LA DIRETTIVA 2016/343/UE: AI POSTERI L’ARDUA SENTENZA
4. Primi passi nella Direttiva (Capo 1 e Capo 2)
Scendendo nel dettaglio e passando all‟ambito applicativo è chiaramente intuibile che la presunzione d‟innocenza possa applicarsi ad ogni fase del procedimento penale e quindi, a partire dal momento in cui una persona risulti indagata o imputata e «fino a quando non diventi definitiva la decisione che stabilisce se la persona abbia commesso il reato» (considerandum n. 12)516. L‟espresso riferimento temporale (fino al momento della definitività della condanna) va ad aumentare il livello di tutela garantito dallo standard CEDU, «che pare considerare con cautela l‟applicabilità dell‟art. 6 oltre al primo grado»517
.
Con questa enunciazione si assiste a un significativo “passo avanti” rispetto a quanto previsto dalla Convenzione europea, che utilizza una terminologia senz‟altro più restrittiva.
C‟è però da puntualizzare che dalla Proposta di Direttiva emergeva una netta contraddizione in merito ai “tempi” previsti dall‟art. 3 (che si riferiva ad una «colpevolezza legalmente accertata») e quelli enunciati dal successivo art. 4 (in cui l‟estensione era correlata al «prima della condanna definitiva», con un chiaro riferimento all‟esito delle impugnazioni previste dalla legge).
Tampere del 1999. Cfr. La decisione quadro 2003/577/GAI e gli obblighi di trasposizione degli
atti ex terzo pilastro dopo il Trattato di Lisbona, in www.senato.it.
516 L‟Unione europea stabilisce che la presunzione di innocenza si estenda sino a quando "non ne
sia stata legalmente provata la colpevolezza"; pertanto questa situazione potrebbe far pensare anche all‟eventualità, per gli Stati membri, di prevederla fino al primo grado. Per alcuni autori, l‟estensione di detta presunzione fino al momento in cui la decisione non risulti definitiva, può comportare una restrizione dell'autonomia degli Stati, con particolari effetti sulla durata della custodia cautelare. Cfr. M. Castellaneta, La Ue vieta le manette in pubblico, in www.ristretti.org.
517
Si rileva che nel caso Konstas c. Grecia, (ricorso 53466/07, sentenza 24 maggio 2011) la Corte «(...) considers that the presumption of innocence cannot cease to apply in appeal proceedings
simply because the accused was convicted at first instance. To conclude otherwise would contradict the role of appeal proceedings, where the appellate court is required to re-examine the earlier decision submitted to it as to the facts and the law». «L‟applicabilità dell‟art. 6 viene
riconosciuta alle procedure di impugnazione solo in “in linea di massima” in questioni di diritto (Meftah e altri c. Francia, ricorsi 32911/96, 35237/97 e 34595/97, sentenza 26 luglio 2002)». Tutti i processi che derivano da impugnazioni di merito o di mera legittimità si potranno comunque ritenere conformi ai requisiti di cui all‟art. 6 anche nel caso in cui al soggetto ricorrente non sia stata data la possibilità di essere ascoltato personalmente dalla Corte di Appello o dalla Corte di Cassazione, alla sola condizione però che vi sia stata almeno una pubblica udienza in primo grado (vedi come esempio la sentenza del 2 Marzo 1987 Monnell e Morris c. Regno Unito, ricorsi 9562/81e 9818/82, per quanto concerne i processi di appello, e la sentenza del 22 febbraio 1984
Sutter c. Svizzera, ricorso 8209/78, con riguardo ai processi dinanzi alla Corte di Cassazione). Cfr.
N. Canestrini, La direttiva sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza, cit., p. 2231.
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In ogni caso, si rammenti nuovamente, che nella versione definitiva si è accolto il concetto di «colpevolezza legalmente accertata».
Si tenga inoltre presente che la Relazione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del 21 aprile 2015, aveva previsto un emendamento all‟art. 3, proponendone il seguente testo: «Gli Stati membri assicurano che all‟indagato o imputato sia riconosciuta la presunzione di innocenza fino a quando non ne sia accertata la colpevolezza con sentenza definitiva, pronunciata conformemente alla legge in un processo nel quale egli abbia avuto tutte le salvaguardie necessarie per la sua difesa». Alla fine l‟emendamento dell‟art. 3 non è passato ed il testo attuale non mostra più tracce di contraddizioni tra la formula dell‟art. 3 e quella dell‟art. 4518
.
