Capitolo secondo Il ritratto e la corte
II.1 Il ritratto tra Quattro e Cinquecento
La raffigurazione dell'individuo, proprio per le profonde implicazioni del genere con la natura stessa dell'uomo, ha suscitato fin dall'antichità l'interesse non solo degli studiosi di arti figurative, ma anche di discipline affini.
Aspetti magico-rituali sono ricordati per il ritratto fin dalla sua genesi nella notte dei tempi. Più che una mera rappresentazione di un individuo, il ritratto si configurava infatti come una rievocazione della persona oltre i termini imposti dalla natura, una possibilità di vita oltre la morte, uno strumento di glorificazione eterna ottenuta grazie al perpetuarsi della fama.
Nella Naturalis Historia, Plinio il Vecchio racconta come il costume romano celebrasse gli esponenti di una famiglia attraverso l'uso delle immagini:
"Altri ritratti delle figure più grandi della famiglia erano fuori dalla porta e intorno alla soglia fra le spoglie appese dei nemici, che neanche al compratore era lecito schiodare e rimanevano a simbolo del trionfo anche quando mutavano i padroni della casa stessa" . 1
Ancora nel Cinquecento, Vasari ricorda l'uso quattrocentesco di esporre i busti-ritratto in pubblico, all'esterno della casa, oppure in luoghi chiave all'interno dell'edificio come sovrapporta alle stanze del signore . 2
La funzione propiziatoria del ritratto emerge con chiarezza nella scelta di attualizzare una scena sacra con l'inserimento di persone ancora in vita. A proposito della commissione a Domenico Ghirlandaio degli affreschi nella cappella in Santa Trinita, Aby Warburg definì nel 1902 i ritratti ivi presenti come "l’espressione della [...] ferma volontà di esistere" di Francesco Sassetti . Il costume non era insolito. La presenza di un "infinito numero di 3 cittadini in mantello e in cappuccio" è infatti ricordata dal Vasari nella Vita del Masaccio, a proposito dei perduti affreschi della Sagra . 4
Citato in Cieri Via 1989, p. 52. Per il valore magico del ritratto, si veda il contributo della studiosa, in
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particolare pp. 50-59.
Vasari 1966-1987, vol. III, pp. 543-544 (Vita di Andrea del Verrocchio). Cfr. inoltre Cieri Via 1989, pp.
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53-54.
Warburg [1902] 2004, p. 279.
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Vasari 1966-1987, vol. III, p. 129.
In maniera non dissimile, uomini e donne potevano decidere di apparire nelle vesti dei loro santi eponimi, facendosi ritrarre con tanto di strumenti del martirio.
Le diverse finalità e le sfumature di significato che le immagini acquistano nel corso dei secoli non rendono possibile parlare in modo univoco del ritratto. Nel definire questo genere pittorico diventa infatti essenziale mantenere intatta la varietà delle tipologie esistenti, la molteplicità delle sue funzioni così come i contesti a volte diversissimi di produzione.
