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Imputato e condannato: due status diversi e non conciliabil

E‟ essenziale quindi un accertamento della responsabilità sulla base della legge e

11. Imputato e condannato: due status diversi e non conciliabil

La Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare che la presunzione d‟innocenza non va ad incidere sul semplice status dell‟imputato nel corso del procedimento penale, ma va a coinvolgere anche «the legal regime governing the rights of such

379 La Corte di Strasburgo ha evidenziato che il 40% delle violazioni da essa riscontrate si

riconducono proprio all‟art. 6 della Convenzione. Così D. Galliani, op. citata, p. 29.

380

Particolarmente interessante è la Nota a tale sentenza di F. Del Vecchio, Circolazione delle

sentenze irrevocabili e presunzione d‟innocenza nell‟interpretazione della Corte europea, in Archivio penale, 2014, p. 1, in cui si sottolinea che con questa pronuncia la Corte di Strasburgo è

andata ad imbattersi nell‟esegesi del diritto ad un‟equa amministrazione della giustizia. Ancora una volta la Corte ha quindi contribuito a disegnare «quel modello universale di procedura penale attenta ai diritti dell‟imputato da importare in tutte le giurisdizioni nazionali» (O. Mazza, La

procedura penale in Europa e diritto penale, in Dir. pen. proc., 2011, p. 33). Cfr. N. Mole, C.

Harby, The right to a fair trial: a Guide to the implementation of Article 6 of the European

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99 persons in detention centres, including the manner in which a detainee should be treated by prison guards»381.

E‟ proprio da qui, dalle prese di posizione della Corte EDU che devono muovere alcuni spunti di riflessione. Si scorge innanzitutto l‟impellente bisogno di garantire dei trattamenti differenziati, dei diritti diversi, delle tutele dissimili nei confronti di soggetti che occupano due collocazioni distinte e non omogenee. Sarà quindi opportuno abbattere qualsiasi meccanismo di assimilazione che tende a porre sullo stesso piano colui che assume la veste di imputato e colui che invece risulti condannato. Lo scopo è proprio quello di tenere separate categorie non conciliabili: se si usano riferimenti terminologici differenti significa che, anche a livello pratico, è indispensabile garantire la scissione tra le due figure, caratterizzate ognuna da proprie peculiarità.

Se quindi gli imputati possono considerarsi come quei soggetti nei confronti dei quali - nella richiesta di rinvio a giudizio - viene contestata la commissione di un reato, va da sé che, fino al momento di emissione di una sentenza definitiva di condanna, costoro non potranno essere riconosciuti colpevoli proprio in virtù del principio della presunzione di non colpevolezza382. Situazione diversa è quella dei condannati che debbono espiare la propria pena383. Chiaramente, in quest‟ultima branca si rinvengono figure distinte che, in base al tipo di pena inflitta, si distinguono in arrestati (quando è applicato l‟arresto), reclusi (quando la pena è la reclusione), ergastolani (a cui si applica l‟ergastolo), condannati a sanzione pecuniaria e a sanzione sostitutiva a cui si aggiungono i condannati a pena detentiva sospesa da espiarsi in forme alternative.

Questo orientamento che consente di operare la sopra citata summa divisio tra soggetti imputati e soggetti condannati ha conosciuto momenti di non univocità

381

Corte EDU, 15 novembre 2001, Iwanczuk c. Polonia, § 53. Cfr. E. Marzaduri, Presunzione

d‟innocenza e tutela della libertà personale dell‟imputato, cit, p. 184.

382 Rientrano tra gli imputati sia quei soggetti in attesa del giudizio di primo grado (giudicabili), sia

quelli che hanno proposto appello (appellanti) o ricorso in Cassazione (ricorrenti) successivamente alla condanna in primo grado o secondo grado. Per completezza v. art. 60 c.p.p.

383 Vi sono infine gli internati, cioè coloro che dopo l‟accertamento della commissione di un reato

o “quasi reato” e della pericolosità sociale vengono sottoposti a misure di sicurezza o a forme di detenzione presso particolari istituti penitenziari quali colonia agricola, casa di lavoro (artt. 218- 219 c.p.), casa di cura e custodia (artt. 219-221 c.p.), ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222 c.p.), riformatorio giudiziario (artt. 223-227 c.p.). Cfr. A. Carnevale – A. Di Tullio, Medicina e

carcere: gli aspetti giuridici, criminologici, sanitari e medico-legali della pena, Giuffrè, Milano,

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che si sono manifestati a partire dalle considerazioni formulate nel Libro Verde sulla presunzione di non colpevolezza del 2006, in cui si legge che la Corte EDU avrebbe perfino negato l‟esistenza di un diritto dell‟imputato a “beneficiare di condizioni detentive diverse da quelle che si applicano alle persone condannate”. Un ulteriore ostacolo che impedisce di ottenere una piena applicazione di questa distinzione va visto anche nel linguaggio utilizzato all‟interno delle prassi giudiziarie. Le espressioni usate dai giudici non sembrano rispondere al bisogno di garantire l‟esistenza di un idioma sorvegliato, attento e in grado di lasciar trasparire con chiarezza terminologica il frutto delle loro scelte.

