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comandò D(on) Giovanni, che tutti si retirassero a Sapienza per sorgere ivi et cossì fu eseguito fu discorso, che si perse occasione bellissima di guadagnar l’Armata e la città ad un tratto se sua Altezza havesse voluto accettar l’offerta dei s(igno)r Paolo Forza, il quale voleva con seimilla archibuggieri assaltar la ponta d(ett)a di sopra et impadronitosi di quell’artegliaria batter l’Armatta, et anco la terra. Molti coragiosi e prudenti anco affermarono che l’impresa sarebbe riuscita facile non havendosi potuto i Turchi quella notte trinceare fermati, et i nostri in quel luoco; montò D(on) Giovanni i Gen(er)ali, et altri s(igno)ri sopra la galea del s(igno)r Marc’Ant(oni)o Collona seguiti dalla Gen(er)al di Malta, et se n’andarono a riconosser meglio i siti et l’inimico allogiato, et ritornati conclusero partir per il Zante per condur le navi, che in quel luoco si ritrovavano; onde levatisi se n’andarono di fuori de detti scogli di Sapienza e la notte poste le galeazze per retroguarda acciò venendo alla coda l’inimico trovasse quest’intoppo. Si diede i remi all’aque e perché il vento era contrario sin al giorno si navigò entrando tutta l’Armata in Navarino havendo fatta rissolutione Sua Altezza di mandar vinticinque galee per le navi al Zante, et egli fermarsi col resto in questo luoco, sporte dunque le galeazze alla bocca si sbarcò infanteria in terra per far aqua, et celarno551 degl’inimici alla scaramuccia, ma furono di maniera ributati che lasciarno per quel giorno quietam(en)te far l’acqua. In questo tempo da alcuni refugiti s’intese il pessimo stato in che si ritrovava l’Uscelli, percioché oltre che s’incomintiava mancar la vettovaglia le malattie pestilenti haveano di maniera mal tratate le schiusme, che per fornir l’altre si era disarmato vinti galee, et essere in estrema difficultà di molte cose; in questi giorni, che s’aspettavano le navi da un ingegniero552 del duca di Firenze, fu proposto un edifitio per batter sicuramente Modone, et l’Armata, et in certo modo far parapetto a nostri che vi andassero sotto ad assalirla, et questo era de dui galeevv all’ //
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impari con botte sotto i morti553 acciò non potesero esser gietatte a fondo nei fianchi delle quali fusse una trincea gagliarda di tereno, che tenisse presidiata una piazza di buona artegliaria, fu abbraciato il parer di costui e disarmate due galee
551 Forse si deve leggere calarono.
552 Giuseppe Bonello (il nome è indicato da PARUTA, ed. Lovisa, p. 336).
venitiane furono dati i corpi a tal servitio, ma tanto disturbo davano i cattivi tempi, et pioggie a tal lavoro, che con grand(issi)ma difficoltà andava inanzi, et alli 27 gionsero vintiotto navi, et le galee, che l’andarono a levar al Zante viste con soma contentezza dai nostri, per le vettovaglie e rinfrescamenti che condussero, e perché non mancavano ogni giorno refugiti, che portavano nove da Modone dove non poteva fermarsi l’Usceli per molti impedimenti, et che per i molti disagi havea fatta resolutione di rinforzar un n(umer)o di 150 galee e fugirsene, perilchè i nostri posero la notte l’Armata all’ordine di tutto ponto per andar la mattina a Modone, et conducendovi la machina, ch’era quasi fornita combatter valorosamente, ma la fortuna nimica a Cristiani dissegni turbò questi buoni consigli554 percioché si sconciò di maniera il tempo, che oltre, che non vi si andò non lasciò ancora metter tuto il terreno per il parapetto all’edifitio, che bisognava e durando tuttavia i venti, e le pioggie, vedendo i Gen(er)ali di quanto danno era quest’ocio, e di quanta mala sodisfatione deliberarono di crear Gen(er)ale il P(ri)ncipe di Parma555 e maestro di campo il coloneloww Moretto Calavrese556, et cap(ita)n dell’artegliaria misier Cab(rie)l da Canale nobile venitiano e gov(ernato)r di galea per l’impresa del castel di Navarino, la qual si poteva fare nonostante il cattivo tempo, essendo il luoco nel med(esi)mo porto, et sbarcati quatromilla fanti quella sera, che fu alli 2 del mese d’ott(ob)re quali andarono a ponersi in una valada appresso il detto luoco di Navarino, fin che venisse il giorno. La mattina si sbarcarono alcuni canoni per batteria, et conduteveli a mezogiorno s’incomintiò a battere, andandovi i soldati sotto animosamente quei del castello con molti tiri rispondevano, et a buone archibuggiate facevano star adietro i nostri, scoprendosi da diverse parti fanteria, e cavalleria venir per il soccorso. Uscirono del luoco alla scaramuccia quatrocento Turchi, et s’attacarono valorosam(en)te e di modo che molti da una parte e dall’altra vi restarono. Furono lodati gl’italiani estremam(en)te et all’incontro rabbuffati et ripresi gli spagnuoli dal sig(no)r D(on) Giovanni, che era sbarcato per vedere tal fattione, venuta la notte s’imbarcarono i feriti, et mutati con soldati freschi, et sani, et si diede ordine che si ponesse l’artegliaria più inanti, //
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et che in miglior modo s’accampasse con speranza ferma di prender quel castello, ma la notte venne un diluvio di pioggia e di modo, che con grand.ma difficultà furono spinte gl’artegliarie inanti, et salutati bene spesso dagli assediati, che