La Relazione della Commissione va a precisare che «gli obiettivi generali delle misure già adottate nel settore dei diritti procedurali nei procedimenti penali (...) necessitano ancora che sia garantito in tutti gli Stati membri dell‟Unione europea un livello minimo di tutela del principio di presunzione di innocenza» (punto 8). Da questa constatazione si intuisce espressamente a quanto “basso” possa essere il “grado di protezione” riservato alle garanzie individuali all‟interno di molti Stati membri.
Entrando ora “nel vivo” della Direttiva è possibile individuare tre importanti direttrici che si snodano e interessano gli articoli 4 e 5 (richiamando il divieto di presentare in pubblico l'indagato o l'imputato come colpevole), l‟articolo 6 (dedicato all'onere della prova) e infine l‟articolo 7 in cui si mette in luce il diritto al silenzio e alla non autoincriminazione.
Con riguardo al primo profilo, l'art. 4519 della Direttiva impone agli Stati membri di adottare le opportune misure per garantire che le dichiarazioni rilasciate dalle pubbliche autorità non vadano a presentare l'indagato o
518 C. Valentini, op. citata, p. 195.
519 Tale disposizione è accompagnata da diversi considerandum. Lo scopo del legislatore europeo
è stato quello di cristallizzare un vero e proprio filone giurisprudenziale che potesse fornire tutela al soggetto indagato o imputato. Cfr. J. Della Torre, Il paradosso della Direttiva sul rafforzamento
della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo: un passo indietro rispetto alle garanzie convenzionali?, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 4, 2016, p.
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l'imputato alla stregua di un soggetto colpevole, fino al momento in cui la sua responsabilità non sia stata legalmente accertata520.
Si vanno comunque a lasciare impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell‟indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità. L‟obbligo stabilito al paragrafo 1 (consistente nel non presentare gli indagati o imputati come colpevoli) non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all‟indagine penale o per l‟interesse pubblico»521
.
520 La presunzione di innocenza consente comunque al giornalista di commentare un fatto o di
esprimere un giudizio. E‟ importante però precisare se si tratta di un giudizio di primo o di secondo grado, oppure se la condanna è passata in giudicato e quindi non vi sono più possibilità di ricorso. Si pensi ad esempio all‟articolo relativo al caso “L‟agente insultato” (40/2010) in cui, con riguardo ad un giudizio di prima istanza per diffamazione e ingiuria pronunciato contro un giornalista fotografo, la NZZ (quotidiano svizzero di lingua tedesca) non aveva precisato la “non definitività della condanna”. «Il militante di sinistra Klaus Rosza (corsivo aggiunto) condannato», queste erano le parole apparse sul giornale. Il fotografo era stato accusato «di aver sputato addosso a un agente di polizia e di avergli dato del “nazista” negli incidenti seguiti all‟occupazione dello stadio dell‟Hardturm». Il reclamante aveva sottolineato che «nel servizio il tribunale di primo grado era descritto come ultima istanza e il gesto di sputare addosso a un poliziotto e definirlo nazista come un fatto assodato. In tal modo il giornale ha violato la presunzione di innocenza nei miei riguardi». Il Consiglio della stampa condividendo questa opinione obbligò il giornale a modificare la prassi in materia. Da quel punto, la NZZ precisa sempre, in casi come questo: «giudizio non definitivo» («Urteil nicht rechtskräftig»). Un altro esempio è rappresentato dal noto caso conosciuto come “Boss della droga” (32/2000). Il 13 marzo 2000 il quotidiano “la Regione Ticino” ha riferito – menzionandone le generalità - dell‟arresto del presidente della associazione dei canapai e della chiusura di due “canapai” del Luganese. Il titolo principale esordiva così: «È un boss della canapa». Nel sottotitolo si leggeva: «Il titolare di B. Chiusi altri tre negozi» e nell‟ occhiello: «Gli inquirenti: il presidente dell‟assocanapa è un grande importatore». La presidenza del Consiglio della Stampa affidò il caso alla prima Camera, la quale ebbe modo di rilevare che solo un lettore attento e scrupoloso «riconoscerà in questo caso che i rimproveri contro V. sono formulati ancora allo stadio istruttorio»; quello più frettoloso sarà invece “attratto” dal titolo “E‟ un boss della canapa“. Tale espressione non rispecchia solo «l‟accezione neutra di “capo” ma indica anche, in negativo, chi abbia raggiunto o sfrutti posizioni di potere con mezzi dubbi: per esempio, i “boss“ della mafia o della droga». Il lettore “disattento” farà poco caso al proseguo dell‟articolo in cui si precisa che il procedimento si trova ancora nella fase istruttoria. Anche in merito a tale fattispecie, il Consiglio della stampa ha ammesso la violazione della presunzione di innocenza. Cfr. Consiglio svizzero della stampa. Le buone regole del giornalista corretto, in
www.presserat.ch.; Rapporto Annuale 2010 del Consiglio della stampa, in www.presserat.ch., p.
