3. IL SISTEMA DEI CONTROLLI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V PARTE II COST
3.2 L’(inattuato) art 119 Cost.: il nuovo assetto della finanza pubblica nella Repubblica delle autonomie e il cd “federalismo fiscale” in un policentrismo organizzativo.
L’esigenza di controlli esterni nell’ordinamento repubblicano a seguito della l. cost. 3/2001 è particolarmente avvertita nel settore della finanza pubblica; l’art. 119 Cost. riconosce oggi espressamente a tutti gli enti di governo territoriale “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”: in primo luogo non si distingue più, dunque, come nella precedente formulazione del testo, tra le Regioni, da un lato, e Province e Comuni, dall’altro; in secondo luogo, lo spatium di autonomia coinvolge espressamente sia il momento impositivo sia quello di erogazione delle spese, con riferimento all’an, al quomodo ed al quantum262.
261 A.P
OLICE, Il potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle autonomie territoriali, in Atti del 52° Convegno di studi amministrativi Varenna 21,22,23 settembre 2006 , in corso di pubblicazione. Sulla stretta connessione tra il momento del controllo e quello della sostituzione cfr. F.G. SCOCA, Potere sostitutivo ed attività amministrativa di controllo, in Aspetti e problemi dell’esercizio dell’esercizio del potere di sostituzione nei confronti dell’amministrazione locale, Milano, 1981, 25. che rileva espressamente come il controllo e la sostituzione costituiscano “un procedimento finalizzato alla realizzazione di un interesse pubblico che è unitario”.
262
Sul problema dell’autonomia finanziaria come centrale, nel precedente modello istituzionale, cfr. C. MORTATI
Istituzioni di diritto pubblico II, Paodva, 1991, 906. L’A. in particolare, rileva come essa sia “pietra angolare dell’autonomia regionale”. In via generale sull’art. 119 Cost e per uno specifico raffronto con il precedente testo costituzionale F.BASSANINI, Principi e vincoli in materia di finanza regionale e locale nel nuovo art. 119 Cost. in www.astrid-online.it;P. GIARDA,Le regole del federalismo fiscale nell’art. 119: un economista difronte alla nuova Costituzione, in Le Regioni, 2001, 1425 e ss.; T.MARTINES, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2005, 285. Nel modello precedente l’attenzione era rivolta essenzialmente alle Regioni, mentre scarso rilievo assumeva la finanza degli enti locali; in secondo luogo, la centralità normativa del finanziamento era propria della legge statale che determinava forme e limiti della finanza regionale nonché la coordinava con quella di Comuni e Province; in terzo luogo, in assenza di una specifica indicazione della Carta, era dubbio il rilievo da attribuire rispettivamente alla finanza diretta rispetto a quella, largamente dominante, di “trasferimento”; ulteriore aspetto problematico era la definizione della qualitas della potestà legislativa regionale in materia: se meramente attuativa ovvero concorrente. La legislazione ordinaria attuativa dell’art. 119 (a partire dalla legge 281/1970 con successive modifiche l. 158/1990 e 133/1999)
Problema preliminare, ai fini dell’individuazione dei soggetti competenti a disciplinare il sistema delle fonti di entrata, è costituito dall’individuazione della potestà normativa in materia tributaria: a questo proposito, si sottolinea, lo Stato è titolare espressamente della potestà legislativa esclusiva in ordine al “sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse
finanziarie” (art. 117 2° c. lett. e Cost.) e della potestà concorrente (dunque circoscritta alla
determinazione dei principi fondamentali) in relazione all’ “armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica pubblica e del sistema tributario” (art.117 3°c. Cost. ).
L’autonomia impositiva riconosciuta alle autonomie territoriali è particolarmente ampia: in particolare, si sottolinea come esse “stabiliscono ed applicano” tributi propri, secondo la formulazione dell’art. 119 Cost. 2°c.: tale espressione, particolarmente incisiva, sembra legittimare l’interpretazione secondo cui le Regioni possano, pur in assenza di una legge di coordinamento statale, istituire tributi propri, individuandone presupposti, modalità di riscossione, e procedure di prelievo fiscale.
