “classico” dei controlli Il rapporto Giannini e le linee guida dell’Intosa

174 Per una ricostruzione in questo senso cfr. M.C

ARABBA, op. cit., 969; In precedenza G. BERTI, Costituzione e amministrazione, Padova 1994, 335

175 Recentemente, per un’interpretazione della previsione del controllo successivo ex art. 100 Cost. come di un

controllo sulla gestione cfr. CERULLI IRELLI, 426

176 Cfr. a questo proposito la cit. sentenza della Corte Costituzionale 226/1976. Per quanto concerne i profili di garanzia

di legittimità finanziaria cfr. ex multis C. Cost 68/1971 per cui essa è “intesa a garantire l’interesse generale della regolarità della gestione finanziaria e patrimoniale dell’ente evitando tra l'altro il sospetto di compiacenti omissioni o l'affermarsi di pratiche lassiste: in ottemperanza anche al duplice principio della " imparzialità" e del "buon andamento "dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione”; ovvero sulla regolarità contabile degli enti pubblici C. Cost. 63/1975; più specificatamente ex Corte Cost. 114/1975 “Requisito indispensabile del giudizio sul conto é quello della necessarietà in virtù del quale a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprietà dell'ente é consentito sottrarsi a questo fondamentale dovere”

E’ opinione consolidata in dottrina che il sistema complessivo dei controlli rimase sostanzialmente immutato nell’Italia Repubblicana fino agli inizi degli anni novanta: tra questi in

primis, quelli della Corte dei Conti, malgrado una lettura “evolutiva” dell’art. 100 Cost. avrebbe

forse potuto consentire, come visto, soluzioni normative e prassi applicative alternative.

In letteratura si registravano due analisi differenti e complementari: da un lato era avvertita l’esigenza di un radicale mutamento dei caratteri strutturali e funzionali dei controlli, in quanto il modello codificato a livello di legislazione ordinaria non era coerente con l’evoluzione dell’apparato amministrativo, dall’altro, si osservava, i controlli presenti risultavano insufficienti anche in ordine al perseguimento degli stessi scopi per i quali erano stati originariamente istituiti177.

L’accertamento preventivo di legittimità, ancora alla fine degli anni ottanta, costituiva la tipologia di controllo assolutamente prevalente nell’ordinamento: criticamente, già a partire dagli anni sessanta, veniva tuttavia rilevato, che esso, focalizzandosi sui singoli atti, impediva una valutazione complessiva in ordine all’attività amministrativa svolta; in secondo luogo, strettamente connesso con il precedente, in merito al parametro, si osservava che l’accertamento della conformità del singolo provvedimento al dato normativo si traduceva, il più delle volte, in giudizio di carattere meramente formale a cui risultavano estranee considerazioni sull’effettiva realizzazione di interesse pubblico individuate ex lege.178

Particolarmente discussa era altresì la generalizzazione del controllo in oggetto: esso era infatti esteso ad un numero particolarmente elevato di atti. Ciò determinava un duplice effetto apparentemente contraddittorio: anzitutto un eccessivo formalismo e dunque un “appesantimento” generale dell’azione amministrativa sottoposta a verifiche continue; parallelamente la stessa pervasività del modello si configurava assolutamente insufficiente a garantire l’effettivo rispetto della legalità, data “l’impossibilità di esercitare con accuratezza l’esame di un numero così elevato

di atti”179.

