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510 Così anche il Paruta, ivi.

511 Qui il Molino ha rinunciato a raccontare minutamente la battaglia, come già aveva del resto segnalato all’inizio.

512 Il Paruta espone i dubbi sull’operato dell’ammiraglio genovese con tono più malevolo verso il Doria (libro II, ed. cit., p. 124).

Armata in loco sicuro si levò una terribil fortuna di pioggia, e di vento quasi che dimostrasse haversi trattenuta tanto acciò seguisse tal glorioso fatto, qui s’abbraciarono i Gen(er)ali e rese le debite gratie a Dio attesero a riparar alle cose delle loro armate, et il Veniero subito espedì la galea d’Onfré Iustiniano acciò portasse la nova della vittoria a Venetia.

Morte dell’ill(ustrissi)mo s(e r Agostin Barbarigoq

Doppo tre giorni messer Agostin Barbarigo, huomo eccelentis(si)mo e degno d’esser celebrato da tutti quei che seguono il vessillo di Christo per potentis(sim)a causa di questa segnalatta vittoria e che ci liberò tutti da si eminenti perigli, venne a morte dalla ferita ricevuta nella giornata per la quale seben subito perse la lingua con tutto ciò con cenni, et atti mostrò di morir contento, poiché havea veduta tanta gratia della Bontà di Dio. Gli fu datti gl’ultimi abbraciamenti da tutti i Gen(er)ali e pianto da tutte Nationi ch’erano sop(r)a l’Armata poiché la desterità nel proceder, il valor, il comando, la prudenza, l’elloquenza di tal huomo era ammirata da tutti.

Morti nell’Armata n° 7656r

Perirono anci passarono a miglior vita nella bataglia in tutta l’Armata Cristiana settemilliaseicentoecinquantasei, cioè doimilla dell’Armata Cattolica, ottocento della pontificia, della nostra quattromillaottocentocinquantasei e fra questi

Gov(ernato)ri e capi di galee nobili ven(etian)i n° 11 morti in battaglias

m(esse)r Zuane Loredano, m(esse)r Cattarin Malipiero, Hier(olam)o Veniero, Franc(esc)o Bon, Hier(olam)o Contarini, Marc’Ant(oni)o Lando, Ant(oni)o Pasqualigo, Benetto Soranzo, Marin Contarini, Vicenzo Querini, And(re)a Barbarigo e molt’altri Gov(ernator)ri e Capi di galee nostre venitiane, si fecero molti discorsi, che imprese si potessero fare iudicando ogni cosa facile, per l’inimico abbatuto, e vinto; quando D(on) Giovanni concluse venir a Corfù, et fatte le parti delle galee prese dell’artegliarie dei prigioni cioè //

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datta la portione ai tre potentati della lega, partì per Messina stupendo tutti di tal deliberatione, e di lasciarsi uscir di mano tante belle occasioni di seguir la vittoria e di recuperar immediate il Regno di Cipri, poiché si sapeva dalle relatione dei prigioni la perdita sucessa già di Famagosta. Né mancò chi s’offerse far delle prove in tal occasione, perché messer Filippo Bragadino Prov(edito)r Gen(er)al in Colfo, huomo ecc(ellentissi)mo nelle cose di mare, si ritrovava esser gionto con undeci nostre galee e dui galeazze, e benché fosse disperato, per non esser gionto ad hora di

trovarsi nella vittoria, era più che pronto a servire ad ogni valorosa impresa, ma o che fusse abastanza quello che n’era statto concesso dal grand’Iddio, e per i n(ost)ri peccati non meritassimo altra gratia non fu udito, et p(er) ogni modo volse l’Altezza di D(on) Giovanni andar a disvernar con la sua Armata a Messina.

Assedio di Famagosta t

E perché l’assedio di Famagosta e la resa di quella città, che fu cosa segnalata e di eterna memoria per l’acerba ferita riceuta dalla nostra Repub(li)ca anci da tutta la Cristianità mi persuade parlarne, sarà necessario che torni a mesi dietro cioè alli 25 di maggio 1571, che quel giorno s’accampò alle mura di detta città l’essercito turchesco, gen(er)ale dio esso Mustafà Bascià, quello che l’ott(ob)re passato prese Nicosia. Il quale quel’invernata fattosi padrone de tutti i luochi e parti dell’isola haveva alla larga assediata anco Famagosta prohibendo che alcuno non conducesse cosa veruna in essa, ma in questo tempo cacciatosi sotto le mura, haveva seco 14milla gianizzari sessantamilla guastadori, settantamilla fanti pagati e sesantamila venturieri quali da tutta la Turchia erano concorsi; et allettati dalle ricchezze, che si dicea essere in Famagosta, e spenti per il guadagno che sapeano i suoi haver fatto nel sacco di Nicosia, in la città si attrovava duoimilla greci paesani certo gente fedele, et valorosa la quale in quei pochi mesi del verno si erano assai ben essercitata a combatter e scaramucciar con l’inimico, et anco duamillaecinquecento fanti italiani soldati, che erano stati tirati e per l’honore, e per amor della Republica a quella diffesa, capo de’quali e capitanio della città si ritrovava messer Marc’Ant(oni)o Bragadino, che era il principale di tutti vi erano anco il s(igno)r Astor Baglione Gov(ernato)r Gen(er)ale di tutta la militia del Regno513 m(esse)r Lorenzo //

