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La corte con il modello di vita che la contraddistinse è stato un oggetto d'indagine privilegiato degli ultimi decenni. Dopo quella che è stata definita "the long phase of academic disdain for courts, kings, and nobles" , filoni storiografici nazionali hanno visto 131 la luce in tutta Europa, in particolare a partire dagli anni Settanta del Novecento.

Da questo punto di vista, fondamentale fu la riscoperta del lavoro del sociologo tedesco Norbert Elias, che a cavallo tra le due guerre mondiali aveva dato alle stampe la sua opera Über den Prozess der Zivilisation, sebbene con scarsa risonanza. A maggior fortuna furono invece destinate la riedizione tedesca dei suoi scritti (1969) e l'uscita de Die höfische Gesellschaft nello stesso anno, entrambi tradotti in francese, inglese ed italiano negli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso, portando ad un rinnovato e duraturo interesse negli studi storici per il tema della società di corte . 132

Il moltiplicarsi degli studi, il dibattito che ne scaturì e la parallela apertura verso approcci interdisciplinari alla materia, tuttavia, non tardarono ad evidenziare anche incongruenze e limiti del modello eliasiano, incentrato in larga parte sull'esempio offerto dalla corte francese del Re Sole. Sempre più evidente è quindi apparso agli studiosi il bisogno di criteri interpretativi più ampi, che rendessero conto di un'idea proteiforme di "corte", tesa a riunire in sé declinazioni temporali e geografiche tra loro a volte distanti . 133

Seguendo l'analisi di Marcello Fantoni, delineata dallo studioso nell'Introduzione al recente volume collettaneo dedicato agli studi sul tema delle corti in Europa, in quanto reggia la corte appunto si definisce come "a delimited space within which a complex of buildings creates a miniature city: the city of the sovereign enclosed within the city of his or her subjects". Tuttavia, la forma itinerante, che essa assunse di frequente in età moderna, spinge ad identificare la corte non solo come un singolo spazio, bensì piuttosto come "a

Cfr. Keblusek 2011, in particolare pp. 6-7.

130

Duindam 2009, p. 37.

131

Sull'opera di Norbert Elias e sulla sua ricezione, cfr. Crifò 1985.

132

Si vedano ad esempio 'Familia' del principe 1988; Princes, Patronage, and the Nobility 1991; The

133

princely courts of Europe 2000; Princes and princely culture 2003-2005; Duindam 2009; La corte e lo spazio

plurality of spaces, because of its internal articulation and because of the multiplicity of residences and their various types and functions: it is a web of places extended to encompass the entire territory of the state" . 134

L'importante contributo di Norbert Elias agli studi non è dimenticato dal Fantoni, il quale ricorda come, accanto ad una connotazione prettamente spaziale, la corte costituisca anche "an elite, closed society. Closed, but also cosmopolitan, and therefore constituting the milieu of political and cultural exchange. Everyone is an employee of the sovereign and is tied to him by a personal bond of subordination. In this regard, the court emerges as a social mix of 'nobility' and 'bourgeoisie', laymen and churchmen, courtiers and officials" . 135 All'aspetto spaziale ed a quello sociologico, si affianca la componente economica, delineando così una lettura tripartita del concetto in esame. Come centro di produzione di beni di lusso, la corte si è infatti affrancata negli studi più recenti dall'idea novecentesca di corpo parassitario ed improduttivo della società moderna, divenendo luogo di opportunità per artisti ed artigiani. Tra XIV e XVIII secolo, sono infatti la corte e la Chiesa i due maggiori centri propulsori della vita artistica e culturale in Europa. Tuttavia, avverte ancora il Fantoni, anche letta in termini "produttivi" e di mecenatismo artistico la corte deve essere posta nel giusto contesto di appartenenza, dal momento che "its economic dimension must be incorporated into a peculiar cultural framework, based on the concept of 'magnificence', the logic of 'conspicuous consumption', and the particular values that liberality (or charity) assume as instruments of legitimization of majesty" . 136

La corte, conclude quindi lo studioso, "is the seat of power in all its manifold forms, the center of decision-making, the point of confluence of the 'ruling class', the concentration of offices (and officials), and the stage for the performance of sovereignty. It contains in itself all, or almost all, the functions of the state", ma allo stesso tempo essa è "a sacred entity". Il potere del sovrano derivava infatti direttamente da Dio ed il ritmo stesso della corte era dettato dalla liturgia delle Ore. In particolare, "the palace chapel is the seat of political liturgies centered around the priestly figure of the sovereign, with court life often modeled on the example of the monastic 'regula' " . 137

Questo universo complesso, posto ai vertici di uno stato, aveva bisogno di regole precise per continuare a perpetuarsi. Nelle corti dell'età moderna, la vita a palazzo era scandita attraverso tre codici comportamentali distinti: rituale, cerimoniale ed etichetta.