177 M. C

ARABBA,op. cit. 1994, 962 , il quale rileva che il modello dei controlli si consolida nel XX° secolo, tra le due guerre e persiste “per forza di inerzia e sopraffazione di vischiosità” dopo la Costituzione fino al d.lgs 29/1993. U. ALLEGRETTI,op. cit. 1995, 36, che definisce gli anni novanta come “quelli della morte e del superamento del sistema classico dei controlli”. F.BATTINI, Il controllo gestionale in Italia, in Rivista trim. dir. pubbl. 1999, 447 e ss. Il quale sottolinea come sia opinione diffusa che una definizione legislativa organica di un modello di controllo gestionale esteso all’intero settore pubblico sia ascrivibile interamente alle riforme dei primi anni novanta e, segnatamente alla legge “Cassese” di riforma dei controlli 20/1994

178

M.S.GIANNINI, Relazione, in Lo sperpero del pubblico denaro, a cura di A.C.JEMOLO L.PICCARDI M.S.GIANNINI

S.BUSCEMA, Milano, 1965, 91 e ss. In particolare 102 e ss. dove si sottolinea criticamente, con particolare riferimento al controllo della Corte dei Conti, l’inutilità dello strumento della registrazione con riserva e , più in generale, come non sia difficile fornire un adeguata dimostrazione documentale della regolarità di un procedimento amministrativo: in definitiva rendano la Corte quale “un controllore cieco”.

179 U.A

LLEGRETTI, op. cit. 26 il quale sottolinea che l’inefficacia degli strumenti di vigilanza preventiva per il rispetto della legalità era già stato oggetto di espressa denuncia in passato (CALAMANDREI Dieci anni dopo, Bari, 1955): mentre oggi essa investe l’intero settore pubblico senza alcuna. Cfr più analiticamente, S.CASSESE op. cit. 1993, il quale quantificava in cento milioni, nel 1990 le operazioni di controllo svolte in Italia e di queste, ben il novanta per cento risultavano essere di legittimità: inoltre una percentuale compresa tra il 3 e il 5 per cento dei dipendenti era impegnata

Alla particolare rilevanza ed estensione del controllo preventivo di legittimità, si associava, l’assenza di modelli di verifica alternativi, incentrati su altri parametri, non normativi, ma, viceversa, economici o aziendalistici, maggiormente consoni a valutare nell’insieme generale l’attività dei pubblici di poteri e, segnatamente degli enti pubblici, in merito alle spese sostenute ed ai risultati prodotti180.

A quest’ultimo proposito il controllo successivo, malgrado fosse previsto in Costituzione ex art. 100 e non fosse precluso dagli artt. 125 e 130, si tradusse, nell’impostazione corrente, anzitutto in una valutazione ex post di legittimità dei singoli provvedimenti amministrativi; in particolare, ad esempio, in relazione alle attribuzione della Corte dei Conti, esso veniva ridotto, nella prassi applicativa, esclusivamente ad un giudizio sul rendiconto e della sua conformità alla legge di bilancio; assolutamente deficitario, inoltre, il controllo sugli enti pubblici, pur introdotto con l. 259/1958.

All’ elaborazione teorica di un nuovo modello ostavano numerosi aspetti problematici per lungo tempo irrisolti: anzitutto, in ragione degli specifici parametri non giuridici alla base del controllo, si rilevava l’inadeguatezza culturale di gran parte del personale degli organi preposti al controllo stesso; in secondo luogo, strutturalmente, i controlli in oggetto necessitavano di una nuova definizione dei criteri di valutazione di performances, idonei a misurare la speditezza e l’efficacia degli interventi dell’amministrazione e la produttività delle strutture pubbliche; in terzo luogo, mentre la verifica di legittimità si traduceva in un giudizio netto di conformità-difformità alla norma, in ordine a questo tipo di controlli, c’era un’oggettiva difficoltà di definire il ruolo ed il “peso” della misura conclusiva delle nuove forme di controllo.181

Altro dato negativo, più generale, era costituito dall’assenza di un disegno omogeneo del sistema di controlli nell’ordinamento repubblicano: la disorganicità comportava, da un lato, la presenza di amministrazioni sottoposte ad un numero eccessivo dei controlli, in cui questi si sovrapponevano e duplicavano, dall’altro, alcuni “vuoti” nel sistema per cui alcuni enti risultavano in controlli. Il dato maggiormente significativo, sul fallimento dei controlli di legittimità è dato dai ricorsi, (nel 1990 pendevano circa ottocentomila ricorsi) mentre la media delle pronunce di accoglimento è superiore al 50%: dunque, i controlli sull’azione amministrativa non assicurano la legalità; a ciò si associano anche due considerazioni: la prima sul l’espansione del debito, e la conseguente inefficienza dei controlli sulla spesa, e il secondo sulla maladministration e sui controlli che non hanno impedito lo svolgersi di gestioni fallimentari.