Da qui deriva la necessità che il giudice, laddove debba esprimere i propri convincimenti - e debba quindi pronunciare una sentenza o intervenire con un provvedimento (talvolta avente natura coercitiva) in grado di “toccare” la persona imputata o quella condannata - dovrà fare molta attenzione, dovrà sentirsi vincolato al rispetto di alcuni parametri senza mai perdere di vista il soggetto che ha di fronte. E‟ da qui che deriva l‟importanza (soprattutto per i provvedimenti privativi della libertà personale) della motivazione384 che non potrà mai mancare e che ha lo scopo proprio di «(…) irrobustire il compendio argomentativo del provvedimento e inibire prassi disinvolte o negligenti (…), a testimonianza di una sempre maggiore attenzione ed impegno del legislatore nel garantire un

384

Nella sentenza Corte EDU Cerovšek and Božičnik v. Slovenia (7 marzo 2017), la Corte europea ha messo in evidenza la violazione del principio del giusto processo riconosciuto dall‟art. 6 CEDU in quanto lo scopo dell‟obbligo di motivazione non poteva considerarsi adempiuto visto che il giudice non aveva fissato per iscritto e in termini ragionevoli le ragioni che lo avevano portato a quella decisione. La Corte ha rimarcato che per verificare il rispetto del contenuto espresso all‟art. 6 CEDU occorre considerare il procedimento nel suo insieme, tenendo conto anche delle decisioni dei giudici di appello. Nel caso di specie la Corte era stata chiamata a stabilire se i ricorrenti di nazionalità slovena avessero beneficiato di un equo processo in merito al reato di furto di alberi da un terreno di proprietà altrui. Si trattava di una decisione di condanna le cui motivazioni erano state redatte tre anni dopo la lettura del dispositivo ad opera di giudici diversi rispetto a quello che aveva pronunciato il verdetto finale del processo. Si tenga quindi presente che le pronunce delle Corti e dei tribunali interni devono contenere adeguatamente la motivazione che ha lo scopo di mettere in luce le ragioni che stanno alla base della decisione stessa (Papon v. France). Con la motivazione si intende “dimostrare” alle parti che le loro argomentazioni sono state oggetto di analisi e di valutazione, contribuendo quindi ad una consapevole accettazione della decisione. L‟estensione e l‟obbligo di motivazione si modula a seconda della natura della decisione e va individuato alla luce delle circostanze del caso concreto (Ruiz Torija v. Spain, § 29). L‟art. 546 c.p.p. prevede che la motivazione debba contenere "l‟indicazione delle prove poste a base della decisione (...) e l‟enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie".

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contraddittorio trasparente tra le parti»385 e assicurare pertanto il concreto esercizio del diritto di difesa mediante la conoscenza effettiva delle ragioni fondanti il provvedimento limitativo della libertà personale386.

Ed ecco che allora, una volta individuata la necessità di un adeguato supporto motivazionale nelle scelte del giudice è giunto il momento di compiere un‟opera di paragone e confronto tra la normativa CEDU e le disposizioni del nostro ordinamento.

In Italia, infatti, la struttura della motivazione dell‟ordinanza di cui all‟art. 292 c.p.p.387 riprende contenuti che riecheggiano quelli previsti dalla motivazione della sentenza dibattimentale, in modo da favorire spesso sostanziali anticipazioni della pronuncia di condanna, anche a livello di scelte lessicali che si concretizzano quindi ancora una volta nel creare un tutt‟uno tra le due figure analizzate che vengono inglobate, ricondotte e regolate in maniera piuttosto omogenea. Diversamente, la giurisprudenza di Strasburgo, andando a richiamare, in merito alla questione in oggetto, l‟esistenza di una concezione normativa della

385 E‟ opportuno evitare situazioni di standardizzazione “per classi di reati” delle sentenze. Si tratta

di meccanismi utilizzati per snellire il carico processuale e per fornire pronte risposte alle richieste repressive. Tuttavia, «una cosa è decidere, altro è giudicare e se questi due concetti vengono confusi, specie annacquando il secondo termine, la scienza processuale non può che nascere morta». Cfr. A. De Francesco, Sul giusto processo, Alfredo De Francesco, 2015, p. 5.

