E‟ essenziale quindi un accertamento della responsabilità sulla base della legge e
12. Lo “ius tacendi” tra ricerca della verità e salvaguardia del diritto di difesa Il processo è per eccellenza luogo di parola 397 Essa assume il ruolo d
protagonista principale non solo nel contraddittorio (momento di massima
397
L. Garlati, Silenzio colpevole, silenzio innocente. L‟interrogatorio dell‟imputato da mezzo di
prova a strumento di difesa nell‟esperienza giuridica italiana, in AA.VV., (a cura di) M.N.
Miletti, Riti, tecniche, interessi: il processo penale tra Otto e Novecento: atti del convegno
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
105
drammaticità, quasi “rappresentazione teatrale” di un diritto che va in scena) ma anche le carte, e gli atti nella loro apparente inerzia, parlano.
E‟ possibile affermare lo stesso anche per il silenzio398
dell‟imputato? Il silenzio399 “giuridico” non è una trama incolore, non è un elemento neutro. Non può considerarsi come semplice inazione, come atteggiamento passivo contrapposto all‟azione di chi gestisce l‟interrogatorio.
Il silenzio400 si manifesta come un fatto il cui contenuto potrà essere letto in chiave più o meno negativa a seconda dell‟interpretazione che sarà attribuita a quella determinata situazione401. Il silenzio viene spesso visto come una sfida, un‟offesa alla corretta amministrazione della giustizia”402
.
Si ritiene infatti che il soggetto “taciturno” sia l‟artefice di un “comportamento ostruzionistico, che interrompe l‟iter normale del processo” e che sia quindi opportuno “costringere l‟imputato a rivelare ciò di cui è a conoscenza”403
.
Partendo dal presupposto che il processo «deve servire (…) soprattutto all‟imputato, alle sue origini e alla sua causa non è immaginabile una condotta processuale dell‟imputato in termini di doverosità»404
.
398 Il diritto al silenzio si presenta come l‟immagine di una vera e propria esclusione volontaria dal
rapporto dialogico fra individuo e autorità. Con l‟affermazione del “right to silence” si può impedire addirittura l‟instaurazione dell‟atto processuale. Cfr. F. Zacchè, Gli effetti della
giurisprudenza europea in tema di privilegio contro le autoincriminazioni e diritto al silenzio, in
AA.VV., Giurisprudenza europea e processo penale italiano, cit., p. 180.
399 Gaetano Filangieri rimarca l‟esistenza di un “diritto naturale al silenzio. «E‟ la natura che
chiude la bocca al reo; l‟istinto di conservazione, di sopravvivenza è più forte di qualunque altro stimolo: la confessione del delitto, portando sicuramente la perdita o dell‟esistenza, o di una parte della sua felicità, richiede o uno sforzo superiore al contrario impulso della natura, o un‟illusione, che gli faccia vedere nella perdita di una queste due cose l‟acquisto di un bene più grande (…). Se la prima legge di natura esige che ognuno preservi la propria vita, qualsiasi patto sociale che intimi di confessare è da considerarsi nullo, in quanto costringe a violare un principio antecedente e superiore al diritto positivo» In questi termini G. Filangieri, La scienza della legislazione, Genova, 1798, p. 238-239 e p. 283. Cfr. L. Garlati, Silenzio colpevole, silenzio innocente, cit., pag. 295.
400 Riconoscere una tutela al nemo tenetur se detegere significa pertanto assicurare un «assetto
equilibrato dei rapporti intercorrenti (…) tra stato e cittadino, tra “autorita” e “libertà”». Il diritto al silenzio e a non autoincriminarsi costituiscono il primo e indispensabile baluardo difensivo riconosciuto al soggetto che è sollecitato dall‟autorità pubblica a svelare il proprio sapere riversandolo all‟interno del procedimento penale.
401
M.S. Goretti, Il problema giuridico del silenzio, Giuffrè, Milano, 1982, p. 12. Cfr. L. Garlati,
op. citata, p. 265.