180 G.D’A

URIA, op. cit. 1993, 233 secondo cui, ancora a metà degli anni novanta, i controlli preventivi di legittimità occupavano un’area particolarmente vasta e avrebbero dovuto essere drasticamente ridotti, mentre i controlli successivi, al contrario, erano scarsi e male organizzati R.PEREZ. Op. cit. 413

181 Per un’individuazione dei problemi in questa triplice direzione cfr. D’A

URIA op. cit. 1993, 220; lA. In particolare, sotto il primo profilo, sottolinea che un primo passo venne contenuto nella previsione della presenza dei revisori di conti negli enti locali; circa il secondo problema, si evidenzia, che, se da un lato vi era stato un incipit per quanto riguarda il giudizio in termini di efficacia ed efficacia, ancora nei primi anni novanta era assente un giudizio value for money; parallelamente, aspetti particolarmente interessanti presentava la relazione annuale al Parlamento della Corte dei Conti: questa si componeva infatti di una parte in cui erano contenuti gli esiti dei riscontri ed una seconda in cui erano presenti giudizi sull’efficienza, efficacia dell’azione amministrativa; infine, circa il rilievo del referto, lo scarso peso era dettato dai “limiti culturali” sia degli organi controllori, sia, congiuntamente, del personale politico cui era indirizzato il referto.

sostanzialmente privi di procedure di verifica; in secondo luogo, si sottolinea, specificatamente, rimaneva insanato il rapporto tra ragionerie e Corte dei Conti per cui, presso le amministrazioni centrali, si rischiava la duplicazione di funzioni con ulteriore irrigidimento della prassi applicativa; ancora fino agli anni novanta rimaneva indefinita la struttura dei controlli interni, priva di una normativa organica.

Le riflessioni in ordine alla profonda crisi del modello dei controlli nell’Italia Repubblicana coinvolgevano naturalmente anche la Corte dei Conti, quale organo cui era costituzionalmente conferita la titolarità di una rilevante funzione di controllo: come correttamente rilevato, infatti essa risultava essere organo “sovrano per il controllo della pubblica amministrazione” soltanto laddove questa operava secondo schemi autoritativi: la sua funzione di vigilanza, così come configurata dalla legislazione, risultava essere assolutamente inadatta nei confronti dei soggetti pubblici operanti a livello imprenditoriale, ovvero, in altri termini, per valutare l’attività delle amministrazioni sotto altro profilo che non fosse quello del giudizio biunivoco in termini di legittimità-illegittimità182.

A quest’ultimo proposito, ancora nei primi anni novanta difettavano, in capo alla Corte dei Conti, poteri necessari per l’esercizio di una completa funzione di verifica sull’attività amministrativa, statale e locale, in termini di efficienza, efficacia ed economicità.

In ordine al controllo preventivo di legittimità, che restava la funzione di controllo principale della Corte, si sottolineava viceversa criticamente l’insufficenza dello strumento del visto con riserva, nell’assetto istituzionale della Repubblica, per garantire la tutela oggettiva dell’ordinamento giuridico: esso era infatti scarsamente considerato in ambito parlamentare e ciò determinava progressivamente il venir meno della funzione e del ruolo “ammonitrice” nei confronti dell’esecutivo, il quale si reggeva sull’appoggio politico dei partiti, il più delle volte raggiunto in sede extra-parlamentare.

