FATTO E AL PERCORSO (ANCORA) DA FARE
3. Corte e Carte
Il ruolo della Corte europea di Strasburgo si è fatto sempre più incalzante fino a poter incidere sui diversi ordinamenti nazionali e sulle garanzie domestiche239 attraverso un‟operazione di ampliamento e mai mediante una compressione dello spettro di tutele da essi apprestate «limitandole o pregiudicandole» (art. 53 CEDU)»240.
238 D. Carcano, Le due corti e il “giusto processo”, in AA.VV., Il giusto processo tra
contraddittorio e diritto al silenzio, cit., p. 448; D. Liakopoulos, op. citata, p. 105.
239
Si riportano di seguito le prime righe con cui il Presidente della Corte introduce uno dei più recenti volumi collettanei sui rapporti tra la Corte di Strasburgo e l‟ordinamento italiano: «Il tempo di crisi che viviamo oramai da diversi anni ha determinato le premesse perché le istituzioni europee, alle quali a torto o a ragione vengono attribuite nel comune sentire responsabilità di peggioramento delle nostre condizioni di vita, debbano affrontare una perdita di consenso. Ormai ciò avviene anche in quelle parti del continente, come il nostro Paese, la cui opinione pubblica aveva fin qui sempre sostenuto con sincera partecipazione il progetto europeo. La Corte europea dei diritti dell‟uomo non fa eccezione. In un momento nel quale inevitabili timori per il futuro si accompagnano alla percezione della messa in discussione, che è reale, del modello europeo di stato sociale, anche la Corte, con la sua immagine di protettrice di soggetti che, specie in un momento di penuria di risorse, rischiano di essere percepiti come “nemici”, come i detenuti, gli imputati nei processi penali, i migranti clandestini, eccetera, si trova a doversi confrontare con polemiche e sentimenti negativi sia a livello di opinioni pubbliche sia a livello di alcuni governi». Cfr. Così D. Galliani, E‟ più facile perdonare un nemico che un amico, in I diritti umani in una
prospettiva europea. Opinioni concorrenti e dissenzienti (2011-2015), P.P. De Albuquerque - (a
cura di) D. Galliani, Giappichelli, Torino, 2016, p. 25. V. anche G. Raimondi, Presentazione, in La
Convenzione europea dei diritti dell‟uomo e l‟ordinamento italiano. Problematiche attuali e prospettive per il futuro, (a cura di) S. Sonelli, Giappichelli, Torino, 2015, p. VII.
240 V. Manes, La lunga marcia della Convenzione europea ed i “nuovi” vincoli per l‟ordinamento
(e per il giudice) penale italiano, in AA.VV., La Convenzione europea dei diritti dell‟uomo nell‟ordinamento penale italiano, (a cura di) V. Manes – V. Zagrebelsky, Giuffrè, Milano,
2011.cit., p. 11. Si consideri che la diastasi tra l‟ordinamento convenzionale e lo statuto costituzionale domestico è confermata dal fatto che l‟Italia ha registrato le prime condanne anche sul terreno della legalità penale (art. 7 CEDU).
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
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Fino alla metà degli anni „70 la Corte europea era considerata un giudice “ad intermittenza”, capace di intervenire solo sporadicamente. Il primo caso portato davanti ad essa (Lawless c. Irlanda) mise subito in evidenza il ruolo che la stessa stava ricoprendo all‟interno del panorama europeo. La questione esulava per certi aspetti dalle dinamiche del procedimento penale e riguardava un ricorrente che lamentava di essere stato recluso in un campo di detenzione militare sulla base non di una condanna giudiziaria resa in sede penale ma di un‟ordinanza emessa da un‟autorità governativa, intervenuta per garantire la sicurezza dello Stato.
Con questa sentenza si è voluto consacrare il principio in base al quale una misura privativa della libertà poteva giustificarsi solo se lo scopo della misura stessa fosse stato quello di portare rapidamente il soggetto di fronte ad un giudice che potesse valutare la concretezza del pericolo241 di commissione di uno o più reati specifici. Non si potrebbe infatti ammettere in alcun modo che una persona, sol perché «sospettata di avere intenzione di commettere un reato» possa essere arrestata e di conseguenza detenuta sulla base di una mera decisione amministrativa per un periodo di tempo illimitato242.