402 L. Garlati, op. citata, pag. 280. 403 Ivi, p. 282.
404
Ci si muove costantemente in un‟ottica di collaborazione dell‟imputato per cercare di tamponare le vistose carenze funzionali del nostro sistema che si presenta spesso incapace di fronteggiare il “fenomeno criminale” senza far ricorso al contributo di chi è presunto innocente. Cfr. L. Garlati, op. citata, p. 276.
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
106
Giunti a questo punto è però indispensabile evidenziare (e non lasciar scolorire) la linea di confine che corre tra imputato405 e testimonio: solo a quest‟ultimo spetta il dovere di parlare e di dire la verità406. Quindi si prevede l‟inesistenza di qualunque dovere di collaborazione da parte dell‟inquisito.
Ciò risponde perfettamente alle logiche che ruotano intorno al principio di effettività della difesa e al riconoscimento della presunzione di non colpevolezza del soggetto imputato407.
E‟ importante precisare da subito che il contorno di tutele apprestato nei riguardi dell‟imputato e che si esprime con la formula del nemo tenetur se detegere408
si
405 Seguendo un‟interpretazione dottrinale sviluppatasi nei codici di rito penale del 1913 e del
1930, l‟imputato potrà assumere, rispetto alla formazione della prova, un duplice ruolo quale “organo” e quale “oggetto” di prova. Come “organo” di prova egli potrà svolgere un‟attività che ruota intorno al concetto di autodifesa. Nell‟accezione di “oggetto” di prova invece non è richiesto all‟imputato di contribuire attivamente all‟istruzione probatoria, ma di soggiacere con la propria persona alla stessa (si pensi ai rilievi finalizzati alla all‟identificazione dell‟indagato (art. 349, comma 2, c.p.p.), al prelievo di saliva o capelli strumentale sempre all‟identificazione dell‟indagato (art. 349, comma 2-bis, c.p.p.), alle perquisizioni urgenti (art. 352 c.p.p.). Cfr. A. Laronga, Il valore probatorio del contegno non collaborativo dell‟imputato nell‟accertamento del
fatto proprio, in Questione Giustizia (www.questionegiustizia.it), 17.04.2014. p. 4.
406Indispensabili sono alcune precisazioni laddove occorre distinguere tra garanzia del silenzio sul
fatto proprio e sul fatto altrui. Il legislatore del 1988 ha inteso assicurare la tutela dello ius tacendi indipendentemente dalla natura del fatto (proprio o altrui) su cui si rendono dichiarazioni. Con riguardo al primo profilo, l‟art. 64 comma 3 c.p.p. (nella versione precedente alla riforma della legge 1° marzo 2001, n. 63) riconosce un diritto al silenzio di estensione identica a quello sancito nell‟art. 78 comma 3 c.p.p. abr., della cui sussistenza il soggetto sottoposto ad interrogatorio deve essere informato. Cfr. Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in Gazz.
Uff., 24 ottobre 1988, n. 250, suppl. ord. n. 2, p. 72. Durante l‟esame dibattimentale, all‟imputato è
riconosciuto oltre che il diritto a non essere interrogato anche il diritto al silenzio “parziale”, id est la facoltà di rifiutare di rispondere a una o più domande, rifiuto di cui sarà fatta menzione nel verbale. Uno ius tacendi, quindi, con «portata panprocessuale», ammesso all‟interrogato nel procedimento a suo carico e all‟imputato in un procedimento connesso ex art. 210 c.p.p. L‟espressione è di V. Patanè, op. citata., p. 37. Sempre in un‟ottica di tutela occorre far menzione dell‟art. 63 comma 1 c.p.p., che prevede una serie di garanzie in favore della persona non imputata o non sottoposta alle indagini che abbia reso dichiarazioni da cui si deducono indizi di reità a suo carico. In tal caso, ponendo in essere un‟interruzione dell‟esame stesso e prevedendo un avvertimento in relazione ai rischi derivanti dalle dichiarazioni si invita la parte alla nomina di un difensore. Cfr. O. Mazza, I protagonisti del processo, cit., p. 123. Al comma successivo del medesimo articolo si vanno a sottoporre allo stesso regime di inutilizzabilità tutte le dichiarazioni di chi, ab origine, avrebbe dovuto essere sentito come indagato o imputato. Nella stessa logica si colloca l‟art. 198 comma 2 c.p.p, ai sensi della quale «il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale». La norma prevede una «eccezione al dovere di verità». Cfr. E. Amodio, Diritto al silenzio o dovere di collaborazione? A
proposito dell‟interrogatorio dell‟imputato in un libro recente, in Riv. dir. Proc., 1974, p. 412.