Seguendo la definizione proposta da Sergio Bertelli e Giulia Calvi, "si intende comunemente per rituale tutto quel complesso di formule, gesti, movimenti che esprimono, esplicitano e accompagnano la celebrazione di un rito. Si intende per cerimoniale un insieme di norme - scritte o tramandate - che debbono osservarsi in momenti

The Court in Europe 2012, p. 13.

134

The Court in Europe 2012, p. 13.

135

The Court in Europe 2012, p. 13.

136

Tutte le citazioni sono tratte da The Court in Europe 2012, pp. 14-15.

particolarmente solenni. Si intende per etichetta una serie di regole comportamentali - scritte o trasmesse oralmente - volte a distinguere e a differenziare il gruppo che ne è a conoscenza e che ne fa uso, da altri gruppi, che o le ignorano o seguono comportamenti difformi" . 138

Questi tre codici, tra loro complementari e talvolta sovrapponibili, avevano lo scopo di normare la vita di corte, controllando allo stesso tempo l'accesso al ceto dominante e legittimando il potere di colui (oppure colei) che ne era a capo. La loro conoscenza era quindi un aspetto imprescindibile del saper vivere a corte tanto che, per tutta l'età moderna, modelli comportamentali proliferarono tra le pagine di scritti e trattati, offrendo ai componenti delle corti esempi positivi, e talvolta ideali, a cui rifarsi.

Come si evince dall'insieme coerente di queste fonti, ingressi ed udienze ufficiali erano regolate da un rigido protocollo e da un codice di condotta, la cui ragione d'essere risiedeva in larga parte nella salvaguardia dell'onore di tutti gli attori coinvolti . Questo insieme di 139 regole condivise prendeva il nome di cerimoniale e la sua corretta applicazione era supervisionata dal maestro di cerimonia. Egli aveva infatti il compito di controllare che l'etichetta non fosse infranta e che ogni attore recitasse correttamente il proprio ruolo. Nessuna eccezione era tollerata, neppure per i membri della famiglia reale.

L'origine antica di questo ufficio è ricordata da Abraham de Wicquefort alla fine del XVII secolo. Nel suo celebre trattato L’ambassadeur et ses fonctions, il diplomatico olandese affermò che il Maistre des Ceremonies aveva fatto la sua comparsa a Roma diversi secoli addietro . La notizia del diplomatico olandese è confermata dalla monumentale opera 140 ottocentesca di erudizione composta dal Moroni. Sebbene in quest'ultima l'origine dell'ufficio sembri perdersi nella notte dei tempi, l'aiutante di camera di Pio IX fornisce anche al lettore una lista di uomini illustri, che in età moderna ricoprirono la carica di magister caeremoniarum pontificiarum. Un elenco di nomi che risale indietro nel tempo, fino almeno alla seconda metà del Quattrocento . 141

É infatti con Agostino Patrizi e Giovanni Burcardo che nel 1487 si ha notizia per la prima volta di un libro che i due cerimonieri pontifici erano stati incaricati di comporre da Innocenzo VIII, riunendo in un unico volume la tradizione del cerimoniale romano tramandata da otto libri antichi. Che questo avvenisse per la prima volta proprio a Roma è una circostanza che non ha sorpreso. Da più parti, infatti, è stato notato che il costante richiamo delle cerimonie romane all'ordine religioso, sotteso al mondo terreno che gli è

Bertelli - Calvi 1985, p. 11.

138

Alle udienze diplomatiche, lette non solo in relazione al cerimoniale, è interamente dedicato il volume

139

Paroles des négociateurs 2010.

L’ambassadeur et ses fonctions 1681, I, p. 418 (il passo è citato in Olin 2012, p. 42 nota 2).

