3. IL SISTEMA DEI CONTROLLI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V PARTE II COST
3.3 Le esigenze unitarie nell’ordinamento economico I vincoli europei alla finanza statale: le norme del Trattato, il patto di stabilità e i riflessi nell’ordinamento interno
Il divieto di indebitamento e il principio di sana gestione finanziaria, oltre che un indubbio fondamento costituzionale, hanno avuto un particolare sviluppo e rafforzamento nell’ordinamento
275 Sul carattere sistematico dei commi 3 e 4 dell’art. 81 Cost. cfr. in passato Corte Cost. 66/1959; 31/1961. Sul
principio di equilibrio finanziario come vincolo anche per il legislatore regionale la giurisprudenza è pacifica: Corte Cost. nn.9 e 54/1958; nn. 7, 11, 30, 47, 66/1959; nn. 31 e 32/1961; n.41/1966; n.63/1979; 92/1981, secondo cui “Tale principio costituzionale, infatti, non può essere eluso dal legislatore, addossando ad enti, rientranti nella così detta finanza pubblica allargata, nuove e maggiori spese, senza indicare i mezzi con cui farvi fronte. Il collegamento finanziario tra simili enti e lo Stato è infatti tale da dar luogo ad un unico complesso, come lo stesso legislatore ha riconosciuto con l'art. 27 della legge n.468 del 1978, secondo cui "le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di minori entrate, a carico di bilanci degli enti di cui al precedente art. 25, devono contenere la previsione dell'onere stesso nonché l'indicazione della copertura finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali" ; recentemente Corte Cost. 314/2003. Recentemente anche Corte Cost. 359 31.10.2007 in relazione ad un incremento sul corrispettivo della prestazioni lavorative eccedenti le ore ordinarie da parte della Regione autonoma siciliana.
interno, quali criteri guida generali relativi all’insieme delle amministrazioni pubbliche della Repubblica, anche in ragione dell’introduzione dei vincoli economici di derivazione europea276.
La dottrina ormai distingue tre fasi storiche in base alla diversa gradualità degli impegni economici e finanziari dei singoli Stati nei confronti dell’Unione Europea: inizialmente, a seguito dell’approvazione del Trattato di Maastricht, elemento centrale era costituito dall’obbligo, per gli Stati membri, di mantenere “prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché
bilancia dei pagamenti sostenibile” (art. 4 n.3 trattato Ce); in un secondo momento, attraverso l’adozione del Patto di stabilità nel 1997, vennero introdotte disposizioni di maggior rigore riguardo l’obiettivo del pareggio di bilancio e furono elaborati i principi di “buona gestione finanziaria” nonché di cooperazione tra Commissione ed Stati; infine, a seguito di alcune recenti pronunce della Corte di giustizia e delle difficoltà in relazione al perseguimento degli obiettivi da parte degli esecutivi nazionali, sono state adottate misure maggiormente elastiche per l’attuazione degli obblighi previsti dal Trattato e dal patto di stabilità e previste forme di esonero temporaneo: queste ultime novità hanno così determinato l’avvio di una nuova fase, quella attuale, in cui la disciplina economica europea dovrebbe caratterizzarsi per una maggiore flessibilità nella procedura di adeguamento277.
Al quadro delle regole strictu sensu finanziarie, inoltre, devono essere aggiunti ulteriori principi e disposizioni che compongono la disciplina comunitaria e che, indirettamente, influenzano l’esercizio delle decisioni economiche degli esecutivi nazionali: ad esempio la sostenibilità di politiche economiche, la tutela dell’ambiente e le politiche sociali.
In via generale, la Comunità deve promuovere “una crescita sostenibile non inflazionistica” (ex art. 2 Trattato) e, parallelamente ex art. 4.3, è espresso il principio direttivo fondamentale, per i
276 Per un’analisi generale della problematica, cfr. V.C
ERULLI IRELLI,I vincoli europei e le esigenze di coordinamento della finanza pubblica in www.astrid-online.it, e in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni 2006, 807 e ss. in corso di pubblicazione presso gli atti di del LII° Convegno di Varenna, Milano 2007.