A ciò si aggiungeva la considerazione che, paradossalmente, erano sottratti alla vigilanza preventiva della Corte dei Conti atti particolarmente rilevanti quali quelli emanati dai comitati interministeriali e gli atti amministrativi generali di spesa; autorevole dottrina rinveniva nell’assenza di una certa tipologia di controlli inoltre una delle cause della conseguente espansione del debito pubblico.183

182 G. G

UARINO, intervento, in Lo sperpero del pubblico denaro cit.,135

183 G.D’A

URIA, Modelli di controllo nel settore pubblico: organi parametri e misure in I controlli della pubblica amministrazione, a cura di S. CASSESE, Bologna, 1993, 201, e ss. L’A. rileva in particolare che in Costituzione il controllo di legittimità è visto come presidio della legalità nell’amministrazione e non come strumento di vigilanza sulle spese. Tuttavia, si prosegue, la realtà dei fatti si è sviluppata su binari differenti per cui sono sottratti al controllo atti di particolare rilievo quali quelli organizzativi e di spesa dei comitati interministeriali (in materia di sanità, trasporti, occupazione, ausili finanziari): in definitiva l’intera area della programmazione economica e finanziaria, ivi compresa anche quella degli enti pubblici, è sottratta alla vigilanza della Corte che,a ncora ai primi anni novanta, si mostrava

Infine, la crisi del controllo preventivo era data anche dall’elaborazione di prassi alquanto discutibili quali la registrazione parziale e il rilievo a vuoto che contrastavano con la stessa ratio delle verifiche di legittimità.

Alle riflessioni negative sugli aspetti funzionali del controllo, come esercitato dalla Corte dei Conti, si associavano altresì anche quelle relative all’organo in quanto tale; segnatamente, si delineavano profili critici su almeno tre versanti. In primo luogo, si evidenziava la perdurante conflittualità tra posizione istituzionale di indipendenza della Corte e il potere di nomina dei referendari proprio del governo; in secondo luogo, si sottolineava un vero e proprio deficit culturale, in ragione della preparazione eminentemente giuridica dei membri della Corte, che ostacolava, dall’interno, la formazione di una struttura di vigilanza idonea a valutare l’azione amministrativa secondo altri parametri di carattere aziendalistico ed economico; in terzo luogo, permanevano ancora delle ambiguità, specie in ordine alla definizione del rapporto con gli altri organi costituzionali (non solo Parlamento ma anche governo) e con le amministrazioni decentrate e locali.184

In effetti, come correttamente rilevato dal Giannini, le problematiche erano strettamente interconnesse, poiché, ad esempio, la scarsa considerazione del Parlamento rispetto alle relazioni della Corte discendeva anche dall’approccio meramente legalistico delle stesse.

Si aggiungeva inoltre l’assoluta inadeguatezza dei controlli della Corte in ordine alla vigilanza sulla finanza pubblica, ormai caratterizzata da una vera e propria “fuga” dal bilancio statale, determinata dalla moltiplicazione dei centri di spesa, nonché dall’accresciuta complessità delle dinamiche e dei processi di bilancio. 185

dunque incapace di vigilare sui processi di spesa e finanza pubblica. Sulla “fuga” dal controllo preventivo di alcuni importanti atti di spesa cfr. anche R.PEREZ, Il nuovo sistema dei controlli sulla spesa pubblica e il ruolo della Corte dei Conti in Nuovo sistema di controlli sulla spesa pubblica, Atti del Convegno della Banca d’Italia, Perugia 9- 10.6.1994 Roma 1995, 405 e ss. L’autrice evidenzia in particolare, le spese dei funzionari delegati, che sono controllate a campione o consuntivo (che rappresentavano circa il 10% della spesa statale), una seconda concerne i pagamenti tramite ruoli di spesa fissi; una terza, la spesa degli enti pubblici, sia sotto forma di dotazione propria degli enti sia di traferimenti erariali, assolutamente sottratti al controllo della Corte dei Conti: complessivamente la somma arriva la 35% della spesa iscritta in bilancio,; le gestioni fuori bilancio