A quest’ultimo proposito la giurisprudenza costituzionale ha però espresso il principio per cui l’attuazione del sistema complessivo di autonomia finanziaria delineato ex art. 119 debba in ogni caso avvenire previa emanazione da parte dello Stato di una legge organica di attuazione; secondo la Corte “non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà
regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale”; in definitiva, ”si deve tuttora ritenere preclusa alle Regioni (se non nei limiti ad esse già espressamente riconosciuti dalla legge statale) la potestà di legiferare sui tributi esistenti, istituiti e regolati da leggi statali”263.
Coerentemente con queste ultime conclusioni, nello studio dell’”Alta Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale” viene evidenziato, in relazione alla potestà regionale, che “si
tratterà tuttavia di un potere che potrà essere limitato, più o meno intensamente, dai principi fondamentali statali relativi al coordinamento”264.
individuò le forme di entrata delle Regioni, tra cui, ad esempio, l’imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio, le tasse sulle concessioni regionali, l’addizionale regionale Irpef, la tassa automobilistica regionale. A parziale modifica del modello intervenne il dlgs 56/2000, con rafforzamento del principio autonomistico, la soppressione dei fondi a destinazione vincolata, una rimodulazione complessiva dell’assetto dei tributi locali.
263 Corte Cost. 37/2004.
264 Per una ricostruzione del fenomeno impositivo nel nuovo ordinamento cfr. A
LTA COMMISSIONE PER LA DEFINIZIONE DEI MECCANISMI STRUTTURALI DEL FEDERALISMO FISCALE, Relazione conclusiva dei lavori in www.astrid-online.it. Segnatamente, nella relazione si sviluppa un’argomentazione favorevole al riconoscimento di un’autonomia maggiore alle regioni in relazione alla possibilità di istituire tributi: essa tuttavia “appare condivisibile se considerata insieme alla riserva dello Stato dei principi fondamentali del coordinamento tributario, cfr. Corte Cost. 533/2002”, che potrebbe limitare lo spatium dell’autonomia ai settori in cui le basi imponibili non siano soggette a tassazione da parte dello Stato. La tesi del coordinamento troverebbe ulteriore conforto nell’equiparazione tra le Regioni stesse e gli enti locali, privi di potestà legislativa.
Malgrado l’equiparazione tra Regioni ed enti locali, il rilievo dell’art. 23 Cost. e del principio di legalità ivi contenuto circa la previsione di prestazioni patrimoniali a carico dei cittadini, implica una riflessione ulteriore circa lo spatium di autonomia riconosciuto a comuni e province giacchè questi sono privi di potestà legislativa: è da ritenere che il tributo proprio dell’ente locale sia espressione di un combinato tra potestà legislativa della Regione (esclusiva ma non assoluta) e potestà regolamentare dell’ente locale; la legislazione statale in materia potrà intervenire soltanto a finalità di coordinamento ex art. 117 Cost: in altri termini, il “mosaico” della normativa nel settore degli enti locali si sviluppa su tre livelli: legislazione statale, legislazione regionale e normazione degli enti locali265.
Il plus dell’autonomia degli enti locali rispetto al precedente ordinamento ha un proprio fondamento soprattutto nell’art. 119 Cost. e nel principio di autonomia ivi contenuto; esso si risolverà nella possibilità di definire con maggiore nettezza gli elementi strutturali dell’imposta. 266
L’art. 119 delinea inoltre il quadro della fiscalità e delle risorse dei singoli enti.
In ordine agli strumenti di finanziamento dell’attività degli enti territoriali, questi sono costituiti, anzitutto, da “tributi ed entrate propri” e, congiuntamente, da “compartecipazioni al
gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio”; a questi si aggiunge un fondo perequativo
istituito con legge dello Stato, per i territori con meno capacità fiscale per abitante: secondo un’interpretazione ormai prevalente in dottrina quest’ultima voce deve avere carattere suppletivo e residuale dovendo gli enti ricorrere prioritariamente alle risorse connesse al proprio territorio.
A fini definitori, il termine “tributo proprio” individua esclusivamente, nel nuovo ordinamento, un tributo istituito con legge regionale ovvero, nel caso sia proprio di Comuni e Province, disciplinato nei suoi caratteri essenziali da regolamenti locali, nel rispetto dei principi di
265 La giurisprudenza costituzionale sottolinea comunque il profondo nesso tra finanza regionale e locale: in particolare
“la stretta connessione, in particolare […] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali” (Corte Cost. 417/2005 e Corte Cost. 196/2004).
