le trattative e lo scambio dei doni
Per comprendere il contesto nel quale i ritratti matrimoniali presero forma e per analizzare la loro circolazione negli ambienti cortigiani del Rinascimento europeo, può essere utile procedere ad alcune considerazioni sull'evoluzione dell'istituto matrimoniale in età moderna.
Fino alla metà del XVI secolo, infatti, l'unione di due persone avveniva attraverso un lungo percorso rituale, in larga parte estraneo all'autorità civile o religiosa.
Nella sua introduzione al lavoro collettaneo, dedicato nel 1996 all'evoluzione dell'istituto matrimoniale attraverso i secoli, Christiane Klapisch-Zuber ne ha fornito una definizione puntuale. "In quanto rituale d'iniziazione a un nuovo stato - scrive la studiosa -, lungi dall'essere una faccenda da sbrigare rapidamente il matrimonio si è per molto tempo presentato come un processo lungo, inserito in un lasso cronologico estensibile. Era preceduto e ampliato da cerimonie preliminari e collaterali, e prolungato da una serie di rituali che ne esprimevano la perdurante incompiutezza per dei mesi e degli anni. Il groviglio di riti di origine civile e religiosa comportava continue ripetizioni che spesso ci rendono difficile collocare in un momento preciso l'evento cruciale e costitutivo del matrimonio" . 170
In età moderna, infatti, il matrimonio era considerato un affare privato, basato su riti locali e regolato da consuetudini, consolidatesi con il trascorrere del tempo. Completamente desacralizzato nei paesi che avevano aderito alle idee di Lutero, l'istituto del matrimonio si riduceva anche nei territori cattolici ad una forma di alleanza privata tra famiglie, sfuggendo spesso a qualsiasi forma di controllo da parte del potere civile e religioso.
Tuttavia, data l'importanza ricoperta da questo istituto per la coesione sociale di una comunità, era importante tanto per l'autorità civile quanto per quella religiosa cercare di imporre delle regole condivise, nel tentativo di sciogliere il groviglio di riti citato dalla Klapisch-Zuber.
Olin 2012. Cfr. inoltre Rituale, cerimoniale, etichetta 1985; The Politics of Space 2009; Casini 2012.
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Più di recente, le ordinanze di corte sono state il tema centrale di un workshop internazionale, intitolato "Making Room for Order" (Kalmar, 2-3 novembre 2014), al quale chi scrive ha potuto partecipare grazie ad una borsa stanziata dall'European Science Foundation (ESF).
Storia del matrimonio 1996, pp. IX-X.
Diversi tentativi in questa direzione furono fatti, sebbene con scarsi risultati. Fin dal Medioevo, infatti, le prescrizioni della Chiesa avevano individuato dei nodi e codificato alcune formalità. Il Concilio lateranense IV, ad esempio, stabilì nel 1215 che, per potersi dire valida, un'unione dovesse essere resa nota pubblicamente, una circostanza che in precedenza non era affatto scontata. Allo stesso modo, nel 1454 gli statuti di Bologna misero l'accento sulla necessità di diffondere la notizia delle nozze, decretando che il rito dell'inanellamento avesse luogo in pubblico.
Nonostante queste prescrizioni, tuttavia, il matrimonio aformale, ossia sancito unicamente dalla consensualità degli sposi e privo quindi di una precisa forma di celebrazione, rimase una prassi largamente in uso fino almeno al XV secolo . 171
Fino alle riforme del secondo Cinquecento, infatti, il matrimonio si configurò come "un processo concluso per tappe, più o meno ravvicinate nel tempo, che non si esaurisce in un solo atto ma si dispiega in una sequenza, non necessariamente uguale per tutti" . 172
In quanto percorso e non azione puntuale, la conclusione di un matrimonio poteva richiedere talvolta mesi, se non addirittura anni, durante i quali lo status dei futuri sposi rimaneva incerto, ponendoli in una sorta di limbo tra l'essere nubile/celibe ed il coniugato. Prima della conclusione dell'intero percorso, ampi spazi di ambiguità rimanevano quindi aperti, offrendo il destro a ripensamenti e controversie. Dettate dalle consuetudini sociali e differenti da un luogo ad un altro, le fasi che conducevano due persone alla vita coniugale erano a tal punto indefinite che anche il momento preciso nel quale il matrimonio veniva contratto poteva non essere chiaro, essendo spesso oggetto di interpretazioni differenti. Tra il Mille ed il XII secolo, si era sviluppato un intenso dibattito sulla questione, coinvolgendo teologi, canonisti e giuristi. Alla metà del 1100, ad esempio, le Sententiae di Pietro Lombardo ritenevano che solo il matrimonio per verba de praesenti, ossia l'esplicita dichiarazione di consenso pronunciata dagli sposi, sancisse in modo definitivo il vincolo nuziale.