In un contributo del 1989 dedicato alle origini del ritratto, Claudia Cieri Via ha sottolineato come "all'interno di una sorta di «percorso ideale» il ritratto può essere verificato come genere solo attraverso precisi sondaggi e campionature da configurarsi in termini storicistici e contestuali, nell'ambito dei quali tanto l'oggetto artistico quanto il personaggio acquistano significato al di qua di un'univoca tensione verso l'individualizzazione, come modello e fine ideale del genere" . 5
Il riferimento della studiosa è alla storiografia ottocentesca ed in particolare all'opera di Jacob Burckhardt, il quale fin dalla pubblicazione nel 1860 di La civiltà del Rinascimento in Italia aveva messo in relazione la rinascita del genere ritrattistico con la riscoperta umanistica dell'uomo. Secondo lo storico di Basilea, infatti, nel Quattrocento il nuovo interesse nei confronti dell'individuo avrebbe determinato la fortuna del ritratto, inteso ora dagli intellettuali umanistici come un genere pittorico dallo statuto autonomo. A completare le teorie avanzate dallo studioso svizzero giungeva nel 1898, in un'edizione postuma curata da Hans Trog, il fondamentale contributo sul ritratto nella pittura italiana del Rinascimento . 6
Ancora nel 1966, nella sua opera The portrait in the Renaissance John Pope-Hennessy legava la (ri)nascita del ritratto fiorentino al culto umanistico della personalità. Secondo lo studioso, infatti, il verismo che contraddistingue busti scolpiti e ritratti altro non sarebbe che una diretta conseguenza dell'uso di realizzare maschere mortuarie ed immagini votive in cera , queste ultime note a Firenze con il termine di boti . 7 8
Gli studi condotti nel secolo scorso, pur profondamente influenzati dal pensiero del Burckhardt, hanno tuttavia preferito rileggere l'origine del ritratto autonomo all'interno di un più ampio contesto internazionale, ricordando come la più antica attestazione nota di un ritratto autonomo appartenga in realtà al mondo d'oltralpe. Il primato spetta infatti all'immagine del sovrano francese Jean le Bon, così come tramandata da una tavola conservata al Musée du Louvre e databile al 1360 circa.
Cieri Via 1989, pp. 45-46. Il saggio della studiosa offre anche un'analisi sull'origine e sulle valenze del
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termine ritratto. A questo proposito, cfr. quanto detto in Pommier [1998] 2003, pp. 6-8. Cfr. Burckhardt [1898] 1993; Cieri Via 1989; Rubin 2011.
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Pope-Hennessy 1966. La relazione tra ritratto dipinto e figure in cera era già presente in Warburg [1902]
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2004.
Cfr. Mazzoni 1923; Van der Velden 1998. Sulle immagini votive, cfr. inoltre Freedberg [1989] 1993, pp.
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Il tramite per l'Italia di questa nuova tipologia di dipinto è stato rintracciato da Enrico Castelnuovo nel centro culturale di Avignone, dove alla corte dei pontefici avrebbero lavorato diversi artisti provenienti dalla penisola. Tra questi, non da ultimo, figurava anche quel Simone Martini a cui la tradizione ascrive il celeberrimo ritratto di Laura lodato nei suoi versi dal Petrarca . 9
Nel 1998, Luke Syson tornava sulla questione del ritratto autonomo quattrocentesco, ravvisandone l'origine nell'incontro tra due culture diverse e tra loro complementari. Da un lato, lo studioso poneva la ripresa umanistica dell'eredità classica, con il suo studio filologico dei modelli antichi e il rilievo dato alla numismatica; dall'altro la pratica religiosa, ampiamente diffusa nella Cristianità quattrocentesca, di realizzare maschere mortuarie dal corpo del defunto. Accanto a queste due correnti, continuavano a sussistere anche l'eredità medioevale sulle teorie fisiognomiche e l'estrema ratio della nozione platonica, operata da Marsilio Ficino, di una correlazione diretta tra bellezza e virtù . 10 Un'ascendenza sacra, se non liturgica, del ritratto autonomo è invece stata proposta da Marco Collareta, il quale partendo dalle scelte formali e compositive che contraddistinguono l'icona sacra ha sottolineato a ragione le profonde analogie di quest'ultima con il ritratto del sovrano francese Jean le Bon, oggi al Louvre. La scelta del supporto, il taglio dato all'immagine e l'impiego del fondo oro sono infatti caratteri comuni ad entrambi. Una distinzione si opera invece nella posa, di profilo nel caso del re di Francia, esclusivamente frontale nelle icone sacre. A differenza della rappresentazione in maestà, il ritratto di profilo costituirebbe dunque una dichiarazione volontaria di umiltà, come sembrano indicare esempi analoghi in pittura murale. Il riferimento dello studioso è in questo caso alle immagini di donatori in scene sacre, con una particolare attenzione per quei donatori defunti rappresentati nel momento del Giudizio Particolare, come si vede nella Cappella Bardi di Vernio in Santa Croce a Firenze . 11
Da quanto fin qui detto, appare evidente quale sia la molteplicità di concause che condussero alla formazione del ritratto autonomo nella sua accezione rinascimentale. Allo stesso modo, più fattori devono essere tenuti a mente qualora si voglia leggere la raffigurazione di un individuo.