140

Moroni 1846.

sottomesso, abbia fatto insorgere nell'Urbe, prima che altrove, la necessità di normare in maniera chiara i rituali che, quotidianamente, scandivano la vita della corte pontificia . 142 Nel 1585, Enrico III di Valois affiancò al lavoro del Grand maitre e del Maitre de cérémonies quello di un Introducteur, incaricato dal sovrano di ricevere ambasciatori e principi stranieri. Una mansione quest'ultima destinata ad acquisire crescente importanza alla corte francese nel corso del XVII secolo . Tuttavia, già prima 143 dell'istituzionalizzazione dell'ufficio, alcuni cortigiani erano stati preferiti dal sovrano ad altri, in quanto considerati più adatti per rango a ricevere gli ospiti stranieri in arrivo. Tra i numerosi esempi citati dal Wicquefort, figura infatti il matrimonio per procura della figlia di Enrico II, Elisabetta di Valois, in occasione del quale il sovrano francese aveva inviato diversi duchi, cardinali e principi del regno a ricevere il duca d'Alba, giunto alle porte di Parigi nel giugno 1559:

"Le Roy Henry II ayant sceu que le Duc d’Albe, qui venoit avec procuration de Philippe II pour épouser Madame Elisabeth sa fille, approchoit de Paris, envoya audevant de luy le Prince de Condé, les Cardinaux de Lorraine et de Guise, le Duc de Lorraine, le Duc de Nemours, Mrs. de Guise et d’Aumale, le Duc de Boüillon, Monsieur de Nevers, le Prince de Ferrare, et plusieurs autres Seigneurs, qui avoient une suite de cent cinquante pages, sans leurs autres domestiques" . 144

Nelle residenze reali e nobiliari, l'architettura stessa era pensata per rispondere alle esigenze impartite dall'etichetta cortigiana. Il palazzo principesco in età moderna va infatti inteso come un luogo di scambio ed incontro di culture, nel quale l'interazione umana era codificata da un insieme complesso di regole, frutto spesso di consuetudini stratificate, le quali erano destinate a lasciare la loro impronta fin nella struttura stessa dell'edificio. Il susseguirsi di stanze e percorsi obbligati che scandivano, misurandola, la distanza fisica del singolo dal corpo del sovrano erano studiati infatti per le visite ed i ricevimenti ufficiali, adattandosi ogni volta al rango degli ospiti. Uno stretto cerimoniale stabiliva chi dovesse essere ricevuto alla porta (pochissimi), chi alla sommità delle scale (pochi) e coloro i quali (molti) erano invece attesi nelle stanze del re. Ad ogni passo avanzato in direzione del corpo del sovrano, il rango dell'ospite era ridimensionato in modo graduale e continuo . 145

Il Libro, consegnato al pontefice nel 1488, fu dato alle stampe per la prima volta a Venezia da Cristoforo

142

Marcello nel 1516. Cfr. Constant 1903; Visceglia 2002, pp. 119-128. Più in generale sul cerimoniale alla corte papale, si vedano Dykmans 1977-1985; Cérémonial et rituel 1997; Court and politics 2002; Bölling 2006; Stenzig 2013; Fletcher 2015, pp. 59-80.

Cfr. Sabatier 2009.

143

L’ambassadeur et ses fonctions 1682, I, p. 291. 1681, I, p. 421.

144

Cfr. Baillie 1967; Chatenet 2002; Chatenet 2009.

Controllando le modalità di accesso alla propria persona, il principe diveniva anche l'ordinatore dello spazio pubblico della corte, definendo proprio attraverso la gestione dello spazio la gerarchizzazione di attendenti e cortigiani . Come sintetizzato dal Casini infatti, 146 "trough etiquette and ritual the prince had the opportunity to set a strategy of measured appearance and disappearance, of proximity or distance from his/her super-human body. The target was a system of formal behavior to preserve the ruler's two-fold situation as, on one side, a «lonely» figure from the ceremonial point of view, and, on the other, the center of attention for counselors and courtiers" . 147

Nelle corti dell'età moderna, ogni aspetto della vita quotidiana era quindi normato e ritualizzato al fine di ribadire e consolidare il dominio del gruppo dirigente. Dalla francese lever du Roi, ai pasti reali consumati in pubblico oppure in privato, all'uso della cappella di palazzo, ogni momento della giornata era scandito e studiato per mantenere in essere una gerarchia di poteri. Continua infatti il Casini: "if court was the theatre for the creation of the king's sacrality and intimacy, it could also distribute power and prestige to its members, in particular through the distribution of favors or offices. [...] A crucial consequence of that distribution was the definition of the place and value of each participant in the circles around the prince, and the construction of a «hierarchical formalism» that dominated the princely house and limited the actions of the protagonists" . 148