407 V. Patanè, op. citata, p. 91.
408 Oltre che nell‟art. 111 Cost. il principio del nemo tenetur se detegere trova spazio anche
nell‟art. 2 Cost. (inviolabilità dei diritti umani), nell‟art. 13 (divieto di violenze morali sulle persone sottoposte a restrizioni di libertà), nell‟art. 24 c. 2 (principio di autodifesa), nell‟art. 27 (presunzione di innocenza). Cfr. L. Luparia - G. Ziccardi, Investigazione penale e tecnologia
informatica. L‟accertamento del reato tra progresso scientifico e garanzie fondamentali, Giuffrè,
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
107
articola in tre distinte facoltà: diritto di non autoincrimarsi (privilege against self-
incrimination)409, diritto di restare silente dinanzi alla totalità delle domande o a un singolo interrogativo e infine, diritto di rifiutare il dialogo con l‟autorità o le parti (right no to be questioned)410.
Ora, il riconoscimento della libertà dell‟imputato di rendere o meno dichiarazioni sul fatto contestato è un valore che non gode di buona salute né all‟interno dei sistemi continentali411 (in cui la sua affermazione è relativamente recente), né entro i modelli anglomericani, che ne possono vantare la primogenitura412. Si parte infatti dal presupposto che chi è innocente, nel caso in cui venga accusato di
proprio secondo la Corte di Strasburgo e nell'esperienza italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006,
p. 611.
409 Il giudice Loucaides nell‟affare Saunders c. United Kingdom, C. EDU, 17 dicembre 1996, in
Recueil de Arréts et Décision, 1996, VI, n. 24, 2101, sostenne che il diritto al silenzio e a non
autoincriminarsi rappresentano due corollari del principio della presunzione di innocenza cristallizzato dal comma 2 dell‟art. 6 Conv. Eur. Cfr J.A.E. Vervaele, Nemo tenetur se ipsum
accusare. A interesting decision in Strasbourg, in Agon, 1994, p. 3 s.; G. Grasso – R. Sicurella, op. citata, p. 222. La prospettiva è quella di salvaguardare il soggetto dichiarante da “rischi
autolesionistici” e ridurre al tempo stesso i pregiudizi che l‟esercizio dello ius tacendi potrebbe comportare sul piano del diritto alla prova.
410 Si tratta di diritti che si pongono in una logica di contiguità e riguardano tutti i tipi di reati, da
quelli più semplici a quelli più complessi (Funke v. France, § 44; O'Halloran and Francis v. The
United Kingdom [GC], § 45; Saunders v. The United Kingdom, § 60). Il soggetto sarà quindi
libero di scegliere dei propri diritti e decidere o meno di iniziare un meccanismo di interlocuzione ricorrendo all‟interrogatorio o utilizzando delle forme previste nelle varie fasi del procedimento. Siamo quindi dinanzi a un‟espressa tutela di situazioni (dal diritto dell‟accusato a non testimoniare contro se stesso, al diritto a non confessarsi colpevole) tutte riconducibili al principio del nemo
tenetur se detegere che, per la sua particolare valenza semantica, conosce svariate modalità di
estrinsecazione. Per veder osservata la garanzia della presunzione di innocenza l‟accusatore deve provare che l‟accusato abbia commesso i fatti costitutivi dell‟infrazione e che sussistano gli elementi di fatto e di diritto che consentano di dichiarare la sua responsabilità. E‟ a questo punto che si assiste all‟incontro tra la presunzione di innocenza e l‟onere della prova. L‟avvocato
Trstenjak nel caso Fazenda Pùblica, precisa con particolare riferimento alla materia penale che la
colpevolezza deve essere provata dal pubblico ministero “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
411
In questi sistemi, a differenza di ciò che accade nei Paesi anglosassoni, vi è una maggiore riluttanza ad utilizzare informazioni provenienti dagli indagati. Cfr. Damaska, The Uncertain Fate
of Evidentiary Transplants: Anglo-American and Continental Experiments, in Am. J. Comp. L.,