386 A. Bassi, La cautela nel sistema penale: misure e mezzi di impugnazione, Cedam, 2016,

passim. L‟obbligo di motivazione dei provvedimenti limitativi della libertà personale si è fatto

sempre più pregnante con lo stratificarsi delle novelle legislative intervenute in materia (a partire dalla legge 8 agosto 1995 n. 332 fino alla recente novella avvenuta con la legge del 16 aprile 2015, n. 47 . Per un approfondito commento in tal senso v. D. Vispo, Commento alla legge 47/2015, in

Legislazione Penale (www.lalegislazionepenale.eu), 1.12.2015.

387 «(…) L‟ordinanza che dispone la misura cautelare contiene, a pena di nullità rilevabile anche

d‟ufficio: a) le generalità dell‟imputato o quanto altro valga a identificarlo; b) la descrizione sommaria del fatto con l‟indicazione delle norme di legge che si assumono violate; c) l‟esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l‟indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato; c-bis) l‟esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, nonché, in caso di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, l‟esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze di cui all‟articolo 274 non possono essere soddisfatte con altre misure; d) la fissazione della data di scadenza della misura, in relazione alle indagini da compiere, allorché questa è disposta al fine di garantire l‟esigenza cautelare di cui alla lettera a 9 del comma 1 dell‟articolo 274; e) la data e la sottoscrizione del giudice. 2-bis. L‟ordinanza contiene altresì la sottoscrizione dell‟ausiliario che assiste il giudice, il sigillo dell‟ufficio e, se possibile, l‟indicazione del luogo in cui probabilmente si trova l‟imputato. 2-ter. L‟ordinanza è nulla se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell‟imputato, di cui all‟articolo 358, nonché all‟articolo 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie. 3. L‟incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento ovvero circa la persona nei cui confronti la misura è disposta esime gli ufficiali e gli agenti incaricati dal darvi esecuzione».

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presunzione d‟innocenza, parte sempre dal presupposto che vi sia un «(…) divieto, che il potere pubblico pone a se stesso, di trattare come meritevole di pena» e di qualificare, quindi, come colpevole, «l‟imputato pur gravato da prove schiaccianti»388.

Individuata la sfumatura che connota la concezione nazionale rispetto a quella proposta dalla normativa europea, è comunque doveroso precisare che non si vuole certamente impedire in toto al giudice de libertate di mettere in luce la capacità dimostrativa degli elementi acquisiti, ma gli si impone di collocare quel determinato dato probatorio all‟interno di una valutazione più ampia che contiene ulteriori fonti e altrettanti elementi che faranno da base per addivenire a una decisione vagliata, certa, motivata.

Un‟interessante pronuncia da cui emerge proprio il dovere dei pubblici poteri di non considerare colpevole un imputato prima che sia avvenuto un congruo accertamento in merito alla responsabilità389 del soggetto è rappresentata dalla decisione Corte EDU, 31 ottobre 2013, Perica Oreb c. Croazia, § 138 in cui la Corte ha preso posizione su importanti questioni interpretative della garanzia in questione. L‟oggetto della censura si riferiva a dei provvedimenti con i quali era stata prima semplicemente disposta e poi, successivamente prolungata la custodia in carcere di un imputato sulla base del “risk of reoffending”.

La Corte europea si è fatta portavoce di un‟interpretazione in base alla quale la previsione di un trattamento di tipo privativo basato su un mero rischio, su un sospetto e quindi sulla possibilità di una probabile reiterazione del reato potrebbe contrastare e quindi violare390 il principio della presunzione di innocenza, sulla base del presupposto che “only a formal finding of a previous crime, that is, a

388 Sul punto, per una concezione rigorosamente normativa, v. R. Orlandi,Provvisoria esecuzione

delle sentenze e presunzione di non colpevolezza, cit., p. 129 ss. In termini parzialmente diversi,

cfr. E. Marzaduri, Accertamenti non definitivi sulla responsabilità, Cass, pen,, 2000, p. 221 ss.

389

Nel Considerandum n. 16 della Direttiva UE 343/2016 (oggetto di successiva analisi) si afferma che “la presunzione di innocenza sarebbe violata se (…) decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l‟indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata”.

390

Non si manifesta una violazione dell‟art. 6 par. 2 nel caso in cui si proceda alla pubblicazione di foto dell‟indagato (Y.B. and Others v. Turkey, § 47). In ogni caso, una trasmissione di immagini dell‟indagato attraverso mezzi televisivi potrebbe, in certe occasioni, dare origine a qualche questione sub art. 6 § 2 (Rupa v. Romania (no. 1), § 232).

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103 final conviction, may be taken as a reason for ordering pre-trial detention on the ground that someone has previously been convicted”391.

Ragionare diversamente significherebbe contraddire “the role of appeal

proceedings, where the appellate court in required to re-examine the earlier decision submitted to it as to the facts and the law”392.