184 Per un’analisi dei problemi della Corte dei Conti, negli anni settanta, ma le cui riflessioni risultavano essere attuali

fino agli novanta cfr. G.CARBONE A. DE STEFANO,M.S.GIANNINI, Incontro sui problemi della Corte dei Conti in Rivista trimestrale di diritto pubblico 1973, 3 e ss. Tra gli aspetti maggiormente problematici, anzitutto, lo scarso interesse del parlamento nei confronti dell’attività referente della Corte, peraltro motivata, non solo da una scarsa abitudine al controllo del Parlamento ma, anche “alla progressiva insignificanza dell’attività referente della Corte dei Conti” (Carbone), priva di proposte concrete. Circa il rapporto con il Parlamento, si sottolineava, criticamente come esso avvenisse soltanto in due circostanze: quando riferiva del consuntivo e quando svolgeva registrazioni con riserva. Al contrario avrebbe dovuto prevedersi un modello di dialogo costante, più flessibile e meno formalizzato. Inoltre, rilevava Giannini, il dialogo era scarsamente funzionale perché era formalistico (i momenti in cui la Corte dialoga con il Parlamento sono le registrazioni con riserva e il rendiconto) e ritualistico, limitandosi in definitiva, ad osservazioni legalistiche Inoltre Per un’analisi del passaggio tra il vecchio e nuovo modello della Corte cfr. G.CAIANIELLO, La Corte dei Conti fra due culture in Rivista trimestrale di diritto pubblico.

185 R.P

EREZ, op. cit. 412 e ss. Essa sottolinea come la funzione di controllo non possa muoversi in modo totalmente avulso dall’azione amministrativa ma i mutamenti debbano muoversi in modo consequenziale; ex multis l’A. segnala il DPR 145/1981 di riordino dell’Anav che ex art. 22 attribuisce alla Corte un controllo sulla gestione finanziaria e,

L’esigenza di una riforma complessiva dei controlli e, segnatamente, di una ristrutturazione dell’organo di controllo principale dell’ordinamento fu espressa nel fondamentale “Rapporto sui

principali problemi dell’amministrazione dello Stato”, presentato alle Camere il 16.11.1979: in

esso la riforma dei controlli veniva posta in relazione sia con l’insieme dei processi di mutamento dell’intero apparato pubblico, orientati verso i criteri di produttività, sia con una ristrutturazione organizzativa dell’amministrazione statale e locale186.

Segnatamente, dopo aver rilevato il carattere antiquato delle disposizioni costituzionali, si proponeva una revisione per gli articoli 125 e 130 concernenti i controlli sugli enti locali, mentre per la Corte dei Conti, si sottolineava la necessità di una riduzione del numero degli atti sottoposti a controllo preventivo.

Inoltre, a livello funzionale, si suggeriva l’introduzione di nuove forme di controllo, maggiormente semplificate e non relative esclusivamente alla regolarità di singoli provvedimenti ma, parimenti, al buon andamento, alla rispondenza dell’attività ai fini stabiliti dalla legge, e all’efficienza complessiva, determinando una modifica strutturale della funzione, di natura temporale successiva, avente ad oggetto la gestione ed in cui la legalità risultava comunque essere un elemento rilevante, sia pure “funzionalizzata” declinata secondo i nuovi criteri.