5.
521 Il concetto di strettamente necessario deve essere colto dall‟analisi del considerandum n. 18. Si
pensi ai casi di diffusione di materiale video o quando si invita il pubblico a collaborare nell‟individuazione del presunto autore del reato o addirittura per motivi di interesse pubblico» o nel «caso in cui, per motivi di sicurezza, agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale siano fornite informazioni o la pubblica accusa o un‟altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell‟ordine pubblico». Cfr. D. Fanciullo, op. citata.
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Nella Relazione della Commissione si vanno a mettere in evidenza le coordinate specifiche di questo aspetto della presunzione d‟innocenza dedicato alla pubblicizzazione del processo penale determinata dai media522. Al sub punto 30 infatti si chiarisce come la Corte EDU abbia definito lo standard di tutela al fine di evitare il rischio «di incoraggiare l‟opinione pubblica a credere alla colpevolezza dell‟interessato» come pure il rischio «di pregiudicare la valutazione dei fatti dell‟autorità giudiziaria»523
.
Si tenga conto che all‟interno della Direttiva sono facilmente riscontrabili molti riflessi della giurisprudenza di Strasburgo. La memoria corre anzitutto al caso
522 Le nuove tecnologie hanno determinato una vera e propria rivoluzione che si è manifestata a
partire dal 2010, anno in cui si sono sviluppate le cd. “reti all news” (emittenti che assicurano una copertura giornalistica costante). Alcuni studiosi hanno constatato l‟avverarsi di un processo di “bulimia informativa” degli utenti che non si accontentano più di conoscere le vicende ma desiderano essere posti al corrente nel modo più veloce degli esiti delle indagini. C‟è quindi il pericolo che, dinanzi a queste incessanti richieste, gli operatori dell‟informazione offrano giudizi approssimati. Non è un caso che nel 2009 è stato infatti adottato, in seno all‟AGCOM, il codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive. Con tale intervento - come anticipato nel Capitolo II § 7 - si è voluto assicurare «la verità dei fatti narrati mediante accurata verifica delle fonti, avvertendo o comunque rendendo chiaro che le persone indagate o accusate si presumono non colpevoli fino alla sentenza irrevocabile di condanna e che pertanto la veridicità delle notizie concernenti ipotesi investigative o accusatorie attiene al fatto che le ipotesi sono state formulate come tali dagli organi competenti nel corso delle indagini e del processo e non anche alla sussistenza della responsabilità degli indagati o degli imputati». Vi è quindi la necessità di «non rivelare dati sensibili o che ledano la riservatezza, la dignità e il decoro altrui, ed in special modo della vittima o di altri soggetti non indagati, la cui diffusione sia inidonea a soddisfare alcuno specifico interesse pubblico». Cfr. M. Fiorillo, Diritto all‟informazione e presunzione di innocenza: il delicato ruolo dei media, in www.insidermarketing.it, 24.11.2016.