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Per una ricostruzione storica in questi termini cfr. R.PEREZ, Finanza pubblica, in Dizionario diritto pubblico, a cura di S.CASSESE, III, Milano 2006, 2496; segnatamente, secondo l’A. il processo iniziato con la fissazione degli obiettivi del Trattato di Maastricht del 1992 che vincolavano teleologicamente le politiche economiche nazionali, ha condotto progressivamente alla perdita, da parte degli Stati, della sovranità sulla moneta: i governi restano titolari delle decisioni finanziarie ed in tema di bilancio. In effetti lo spatium di discrezionalità degli esecutivi nazionali sarebbe comunque particolarmente ridotto anche in questi settori rispetto al passato in quanto le decisioni sono preordinate anzitutto al mantenimento della stabilità moneta pubblica: cfr. sul punto S.CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, 2004, 197 e ss, Circa la divisione storica sui tre periodi, la Perez osserva in particolare come in effetti, essi esprimerebbero non vincoli cogenti ma, almeno in una prima fase, obiettivi tendenziali: in caso di mancato rispetto, le istituzioni europee, (Commissione e Consiglio dei ministri finanziari) devono altresì valutare il ritmo di avvicinamento dei singoli Stati. Durante la seconda fase i limiti si configurano maggiormente stringenti e sono previsti meccanismi sanzionatori cui la giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce valore ed efficacia giuridica nell’ordinamento. Cfr. sul punto la decisione della Corte di Giustizia 13.7.2004 27/04 sulla controversia sorta in merito alla persistenza di disavanzi eccessivi di Germania e Francia e nota di R.PEREZ, Corte di Giustizia europea e regole fiscali dell’Unione, in Giornale di diritto amministrativo 2004, 1073 e ss. In ordine alla cd. “terza fase” ed alle ragioni che hanno condotto ad una maggiore flessibilità, per un’analisi complessiva cfr. T. PADOA SCHIOPPA Europa forza gentile, Bologna 2001, G. AMATO, La nuova costituzione economica, in Per una nuova costituzione economica, a cura di G.DELLA CANANEA e G NAPOLITANO, Bologna, 1998.
singoli Stati, del perseguimento di “finanze pubbliche e condizioni monetarie sane”; in particolare, nel Trattato istitutivo della Comunità europea, si prevede che gli Stati membri abbiano quale obiettivo il perseguimento di condizioni finanziarie stabili; l’art.121 specificatamente individua, quali indici di una economia sana, la stabilità dei prezzi, la sostenibilità della finanza pubblica in relazione all’assenza di disavanzi eccessivi, il rispetto di normali margini di fluttuazione della moneta, il mantenimento di livelli di tassi di interesse che riflettano la stabilità e la convergenza.
L’individuazione espressa di detti principi, come base per l’impianto istituzionale europeo, ha una propria ratio nel fine di evitare che eventuali situazioni di instabilità possano ripercuotersi sull’assetto delle finanze europee: a questo riguardo è lo stesso Trattato che rende espressamente la definizione di stabilità, come divieto di disavanzi pubblici eccessivi “Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi” (art. 104)278.
Questi principi, inoltre, si traducono direttamente in limiti quantitativi per gli Stati, contenuti nell’art.1 del protocollo allegato al tratto dell’Unione “Protocollo n.20 sulla procedura per i disavanzi eccessivi”; questi sono espressi in termini di rapporto percentuale sia tra il deficit di bilancio e prodotto interno lordo (3%) sia tra il debito pubblico complessivo e il pil stesso (60%)279.
Alla previsione dei limiti ben precisi fissati nel Protocollo si associa altresì anche una particolare procedura di controllo di livello europeo sul rispetto di detti vincoli: detto procedimento, si sviluppa in quattro distinte fasi, la prima avente carattere di accertamento, la seconda e la terza intimatorio, la quarta sanzionatorio; essa prevede il coinvolgimento di Commissione e Consiglio ed è articolato secondo un modello e formalità di carattere contenzioso280.
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In particolare l’art. 121 dispone quel principio secondo cui “la sostenibilità della situazione della finanza pubblica; questa risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non caratterizzata da un disavanzo eccessivo”. Per una visione d’insieme dei principi del Trattato nel settore economico e, in particolare, con riferimento ai disavanzi. cfr. S.CASSESE,op. cit. 2004, 217.
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A livello definitorio, si specifica che mentre il disavanzo pubblico (o deficit) è costituito dalla differenza tra entrate e spese, coperta mediante indebitamento; al contrario, il debito pubblico configura un concetto più ampio, ed è costituito dall’insieme delle passività del settore pubblico. Nel protocollo in particolare si definisce “per disavanzo, si intende l'indebitamento netto quale definito nel Sistema europeo di conti economici integrati; per investimento, si intende la formazione lorda di capitale fisso, quale definita nel Sistema europeo di conti economici integrati; per debito, si intende il debito lordo al valore nominale in essere alla fine dell'esercizio e consolidato tra e nei settori della pubblica amministrazione quale definita nel primo trattino”. Per una ricostruzione delle norme del trattato quale base e fondamento del futuro del patto di stabilità G.DELLA CANANEA, Il patto di stabilità e le finanze pubbliche nazionali, in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, 2001, 559 e ss.