Quindi, a differenza del passato - quando si sosteneva che la giurisprudenza della Corte EDU fosse da collocarsi in secondo piano (spesse volte degradata a semplice déjà vu) e che le decisioni della Corte e l‟applicazione della Convenzione avessero una portata poco incisiva243 - tale organo (soprattutto negli ultimi anni) è andato sempre più a ricoprire ruoli di assoluto rilievo.
241 Si è dubitato della legittimità costituzionale dell‟art. 1 c. 3 l. 22.5.1975 n. 152, nella parte in cui
prevede, ai fini della concessione della libertà provvisoria, di valutare che «non sussista la probabilità, in relazione alla gravità del reato ed alla personalità dell‟imputato, che questi, lasciato libero, possa nuovamente commettere reati che pongano in pericolo le esigenze di tutela della collettività». Generalmente i giudici italiani sono soliti dare rilievo ai precedenti giudiziari per formulare una prognosi di tipo negativo. Così E. Marzaduri, Presunzione d‟innocenza e tutela
della libertà personale dell‟imputato, cit., p. 171.
242
M. Chiavario, La “lunga marcia” dei diritti dell‟uomo nel processo penale, in AA.VV., (a cura di) A. Balsamo, R. E. Kostoris, Giappichelli, cit., p. 11.
243 V. Manes, La lunga marcia della Convenzione europea ed i “nuovi” vincoli per l‟ordinamento
(e per il giudice) penale italiano, in AA.VV., La Convenzione europea dei diritti dell‟uomo nell‟ordinamento penale italiano, cit., p. 12. Le pronunce con cui la Corte di Strasburgo ha
riconosciuto o negato la lesione di un diritto fondamentale che veniva lamentata dal singolo cittadino di uno dei Paesi aderenti al Consiglio d‟Europa, sono risultate poco o nulla incisive, essendo solo suscettibili al massimo di condurre ad un equo indennizzo. Infatti, si poteva intervenire sanzionando la “responsabilità politica” per la violazione accertata in capo allo Stato, ma non c‟erano possibilità di riparazione in merito all‟avvenuta violazione del diritto individuale mediante un ripristino o una restitutio ad integrum della situazione lesa (tranne qualche soluzione “di fortuna” escogitata dalla Cassazione).
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A ciò hanno contribuito soprattutto le pronunce nn. 348 e 349/2007244 della Corte Costituzionale con cui si è attribuita alla Convenzione e alla giurisprudenza della Corte EDU un‟importante collocazione all‟interno dell‟ordinamento italiano andando così ad aprire al catalogo dei diritti e delle libertà di stampo europeo un varco di accesso molto più ampio di quello che poteva essere concesso mediante un semplice inglobamento ab intrinseco concesso dalla clausola aperta dell‟art. 2 Cost245.
Per capire appieno gli stretti legami che tengono uniti (come fossero tasselli di un puzzle) l‟Italia con il sistema sovranazionale, si deve partire da un‟ovvia ma imprescindibile considerazione. Si tenga conto, innanzitutto, che la Convenzione Europea dei diritti dell‟uomo246
è stata firmata a Roma il 4 novembre 1950 e che è stata ratificata dall‟Italia cinque anni più tardi247
. Se è vero che tra tale
244 Si tratta di due sentenze cc.dd. “gemelle” con cui la Corte riconosce la posizione mediana
assunta dalle norme della Convenzione. Queste si collocano nel mezzo tra le norme ordinarie e quelle costituzionali. Sul punto cfr. C. Salazar – A. Spadaro (a cura di), Riflessi sulle sentenze 348-
349/2007 della Corte Costituzionale, Milano, 2009, p. 264; A. Ruggeri, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e prospettiva assiologico-sostanziale d‟inquadramento sistematico (a prima lettura di Corte Cost. nn. 348 e 349 del 2007), in ID., Itinerari” di una ricerca sul sistema delle fonti. Studi dell‟anno 2007, Torino, 2008, XI, p. 493 ss.