523 C. Valentini, op. citata, p. 196. In conformità a una giurisprudenza consolidata della Suprema
Corte, a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259 (“sentenza decalogo” sui limiti del diritto di cronaca), per escludere la responsabilità dei soggetti che hanno fornito determinate informazioni, devono presentarsi tre condizioni consistenti: a) nella verità oggettiva «che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui "il testo va letto nel contesto", il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall'uomo medio» (Cass. sez. III, 14-10-2008, n. 25157); b) nell‟esistenza di un interesse pubblico all'informazione e quindi nella c.d. pertinenza (ex multis: Cass. n. 5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366); c) nella forma "civile" dell'esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè nella c.d. continenza. Infatti, lo scritto non dovrà mai andare oltre lo scopo informativo da conseguire e «deve essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone». (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259). Cfr. C. Cottatellucci, Le carte dei diritti e le persone di
età minori, in AA.VV., (a cura di) C. Cottatellucci, Diritto di famiglia e minorile: istituti e questioni aperte, Giappichelli, 2016, p. 56-57; C. Cassano, M. Sgroi, La diffamazione civile e penale, Giuffrè, 2011, p. 373.
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140 Allenet de Ribemont c. Francia524, in cui la Corte pur prevedendo che le autorità possano informare il pubblico rispetto ai procedimenti penali in corso, ha comunque precisato che tale attività deve essere svolta con la massima discrezione e riservatezza.
Si vanno a individuare i limiti dei casi in cui la divulgazione di notizie relative alle indagini può comportare la formazione di un‟immagine distorta nel pubblico con forti ricadute e ripercussioni sulla capacità dell‟autorità giudiziaria procedente di valutare in maniera critica e oggettiva i fatti. La coverage mediatica presenta tratti diversi che variano «in base alla notiziabilità del fatto, a sua volta influenzata dai cosiddetti valori-notizia, quali la novità dell‟accusa, la drammaticità - spettacolarizzazione delle modalità con cui avviene l‟invio dell‟informazione di garanzia o l‟arresto e ultimo ma non ultimo, il prestigio sociale di chi viene indagato»525.
La diffusione delle informazioni infatti non sempre segue la logica secondo la quale tale compito è riservato alle autorità inquirenti; spesso si lascia spazio ad un‟informazione che passa per il tramite dei media e che non sempre è in grado di garantire il contemperamento tra gli interessi in gioco. Nel caso in cui le autorità si occupino di diffondere i dati raccolti sarà indispensabile assicurarne una diffusione cauta, «nella consapevolezza che al dato di interesse – l‟individuazione e la cattura del colpevole di un grave reato – possono accompagnarsi ulteriori elementi – contenuto di intercettazioni telefoniche et similia – che invece potrebbero contribuire a radicare un anticipato convincimento della pubblica opinione e inquinare la genuinità dell‟accertamento giurisdizionale»526
.
Nella seconda ipotesi e quindi quando l‟informazione passa per il tramite dei mezzi di telecomunicazione invece dovrà essere assicurato un certo tipo di diffusione che non si contraddistingua per il perpetrarsi di condotte poste in essere
524 La Corte europea ha avuto modo di sottolineare in diverse occasioni che l'attività di
informazione dovrà svolgersi "con tutta la discrezione e con tutto il riserbo imposti dalla presunzione di innocenza" ("with all the discretion and circumspection necessary if the
presumption of innocence is to be respected" , testualmente Allenet de Ribemont vs. Francia, 10
febbraio 1995, par. 38) .Nella sentenza Worm contro Austria, del 29 agosto 1997, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha nuovamente sottolineato che anche «i giornalisti devono rispettare la presunzione d'innocenza». Cfr. N. Canestrini, Presunzione di innocenza, cit.
525 G. Marotta, op. citata, p. 442.
526 G. Colaiacovo, Processo mediatico e violazione del segreto istruttorio, in AA.VV., La vittima
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al solo scopo di attrarre il target dei destinatari di fronte a certi titoli, parole o termini usati in maniera “forte” e inappropriata.
Ed ecco che, la ricerca di un corretto equilibrio - rispettoso dei principi di cui sono portavoce gli indagati-imputati (da un lato) e coloro che rendono esternazioni in merito alla fattispecie processuale (dall‟altro) - è resa possibile dal combinato disposto degli articoli 114 c.p.p. e 684 c.p.527
In questo modo si riesce a raggiungere un «adeguato bilanciamento tra le esigenze di tutela dell‟attività investigativa e quelle giornalistiche»528
.