Per altri, invece, determinante era che il matrimonio fosse consumato. Riprendendo la tradizione del diritto germanico, affermatosi in Europa alla caduta dell'Impero romano, Graziano distinse nel suo Decretum tra il matrimonium initiatum, identificabile con lo scambio del consenso da parte dei due coniugi, ed il matrimonium ratum, ovvero reso perfetto dalla copula carnalis. Per il giurista di diritto canonico, solo il secondo poteva ritenersi indissolubile.
La questione fu solo formalmente risolta all'interno degli ambienti ecclesiastici. Dalla fine del XII secolo, infatti, la teoria consensualista di Pietro Lombardo ottenne sempre più consensi, prevalendo infine su quella del Graziano. Tuttavia, ancora a fine Cinquecento, un medico di Colle Val d'Elsa, Francesco Tommasi, riteneva che il matrimonio "per gli sponsali s'incomincia, per l'espression della viva voce del sì si ratifica, e per la copula
Zarri 2000, pp. 203-207; Lombardi 2001, pp. 109-118.
171
Lombardi 2001, p. 228.
carnal si consuma", testimoniando ancora il sopravvivere delle due correnti l'una accanto all'altra . 173
Nella tangibilità della vita reale, l'accento posto sul consenso dei coniugi nel corso del dibattito tra canonisti e teologi non intaccò la pluralità dei riti nuziali ed il proliferare di consuetudini locali in ambito matrimoniale. Tuttavia, come abbiamo accennato, la difficoltà incontrata dall'autorità civile e religiosa nel controllare il processo che conduceva all'unione di due individui lasciava aperte ampie zone di indeterminatezza giuridica. Di frequente, la legittimità stessa di un'unione diveniva dubbia, dando vita a frequenti casi di matrimoni clandestini, concubinato, poligamia e d'illegittimità della prole . 174
La necessità di porre mano al problema si fece impellente con l'aprirsi dei lavori per il Concilio generale della Chiesa, convocato a Trento da Paolo III Farnese nel dicembre 1545 . Nell'agosto 1547, la questione dei riti matrimoniali fu affrontata per la prima volta 175 dai padri conciliari, riuniti a Bologna. Tuttavia, per la svolta decisiva si dovettero aspettare altri venti anni.
Fu solo nel 1567, infatti, che la celebrazione delle nozze fu posta sotto il controllo ecclesiastico. Con il decreto tridentino Tametsi, il matrimonio mutò la propria natura in ieratica, trasformandosi così da unione consensuale, quale era stata fino a quel momento, in atto solenne. Con le novità introdotte dal Concilio di Trento, la validità del vincolo si fece soggetta alla celebrazione religiosa, essendo garantita solo dalla presenza del sacerdote.
Sebbene ministri del matrimonio rimanessero gli sposi, il parroco divenne la figura centrale del rito nuziale. A lui spettava inoltre il compito di annotare i nomi degli sposi e quelli dei testimoni all'interno dei registri matrimoniali, il nuovo strumento voluto dai padri conciliari per fugare ogni dubbio sulla liceità di un'unione.
Rimaneva invece pressoché invariata la distinzione tra sponsali per verba de futuro, ovvero la promessa matrimoniale, e gli sponsali per verba de praesenti, ossia il matrimonio vero e proprio. In questo ambito, i padri chiamati a riformare la Chiesa cattolica trovarono maggiori difficoltà nel far convergere teoria e prassi. Le sedute del Concilio di Trento si limitarono quindi a definire con maggior rigore le differenze esistenti tra i due momenti, affermando che a differenza del vincolo matrimoniale, considerato indissolubile, le promesse potevano essere soggette a scioglimento, di comune accordo tra i futuri coniugi oppure anche per volere di una sola delle due parti.