Parlando delle immagini poste a tergo dei ritratti e del loro rapporto di senso con l'individuo raffigurato a fronte, la Cieri Via introduce i principi di somiglianza, caratterizzazione e memoria, attraverso i quali il genere ritrattistico avrebbe dato forma nel corso dei secoli ad esperienze artistiche tra loro profondamente diverse . Intesi come 12 ingredienti variamente dosati, questi tre principi di raffigurazione dell'uomo e della donna possono essere spiegati attraverso alcuni esempi concreti.
Castelnuovo 1973, pp. 1035-1042. Sul ritratto di Jean le Bon cfr. da ultimo Zvereva 2011, p. 24; sul ritratto
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di Laura, si vedano invece Quondam 1989; Mann 1998. Cfr. The Image of the Individual 1998.
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Collareta 2003.
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Cieri Via 1993a, p. 9.
Partendo dalla memoria, si può dire che l'aspetto commemorativo del ritratto si confonde con l'origine stessa del genere. Fu Plinio il Vecchio ad offrire per primo un mito fondativo, tramandando nella Naturalis Historia il racconto della genesi del primo ritratto dipinto. Secondo la tradizione, infatti, sarebbe per tenere vivo il ricordo dell'amato, che, prima della sua partenza, una giovane di Corinto decise di tracciare sul muro il contorno della sua ombra utilizzando la luce di una lanterna. Alla circumductio umbrae di Corinto, Plinio collegava anche, in un altro passo della sua opera, la nascita del primo busto-ritratto, ricordando come per iniziativa del padre della ragazza, il coroplasta Butade, l'immagine dapprima contornata fosse stata in un secondo momento modellata in argilla. La versione pliniana sull'origine del ritratto godé di larghissima fortuna nel Rinascimento, venendo ripresa e corretta da Leon Battista Alberti, da Leonardo da Vinci e da Giorgio Vasari . 13 Andando oltre il mito, il compito del ritratto era quello di ricordare ai posteri le fattezze di personaggi degni di nota. In quanto strumento di richiamo alla memoria, esso si delineava quindi come un onore accessibile solo ad un ristretto circolo di uomini selezionati. Nella Firenze del primo Rinascimento era infatti attraverso le effigi dei propri antenati che le famiglie patrizie potevano dare prova della propria antichità. Allo stesso modo, potevano essere celebrati uomini illustri, distintisi per meriti militari o culturali all'interno della società. Per questo motivo, alla morte di Filippo Brunelleschi nel 1446, i tratti dell'artista vennero "messi in salvo" grazie ad una maschera mortuaria, servita in seguito da modello per il ritratto marmoreo realizzato dal Buggiano per la cattedrale di Santa Maria del Fiore . 14
Come dimostra la necessità di trarre i lineamenti dal volto del defunto, la somiglianza era un valore costitutivo del ritratto. Ancora nel Cinquecento, il tema era sentito come attuale tanto che tra il 1552 ed il 1564 Cristofano dell'Altissimo fu inviato da Cosimo I a copiare la serie degli uomini illustri direttamente sui dipinti riuniti da Paolo Giovio nella sua villa di Como. Ma l'immagine, dipinta o scolpita che fosse, doveva sempre fare i conti con il modello in carne ed ossa.
Celebri a questo riguardo sono i due sonetti che Petrarca dedicò al ritratto di Laura, dipinto per lui da Simone Martini. La bellezza della donna è altamente lodata dal poeta innamorato, che nei suoi versi esalta la somiglianza del soggetto dipinto al modello. Tuttavia, nonostante le indubbie doti artistiche del pittore, l'opera non parla, il miracolo di Pigmalione non si ripete ed il poeta-innamorato si scontra con l'impossibilità dell'arte di restituire l'anima della persona.