1997 P. 842-844.
412
Nel processo penale anglosassone l‟originaria versione del right not to be questioned (in base al quale non esisteva alcun veicolo per l‟acquisizione processuale del sapere dell‟imputato), è pian, piano mutata nella regola secondo cui l‟imputato stesso «è competent, but not compellable
witness», dimodoché «attraverso il congegno della deposizione testimoniale volontaria» si possa
acquisire al processo «la cognizione di fatti favorevoli al defendant (…) altrimenti preclusa». Cfr. B. Lavarini, L‟esame delle parti, in AA.VV., La prova penale, (a cura di) P. Ferrua - E. Marzaduri - G. Spangher, Giappichelli, 2013, p. 297. V. anche V. Grevi, Nemo tenetur se detegere.
Interrogatorio dell‟imputato e diritto al silenzio nel processo penale italiano, Giuffrè, 1972, p. 77
ss; E.M. Catalano, Diritto al silenzio, right not to be questioned e tutela dell‟autoincriminazione,
Note storico-comparative, in Cass. pen., 2011, p. 4019; O. Mazza, L‟interrogatorio e l‟esame dell‟imputato nel suo procedimento, Giuffrè, Milano, 2004, p. 48 s; L. Marafioti, Scelte autodifensive dell‟indagato e alternative al silenzio, Giappichelli, Torino, 2000 p. 115 ss.
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
108
un reato, abbia la totale volontà di dimostrare la propria estraneità ai fatti addebitatogli e intenda quindi manifestare con ogni mezzo la propria incolpevolezza. In quest‟ottica il silenzio della parte o la menzogna vengono spesso lette come una “carenza di ragioni difensive da parte dell‟imputato, e fornirebbero quindi elementi che potrebbero essere valutati a suo carico”413
. Si tenga infatti presente che spesso il sospetto del commesso reato genera il sospetto che il silenzio o la risposta totalmente o parzialmente negativa dell‟interrogato sia un artificio per nascondere la verità. Da ciò sorge la tentazione di “premere” sull‟interrogato al fine di ottenere una risposta positiva414
.
413
Il riconoscimento in capo al soggetto sottoposto a procedimento penale di una facoltà di mentire nel dialogo con l‟autorità giudiziaria non è stato sempre un assunto pacifico in dottrina. Non va dimenticato che sotto la vigenza del codice Rocco si fosse sostenuta l‟opportunità dell‟imposizione in capo all‟imputato di un obbligo di verità che, muovendo dalla teoria carneluttiana fondata sulla concezione c.d. ottimistica o medicinale della penale, avrebbe il valore di «aiutarlo a vincere la sua riluttanza a quella narrazione veritiera, la quale a lui sembra, ma non è e non può mai essere in contrasto con il suo reale interesse». Cfr. F. Carnelutti, Il problema della
pena, Tumminelli, Roma, 1945, passim.; ID., La Lotta del diritto contro il male, in Foro it., 1946,
IV, c. 1 s; ID., Meditazioni sull‟essenza della pena, in Riv. it. dir. Pen., 1955, p. 3. Appurato che il mendacio dell‟interrogato trova una copertura costituzionale nei limiti in cui è strumentale all‟esercizio dell‟autodifesa attiva, si pone il problema di delinearne il rapporto con le norme incriminatrici che a vario titolo puniscono dichiarazioni non veritiere. La soluzione passa attraverso la verifica caso per caso delle motivazioni sottostanti l‟esercizio della facoltà di mentire in quanto proprio perché la copertura costituzionale ha una proiezione teleologica ben precisa occorre accertare che la menzogna sia stata motivata da una reale necessità di difendersi – ossia quando sussista una relazione diretta tra «l‟oggetto del mendacio e il contenuto effettivo o possibile dell‟accusa» - in modo da poter ritenere sussistente la causa di giustificazione ex art. 51 c.p. dell‟esercizio di un diritto. V. Patanè, op. citata, p. 94-95. G. Giostra, L‟imputato che mente o