Riunendo in un unico momento (la cerimonia religiosa) le numerose tappe dell'iter matrimoniale, i decreti tridentini chiarirono la distinzione tra sponsali e celebrazione delle nozze, sancendo l'unione degli sposi con la solennità del rito religioso. Tuttavia, come nel
Citato in Lombardi 2001, p. 228. Sull'evoluzione del diritto canonico, cfr. Lombardi 2001, pp. 27-33;
173
Lombardi 2008, pp. 33-38.
Sul multiforme universo dei riti matrimoniali in età moderna, cfr. Matrimoni in dubbio 2001.
174
Sul Concilio di Trento e sul movimento di rinnovamento della Chiesa cattolica, si veda Po-chia Hsia
175
caso di altre riforme introdotte dal Concilio di Trento, per secoli i riti locali continuarono a coesistere accanto alla nuova formulazione tridentina, grazie alla forza della consuetudine. L'idea che il matrimonio fosse un processo, piuttosto che un avvenimento preciso nel tempo, si ritrova ad esempio nei lunghi festeggiamenti che accompagnavano le nozze. Di norma infatti per almeno una settimana banchetti e danze precedevano e seguivano la cerimonia religiosa dinnanzi al parroco . 176
Concentrando l'attenzione sulla Toscana nel periodo precedente alla diffusione dei decreti tridentini, le principali tappe che permettevano ad una coppia di contrarre regolari nozze sono computabili in un numero piuttosto variabile. Fino almeno alla fine del XVI secolo, non tutte le consuetudine erano sempre onorate ed alcune modifiche potevano occorrere nell'ordine stesso di successione dei riti.
Come è logico, in tutti i casi, il primo passo da compiere verso la vita coniugale era costituito dalla ricerca di un/a partner. I momenti di incontro si limitavano di norma alle funzioni in chiesa ed a poche altre occasioni pubbliche, durante le quali le famiglie individuavano i pari grado ancora liberi sul mercato matrimoniale. Nel caso di unioni dinastiche tra persone geograficamente lontane tra loro, era in genere un inviato oppure un parente del futuro sposo a recarsi nella patria della donna prescelta per vagliare se il partito fosse consono o meno alle necessità. Nella scelta della persona più adatta, le donne della famiglia avevano di frequente un ruolo attivo, contribuendo all'importante decisione da prendere con suggerimenti, informazioni e constatazioni sui candidati e sulle famiglie di origine. In questa fase, oltre a considerazioni di prestigio familiare, erano ponderati anche l'avvenenza e l'aspetto fisico dei futuri sposi, nel tentativo di indovinarne le capacità riproduttive e la predisposizione a procreare una prole sana ed abbondante.
A parte rare eccezioni, i negoziati erano invece considerati una prerogativa maschile e le donne erano escluse dal tavolo delle trattative. Così, una volta che la scelta era stata operata, un intermediario avviava le trattative per conto della famiglia. Nel caso in cui la mediazione fosse stata affidata ad un professionista, quest'ultimo veniva indicato con il termine di sensale. Se invece i negoziati erano condotti da un parente oppure da un amico, egli veniva definito come mezzano.
Il ruolo di sensali e mezzani era molto importante dal momento che garantiva la salvaguardia dell'onore. Questi individui, infatti, svolgevano una funzione di mediazione tra le due parti in gioco, permettendo ad entrambe le famiglie di non esporsi pubblicamente con un'esplicita dichiarazione di interesse. Come compenso, essi ottenevano talvolta in cambio una percentuale sulla dote pattuita.
In questo frangente, era appunto la dote l'oggetto di discussione privilegiato. Essa comprendeva in genere due parti. Le donora erano composte dal corredo di abiti, biancheria ed ornamenti della sposa e raggiungevano la dimora dello sposo durante il
Sul lungo dibattito che condusse alla formulazione del matrimonio tridentino, si veda Zarri 2000, pp.
176
203-250. Per le riforme introdotte in campo matrimoniale dal Concilio di Trento, si veda inoltre Lombardi 2008, pp. 97-108. Riguardo al perdurare delle tradizioni locali nel Seicento, cfr. invece Niccoli 1995.
corteo nuziale, poste in due cassoni commissionati per l'occasione. I danari, invece, costituivano l'effettiva somma di denaro che la donna avrebbe portato in dote al marito. L'ammontare di donora e danari, le modalità con le quali questi ultimi sarebbero stati corrisposti allo sposo e le altre condizioni finanziarie legate al matrimonio erano i punti discussi dalle due famiglie, in cerca di un compromesso. Solo una volta raggiunto l'accordo, aveva luogo il primo incontro pubblico - ovvero in presenza di amici, parenti e testimoni - tra i rappresentanti maschili delle due famiglie.