Il topos letterario aveva una tradizione antica e costituì per secoli un fondamento delle speculazioni teoriche sul genere. I melanconici versi di Marziale furono ripresi dal Ghirlandaio per il ritratto postumo di Giovanna Tornabuoni, oggi in collezione Thyssen- Bornemisza a Madrid, nel quale un cartiglio alle spalle della donna recita: "ARS VTINAM
Pommier [1998] 2003, pp. 8-13.
13
Pope-Hennessy 1966, pp. 3-63.
MORES ANIMVM QUE EFFINGERE POSSES PVLCHRIOR IN TERRIS NVLLA TABELLA FORET MCCCCLXXXVIII" . 15
Il problema della somiglianza al modello non apparteneva solo al mondo dei dotti teorici. Ripercussioni nella vita pratica erano all'ordine del giorno. Una certa scontentezza nei confronti della propria immagine dipinta accompagnò ad esempio più di un regnante. Note sono le ripetute richieste fatte agli artisti da Isabella d'Este, le cui aspettative in materia di ritratti pare fossero molto difficili da soddisfare . Non diversamente dalla marchesa di 16 Mantova, si raccontava del duca d'Anjou, Enrico III, che intorno al 1572:
"Il a ce malheur, que toutes les peintures luy font tort, & que Ianet luy mesme ne luy a iamais donné cet admirable ie ne sçay quoy qu'il a receu de la Nature. Ses yeux, cet agrément qu'il a autour de la bouche quand il parle, cette douceur auec laquelle il surprend ceux qui ont l'honneur de le voir en particulier ne peuuent estre bien representez ny par la plume, ny par le pinceau" . 17
Infine, per quanto riguarda la caratterizzazione vale la pena riportare le parole di Lorne Campbell, autore nel 1990 di uno studio per molti aspetti innovativo per le ricerche sulla ritrattistica rinascimentale, nel quale l'autore così spiega il processo di trasposizione del modello:
"The penetrating portrait-painter does not merely reproduce what he sees before him; he may exaggerate or distort certain of his sitter's features so as to enhance the likeness; he will almost inevitably idealise; but he must also give some knowledge of the personality and likely behaviour of the sitter. This process, generally known as characterisation, has two principal facets: an expression of the sitter's public identity and status, which is almost always desired; and an analysis of his private self, which may not always be strictly desirable but which came to be expected" . 18
Gli aspetti di somiglianza, caratterizzazione e memoria possono quindi presentarsi all'interno di un'immagine in modo assai variabile, contribuendo in parte a determinare l'esito delle singole espressioni artistiche.
Per questo motivo, l'abilità del pittore risiedeva anche nella capacità di dosare l'aderenza al dato naturale, riconoscendo quei casi in cui più appropriato fosse stato ricorrere all'idealizzazione del soggetto oppure emendare quei difetti ritenuti troppo vistosi.
Sull'opera, si veda Ghirlandaio 2010.