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Tiepolo cap(itan)o di Baffo514, m(esse)r Gio(vanni) Ant(oni)o Querini Vicecamerlengo, m(esse)r And(re)a Bragadino Vicecastelano, et molt’altri capitani, et s(igno)ri di gran valore. Fecero i Turchi molti forti, et bastioni, et avanzando a spana a spana il terreno, che i nostri con l’uscite valorosamente glielo vetavano, finalmente cominciarono la bataria da cinque piazze o parti benché li fu risposto di buona maniera, percioché i nostri bombardieri con tanta peritia assestarono gl’artigliarie, che ruvinateli i forti scavalcateli assai canoni penetrarono nei allogiamenti in modo che fu detto, che in pochi giorni perirono più di trentamilla Turchi di canonate, benché poi il tutto ci tornò in gran pregiuditio, havendo nel principio troppo abbondantemente

513 Astorre Baglione (1526-1571). Cfr. G. De Caro, Baglione, Astorre, in: D.B.R., vol. V, Roma 1963, pp. 197-199.

gietata la monitione ma non scrivendo io istorie se non un compendio overo memoria particolar di cose più segnalate non mi estenderò narar ogni cosa di questa diffesa, et ossidione, che fu delle fasi, che siano avenute al mondo per il valore e fatti egreggi, che mostrarono i nostri nei raforzati assalti, mine da più parti, orribil fuochi, che gli infideli doppo impadronitisi della contrascarpa e fossa senza lasciar momento né dar breve riposo agli assediati adoperarono ben dirò, che per la violentia dell’artegliaria che doppo da sette piazze scaricarono nella città necessariamente non essendo in altrove sicurezza, tutti i nostri si tirarono ad abitar sotto le mura le qual minando e rovinando gl’inimici, e rinfrescando crudelissimi assalti più e più volte si vene a spada per spada, pica per picaz, con gl’inimici, quali sempre con grand(issi)ma lor mortalità dai pochi nostri furono ributati, adoprandosi prudentem(en)te e valorosam(en)te gl’intrepidi Cap(itan)o Bragadinio e Baglione che non meno con l’armi contra l’inimico, che con la prudenza in governar la militia e quella città si resero maravigliosi e gloriosi; non mancarono i nostri ad agiutarsi con fochi artificiati, mine, et altre martiali difese anci lasciarono occupar agl’inimici un revelino, al qual essendo saliti più di mille Turchi, li fecero volar senz’ali benché molti nostri vi restarono, che non fecero la retirata, a tempo, et ordinatamente come bisognava. Ma non fu questo il danno solo, che hebbero i Turchi inimici, perché havendo da far con così vigilanti e bravi soldati infiniti ne riceverono, che non scrivo; furono fatte molte ritirate in diversi luochi, et con letti, coltrici, gottoni515, spaliere, tapeti, et altre robbe fatti i parapetti, et lavorando nelle fosse i Turchi tant’errano sotto a nostri che di poco spatio gli si eran fatti vicini, già venute erano le cose in estremo//

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di poveri assediatiaa, una sol cosa li manteneva ad essere più che huomini, ch’era la speranza del soccorso, che il Prov(edito)r Querini gli havea promesso al quale era statta la fortuna così aversa, che il barzotto516 barbaro ch’el dovea condurre si ruppe alla foce di candia, onde mentre si caricava per tal effetto un’altra nave, et andando il tempo in longo, per una volta che detto Querini diede in Arcipelago, dove per accidente de contrarii venti e altre cagioni si indugiò tanto, che poi mandato a chiamar dal Gen(er)ale, che partisse per Messina; detta espeditione non hebbe effetto, onde abbandonata la povera città di Famagosta, et essendo feriti la parte maggiore de Greci, et non restando più, che cinquecento Italiani feriti, e stanchi per tante continue vigilie, né essendovi se non pane, fava et un poco d’aceto. Ma quello che più importava, essendovi solamente rimasti sette barilli di polvere, et il veder ogni dì