266 Per una ricostruzione in questo senso cfr. F.G
ALLO, Il nuovo art.119 della Costituzione e la sua attuazione, in L’attuazione del federalismo fiscale: una proposta, a cura di F.BASSANINI e G.MACCIOTTA, – Astrid Bologna, 2003, 163. Cfr. sul punto anche Corte cost. 37/2004 “Per quanto poi riguarda i tributi locali, si deve aggiungere che, stante la riserva di legge che copre tutto l’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte (art. 23 della Costituzione), e che comporta la necessità di disciplinare a livello legislativo quanto meno gli aspetti fondamentali dell’imposizione, e data l’assenza di poteri legislativi in capo agli enti sub-regionali, dovrà altresì essere definito, da un lato, l’ambito (sempre necessariamente delimitato in forza appunto della riserva di legge) in cui potrà esplicarsi la potestà regolamentare degli enti medesimi; dall’altro lato, il rapporto fra legislazione statale e legislazione regionale per quanto attiene alla disciplina di grado primario dei tributi locali: potendosi in astratto concepire situazioni di disciplina normativa sia a tre livelli (legislativa statale, legislativa regionale, e regolamentare locale), sia a due soli livelli (statale e locale, ovvero regionale e locale). Da ciò consegue che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, poiché non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale, si deve tuttora ritenere preclusa alle Regioni (se non nei limiti ad esse già espressamente riconosciuti dalla legge statale) la potestà di legiferare sui tributi esistenti, istituiti e regolati da leggi statali (cfr. ancora sentenze n. 296 del 2003 e 297 del 2003); e per converso si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative, anche nel dettaglio, della disciplina dei tributi locali esistenti”.
coordinamento della finanza pubblica stabiliti a livello statale: il criterio è quindi quello della disciplina e non della destinazione del gettito.267
Le “compartecipazioni al gettito” costituiscono un elemento complementare del precedente: pur essendo “ancorate” ad un imposizione fiscale dello Stato, tuttavia sono strettamente connesse, per esplicita previsione, al territorio di riferimento.
Tale modalità di finanziamento può concretamente avvenire in base (almeno) a due differenti procedure individuate in dottrina; secondo una prima impostazione i fondi affluirebbero direttamente, in riferimento ad indici prestabiliti, alle Regioni ove i redditi sono stati prodotti; altra corrente reputa preferibile che, quantificato il gettito complessivo nazionale della singola imposta, questo debba essere poi ripartito in una fase successiva su base regionale e, conseguentemente assegnata, in ragione dell’aliquota di compartecipazione, ai singoli enti; alquanto problematico, sul punto è infine la ricostruzione del concetto di riferibilità al territorio: essa può coincidere con il gettito riscosso, o a quello prodotto nel territorio dal momento della non coincidenza tra i due fattori.268
Alle due voci si aggiunge il “fondo perequativo”, senza vincoli di destinazione, disciplinato a livello statale: il criterio orientativo, al fine di individuare gli enti beneficiari di detta è quello della “minore capacità fiscale per abitante”; l’art. 119 non specifica né le modalità di finanziamento di detto fondo né se detta perequazione debba essere finalizzata all’eliminazione, ovvero alla riduzione delle differenze tra i distinti livelli di governo: la dottrina reputa preferibile quest’ultima opzione in quanto maggiormente coerente con l’impianto del nuovo titolo V, improntato a criteri di sussidiarietà e differenziazione269.
I tributi propri, le compartecipazioni ed il fondo perequativo devono finanziare “integralmente” le funzioni attribuite all’ente locale di riferimento; la Costituzione non distingue dunque tra funzioni fondamentali attribuite ex lege statale e livelli essenziali da un lato, e l’insieme
267 Cfr anche Corte Cost. 37/2004 secondo cui possono definirsi a pieno titolo "propri" delle Regioni o degli enti locali
(cfr. sentenze n. 296 del 2003 e 297 del 2003), i tributi che siano frutto di una loro autonoma potestà impositiva, e quindi possano essere disciplinati dalle leggi regionali o dai regolamenti locali, nel rispetto solo di principi di coordinamento, oggi comunque assenti perché "incorporati", per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato. In questo senso cfr. Corte Cost. 296/2003; il vecchio ordinamento prevedeva invece tributi propri quali quelli attribuiti con leggi statali alle Regioni. A livello sistematico è possibile quindi individuare nel nuovo ordinamento finanziario cinque diverse modalità di imposizioni fiscali: tributi istituiti dalla legge statale e il cui gettito rimane allo Stato (erariali in senso stretto); tributi istituti con legge statale, il cui gettito è devoluto agli enti substatali e che sono rimessi, per alcuni limitati profili (sovrimposte e compartecipazione addizionali) all’autonomia regionale e locale; tributi istituti con legge statale e rimessi all’autonomia regionale e locale che può attivarli o meno; tributi istituiti e stabiliti da legge regionale; tributi istituiti con legge regionale ma rimessi all’autonomia locale , che dovrebbe disporre di ampi margini dell’autonomia locale.