Nel Rapporto, si associavano, alla modifica dei controlli della Corte dei Conti, anche quelli della Ragioneria dello Stato, della giurisdizione contabile, e infine un maggior collegamento con i tribunali amministrativi187.

parimenti, una funzione di referto nei confronti del Parlamento “sull’efficienza economica e finanziaria dell’attività svolta dall’Azienda” nonché sulle singole responsabilità; l. 576/1982 istitutiva dell’ISVAP che ex art. 16 conferisce alla Corte poteri di vigilanza sulla gestione finanziaria dell’ente in termini di efficacia ed efficienza; l. 88/1989 di ristrutturazione dell’Inps e l’Inail prevede che detti enti adempiano alle funzioni con criteri di economicità e imprenditorialità e dunque si adeguino a detti criteri anche gli organi di controllo. D.l. 487/1993 l. 71/1994 di trasformazione dell’Ente poste prevede altresì al modifica. L’A sottolinea come ad una lenta evoluzione del sistema, nello specifico settore della vigilanza sugli enti pubblici, contribuirono due fattori: da un lato le accertate difficoltà sorte nell’applicazione del DPR 696/1979, che estendeva agli enti la rigida disciplina del bilancio dello Stato, dall’altro l’introduzione nell’ordinamento di principi nuovi, non strettamente legati alla legalità; si giunse in tal modo all’approvazione di alcune singole disposizioni che consentivano espressamente una valutazione in termini economici dell’azione dei pubblici poteri: ad un’azione amministrativa improntata a criteri privatistici di gestione doveva corrispondere, conseguentemente, un modello di verifiche e riscontri successivi, sull’efficienza generale e complessiva dell’ente

186 Il Rapporto è contenuto nella Rivista trimestrale di diritto pubblico 1982, 722, con introduzione di M.S.G

IANNINI

715

187

E’ particolarmente indicativo che il paragrafo relativo ai controlli fosse inserito all’interno del capitolo intitolato “Riordinamento dell’amministrazione dello Stato”, che segue altre parti di notevole rilievo quali quelle concernenti il l’organizzazione amministrativa, tra cui in particolare, le “tecniche amministrative” e “il personale”. Specificatamente, nell’ ambito del primo settore è inserita un’analisi dei problemi di produttività concepita in un duplice senso: la prima , si riferisce alla produzione di beni e servizi fornita da un singolo lavoratore nell’arco di tempo determinato, la seconda relativa ad indicatori, quali efficacia (rapporto tra risultati ottenuti ed obiettivi stabiliti) ed efficienza (rapporto tra risorse impiegate e risultati raggiunti); a quest’ultimo proposito si evidenzia la difficoltà nel tracciare nettamente i caratteri della produttività e individuare standards uniformi per la misurazione; inoltre si evidenzia che i concetti di efficienza e relativa al singolo ed efficienza relativa alle strutture non sono misurabili. Il capitolo sul riordino della amministrazioni dello Stato include vari paragrafi quali l’aziendalistica dello Stato, raccordi Stato-Regioni, il

Nella relazione al progetto di legge collegato al Rapporto, si distingueva inoltre la posizione degli organi interni di controllo rispetto a quella delle organizzazioni superiori di controllo, tra cui la Corte dei Conti: la disciplina giuridica dei primi, fondati essenzialmente sui principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost, sarebbe stata inclusa nella legge generale sul procedimento amministrativo; le seconde, viceversa, sarebbero state caratterizzate da profili strutturali e funzionali diversi, stabiliti a livello internazionale dall’INTOSAI e a livello europeo dalle disposizioni concernenti la Corte dei Conti europea: in particolare, per queste ultime, l’oggetto principale della vigilanza era costituito dalla “sana gestione” intesa come equilibrio tra costi e risultati ottenuti dell’azione amministrativa con conseguente insufficienza dei modelli organizzativi e culturali preordinati al controllo di legittimità188.

Sulla medesima linea, la relazione della “Commissione parlamentare delle riforme istituzionali” del 1985, in cui il sistema dei controlli era indicato come uno dei punti principali di crisi dell’intero apparato amministrativo; conseguentemente, si proponeva l’abolizione (o riduzione) dei controlli di legittimità e l’espansione di quelli di efficienza al fine di poter valutare l’azione

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