280 Il procedimento sui disavanzi eccessivi è disciplinato dall’art. 104 Trattato e, successivamente, è stato precisato dal
Patto di stabilità. In particolare il procedimento si avvia nel caso in cui sussista un disavanzo eccessivo, o di rischio relativo, da parte di uno Stato membro: la Commissione predispone una relazione, su cui esprime parere il Comitato monetario; il parere è deferito dalla Commissione al Consiglio che ne fa una comunicazione allo Stato stesso: quest’ultimo effettua le sue osservazioni; di tali osservazioni tiene conto il Consiglio stesso nella valutazione sul disavanzo e nella formulazione delle raccomandazioni. Qualora lo Stato non dia seguito alle raccomandazioni, si avvia la seconda fase fondata sulla pubblicazione delle raccomandazioni del Consiglio. Nel caso in cui lo Stato persista nel mantenimento della sua violazione, il Consiglio intima allo Stato di prendere adeguate misure e di presentare un calendario per la definizione delle singole fasi nelle quali ridurre il disavanzo. (terza fase). Nel caso lo Stato non
Il Protocollo contiene altresì l’interpretazione autentica di alcune disposizioni del Trattato; esso, inoltre, ex art. 3 sancisce che “al fine di garantire l'efficacia della procedura per i disavanzi eccessivi, i Governi degli Stati membri, ai sensi della stessa, sono responsabili dei disavanzi della pubblica amministrazione come definita all'articolo 2 primo trattino del presente protocollo” (ossia “ l'amministrazione statale, regionale o locale e i fondi di previdenza sociale, ad esclusione delle operazioni commerciali, quali definiti nel Sistema europeo di conti economici integrati)” 281 .
In altri termini, si esprime a livello generale il principio di responsabilità dei governi centrali nei confronti delle istituzioni europee, in caso di violazione del divieto di disavanzi pubblici eccessivi e dell’obbligo del mantenimento di finanze sane, anche da parte delle autonomie territoriali: a tale responsabilità corrisponde, conseguentemente, la titolarità in capo all’amministrazione statale, di strumenti di controllo, analisi, monitoraggio e, parimenti anche poteri valutativi, di giudizio e sanzionatori, sia pure variamente modulati, nei confronti degli enti sub-statali.
Alle disposizioni contenute nel Trattato e nel Protocollo si è aggiunto il Patto di stabilità. L’esigenza di approvare un effettivo Patto di stabilità e crescita era dettata non soltanto dalla specifica previsione giuridica contenuta nel Trattato di disporre successivamente in merito alle concrete procedure di attuazione dei principi ivi contenuti, ma anche da ragioni di carattere “politico”, ossia la necessità definire in modo più puntuale la fase di passaggio verso una nuova fase dell’Unione economica e monetaria, caratterizzata da un maggiore livello di integreazione: il Patto, adottato il 15 giugno 1997, si compone di una risoluzione del Consiglio (97/C 236/01) e dei regolamenti CE 7 luglio 1997 nn. 1466/97 e 1467/97; complessivamente, esso individua, quale preminente per gli Stati membri, l’obiettivo di “preservare l’equilibrio delle finanze pubbliche”, che costituisce, a sua volta, strumento sia per la stabilità dei prezzi che per una crescita sostenibile, ed individua il fine di un “saldo prossimo al pareggio o positivo”282.
ottemperi interviene il momento strettamente cautelare/sanzionatorio: a quest’ultimo riguardo si prevedono 4 misure; dovere di pubblicazione i informazioni supplementari prima dell’emissione di titoli; invito alla BEI di valutare in modo diverso i finanziamenti allo Stato interessato; obbligo di costituire un deposito infruttifero di importo adeguato fino alla correzione; obbligo di versamento di un’ammenda adeguata. Il Consiglio sul punto ha altresì obblighi di comunicazione del disavanzo al Parlamento europeo.
281 Conseguentemente viene previsto come gli “Stati membri assicurano che le procedure nazionali in materia di
bilancio consentano loro di rispettare gli obblighi derivanti dal trattato in questo settore. Gli Stati membri riferiscono alla Commissione, tempestivamente e regolarmente, in merito al loro disavanzo, previsto ed effettivo, nonché al livello del loro debito”.