245
P. Cendon, Trattato dei nuovi danni, Cedam, 2011, p. 23. Il vero punctum pruriens è quello inerente la necessità di verificare il riconoscimento dell‟esistenza dei diritti inviolabili al di là del testo costituzionale. Così procedendo, l‟interprete va ad imbattersi da un lato nell‟art. 2 Cost. (in cui si riconoscono i diritti inviolabili dell‟uomo) e dall‟altro nelle norme successive che ascrivono il connotato di inviolabilità ad alcuni diritti in materia di libertà personale (art. 13 Cost.), libertà di domicilio (art. 14 Cost.), libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.) e di diritto di difesa giurisdizionale (art. 24 Cost.) in un dettagliato Bill of Rights. Da qui emerge il tanto discusso interrogativo se l‟art. 2 Cost. debba intendersi come clausula riassuntiva dei diritti successivamente enumerati nel testo costituzionale o come una «clausula aperta» che ammette implicitamente il riconoscimento dei diritti non scritti ovvero, per usare i termini di un illustre costituzionalista Barile «l‟art. 2 Cost, esaurisce la sua forza e potenzialità con il semplice richiamo ai diritti dell‟uomo espressamente previsti in Costituzione oppure deve essere inteso alla stregua di una clausula aperta riferibile ad ogni situazione di libertà pur non essendo comunque compresa nel catalogo del Bill of Rights, come se essa fosse quindi una norma di produzione giuridica?»
246 I diritti e le libertà contenuti nel documento riguardano: il diritto alla vita, il divieto alla tortura,
il divieto della schiavitù e dei lavori forzati, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a un equo processo, il principio del nullum crimen sine lege, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione, di riunione e associazione, il diritto di sposarsi, il diritto a un ricorso effettivo, il divieto di discriminazione, il divieto di abuso di diritti. Nel Preambolo della Convenzione si legge che gli Stati firmatari vogliono riaffermare «il loro profondo attaccamento a queste libertà fondamentali che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo e il cui mantenimento si fonda essenzialmente, da una parte, su un regime politico veramente democratico e, dall‟altra, su una concezione comune e un comune rispetto dei diritti dell‟uomo a cui essi si appellano». Cfr. A. Sirotti Gaudenzi, I ricorsi alla Corte Europea dei diritti dell‟uomo. Formulario e giurisprudenza, Maggioli, 2015, p. 34-35.
247 Ibidem. La Convenzione è stata ratificata dai 47 Paesi aderenti al Consiglio d‟Europa e si
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Convenzione e la nostra Costituzione vi è senza dubbio larga consonanza248 (dovuta anche al fatto che sono testi quasi coevi), è comunque ormai tramontata la convinzione – spesse volte diffusa tra i penalisti – che la nostra Carta sia portatrice di maggiori riferimenti garantistici rispetto a quelli individuati nella CEDU e “rinverditi” dalla giurisprudenza di Strasburgo249
.
Si precisi inoltre che, nel testo originale della Convenzione europea, erano previsti due diversi organi (la Commissione e la Corte), introdotti con il compito di prestare tutela ai diritti fondamentali dell‟uomo e tesi a verificare l‟ osservanza dei principi in essa contenuti.
Infatti, il vecchio art. 19 della Convenzione (rimasto in vigore fino al 31 ottobre 1998) stabiliva che «al fine di assicurare il rispetto degli impegni che derivano dalla (…) Convenzione per le alte parti contraenti» si procedeva alla costituzione di una Commissione europea dei diritti dell‟uomo (la Commissione) e una Corte europea dei diritti dell‟uomo (la Corte)250
. Alla Commissione si andava quindi a riconoscere il compito di prendere in esame e valutare tutte le istanze che contenevano denunce di violazioni da parte dei Paesi firmatari della CEDU. L‟ordinamento che è stato “partorito” con tale Convenzione è andato quindi a costruire uno ius commune251 valido per tutti i quei Paesi che hanno aderito al Consiglio d‟Europa. Di conseguenza, grazie alla predisposizione di questo importante documento avente portata inestimabile, sono stati recepiti in un unico
248
V. Zagrebelsky, Corte, Convenzione europea dei diritti dell‟uomo e sistema europeo dei diritti
fondamentali, in Foro. It., V, 2006, 353 ss. All‟interno della giurisprudenza della Corte
costituzionale sono presenti molte pronunce in cui si chiarisce che le norme della CEDU non si collocano a livello costituzionale in quanto non si può loro attribuire un rango diverso da quello dell'atto (legge ordinaria) che ne ha autorizzato la ratifica e le ha rese esecutive nel nostro ordinamento. Si è inoltre esclusa la possibilità che vi potessero essere delle disposizioni interne difformi rispetto alle norme convenzionali (sentenze n. 288 del 1997 e n. 315 del 1990) e si è quindi dimostrata la «sostanziale coincidenza» tra i principi dalle stesse stabiliti ed i princìpi costituzionali (sentenze n. 388 del 1999, n. 120 del 1967, n. 7 del 1967). Alcuni non hanno mancato di osservare che in certi casi la normativa interna è in grado di riconoscere «garanzie ancora più ampie» di quelle previste dalla CEDU (sentenza n. 1 del 1961), visto che «i diritti umani, garantiti anche da convenzioni universali o regionali sottoscritte dall'Italia, trovano espressione, e non meno intensa garanzia, nella Costituzione» (sentenze n. 388 del 1999, n. 399 del 1998).