Nonostante il sussistere di differenze da regione a regione, in ambiente curiale è possibile parlare di un linguaggio internazionale, affiancatosi nel tempo a quelli che erano gli usi locali. A questo proposito, Marcello Fantoni ha giustamente parlato di networks of courts, spiegando come "the existence is evident of an international court society characterized by shared customs and values. From this we can perceive a new dimension of the court, which appears now as the foundational locus of an entire civilization, giving meaning to the transversal nature of the political and cultural schemes to which the mentalité and actions of the aristocracy respond" . 149

Come avverte il Duindam, tuttavia, "ceremony is no longer automatically presented as the rulers' instrument to control nobles; court culture is no longer seen only in the light of conscious propaganda. A more differentiated approach asks us first to outline the 'Adressate', or audiences, of the courts' ceremonies, festivals, collections, and publications" . 150

Nel Cinquecento, infatti, il cerimoniale non fu un organismo immobile ed immutabile. Basate su prassi consuetudinarie, le norme che regolavano la vita di corte ed i rituali

Cfr. al riguardo The Politics of Space 2009; Dillon 2010; The Key to Power? 2016.

146

Casini 2012, p. 244.

147

Casini 2012, p. 247. Al lavoro dello studioso si rimanda inoltre per i dovuti riferimenti bibliografici sui

148

singoli momenti rituali della vita di palazzo, qui solo accennati. The Court in Europe 2012, p. 19.

149

Duindam 2009, p. 48.

pubblici erano soggette a perenni mutamenti, rispecchiando da un lato l'evolversi della società e d'altro agendo sulle relazioni di potere, condizionandole. Come è stato sottolineato, infatti, il cerimoniale in età moderna fu "a manifestation and at the same time a creation of sovereignty" . 151

Proprio in ragione di questa qualità performante del rito, come si è visto, erano tenute in grande considerazione dagli ambasciatori le descrizioni di cerimonie passate e le preziose indicazioni fornite nei trattati diplomatici. Come sottolineato da Stefano Andretta, il cerimoniale costituiva uno "strumento ormai necessario al personale diplomatico per entrare in sintonia con le abitudini e le gerarchie dei governi" e la corretta conoscenza di 152 usi e costumi locali era essenziale al raggiungimento degli obiettivi preposti.

A questo fine, diversi trattati dedicati alla figura ed alle funzioni di un ambasciatore si dilungavano, entrando nel dettaglio, sull'organizzazione interna degli stati ospitanti, fornendo così un indispensabile repertorio di notizie ad uso dei delegati. Nel 1620, ad esempio, Juan Antonio De Vera impiegò l'intero Discurso quarto del suo El Enbaxador per sottolineare quanto importante fosse per un ambasciatore essere consapevole delle peculiarità di ogni corte, ponendo grande attenzione alle gerarchie vigenti tra i residenti stranieri. Presso la corte papale, ad esempio, uno statuto speciale era assicurato al delegato spagnolo per via del costante supporto assicurato al Papa dal cattolico re di Spagna . 153 Come sottolineato da Daniela Frigo, "la società internazionale d'antico regime è una società gerarchica, che si organizza con le regole dell'onore, del privilegio, della grazia. Il cerimoniale diplomatico non è che la traduzione visiva di queste regole, la rappresentazione dei codici di comportamento e dei modelli dell'agire politico che guidavano ministri, ambasciatori e sovrani" . 154

Ma come era accolto un ambasciatore straniero una volta giunto a corte? Come doveva muoversi all'interno delle residenze reali e quali erano i suoi compiti ed il suo ruolo nelle cerimonie ufficiali? In cosa consisteva il cerimoniale diplomatico in uso ? 155

Per diversi contesti, quali la corte di Roma, la Francia, l'Inghilterra o la Spagna, un aiuto prezioso è offerto dai libri del cerimoniale, i quali menzionano - sebbene non largamente - alcuni degli aspetti rituali che caratterizzarono la vita diplomatica . L'ambito fiorentino 156

Court and politics 2002, p. 4. La mole di studi condotti sui rituali cortigiani in età moderna è assai ampia.