L'atto di intesa era ufficializzato dall'intervento del notaio e dalle promesse di matrimonio, detti sponsalia, che i futuri coniugi si scambiavano, pronunciando frasi di augurio e toccandosi vicendevolmente la mano.
Nella Firenze del Quattrocento, il rituale della dexterarum iunctio o del tocco della mano poteva essere talvolta sostituito oppure affiancato dall'impalmamento, ossia dalla stretta di mano tra il padre della sposa e lo sposo: come nelle transazioni commerciali, il gesto sanciva visivamente l'accordo raggiunto. A Firenze ed a Siena, il momento della promessa poteva inoltre essere indicato con l'espressione le giure, le quali a differenza dell'impalmamento, più privato, mantenevano un carattere pubblico e solenne, sovrapponendosi talvolta alla consegna dell'anello.
Una volta che fossero stati recitati gli sponsalia per verba de futuro, perché il matrimonio potesse dirsi concluso, dovevano aver luogo più manifestazioni, volte a rendere noto alla collettività il nuovo cammino intrapreso dalla coppia. Queste azioni pubbliche erano in genere la dazione dell'anello, l'allestimento di banchetti nuziali ed il trasferimento della sposa nella nuova casa.
L'inanellamento, anche noto a Firenze come il dì dell'anello, era la cerimonia con la quale gli sposi esprimevano il proprio consenso alle nozze, offrendo alla comunità un'espressione tangibile della loro volontà di unirsi in matrimonio. L'anello costituiva una prova concreta che il vincolo matrimoniale era stato contratto, sebbene da solo non fosse sufficiente a dimostrarlo. Esso infatti non poteva in alcun modo sostituire l'esplicita dichiarazione di consenso da parte dei coniugi, la quale in virtù del suo valore vincolante doveva avvenire alla presenza di testimoni.
Alla dazione dell'anello, facevano seguito l'offerta di regali, portati dallo sposo alla nuova famiglia, ed il banchetto nuziale, organizzato in genere dai parenti della sposa.
Oltre all'anello infatti, altre forme rituali, quali appunto il convito di nozze, assolvevano un'analoga funzione di prova del nuovo vincolo, permettendo allo stesso tempo di mettere in mostra il potere raggiunto da un individuo all'interno della società.
Oltre alle disponibilità economiche, un freno al lusso era posto dalle leggi suntuarie, emanate dai regnanti di diversi luoghi per controllare l'accesso alla classe dominante. Ai matrimoni di principi e sovrani, invece, nessun limite era posto. La pompa e le ricchezze profuse in questo genere di avvenimenti con l'esplicito scopo di sorprendere ed impressionare, coinvolsero nel XVI secolo anche la stampa. Minuziose descrizioni dei banchetti nuziali si rincorsero per tutto il secolo ed oltre, affinandosi sempre più come
strumenti di propaganda politica per i regnanti ed utili repertori di cerimoniale per gli ambasciatori.
Come sottolineato da Daniela Lombardi, infatti, "tra i ceti più elevati (che avevano a disposizione molti altri strumenti per assicurare la pubblicità di un matrimonio) i banchetti nuziali erano diventati soprattutto un mezzo di ostentazione; tra quelli popolari erano ancora un modo per rendere visibile, agli occhi della comunità, la formazione di una nuova coppia" . 177
In aggiunta al banchetto ed all'anello, a testimoniare la nuova condizione dei due coniugi potevano occorrere anche altre usanze come il bacio scambiato una volta raggiunto l'accordo tra le parti (detto a Roma abboccamento), il bere da uno stesso bicchiere e la rottura del calice da parte degli sposi.
Nelle fasi conclusive del processo matrimoniale, il mutamento di status sociale della donna (traditio puellae) era visivamente esibito attraverso il corteo nuziale che dalla casa paterna conduceva la sposa nella nuova dimora del marito. Per questo evento, una certa preferenza era accordata dai fiorentini alla domenica, giorno festivo nel quale l'unione avrebbe potuto godere di maggiore risonanza all'interno della comunità. La consumazione del matrimonio poteva avvenire una volta raggiunta la nuova residenza oppure quando la sposa si trovava ancora nella dimora paterna. Nella realtà delle testimonianze, infatti, il banchetto, la ductio uxoris in viri domum, la consumazione del matrimonio appaiono come momenti intercambiabili e spesso sovrapponibili tra loro, per i quali non è possibile supporre l'esistenza di una modalità univoca di successione.