tace sui suoi precedenti penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1977, p. 653: O. Mazza, L‟interrogatorio e l‟esame dell‟imputato nel suo procedimento, cit., p. 73 s. Contra, M. Macchia, voce Interrogatorio (diritto processuale penale), in App. Novis. dig. it., vol. IV, Utet, Torino, 1983,
p. 329, il quale sostiene che «la normale non punibilità del mendacio reso dall‟imputato non postula invero la ricorrenza della scriminante dell‟esercizio di un preteso diritto a mentire ma deriva più semplicemente dal non essere il mendacio per lo più riconducibile ad una qualche norma incriminatrice. Prendendo spunto da un certo indirizzo ermeneutico, si potrà ammettere che all‟imputato sottoposto ad interrogatorio sia riconosciuto non solo il diritto di tacere, ma anche quello di mentire. Tuttavia è importante fare una precisazione in quanto «la differenza fra silenzio e mendacio non è “quantitativa”, nel senso che il più (silenzio) contenga il meno (mendacio), ma “qualitativa”. Il silenzio, infatti, implica il rifiuto, anche solo parziale, del dialogo e della collaborazione con l‟autorità giudiziaria; il mendacio, invece, rientra a pieno titolo nella dialettica processuale, sia pure con il rischio di intralci e sviamenti che da esso possono derivare. O. Mazza,
L‟interrogatorio e l‟esame dell‟imputato nel suo procedimento, cit., p. 69 s.; P. Moscarini, Il silenzio dell‟imputato sul fatto proprio secondo la Corte di Strasburgo e nell‟esperienza italiana, cit., p. 614. In merito alla distinzione tra diritto al silenzio e diritto alla menzogna sotto la vigenza
del c.p.p. 1930, v. G. Bellavista – G. Tranchina, Lezioni di diritto processuale penale, Giuffrè, Milano, 1984, p. 195.
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
109
C‟è da aggiungere che l‟affermarsi di un sempre più accentuato diritto di difendersi con il silenzio415 - le cui tappe evolutive hanno visto «l‟attenuarsi del rigore dell‟apparato coercitivo volto a ottenere il rispetto dell‟obbligo di verità cui fa seguito un regime di “silenzio tollerato” destinato a trovare uno sbocco nel “silenzio protetto”» - è stato un processo piuttosto lento che è giunto in parte a conclusione solo nel XX secolo, in coincidenza con l‟adozione delle carte internazionali di cui abbiamo trattato416. Di per sé, l‟attuazione legislativa del giusto processo ha reso necessaria una profonda revisione del diritto al silenzio. Concepito a garanzia dell‟imputato e a protezione della dignità umana quale argine all‟uso della forza per ottenere dichiarazioni autoincriminanti, il diritto in questione ha conosciuto nella storia recente della nostra procedura penale uno sviluppo ipertrofico che ha finito per compromettere un intero settore del diritto probatorio417.
Nella pratica giudiziaria dell‟ultimo decennio il diritto al silenzio è entrato in collisione con l‟esigenza di garantire la completezza dell‟accertamento e dunque con il diritto delle parti all‟assunzione della prova.
Nel nostro ordinamento le coordinate che prendono in esame il diritto al silenzio si possono ricavare (come individuato dall‟incipit dell‟art. 2 legge delega 16 febbraio 1987 n. 81) da un vero e proprio obbligo di adeguamento e quindi di armonizzazione alle «norme delle Convenzioni internazionali ratificate dall‟Italia e inerenti i diritti della persona nel processo penale418.