282 In particolare, nella risoluzione adottata dal Consiglio, gli Stati membri “impegnano a rispettare l'obiettivo, indicato
nei loro programmi di stabilità o di convergenza, di un saldo di bilancio a medio termine prossimo al pareggio o positivo ed ad adottare le misure correttive del bilancio che ritengono necessarie per conseguire gli obiettivi dei programmi di stabilità o convergenza, ogniqualvolta dispongano di informazioni che indichino un divario significativo, effettivo o presunto rispetto a detti obiettivi”.
A livello procedurale, vengono anzitutto delineati gli specifici obblighi cui sono sottoposti gli Stati, specialmente in ordine alla predisposizione di programmi di stabilità, aventi una durata predeterminata (quinquennale); sono stabiliti termini accelerati per gli adempimenti finanziari; infine si individua con maggiore nettezza una “scala predeterminata” di misure commendatorie e sanzionatorie nei confronti degli Stati inadempimenti.
Il Patto di stabilità europea, come accennato, ha peraltro subito alcune limitati ma significativi mutamenti, non in relazione ai parametri sui disavanzi, ma nel senso di rendere più “elastico” il rispetto degli stessi nonché maggiormente articolate e flessibili le procedure concernenti la loro applicazione; le ragioni di dette modifiche, che hanno determinato l’avvio della cd. “terza fase” nel processo di unificazione economica e monetaria, sono rinvenibili sia nella non soddisfacente attuazione nei singoli Stati della versione originaria sia per le oggettive difficoltà degli organi comunitari nel garantire l’attuazione dei principi.
Segnatamente, la relazione del Consiglio presentata il 20.3.2005, volta a modificare il patto, prevede un maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali, tenuti ad approvare i piani di convergenza pluriennali che possono quindi vincolare anche un esecutivo diverso rispetto a quello iniziale; in secondo luogo è prevista una procedura sanzionatoria più soft in caso di mancato rispetto delle condizioni nonché la possibilità, per lo Stato, di superare i limiti fissati in presenza di tre distinte condizioni: eccezionalità del superamento, temporaneità, e modesta entità del disavanzo; si prevede infine la possibilità di un controllo più vasto ed approfondito sull’attività dei singoli Stati differenziando ad esempio i periodi congiuntura favorevole da quelli viceversa in cui è negativa; è espressamente consentito, infine, adottare i provvedimenti di riforma strutturale laddove questi producano effetti positivi sul lungo periodo283.
Circa il valore giuridico, a livello europeo, da attribuire alle disposizioni contenute nel Patto di stabilità e crescita, la migliore dottrina conferisce ad esso rilievo costituzionale in senso materiale.
Nell’ordinamento nazionale, viceversa, la ricostruzione degli effetti delle norme comunitarie nel settore economico si configura maggiormente problematica284.
A quest’ultimo proposito è indubbio che il Patto incide, a livello costituzionale, sull’operatività dell’art. 81 Cost. e sul relativo principio di equilibrio del bilancio: esso non
283 Per una puntuale analisi del passaggio tra le due distinte fasi del Patto di stabilità cfr. G.D
ELLA CANANEA, Dal Vecchio al nuovo patto di stabilità, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, 221. Successivamente, sul medesimo argomento cfr. R.PEREZ, Il nuovo patto di stabilità e crescita, in Giornale di diritto amministrativo 2005, 777; in particolare in quest’ultimo saggio, si evidenzia la necessità, oltre che di modifiche sul piano normativo, anche di diverse interpretazioni delle disposizioni già presenti: segnatamente acquisisce una rilevanza progressivamente più importante la definizione del debito rispetto al disavanzo, la “personalizzazione”, con riferimento ai singoli Stati, dei parametri sul disavanzo..
284 G.D
costituisce supporto né per la rigorosa tesi dell’obbligo del pareggio di bilancio, né per l’impostazione secondo cui l’art. 81 costituirebbe soltanto un vincolo di ordine procedurale, indirizzato agli organi di governo della politica economica: da un lato infatti, l’ordine giuridico europeo pone infatti non l’obiettivo del pareggio tout court ma, eventualmente consente anche una situazione di disavanzo sostenibile; inoltre essa non coincide neanche con la tesi meramente procedurale giacchè sussistono pur sempre vincoli quantitativi ben precisi che gli Stati sono tenuti a rispettare.
In definitiva, il Patto di stabilità determina che il principio di equilibrio del bilancio ex art. 81 4° c. Cost. si traduca in un criterio guida per gli Stati nell’esercizio della discrezionalità politica, limitata sia in senso negativo (divieto di superare le soglie fissate in ordine ai rapporti disavanzo/Pil e debito /Pil) e positivo, nel senso di un obbligo della progressiva riduzione del disavanzo e, conseguentemente, del debito stesso.