Consideriamo inoltre che questo meccanismo di assimilazione tra imputato e condannato viene spesso condotto anche dalla stampa e dai media393 che si sono mostrati sempre più interessati a trattare questioni che presentano indubbiamente dei forti impatti sull‟opinione pubblica394

.

Ciò può quindi influenzare notevolmente anche coloro che dovranno pronunciarsi sulla questione per riconoscere o meno la responsabilità dell‟imputato395

.

E‟ però opportuno segnalare che i tribunali nazionali composti da giudici togati - a differenza dei membri che fanno parte della giuria – si caratterizzano per una formazione che dovrebbe consentire loro di resistere ad eventuali influenze esterne e soprattutto mediatiche396.

Qualche ulteriore osservazione in tal senso, può essere dedotta dalla pronuncia

Karaman c. Germania del 27 febbraio 2014 – già menzionata nel paragrafo 10. La

Corte, nel caso di specie ha affrontato proprio un profilo peculiare del principio de

quo.

Nello specifico, la pronuncia si riferiva ad un ricorso proposto da parte di un cittadino turco (facente parte del Consiglio d‟amministrazione di una stazione

391 E. Marzaduri, La presunzione d‟innocenza, cit, p. 189. 392 Ibidem.

393 Si tenga conto che il 25.5.2009 presso Agcom è stato messo a punto un codice di

autoregolamentazione in merito alla rappresentazione delle vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive. Con tale intervento si è voluto garantire chiarezza tra il concetto di documentazione e quello rappresentazione, tra cronaca e commento, tra indagato, imputato e condannato, tra carattere non definitivo e carattere definitivo dei provvedimenti. Si è inteso anche contemperare la presunzione di non colpevolezza e l‟ interesse alla conoscenza immediata di quelli che sono i fatti socialmente rilevanti. Infine, si è richiamata l‟importanza dell‟esplicazione del principio del contraddittorio. Cfr. M. Fumo, La diffamazione mediatica, Utet Giuridica, 2012, p. 314.

394

Si pensi ai casi Viorel Burzo v. Romania, § 160; Akay v. Turkey (dec).

395 (Kuzmin v Russia, § 62). Sul tema v. anche Włoch v. 48 Poland (dec.); Daktaras v. Lithuania

(dec.); Priebke v. Italy (dec.); Mustafa Kamal Mustafa (Abu Hamza) (no. 1) v. The United

Kingdom (dec.), §§ 37-40, in materia di copertura mediatica sull‟imparzialità del tribunale).

396

Craxi v. Italy (no. 1), § 104; Mircea v. Romania, § 75. Qui si ritrova il conflitto tra la giustizia “attesa” e la giustizia “applicata”, con il pernicioso ribaltamento della presunzione d‟innocenza dell‟imputato. Cfr. G. Canzio, Relazione sull‟amministrazione della giustizia sull‟anno 2016, in

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televisiva tedesca) nei confronti della Germania. L‟uomo era stato accusato e sottoposto a processo per frode assieme ad altri imputati, per i quali, però, si era proceduto separatamente.

Accadde che, proprio nelle decisioni concernenti tali soggetti, il nome del ricorrente risultasse più volte menzionato, ipotizzandosi anche la sua partecipazione al fatto di reato, nonostante che il processo a suo carico non fosse stato ancora definito.

Chiaramente, l‟attenzione mediatica per l‟accaduto fu molto forte al punto che l‟imputato rimarcò che tale situazione stava compromettendo i suoi diritti fondamentali e soprattutto il diritto all‟equo processo.

Dopo aver inutilmente adito tutte le sedi nazionali competenti, venne depositato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell‟uomo, mettendo in evidenza proprio che la menzione del nome dell‟imputato in sentenze che riguardavano altri soggetti avrebbe generato un‟indubbia violazione del diritto alla presunzione di innocenza garantito dall‟art. 6 § 2 CEDU.

L‟intervento della Corte riconobbe l‟astratta idoneità delle dichiarazioni rese a violare il principio in oggetto, ma, al tempo stesso sottolineò l‟esigenza di contemperare la presunzione di innocenza con la necessità che le sentenze emesse nei confronti dei correi fossero in grado di definire in maniera certa la verità dei fatti. La Corte aveva seguito una logica “concretamente garantista”, valutando la portata delle affermazioni che erano capaci di riflettere l‟altrui colpevolezza. Molte però erano le incertezze che tale decisione destò: la mancanza di unanimità all‟interno del collegio stesso dimostrava in maniera eclatante la delicatezza e l‟impianto particolarmente complesso della questione.

12. Lo “ius tacendi” tra ricerca della verità e salvaguardia del diritto di difesa