151

Per una bibliografia ragionata in chiave comparativa si vedano Visceglia 2002, in particolare pp. 17-51; Visceglia 2009; Casini 2012. Andretta 1997, p. 205. 152 El Enbaxador 1620, IV. 153 Frigo [1996] 2013, p. 154. 154

Per un'ampia bibliografia sul cerimoniale diplomatico, si veda il volume di recente pubblicazione

155

Diplomatisches Zeremoniell 2009.

Un'utile guida bibliografica ai rituali di corte si trova in Casini 2012.

invece produsse questo tipo di documentazione in ritardo. Alla corte del Granduca, infatti, i diari di etichetta fecero la loro comparsa solo nel 1589, sotto il principato di Ferdinando I. Al tempo del padre Cosimo I, la corte fiorentina era "ancora molto vicina al semplice concetto di «casa» comprendente i servitori del principe", limitandosi di fatto al "solo entourage famigliare e militare del duca" . In questo contesto, Cosimo I agiva più come 157 un padre di famiglia che come un sovrano. Le famiglie eminenti della città, inoltre, non erano ancora gerarchicamente sottomesse ad una struttura verticistica come nelle monarchie d'oltralpe, dal momento che elementi della tradizione repubblicana continuarono a sussistere a lungo, anche all'indomani della fondazione del principato mediceo. L'affermazione del ruolo di principe, quindi, si tradusse piuttosto nella selezione del patriziato, operata da Cosimo I nel tempo attraverso l'elargizione di favori nei confronti di coloro che si erano dimostrati leali servitori della dinastia. Parallelamente, con l'istituzione dell'Ordine di Santo Stefano nel 1562, ossia con l'introduzione di un ordine militare-cavalleresco del tutto alieno alla tradizione repubblicana, Cosimo I si assicurò un valido strumento di promozione sociale. Nei panni di Gran Maestro dell'ordine, infatti, egli elevò gli homines novi del governo mediceo ai ranghi dell'aristocrazia, creando così un nuovo ceto nobiliare fedele al principato . 158

Con il figlio Francesco I, il carattere personale che aveva distinto il governo di Cosimo I si andò stemperando, lasciando il posto ad una gestione del potere di tipo gerarchico. Anche in ragione del suo soggiorno giovanile presso la corte imperiale, sotto Francesco I il rapporto tra sovrano e sudditi divenne mediato dal lavoro di collaboratori e servitori ducali, fino al momento in cui "verranno meno, nelle carte, i fulminanti rescritti di Cosimo I, sostituiti dai pareri formali e dalle firme dei segretari" . La vita di palazzo si popolò così 159 di uno stuolo di cortigiani specializzati e la corte medicea acquistò un carattere più marcatamente principesco. Dalla ventina di persone che circondavano Cosimo I, nel 1564 si passò al numero di 168 individui, per giungere poi a 233 persone nel 1587 . 160

La svolta decisiva arrivò solo con l'ascesa al potere di Ferdinando. Quest'ultimo aveva trascorso gli anni giovanili a Roma, dove in qualità di cardinale aveva conosciuto da vicino la vita dei palazzi pontifici. Quest'esperienza personale era destinata a lasciare un'impronta profonda nel Medici. Quando nell'ottobre 1587, egli fu richiamato a Firenze per guidare il principato mediceo in seguito alla morte del fratello Francesco I, quanto appreso a Roma dal cardinal Ferdinando si rivelò di fondamentale importanza nel formare la sua idea di

Casini 2003, pp. 461-462.

157

Fantoni 1994, pp. 160-161; Casini 2003. In particolare sull'Ordine di Santo Stefano, si veda Angiolini

158

1996.

Fasano Guarini 2003, p. 28. Sull'immediatezza informale delle istruzioni redatte da Cosimo I per gli

159

ambasciatori medicei, si veda Contini 2007, pp. XXIX-XXXVI. Chauvineau [2004] 2010, p. 230.

stato, di corte e di cerimoniale . Il successivo matrimonio nel 1589 con Cristina di 161 Lorena, educata alla corte di Francia, non fece altro che rafforzare la via intrapresa dal nuovo granduca di Toscana . 162

Per il Cinquecento, sembrerebbe quindi che le informazioni possano giungere solo dai carteggi diplomatici, dal momento che poco o nulla è rintracciabile nelle numerose opere dedicate nel corso del secolo alla figura dell'ambasciatore. Una volta risolte le questioni di