268 P. G
IARDA, op. cit. 2001, 1435 distingue tra vecchio testo che espressamente definiva “quote tributi erariali” e che aveva una portata maggiormente ampia rispetto al nuovo testo. Sul punto anche F.GALLO. op. cit., 177.
269
Per uno sviluppo generale del problema A.BRANCASI, Uguaglianze disuguaglianze nell’assetto finanziario di una Repubblica federale, in Studi in onore di G. Berti, I, Napoli, 2005, 375.
delle altre funzioni dall’altro: la totalità delle funzioni in oggetto deve avere una completa copertura dalle singole voci di entrata come definite ex art. 119 Cost.
La fisionomia delle entrate di ciascun ente del governo territoriale si pone quindi tendenzialmente in modo autonomo rispetto agli altri.
La Corte Costituzionale sul punto, è stata particolarmente precisa nell’indicare un esplicito divieto per lo Stato di comprimere l’autonomia finanziaria “sopprimendo, semplicemente senza
sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore alle Regioni ed agli enti locali” ovvero predisponendo ”un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119” 270 .
Più recentemente è stato in ogni caso specificato dalla giurisprudenza costituzionale, come non possa considerarsi precluso tout court l’intervento statale in ordine alla disciplina dei tributi partecipati, giacchè “nell’attivazione della leva fiscale, non può reputarsi che ogni intervento,
modificativo di un tributo il quale, in ragione di siffatta modificazione, comporti un minor gettito per le Regioni, debba «essere accompagnato da misure compensative per la finanza regionale, la quale – diversamente – verrebbe ad essere depauperata” (Corte Cost. 155/2006 e n. 431/2004);
unico limite è costituito dall’ipotesi in cui tali modificazioni “siano tali da comportare uno
squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei quali la Regione stessa dispone per l’adempimento dei propri compiti” 271.
L’orientamento in oggetto, che garantisce la possibilità per lo Stato di intervento unilaterale nella sfera finanziaria locale, è stato particolarmente criticato in dottrina in quanto lesivo dell’autonomia degli enti in assenza sia di adeguati strumenti partecipativi durante il procedimento della decisione statale sia di adeguati strumenti compensativi .272
270
Corte Cost. 26.1.2004 n. 37; la Corte dopo avere rilevato come “L’attuazione di questo disegno costituzionale richiede però come necessaria premessa l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali “ sottolinea che “ … oggi non si danno ancora, se non in limiti ristrettissimi, tributi che possano definirsi a pieno titolo "propri" delle Regioni o degli enti locali (cfr. sentenze n. 296 del 2003 e 297 del 2003), nel senso che essi siano frutto di una loro autonoma potestà impositiva, e quindi possano essere disciplinati dalle leggi regionali o dai regolamenti locali, nel rispetto solo di principi di coordinamento, oggi assenti perché "incorporati", per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato” sulla pronuncia in oggetto”. La Corte auspica altresì una normativa di principi contenuti nella legge di coordinamento dello Stato. Sulla sentenza cfr. M.BARBERO, Dalla Corte costituzionale un vademecum per l’attuazione dell’art. 119 Cost., in www.federalismi.it.
271
Prosegue la Corte costituzionale “Ciò in quanto – come precisato dalla sentenza appena richiamata – deve escludersi che possa «essere effettuata una atomistica considerazione di isolate disposizioni modificative del tributo, senza considerare nel suo complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni, contenute nella stessa legge finanziaria oggetto di impugnazione principale o in altre leggi, il gettito complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni»”
272
Specificatamente, sulla sentenza 155/2006 cfr. A. BRANCASI, I due scrutini sul funzionamento dinamico del federalismo fiscale: autonomia finanziaria ed obbligo di copertura degli oneri posti a carico di altri enti nel settore
L’autonomia impositiva, che si coniuga con il principio del finanziamento delle funzioni amministrative in via prioritaria attraverso gli strumenti della fiscalità territoriale, è strettamente connessa con quella di spesa: agli enti del governo territoriale viene riconosciuto il potere di disporre delle proprie entrate e, più in generale, delle proprie risorse, secondo i propri indirizzi politici ed in base alle diverse necessità emergenti dal territorio ed espresse nei bilanci di previsione, annuale e pluriennale.
