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559 Gregorio XIII.

560 Il collegio cardinalizio.

561 Sicuramente antispagnolo, il futuro doge Nicolò da Ponte è stato considerato da G. Cozzi come antesignano dei patrizi “giovani”. Ciò è sicuramente vero in generale; e si veda l’entusiasmo del da Molino per la sua elezione. Ma non può sfuggire che il doge da Ponte si batté nel 1582-83 non per abolire, ma per conservare la Zonta del Consiglio dei Dieci, sia pure riformandola.

562La carica durava 32 mesi. Eletto il 1573, 17 maggio, entrò i ncarica il 27 settembre 1573 con scadenza 26 maggio 1576, ma lasciò la carica con breve anticipo (A.S.V., Segretario alle voci, Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 5, 1570-1577, cc. 198v-199r.)

honoratamente potesse acrescere il debole mio peculio, et entrato in nave il primo d’agosto, che fu de messer Ni(col)ò Mocenigo, padrone Luigi Finardi, et passate alcune difficultà sì per tempi contrari come per alcuni furiosi nembi, che alquanto ci travagliarono, sopra l’isola di Corfù in alto mare incoremo in un grandissimo periglio, seben breve de quei grandissimi che a miei giorni habbi trascorso, perché sofiando Ponente gagliardamente di maniera havea gonfio il mare tremendo e furioso seben prospero et in poppa, che più fiate temessimo della nostra salute, la nave faceva grandissimo camino aggitata, e balzata come cosa levissima dalla forza dell’onde, perilché temendo il Padrone, che la barca che ramucchiava non si affogasse, et che non si spezzasse la fune con che era attaccata per securarla volse calar alcuni marinari per la scala da poppa, che con un’altra più sofficiente la ligassero et mainate le velle con l’argano tirò a bordo la barca perchè diti huomini vi saltassero dentro, et essend’io, et molti passagieri a mirar tal fatto comprendessimo il gran periglio in che eravamo, perché563 non facendo la nave molto camino e tirandoci la barca appresso da una compagnia di mare grandissima che ci superava furiosa venuta investirsi in la poppa al dritto con tanta furia che tuti impaliditi comintiamo verso il Cielo a pregar il Signore d’agiutto in tanto spavento che persi si tenevamo, e certo che se la barca come havea cominciato seguia tutta entrava nel corpo della nave, et affogati miserabilmente restavamo per avaritia e colpa del Padrone, che volsezz arrischiar per poco cotanto, ma qui non finì la paura e la nostra miseria, percioché havendo scansata la barca di poco la nave e trapassatala //

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diede comodità a quei valent’ huomini di saltarci drento, et con la fune nova far doppio legame in esa onde seben per fugir il periglio inmediate si calumò564 la barca tanto lontana, che più non poteva ritrovarsi, con tutto ciò bisognava pensare di tornar tosto al med(esi)mo per ricuperar quei tre huomini ch’erano saltati a far forte maggiorm(en)te detta barca, parendo troppo grand’empietà lasciar quei miseri a periglio manifesto d’affogarsi rinfrescando tuttavia più il mare, et il vento, et però fatte orationi al signor Dio con tremor grande di tal eminente periglio, che con gli occhi proprii havevamo veduto tiramo la barca appresso la qual con tremenda velocità accompagnata dal furioso mare, gridando tutta via il nome di I H S fece il medesimo effetto che la prima fiata cioè, che vicina tolto altro camino così come per diritto se ne venia scansò la nave; e questo per dui fiate, perché nella prima un sol huomo si aggrapò nel tempo che la nave calava da l’onde alla scala, e la seconda gl’altri dui

563 Il periodo seguente conserva tutta la vivacità del parlato, ma contiene un evidente anacoluto, non necessariamente provocato da errore del copista.

valentemente; e di subito calumata detta barca uscendo di periglio si demo a ringratiar la misericordia, e pietà del s(igno)r Iddio abbraciandosi, et rallegrandosi insieme come se rinati, et rihauta la vitta si fusse senza verun dubio salvati per le buone intercession di forsi 40 Padri franciscani, che in Hierusalem andavano insieme col padre provinciale e residente in quel luoco, et perché il vento ci agiutava di breve arrivamo al Zante, di dove espeditici in doi giorni facemo vella per la Canea, et al primo di settembre havendoci secondato il vento prospero la mattina a buon’hora si ritorvamo vicina alla d(ett)a Città e tuttavia più avicinandosi si settò la vella maestra, et fu consigliato il Padrone, che come comportava l’uso, et il mestiero d’alcuni galant’huomeni marinari, che si desse fondo, fuori del porto, et poi che poco a poco all’indietro si calumasse la nave drento, per esser la bocca del porto stretta il che bizzaro non volse cosa udire, ma da piùaaa voleva entrar con le velle piene, però il trinchetto, e mezana, et poi girarsi come fosse statta una galea sottile, et così tene saldo il camino ma quando volse orciare non poté anci scansando la bocca investì //