554 Secondo Paruta (ed Lovisa p. 336) non fu il mal tempo, ma la precarietà della macchina a consigliare la rinuncia.
555 Il celebre Alessandro Farnese, duca di Parma. 556 Già governatore di Candia.
non refinavano557 di tirar ai nostri i quali s’accorsero, che quella notte il soccorso vi era intrato, che fu di mille scelti Turchi con vettovaglie e monitioni onde facendosi l’impresa difficile vi si preparavano delle difficultà e di più era fugito un bombardiero spagnolo, et altri di quella natione il quale subito entrato dentro postosi a caricar l’artegliarie di drento contra i nostri havea scavalcato dui canoni, et morti alquanti bombardieri. Da questi contrari tolta ocasione alcuni ch’erano stati datti per conseglieri a D(on) Giovanni comintiando a biasmar quell’impresa allegando perigli, perdita di reputatione, et poca speranza di far cosa buona essortandolo anci protestandoli il ritorno sì per essere il tempo inanti come per la necessità del pane, che lo comandava, percioché la panatica su l’Armata di Ponente diceano esser mancata notabilmente; fu perciò chiamati i Gen(er)ali a consulta e nonostante, che del Foscarini fusse offerto a Sua Altezza biscotti, et altre vettovaglie s’imbarcò l’artegliarie e le genti e tiratasi l’Armata a l’aqua per dui giorni non si fece altro scaramuciandosi sempre con gl’inimici, essendo fin dodicimilla fanti sbarcati per securtà de galeotti diedero molte cariche a turchi, et sempre si hebbe il meglio. A sette del mese d’ott(ob)re la mattina a buon’hora essendosi scoperta una nave in mare per tema, che l’inimico non la prendesse uscì di Navarino tutta l’Armata havendosi anco veduto, che trenta galee turchesche se gli erano spicate sopra, et hormai la combatevano, et per assicuratione delle galee d(ett)e erano uscite di Modone sessanta galee ma per poco spatio a dirimpeto delle quali si pose l’Altezza de D(on) Giovanni con la battaglia et il corno del Soranzo facendole a buone canonate ritirare andando il Marchese S(an)ta Croce a soccorrer la nave col corno destro il che veduto dalle trenta galee si fugirono destram(en)te verso la terra seguite dalle meglio delle nostre et andandoli all’avantaggio per il che fu investito dal sop(radett)to Marchese il bei di Negroponte Maaruut Rais nepote che fu di Barbarossa remasexx sacheggiata et presa in un baleno, l’altre tutte si salvarono per colpa, che il detto Marchese subito non le mise in caccia uscito di porto ma temporeggiando li diede //
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largo spatio alla fuga sperarono i nostri grandem(en)te quel giorno far cosa buona tolendo per felice augurio il giorno della Beata Iustina. Fatta sera ritornò l’Armata nel porto di Navarino, et inviate le navi alla volta del Zante, et alle dieci di notte fatto segno di partenza dalla reale si levò tutta l’Armata havendo il vento prospero da sirocco, et gionta al Zante si trattene per vini, e vettovaglie, finalmente dapoi pochi giorni arivando a Corfù di dove D(on) Giovanni accombiatatosi da nostri se ne partì col s(igno)r Marc’Ant(oni)o Collona per l’isola di Sicilia. Tal furono
l’imprese vane di questa grand’Armata, e tali furono i sucessi, che si fecero quest’anno seguente alla così gloriosa, et importante vittoria, per i nostri peccati molto mal trattata e conosciuta, e perché doppo che il Ge(ne)ral Veniero si levò dall’impresa di Castel novo, [i] Turchi havevano fabricato un forte a marina sul canale che va alla città di Cataro, et postevi artiglierie con fine che assediando per mare tal città necessitata venisse in lor potere cosa di somma molestia e travaglio al Senato, percioché vedendo il luoco fatto d’importanza, e ben munito, et che serviva mirabilmente per la loro intentione, facilmente ne poteva suceder il lor pensiero, onde fatto venir in Colfo con galee forbite il Prov(edito)r Gen(er)al Soranzo ale fin di quella vernata gli comisero quell’impresa, et egli valorosissimo et diligentiss(im)o gionto all’improviso poco lontano dal detto forte, et sbarcata la fanteria all’alba con le galee se gli tirò sotto a far la batteria acciò gl’inimici occupati e tirati dalla parte di mare non si difensassero da terra e così valorosamente da due bande gli fu dato la carica, che in spatio di tre hore fu espugnato il luoco presi, et uccisi forse ducento Turchi, che vi erano al presidio, et molti pezzi d’artegliaria; questa impresa fatta in così poco tempo così ben incaminata e intesa e di tant’importanza non sol diede singular contento a Cataro, et a tutta la Dalmatia, ma aquistò grandiss.a lode a messer Iacomo Soranzo Prov(edito)r Ge(ne)rale, e reputation alla nostra militia, il qual la spianò a fondam(en)ti benché con qualche difficoltà essendo la matteria durissima, et così ben intereciata di legname, travi e terreno, ch’ era quasi inattacabile (?) fu iudicato esser stata così facilmente espugnata, perché non gli havevano fatto fianchi principal diffesa delle fortezze.