415 Cass., sez. VI, 16 novembre 2016, n. 48555. L‟esercizio da parte del soggetto indagato di un
diritto riconosciutogli dalla legge non potrà essere mai letto in chiave negativa e non dovrà quindi essere posto a fondamento di situazioni in malam partem.
416
V. Patanè, op. citata, p. 13.
417 R. Orlandi, Dichiarazioni dell‟imputato su responsabilità altrui, in AA.VV. Il giusto processo
tra contraddittorio e diritto al silenzio, (a cura di) M. Bargis, Giappichelli, 2002, p. 153 s.
418 V. Patanè, op. citata, p. 134. Le previsioni contenute in tali Convenzioni, alle quali deve
adeguarsi il codice vanno considerate alla stregua dell‟art. 76 Cost. quali indefettibili parametri di costituzionalità delle disposizioni emanate dal legislatore delegato in quanto il richiamo operato dal legislatore delegante permette di attribuire ad esse la stessa rilevanza delle direttive specifiche contenute nella legge delega. V. M. Chiavario, La riforma del processo penale: appunti sul nuovo
codice, II ed., Utet, Torino, 1990, p. 24 s; ID., «Cultura italiana» del processo penale e Convenzione europea dei diritti dell‟uomo: frammenti di appunti per una «microstoria», in
AA.VV., Studi in onore di Giuliano Vassalli, Volume. II, Giuffrè, 1991, p. 65; L. Scomparin,
Processo penale e convenzioni internazionali: prospettive vecchie e nuove nella giurisprudenza costituzionale, in Leg. Pen., 1992, p. 407 s. E‟ stata inoltre prevista una forma di tutela anticipata
del diritto al silenzio rispetto al momento dell‟interrogatorio. Con la formulazione dell‟art. 63 comma 1 c.p.p. è stato infatti messo a punto (ad opera del legislatore del 1988) un ampliamento della previsione che risultava già contenuta nell‟art. 304 commi 3 e 4 c.p.p. abr. recante
Capitolo II – La presunzione di innocenza nello spazio europeo. Analisi e spunti di riflessione in merito al percorso fatto e al percorso (ancora) da fare
110
Se si pone uno sguardo al codice di procedura penale del 1930 si nota che non è presente alcuna norma che richiami il diritto al silenzio dell‟imputato. Solo con la legge 5 dicembre 1969, n. 932, è stato infatti introdotto nel codice Rocco il riconoscimento esplicito di questa garanzia. Il “nuovo” terzo comma dell‟art. 78 c.p.p. abr. aveva infatti stabilito: “l‟autorità giudiziaria o l‟ufficiale di polizia giudiziaria, prima che abbia inizio l‟interrogatorio, in qualsiasi fase del procedimento, deve avvertire l‟imputato, dandone atto nel verbale, che egli ha la facoltà di non rispondere, salvo quanto dispone l‟art. 366, primo comma, ma che, se anche non risponde, si procederà oltre nelle indagini istruttorie”419
.
Guardando invece all‟ordinamento sovranazionale si scorge ancora una volta, che anche in merito al diritto al silenzio420, ritorna il trait d‟union con la previsione dell‟art. 6 § 2 Conv. Eur.421
e di conseguenza con la presunzione d‟innocenza e le componenti del processo giusto.
Si richiama inoltre, ad arricchire il quadro delle disposizioni inerenti a tale diritto, l‟art. 14 § 3 lett. G422
del Patto internazionale sui diritti civili e politici, in cui si enuncia il diritto dell‟accusato a non essere «costretto a deporre contro se stesso», unitamente al diritto a non «confessarsi colpevole».
Nella prima parte della norma sopra richiamata è presente una matrice sicuramente riconducibile al privilege against self-incrimination423.
“Disciplina l‟ipotesi di dichiarazioni indizianti rese dinanzi agli organi inquirenti da parte di un
soggetto che non abbia ancora formalmente assunto la qualità di imputato né di persona sottoposta alle indagini”. Cfr. V. Patanè, op. citata, p. 37.