249 V. Manes, La lunga marcia della Convenzione europea ed i “nuovi” vincoli per l‟ordinamento
(e per il giudice) penale italiano, cit., p. 10. La convinzione maggiormente diffusa è quella che
vede l‟ordinamento processuale interno allineato con il sistema convenzionale, salvo nel caso dell‟art. 533 c.p.p. che codifica una garanzia più accentuata per l‟imputato la cui responsabilità potrà essere affermata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
250 A. Sirotti Gaudenzi, op. citata, p. 139. 251 Ivi, p. 34.
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testo normativo tutta una serie di principi fondamentali riconducibili alla sfera etico-sociale e alla sfera del comune sentire umano252.
Anche se il nostro Paese si è dimostrato inizialmente un po‟ restio nell‟accogliere i dicta della Corte e delle Carte internazionali, (in primis della CEDU)253, con il passare degli anni c‟è stato poi un netto avvicinamento ai principi della Convenzione, fino a “far proprie” le disposizioni ivi contenute.
4. (Segue): meccanismi di adattamento e profili di incompatibilità. Spazi per una “sinfonia di valori”
Siamo ormai consapevoli dell‟indubbia incidenza del diritto dell‟Unione sui poteri propri del legislatore italiano.
Generalmente, gli Stati membri vanno a conformarsi in maniera spontanea agli obblighi derivanti dalla fonte comunitaria. Ci sono infatti settori molto estesi del diritto penale italiano (soprattutto inerenti la legislazione penale c.d. complementare) che si sono quasi completamente plasmati al diritto dell‟Unione e a ciò ha contribuito l‟opera di recepimento delle indicazioni contenute nelle direttive e nelle decisioni-quadro254.
Innanzitutto, con riguardo al diritto comunitario in senso stretto (primo pilastro)255 si può registrare la possibilità che la presenza di norme comunitarie dotate di efficacia diretta e contrastanti con norme penali statali, possano paralizzarne l‟applicabilità in ragione del fatto che, come accennato, il diritto comunitario assume una posizione di prevalenza sul diritto nazionale.
252 Ibidem. 253
Giova ricordare che durante i lavori parlamentari della prima legge delega per la riforma del c.p.p. il relatore aveva inserito tra i criteri direttivi (che dovevano essere rispettati e attuati) l‟obbligo per il legislatore delegato di conformarsi alle principali convenzioni internazionali sui diritti umani nel processo penale. Richiesto di specificare a quali disposizioni pattizie intendesse riferirsi, il relatore avrebbe risposto con imbarazzo: «Dolente ma devo confessare che non le conosco!» Cfr. R. E. Kostoris, Verso un processo penale non più statocentrico, cit., p. 3.
254 G. Marinucci – E. Dolcini, Manuale di diritto penale: Parte generale, Giuffrè, Milano, 2009, p.
39 ss.
255
Il trattato dell‟Ue si articola in un preambolo (il c.d. tetto) e in sette titoli: il titolo I recante le disposizioni comuni all‟Unione europea (il c.d. frontone), i titoli II, III e IV relativi alle modificazioni apportate ai trattati istitutivi delle tre comunità (il c.d. primo pilastro), il titolo V recante disposizioni sulla politica estera e di sicurezza comune (c.d. secondo pilastro), il titolo VI recante disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (c.d. terzo pilastro) a cui seguono poi un titolo VII recante le disposizioni sulla cooperazione rafforzata e in chiusura il titolo VIII contenente le disposizioni finali, per un totale di 52 articoli. Cfr. C. Sotis, op.
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Quando ci si riferisce alle norme comunitarie si vuole in primis considerare quelle disposizioni che trovano la loro ragion d‟essere all‟interno dei trattati, dei regolamenti e delle direttive purché queste risultino dettagliate e sempre che sia decorso il termine per l‟attuazione della direttiva stessa da parte dello Stato membro256.