L‟art. 114 c.p.p. va a delineare il regime di pubblicità degli atti processuali ammettendo una graduale divulgazione del loro contenuto in base all‟evoluzione del relativo procedimento. L‟art. 684 c.p.p. invece prende in esame i casi di violazione dei diritti stabiliti dal primo agendo eventualmente in sinergia con l‟art. 326 c.p.
Si è modificata anche la concezione del ruolo attribuito al segreto istruttorio che non dovrà essere considerato «come uno strumento che garantisca all‟autorità giudiziaria la libertà di agire senza possibilità di controlli, ma come presidio che tutela la diversa esigenza di non compromettere il buon andamento del processo penale nella fase delle indagini e la neutralità psicologica del giudicante (…)»529. Seguendo questa impostazione si può quindi giungere alla conclusione che un efficace ostacolo alla celebrazione del processo mediatico è rappresentato dalla “blindatura” del fascicolo delle indagini preliminari e dalla punizione delle condotte che, in violazione dei divieti posti dall‟art. 114 c.p.p., costituiscono divulgazione di atti processuali.
527 Ivi, p. 356.
528 Nelle trasmissioni radiotelevisive che trattano di vicende giudiziarie, le parti si impegnano a: a)
chiarire le differenze tra documentazione e rappresentazione, cronaca e commento, indagato, imputato e condannato, pubblico ministero e giudice, tra accusa e difesa. Dovranno inoltre distinguere tra carattere non definitivo e definitivo dei provvedimenti e delle decisioni; b) fornire informazioni che, tenendo fermo il principio della presunzione di non colpevolezza, vadano a soddisfare comunque l‟interesse pubblico alla conoscenza immediata di fatti; c) adottare modalità che consentano al telespettatore una corretta comprensione della vicende; d) assicurare il rispetto del principio del contraddittorio garantendo le pari opportunità nel confronto dialettico; e) effettuare un controllo in merito alla verità dei fatti narrati verificandone le fonti rendendo noto che le persone indagate o accusate si presumono non colpevoli fino alla sentenza irrevocabile di condanna. Cfr. R. Danovi, Codice di deontologia forense e delle altre professioni, Giuffrè, 2012, p. 358.
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Tale impostazione non impedisce alla società di restare comunque informata in merito all‟attività giudiziaria svolta, ma consente almeno di eliminare la possibilità che i giornalisti svolgano la propria funzione con materiale approvvigionato illecitamente530.
Nel caso in cui si “vada oltre” e quindi si determini, ad opera delle autorità, una violazione degli obblighi fin qui enunciati, si ammette il diritto ad un ricorso da parte del soggetto che abbia subito una sorta di lesione della propria sfera giuridica.
Gli Stati membri inoltre provvedono affinché siano adottate tutte le misure necessarie (quali sanzioni e concessione di indennizzi) in caso di violazione. Un efficace strumento potrebbe essere quello di andare a ricondurre (in caso di violazione) l‟imputato o l‟indagato «nella posizione in cui si sarebbe trovato se non si fosse verificata la violazione»531.
Occorrerà dunque che gli Stati membri si preoccupino anche di raccogliere i dati sull‟attuazione dei diritti difesi dalla UE, nonché i dati forniti dalle autorità giudiziarie e si attivino per individuare gli strumenti da utilizzare per rispondere alle violazioni che potranno configurarsi532.
Pertanto i diversi Paesi avranno il compito di informare le autorità pubbliche «dell'importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media, fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media (considerandum n. 19)»533.
Oramai, i nostri tempi sono caratterizzati dal costante ricorso alle conferenze stampa da parte degli inquirenti: «pubblici ministeri e investigatori che sciorinano nomi di arrestati, esiti delle indagini, pacchetti di stupefacenti e armi esposti a lustro del genio inquirente di turno; tutto ciò è comunque solo il contorno del piatto centrale, rappresentato dalla possibilità di parlare senza interlocuzioni,
530 Ibidem. 531
Lo scopo è quello di salvaguardare il diritto a un equo processo e il diritto di difesa, rispettando quindi il principio di efficacia dei diritti dell‟Unione così come enunciato dal considerandum n.