Anche l'offerta dei doni nuziali poteva collocarsi in momenti diversi e rappresentava, come gli altri avvenimenti, un segno tangibile del consenso. Fatta dal marito alla sposa, l'elargizione di regali poteva essere accettata di buon grado oppure rifiutata, esprimendo così il dissenso della donna nei confronti della scelta operata dalla famiglia.
Ma i doni nuziali costituivano anche un'occasione di ostentazione pubblica, mostrando apertamente le ricchezze detenute dalla famiglia. Un'opportunità era ad esempio offerta dal forzierino, uno scrigno di piccole dimensioni contenente gioielli, che veniva donato dallo sposo alla futura moglie in genere prima della consegna dell'anello. Attraverso i gioielli e le vesti ricevute in dono, la sposa faceva simbolicamente il suo ingresso nel nuovo gruppo familiare. Per questo motivo, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, i doni nuziali rimanevano una proprietà del marito ed a lui ritornavano a distanza di due o tre anni dalla
Lombardi 2001, p. 226.
nozze, ossia quando la loro funzione di viatico verso la nuova vita era ritenuta conclusa, facendo ormai la donna parte, a tutti gli effetti, della nuova famiglia . 178
Per comprendere all'interno di quale codice comportamentale si inserisse lo scambio di ritratti tra promessi sposi, una domanda sorge naturale: quale era il significato del dono in età moderna?
Una lunga tradizione di ricerche sul tema ha permesso di indagare il dono sotto punti di vista differenti, in particolare determinati dagli interessi di antropologi e sociologi per le società primitive. Fondamentale in questo senso il contributo dell'Essai sur le don, pubblicato da Marcel Mauss nel 1923-1924. Gli aspetti antropologici del dono sono emersi con forza anche negli studi sul Rinascimento. Si pensi a lavori quali quello di Natalie Zemon Davis sulla funzione del dono in Francia. In The Gift in Sixteenth-Century France, la studiosa statunitense ha sottolineato come "though there are big shifts in systems of gift and exchange over time, there is no universal pattern of evolutionary stages, where a total gift economy dwindles to occasional presents. Rather, gift exchange persists as an essential relational mode, a repertoire of behavior, a register with its own rules, language, etiquette, and gestures. The gift mode may expand or shrink somewhat in a given period, but it never loses significance" . 179
Per quanto riguarda la corte granducale di Toscana, informazioni sul dono derivano dai Diari di etichetta, introdotti da Ferdinando I nell'ambito della riorganizzazione in senso curiale dello stato mediceo. Come messo in luce da uno studio di Marcello Fantoni, l'analisi di questi Diari ha consentito di ricostruire la valenza del dono in ambito fiorentino. Disciplinato dalle regole dell'etichetta cortigiana e del cerimoniale, infatti, il dono appare non come un atto disinteressato, bensì come "anch'esso funzionale alla regolazione e/o determinazione delle relazioni sociali" . Per questo motivo, l'atto del donare avveniva in 180 pubblico, in un luogo dove la presenza di spettatori potesse assicurarne la visibilità.
Tra XV e XVI secolo, il dono reciproco di ritratti nel corso delle trattative matrimoniali sembra avere una precisa valenza semiotica. Per poter essere comprese, queste immagini vanno ricondotte all'interno del più ampio contesto dei doni nuziali. Con questi ultimi, ad esempio, i ritratti matrimoniali condividono la reciprocità del gesto.
Fino a tutto il Cinquecento, d'altronde, i documenti sembrano accennare solo di rado ad un valore intimistico e privato del ritratto matrimoniale. Come si noterà più ampiamente nel capitolo successivo, finalità di tipo puramente conoscitivo perdono il loro mordente se si
Un'analisi delle tappe che componevano il matrimonio in età moderna è offerta in Klapisch-Zuber 1988,
178
pp. 109-151; Witthoft 1996; Lombardi 2001, pp. 179-241; Lombardi 2008, pp. 21-26. Sull'importanza dei gesti all'interno dei riti nuziali, si veda invece Niccoli 1995. Sui doni maritali, infine, cfr. Fair Bestor 1999; Syson - Thornton 2001, pp. 37-77; Kirshner 2002; Matthews-Grieco 2006. Più di recente, il matrimonio nel