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la nave in un lastrone, che sotto aqua rimane a banda sinistra nell’entrar in porto, et volse la fortuna, che la nave non vi si fermò sopra, anci hauto quel incontro, sbalzò con la prua, et si girò al vento, et noi gettata inmediate l’ancora con la poppa rimanemo a percoter sopra la lastra disperati di poter salvar più il vassello, anci aspettando di ponto in ponto, sdrucise scoprendosi grandiss(im)a confusione in nave percioché ogn’uno tendendo al suo particolare, non temendo della [vita] cercava di salvar la robba. Ma d’ogn’altro era più infelice lo stato mio, percioché essendo tutta la mia nel fondo e sotto coperta miserabilm(en)te alla boca del desiato porto e fine del viaggio misero mi vedea spogliato di quel poco che al mondo mi ritrovava, et acquistatomi con tante vigilie, fatiche, e sudori fui più fiate spinto dalla rabbia di uccider il Padrone, che per bestialità sua a tal passo mi ritrovava, pur soccorso da una buona speranza restai vedendo, che non ostante, che la nave mossa dalla maretta bilanciasse e percotesse la lastra con tutto ciò non sdruciva; fei buon animo, et con alcuni galant’huomini vietai, che alcun non attendesse al suo particolare, anci apertamente lasciandomi intendere che o tutto si perderia, et il leveria il mare, overo che da valent’huomeni operando valorosamente si haveria salvata la nave, et ogn’altra cosa, et a bordo essendo arivata dalla Città [una barca] consigliati da un valente marinaro, che con essa venne, che si desse un’ancora fuori più che si potesse, et che con il governo all’argano si facesse prova di tirar fuori del sasso il vassello, il che fu essequito benché con grand(issi)ma difficoltà mal potendo andar inanti a la barca per il vento fresco da Ponente, che si haveva messo, et perché molti con barchette sperando il naufragio erano corsi a nave, et ci davano gran travaglio, perché

disturbavano i mercanti e passegieri dal servitio della publica salute volendo ogn’un attender a salvar in esse il particolare, né potendo riparar a tal disordine, perché non volevano ubidire, mi bisognò così come mi ritrovava scender in terra da messer Pasquale Cigogna Prov(edito)r della città il qual supplicai dovesse proveder a tal disordine e tanto più per l’interesse grande di Sua Ser(eni)tà conducendo noi trentamilla ducati di moneta di sua ragione di subito fui essaudito et mi diede in compagnia il Gov(ernato)re di quella militiabbb //

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accioché con la sua autorità cacciasse i turbatori della nostra salute, e subito ritornati alla nave facendo, che tutti coressero all’argano e servendo a ciò mirabilm(en)te quei buoni padri franciscani, essendo di già stata portata l’ancora assai fuori lontana rincorando, animando, promettendo, bravando et minaciando finalm(en)te dopo grad(issi)me fatiche di tutti fatte all’argano con l’agiuto della superna pietà, et misericordia si cavamo fuori della lastra non con altro danno se non della frattura del timone e d’un poco di tarozzo565 e poi a poco a poco all’indietro calumandola566 alle vintidoi hore salva si condusse in porto, restando io così affaticato e stanco dalla fatica fatta quel giorno, che come morto fui condotto dalla cortesia del detto m(esser) Pasquale Cigogna ad alogiar nel suo Palazzo. Quella notte fu grand(issi)ma borasca di modo che di ponto entrò la nave salva in porto; mi fermai in quella città otto giorni ne’quali vidi la segnalata mutatione che havea fatta dagli anni adietro sicome anco tutto quel Regno mutato in tutto, et per tutto faccea non solo il sito delle città per le fortificatione fattevi, e delle fortezze di nuovo piantatevi567, ma degli abiti, del modo di procedere della lingua e d’una copiosa abbondanza di tutte cose in una estrema carestia e penuria, non che non vi si ritrovi il necessario, ma dico in quanto l’esservi introddutti preci insoportabili, e questo per la quantità de forestieri che l’hano praticato, capitati con tante armate in questa guerra e da tanti presidii, che l’hanno habitato, vidi il forte che s’andava fabricando di S.Taddeo o come dicono i greci del Theodoru nella cima d’un scoglio poco distante dalla Canea beniss(im)o inteso perché non sol leverà, che il nimico non possi alogiar in quel reddoto ma turberà, che non potrà sbarcar in tutta quella riviera così comoda per ritrovar la città, et inviate le bagaglie fra questo tempo a Rettimo me n’andai a montar sop(r)a una fregata tre miglia discosto nella sacca della Suda, stupendomi nell’arivar, ch’io feci alla fortezza overo scoglio, che guarda l’entrata a quel grand(issi)mo e belliss(im)o