Quali conseguenze dirette del Patto nell’ordinamento nazionale la dottrina ha individuato anzitutto una modifica sostanziale nella scala dei valori costituzionali, in virtù della quale il principio di equilibrio di bilancio prevale (o potrebbe astrattamente prevalere) sulle cd. pretese soggettive del privato espresse nell’insieme dei cd. diritti sociali; in secondo luogo un’influenza sulle scelte concernenti l’impiego delle maggiori risorse derivanti dalle entrate fiscali; in terzo luogo, un mutamento nella dimensione della finanza pubblica, giacchè le valutazioni concernenti il Patto di stabilità sono operate tenendo conto di tutti gli apparati che afferiscono a poteri pubblici(statali, regionali e locali) la cui attività sia cioè preordinata alla realizzazione di interessi riconosciuti come collettivi: è precluso, in base a quest’ultimo rilievo, che possano essere previste nuove forme di attività a carico di enti senza la necessaria copertura finanziaria; infine, quale corollario, poiché il Patto influisce direttamente sulla Costituzione europea e, indirettamente sull’interpretazione di quella italiana, sono conseguentemente modificati i parametri e i criteri di legittimità oggetto del controllo della Corte dei Conti.
Le disposizioni del patto di stabilità limitano indubbiamente dunque la sovranità degli Stati membri in ordine al potere di bilancio, sia per quanto riguarda la determinazione dei saldi, sia indirettamente circa l’effettiva distribuzione delle risorse finanziarie pubbliche.
In ordine agli effetti finanziari della rigidità del bilancio le opinioni sono discordi; la prevalente impostazione giudica favorevolmente l’imposizione di detti vincoli sulle economie nazionali, in quanto preordinati alla formazione (prima) ed al mantenimento (poi) di una moneta unica per i Paesi compresi nell’area Euro: nelle scienze economiche si rileva in particolare che, specialmente in tempi di globalizzazione di capitali e mercati, l’imposizione di vincoli finalizzati alla formazione di una moneta “forte” comune ad un insieme di Stati piuttosto ampio e al
contenimento del debito, determini non la perdita ma il pieno recupero della sovranità stessa per le autorità governative rafforzate dalla coesione economica; inoltre la stabilità pubblica dei bilanci e il contenimento dell’inflazione costituirebbero interesse anzitutto dei ceti popolari circa la conservazione del livello di potere di acquisto del reddito.285
In senso contrario, alcuni autorevoli autori sostengono come, la disciplina economica comunitaria ponga anzitutto problematiche in ordine alla legittimazione democratica degli organi tecnici operanti a livello europeo chiamati alla definizione degli obiettivi e al controllo della loro attuazione; la rigidità delle disposizioni del Trattato e del Patto di stabilità producono, inoltre, secondo questa ricostruzione, effetti opposti rispetto agli obiettivi prefissati, non consentendo l’adeguamento alle diverse esigenze nel tempo286.
Al di là delle valutazioni di merito sugli aspetti tecnici e finalistici del Patto è tuttavia evidente, in definitiva, come esso, congiuntamente ai principi contenuti nel Trattato in materia economica, alle regole stabilite dalla Commissione e dal Consiglio, alle decisioni assunte dalla Corte di Giustizia e agli indirizzi stabiliti in ordine alle risorse finanziarie allocate, produca oggi effetti giuridici nell’intero ordinamento giuridico-economico sia sul versante statale sia su quello dei poteri territoriali.
Sul versante statale, le disposizioni europee hanno determinato l’adozione, nell’ultimo decennio, di politiche di bilancio particolarmente restrittive; in particolare, nelle diverse leggi finanziarie, il legislatore ha operato nel senso di una riduzione progressiva dei titoli di spesa maggiormente significativi sui conti pubblici (previdenza, personale) e di un incremento delle entrate.
Aspetto maggiormente problematico è costituito dall’ individuazione della tipologia e della natura dei condizionamenti diretti della disciplina europea in materia finanziaria sulle regioni e sulle autonomie territoriali: a quest’ultimo proposito, secondo un’efficace ricostruzione, in via generale, sorgono rapporti di carattere trilaterale tra l’ unione europea, che fissa i parametri macroeconomici cui attenersi, lo Stato, che mantiene il potere di determinare volume e composizione di bilanci
285 G. D
ELLA CANANEA, op. cit. 2001, 459.
286 G. G
UARINO, Eurosistema analisi e prospettive, Milano, 2006. Le critiche che l’A. muove all’Eurosistema si sviluppano su due versanti paralleli e al contempo strettamente connessi l’uno all’altro; da un lato la rigidità complessiva del modello che impedisce una strutturazione organica e flessibile dello stesso, dall’altro il deficit di