Oltre alle norme riconducibili al primo pilastro, si devono anche citare le disposizioni concernenti il terzo pilastro, nonché il c.d. obbligo di interpretazione conforme alla normativa comunitaria257. In questo modo si vuole individuare una sorta di limite per il giudice nazionale nella sua opera interpretativa. Egli dovrà compiere tale attività in modo da assicurare la conformità della normativa interna a quella comunitaria.
Infine, un discorso a parte deve essere compiuto in merito al diritto internazionale pattizio, al cui interno si pone proprio la già menzionata Convenzione Europea per la protezione dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali.
Alla CEDU non può essere riconosciuta un‟efficacia immediata e diretta nell‟ordinamento interno perché essa si pone come un elemento estraneo all‟ambito di applicabilità dell‟art. 11 Cost.
Tale articolo prevede che l'Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». Con questa previsione si è riconosciuto alle disposizioni comunitarie un‟efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento (sentenze n. 284 del 2007 e n. 170 del 1984).
Con l‟art. 11 Cost. si ammette pertanto la necessaria accettazione da parte dello Stato italiano di una limitazione di sovranità (più approfondita nel paragrafo 5) come quella derivante dai trattati istitutivi della Comunità europea e dell‟Unione Europea, che invece non deriva affatto dalla CEDU anche se le sue norme hanno una portata generale di tutela degli stessi diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione italiana. E‟ per questo motivo che le norme della Convenzione, a differenza delle norme comunitarie, non sono quindi efficaci immediatamente
256 I principi che abbiamo visto sono rilevanti solo con riguardo agli atti comunitari, agli atti
nazionali di attuazione di normative comunitarie e alle deroghe nazionali a norme comunitarie che appaiono in ogni caso giustificate dal rispetto dei diritti fondamentali (C. Giust. sentenza 18 giugno 1991, C-260/89, ERT in www.gazzettaufficiale.it.).
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nell‟ordinamento interno. Ne deriva che «le norme pattizie, ancorché generali, contenute in trattati internazionali bilaterali o multilaterali (come sono le norme della CEDU) non possono essere utilizzate quali parametri del giudizio di legittimità costituzionale a norma dell‟art. 10 Cost. (C. Cost. n. 188 del 1980). In aggiunta la Corte di giustizia ha anche precisato che la sua competenza non si estende nei riguardi di quelle norme che non sono comprese nel campo di applicazione del diritto comunitario.
La Corte, nel prevedere che, laddove occorra procedere ad interpretare le norme della Costituzione che si riferiscono a disposizioni e ad obblighi internazionali, si debba applicare quanto disposto dall‟art. 10, primo comma, Cost., ammette l‟utilizzo di un meccanismo di “adeguamento automatico” dell'ordinamento interno ai precetti dell‟ordinamento europeo. Ciò però - è opportuno precisare - concerne esclusivamente i princìpi generali e le norme di carattere consuetudinario258. Ne restano escluse di conseguenza tutte quelle disposizioni previste dagli accordi internazionali che non riguardano i principi e le norme consuetudinarie del diritto internazionale.
Il “congegno normativo” con cui il nostro Paese è andato ad adattare il suo diritto interno alle norme contenute nella CEDU è rappresentato quindi da un «ordine di esecuzione» in forma di legge ordinaria. Con questa soluzione sono però sorti diversi inconvenienti in merito soprattutto alla compatibilità tra le disposizioni della Convenzione e le leggi ordinarie successive a quella contenente l‟ordine di esecuzione259.
Se quindi, ci soffermassimo semplicemente ad applicare il criterio generale di successione delle leggi nel tempo, si noterebbe subito che la legge di esecuzione -
258
Sentenza 4 ottobre 1991, C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland. V. anche sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996, n. 168 del 1994.
259 C. Russo – P.M. Quaini, La Convenzione europea dei diritti dell‟uomo e la giurisprudenza
della Corte Di Strasburgo, Giuffrè, Milano, 2006, p. 14 ss. Con l‟ordine di esecuzione si procede
ad emanare un atto legislativo che non va a formulare direttamente le norme materiali di diritto necessarie per l‟attuazione di un trattato ma si limita a dare ad esso una totale esecuzione, restando fedele al testo. Per la maggior parte della dottrina, avallata anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale 6 giugno 1989, Rivista di Diritto Internazionale, 1989), il rango e la collocazione delle norme convenzionali introdotte nel nostro ordinamento con un ordine di esecuzione corrisponde precisamente alla posizione che nel sistema delle fonti occupa l‟atto normativo in cui tale ordine è contenuto. Ne deriva che la CEDU assume nell‟ordinamento italiano