In via generale, le disposizioni in tema di autonomia di spesa presenti in Costituzione, secondo l’interpretazione resa nella giurisprudenza costituzionale, hanno natura immediatamente precettiva a differenza di quelle sull’autonomia fiscale, giacchè, come specificato “fin d’ora lo Stato
può e deve agire in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole”.
La Costituzione sul punto pone in ogni caso, un divieto particolarmente incisivo a carico degli enti locali, ossia quello dell’indebitamento, se non per finanziare spese di investimento; viene codificata, in altri termini, la cd. golden rule per cui debiti in bilancio sono ammessi esclusivamente qualora essi siano finalizzati alla realizzazione di utili futuri: in ogni caso, lo Stato non è soggetto alla garanzia per eventuali indebitamenti di spesa da parte delle autonomie locali.
L’autonomia di spesa, a rigore, non subisce altre limitazioni nel nuovo testo costituzionale. Coerentemente con tale impostazione, la giurisprudenza costituzionale giudica non compatibili con il modello di ordinamento del titolo V i fondi “vincolati”, ovvero quei finanziamenti di derivazione statale e destinati a determinati settori secondo specifiche indicazioni del governo statale: la Corte, dopo aver precisato come le funzioni amministrative debbano essere integralmente finanziate con gli strumenti di cui all’art. 119 2° c. Cost, ha, fin dalle prime pronunce dopo la l. cost. 3/2001, chiaramente affermato che è “contraria alla disciplina costituzionale vigente
la configurazione di un fondo settoriale di finanziamento gestito dallo Stato, che viola in modo palese l' autonomia finanziaria sia di entrata che di spesa delle regioni e degli enti locali e mantiene allo Stato alcuni poteri discrezionali nella materia cui si riferisce”.( Corte Cost.
370/2003).
La Corte ha individuato in pronunce successive un residuo spazio per la finanza derivata esclusivamente in due distinti settori : “nell’attuazione di discipline dettate dalla legge statale nelle
materie di propria competenza, o della disciplina degli speciali interventi finanziari in favore di determinati Comuni, ai sensi del nuovo articolo 119, quinto comma”. (Corte Cost. 16/2004 e
49/2004): tali argomentazioni non valgono certo a ridurre il principio di “tipicità” delle entrate degli enti locali oggi chiaramente espresso nell’art. 119, come pure taluni autori hanno sostenuto, ma
pubblico, in Giurisprudenza costituzionale, 2006, 1425; l’A. in particolare sottolinea il rilievo dello scrutinio in ordine alla “copertura finanziaria” e alla sufficienza di risorse sulle decisioni contenute nella legge statale.
soltanto a circoscrivere con maggiore nettezza gli ambiti di operatività dell’intervento statale limitati a particolari settori, sia pure di notevole rilievo.273
In definitiva, sul punto, l’erogazione diretta di fondi dall’amministrazione centrale statale agli enti territoriali, per finalità specifiche individuate ex ante, non costituisce lesione di autonomia ma soltanto strumento necessario per la realizzazione funzionale e strutturale di alcuni obiettivi che la Costituzione pone in capo allo Stato.
Il sistema di finanza pubblica si configura oggi dunque caratterizzato dal riconoscimento di una profonda autonomia dei singoli enti: il modello di finanza derivata risulta essere chiaramente recessivo rispetto a quello fondato sulla compartecipazione dei tributi erariali ovvero, in prospettiva futura, ad un modello di finanza propria; segnatamente, il principio di autofinanziamento delle funzioni amministrative costituisce la logica conseguenza del parallelismo tra responsabilità del finanziamento e responsabilità della disciplina, oggi riconosciuto dalla Corte costituzionale quale asse portante nel nuovo Titolo V274.
La definizione del sistema tributario degli enti locali è ancor più rilevante se si considera come l’art. 119 debba coniugarsi con i principi innovativi contenuti nel complessivo Tit. V parte II