15 Cfr. Brown 2011, pp. 45-47. 16 Campbell 1990, pp. 248-249, nota 62. 17 Campbell 1990, p. 24. 18
Attraverso il ritratto doveva poi trovare espressione l'interiorità del soggetto, i moti dell'animo di Leonardo. In un dialogo con lo spettatore, infatti, il soggetto dipinto doveva essere in grado di invitare all'interpretazione di sé. Anche i gesti, gli attributi ed i simboli ospitati nel ritratto erano quindi curati con attenzione . 19
Con il processo di rifeudalizzazione, i cui effetti sul ritratto sono brillantemente analizzati da Enrico Castelnuovo nel suo contributo alla Storia d'Italia Einaudi, si apriva la stagione dello State portrait, ovvero del ritratto di stato, analizzato in maniera organica per la prima volta da Marianna Jenkins in un pionieristico studio apparso in lingua inglese nel 1947. In apertura del suo lavoro, la studiosa identificava il ritratto di stato con "those works that depict people of great political power or achievement in their public character", ovvero con opere nelle quali la caratterizzazione del soggetto appare dominante. In esse, infatti, "the primary purpose is not the portrayal of an individual as such, but the evocation through his image of those abstract principles for which he stands" . 20
Come noto, la tappa decisiva per gli sviluppi cinquecenteschi dello state portrait ebbe luogo a Roma per mano di Raffaello Sanzio. Sull'esempio del perduto ritratto di Eugenio IV realizzato da Jean Fouquet, il maestro urbinate mise infatti mano ai dipinti di Giulio II Della Rovere e più tardi di Leone X de' Medici, rivoluzionando per sempre l'immagine papale e offrendo un duraturo esempio al ritratto d'apparato, rinvigorito dalla pittura di Tiziano . 21
Con le dovute distinzione rese necessarie dalle singole personalità artistiche e dalle tradizioni pittoriche locali, si può dire che nel ritratto di stato il principe oppure il sovrano appare individualizzato attraverso un numero sufficiente di tratti fisionomici in grado di caratterizzarlo. La riconoscibilità che deve essere garantita dall'immagine non si identifica tuttavia con la somiglianza al modello, anzi la funzione pubblica dell'immagine muove la mano dell'artista nella direzione di una depersonalizzazione del soggetto. I segni distintivi del potere vengono messi in risalto attraverso un'oculata scelta delle vesti, della posa, dell'espressione del volto, degli attributi, sottolineando in questo modo il carattere pubblico del ritratto. In questa prospettiva, fondamentali alla comprensione del ritratto di stato furono gli studi condotti da Ernst Kantorowicz sulla doppia natura del re, ripresi in Italia dallo storico Sergio Bertelli con contributi importanti dedicati all'iconologia del potere . 22 Secondo Joanna Woods-Marsden, "il ritratto di stato, in quanto parte integrante delle strutture di potere, era un oggetto sociale con lo scopo di attestare il diritto di governare del principe. Questi ritratti [...] non solo esprimevano i valori e gli ideali dei soggetti ma
The Image of the Individual 1998, in particolare pp. 9-14.
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Jenkins 1947, p. 1.
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Sul ritratto di stato nel Cinquecento, cfr. Jenkins [1947] 1977; Oberhuber 1971a; Oberhuber 1971b;
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Castelnuovo 1973; Strong 1987; Arasse 1993; Woods-Marsden 1993; Pommier [1998] 2003, pp. 210-217; Bodart 2011; Zvereva 2011, in particolare pp. 24-26. Per un'analisi delle principali linee storiografiche in materia, si veda invece il recente dibattito, moderato da Diane Bodart, tra Antonio Pinelli, Gérard Sabatier, Barbara Stollberg-Rilinger e Christine Tauber in Le portrait du roi 2012.
Bertelli 1990; Bertelli 2002.
contribuivano anche attivamente alla formazione di quell'ideologia che costituiva la comprensione della realtà di questi signori e, di conseguenza, la loro identità principesca" . Nei ritratti ufficiali del Cinquecento come è stato detto "il principio della 23 rassomiglianza conta assai meno che quello della conformità dell'immagine alla funzione" . Non di rado, infatti, l'ufficialità della funzione informa gli elementi distintivi 24 del ritratto di stato, dando vita ad immagini fortemente iconiche, che dovevano assolvere nel XVI secolo una funzione di governo e di rappresentanza del potere analoga a quella ricordata dal cardinal Paleotti nel suo Discorso intorno alle immagini (1582) a proposito delle statue:
"servendo la statua al prencipe non solo per la sua propria insegna regale, che rappresenta la suprema maestà, ma ancor per essecuzione dell'ufficio regale, poiché produce effetto verso i sudditi [...] rinnovandoli la memoria dell'autorità regia et risvegliandoli l'affetto di onorare et obedire il suo prencipe" . 25