Entrato l’anno1573 di marzo comparve una mattina in Venetia quando manco vi si pensava Francesco Barbaro, figlio di m(esser) Marc’Ant(oni)o bailo e prigione [prigioniero] in Costantinopoli //
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il quale insieme con suo padre era stato retento nel p(ri)ncipio della guerra, et in quella calamità insieme con lui era custodito, accompagnato da alcuni interpreti, et altri di quel paese, per il che immediate la città fu ripiena, che rapportava la pace, et insieme de vari discorsi di quelli che la biasmavano, et di quelli che se ne contentavano558, perché penetrando nel cuore di questa materia conoscevano la poca speranza anci la conclusion certa del non poter far più cosa buona, poiché chiaro per i progressi dell’anno passato s’havea veduto l’animo de ministri catolici ch’era di non poner a rischio né adoprare le forze del Re in impresa veruna, ma trattenendosi
558 Si noti come il giudizio del da Molino – destinato a schierarsi negli anni ‘80 coi sostenitori della abolizione della Zonta -coincida in questo caso con il giudizio dei patrizi “vecchi” (Giacomo Foscarini, Marcantonio Barbaro ed altri), favorevoli alla pace e perciò divenuti, in questa occasione, polemicamente antispagnoli. La maggioranza del Senato voleva invece la continuazione della guerra.
mandar in longo le nostre speranze e la guerra, la qual consumandosi per le gravi spese che n’anco l’invernata cessavano delle galee, et de presidii a confini reducevano al verde questa povera, et mal accomagnata Republica; si seppe dunque chiaram(en)te che il Barbaro bailo d’ordine del Cons(igli)o di Dieci havea trattata, et conclusa la pace ben veduta, et intesa dal più n(umer)o della città, ma biasmata gen(er)almente da tutti quei prencipi et signori in Italia e Christianità, che gli piacevano mirar la festa a costo e periglio altrui, onde per molti giorni, et anco mesi non si ragionava altro se non le cose biasmevoli, che si dicevano in Roma, Napoli, Milano et altre città d’Italia da quei che non con la ragione misuravano le cose ma con l’appetitto con l’odio, con la malignità bisognò, che per placar Sua Santità559, et quel sacro santo Collegio560 che per tal pace si ritrovava così mal sodisfatto, che si ragionava voler fulminar escomuniche, et la indignation pontificia, che la Republica vi mandasse persona espressa, che in Concistoro narasse le cose necessarie, et le giuste sue ragioni, che l’havea spinta ad acomodarsi con turchi, et dimostrar tutta la colpa essere stata de collegati, che fu messer Nic(ol)ò da Ponte dottor cavalier, et Proc(urato)r di San Marco, che fu poi dose seben huomo d’ottant’anni nondimeno grand(issi)mo e celebratiss(im)o oratore, il quale a sufficienza suplì //
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al desiderio et intentione de padri, et alla publica reputatione e dignità561. In questo tempo havend’io di già finito l’offitio d’Avocato in Rialto fin d’agosto passato 1572 dissegnai di andar al servitio per Consegliero a Rettimo città su l’isola di Candia seben sapeva ch’era stata abbrugiata, et maltrattata dal’ Usciali et cossì favorì la fortuna i miei dissegni, et la benignità del Maggior Cons(igli)o che remasi come per la sottoscritta memoria si potrà vedere.
adì 17 maggio 1573 nel Maggior Cons(igli)o
613 546 ser And(re)a Rimondo q. ser Alvise yy - piezo ser Ant(oni)o Zust(inia)no q. ser M(ar)co Ant(oni)o
816+314 ser Franc(esc)o da Molin fu avocato a R(ial)to de ser M(arc)o562. – piezo ser Ottavian Donado q. ser Franc(esc)o
Mi posi dunque allegramente all’ordine per far tal Reggimento, portando meco tutto quel poco di capitale, che mi ritrovavo, per vedere se honestamente, et