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Nota 2: a seconda dell‟ampiezza, dello scopo a cui rispondono e della leggibilità, le citazioni tratte

1.2 Canone e traduzione: il classico come “testo sacro”

1.2.1 Che cos‟è un classico?

L‟idea di “classico” affonda le proprie origini nell‟epoca latina: classicus era secondo la costituzione serviana il cittadino che pagava le tasse, e dunque di buona estrazione sociale. Storicamente riconducibile ad Aulo Gellio (cfr. Kermode 1975: 15), che nel secondo secolo dopo Cristo lo usa in modo metaforico (in opposizione a proletarius) per designare lo scrittore ideale, il termine scompare nel Medioevo, torna in uso nel latino del periodo rinascimentale e passa poi ai volgari nazionali. Nell‟arco dei secoli, la parola “classico” si arricchisce di nuovi significati. Tra il Seicento e il Settecento, la querelle des anciens et des modernes contrappone alla nozione di classico universale quella di classico “relativo”, opera la cui perfezione doveva essere valutata in base ai parametri della propria epoca e non a quelli dell‟antichità (cfr. Lianeri & Zajko 2008: 2-11). Quella che si mantiene nel tempo, tuttavia, è l‟idea di eccellenza e distinzione che la designazione di classico ingloba fin dalle origini.

Insieme all‟eccellenza, un tratto prominente associato al concetto di classico sembra essere l‟a-temporalità, la capacità di attraversare indenne la prova del tempo. “The proof of classical status, the timeless character of a work, is attained by means of survival in time”39, scrivono Alexandra Lianeri e Vanda Zajko nella prefazione a uno studio sulla funzione dei testi tradotti nella trasmissione delle opere classiche (Lianeri & Zajko 2008: 1). Nella definizione fornita da Samuel

38 Berman ascrive a questo processo, cui dà il nome di “translation” (Berman 1995: 17), non solo le traduzioni, ma

anche la critica traduttiva e tutte quelle trasformazioni testuali ed extratestuali che svolgono un ruolo nel radicamento dell‟opera straniera all‟interno della cultura ricevente (cfr. § 1.2.3 per come il processo di translation possa contribuire alla canonizzazione dell‟opera letteraria).

39 “La prova dello status di classico, il carattere atemporale di un‟opera, si raggiunge attraverso la sopravvivenza nel

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Johnson in Preface to Shakespeare (1765), il classico è descritto come un‟opera di genio caratterizzata da “length of duration and continuance of esteem” (“lunga durata e continuità di apprezzamento”) (cfr. Smith 1951: 444). Una definizione più recente, tratta dal New Oxford

Dictionary of English (1998), conferma l‟idea che la nozione di classico abbia a che fare con il suo

perdurare nel tempo: classico, in funzione di aggettivo, è quanto viene giudicato di altissima qualità (“of the highest quality”) ed eccezionale nel suo genere (“outstanding of its kind”) “over a period of

time” (corsivo mio), nell‟arco di un certo periodo di tempo. In modo analogo, usato come

sostantivo, il termine “classico” designa “a work of art of recognized and established value”, “long-

lasting” e “not greatly subject to changes”(corsivo mio): un‟opera d‟arte di valore riconosciuto,

eccellente nel suo genere, che resiste pressoché immutata nel tempo. In altre parole, il classico sembra possedere qualità intrinseche che gli consentono di adattarsi a periodi diversi e culture lontane tra loro. Kermode (1975: 44) collega questa specie di immortalità ad una “openness to accommodation” (“apertura all‟accomodamento”) che mantiene in vita il testo canonizzato “under endless varying dispositions” (“in disposizioni infinite e variabili”), e la associa alla pluralità di significati (e di letture) che è propria della grande opera (cfr. Kermode 1975: 133).

La permanenza del classico nel tempo si precisa allora anche e soprattutto come tensione tra passato e presente. A questo proposito, Lianeri e Zajko affermano:

It can be argued [...] that the idea of the classic is invested in a particular model of history, one that allows for a perpetual tension between the enduring and the transient and for the survival of the past in ways that are comprehensible even to a radically different present. This comprehensibility is not immediate or unmediated but involves acts of translation by successive generations of readers. (Lianeri e Zajko 2008: 4)40

Nella sua a-temporalità – conseguita anche grazie alle diverse letture che la traduzione rende possibili – il classico sembra conciliare storicità e presente, ciò che perdura e ciò che passa. Lo stesso Kermode (1975: 42) afferma: “at the root of the matter, for all of us, is the relation of permanence and change” (“alla radice della questione, per tutti noi, sta il rapporto tra permanenza e cambiamento”). In quella che chiamano “untimeliness” (“non-temporalità”), Lianeri e Zajko (2008: 15) individuano lo spazio in cui si manifesta la centralità delle traduzioni. E non solo i testi tradotti rendono possibile la preservazione delle grandi opere nel tempo, ma possono diventare campo di studio privilegiato per una riflessione storica e critica su come avviene questo passaggio.

40 “È possibile sostenere [...] che l‟idea di classico si innesti in un particolare modello storico, un modello che accoglie

una continua tensione fra il durevole e il transeunte e la sopravvivenza del passato in modi che sono comprensibili anche a un presente radicalmente diverso. Questa comprensibilità non è immediata o diretta ma comporta atti di traduzione da parte di successive generazioni di lettori”.

33 Su un piano prettamente poetico e letterario, l‟idea della grande opera come capace di trascendere il tempo ricorre anche in T.S. Eliot, che in “Tradition and the Individual Talent” (1919) scrive:

Tradition is a matter of much wider significance. It cannot be inherited, and if you want it you must obtain it by great labour. It involves, in the first place, the historical sense [...] and the historical sense involves a perception not only of the pastness of the past, but of its presence; the historical sense compels a man to write not merely with his own generation in his bones, but with a feeling that the whole of the literature from Homer and within it the whole of the literature of his own country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order. This historical sense, which is a sense of the timeless as well as of the temporal together, is what makes a writer traditional. (Eliot 1975: 38)41

Tradizionale – e dunque classico – è al tempo stesso “timeless” e “temporal”, senza tempo e legato al tempo. Presente e passato formano nella tradizione un tutto coerente: l‟artista scrive con intere generazioni di autori presenti e passati “nelle ossa”, e l‟opera del singolo scrittore si innesta in una fitta rete di relazioni con i grandi del passato, in cui il nuovo e l‟antico si mescolano e interagiscono. Inscritto nella storia, permeato dalla coscienza del passato, il talento individuale prende posto accanto ai monumenti della tradizione e trascende la temporalità. Eliot dà così forma a un pantheon di scrittori, a un “bosco sacro” in cui gli artisti del presente convivono con i classici che hanno contribuito a fondare le basi della cultura moderna.

Con un taglio più sociale e generale, nel suo studio “Canon formation revisited: canon and cultural production”, anche Rakefet Sela-Sheffy (2002) evidenzia la permanenza nel tempo come tratto essenziale delle opere canonizzate:

“Central to the popular conception of the canon is the conviction that it can always be rejected and displaced. [In actual fact] canonized items maintain their position as orientation points in the cultural market regardless of its vicissitudes [...].

In other words, we cannot ignore the fact that there is always a more solid body of artifacts and patterns of action which enjoy larger consensus across society, and which persist for longer periods, even in cases where specific contemporary ideologies tend to reject them. Regardless of the specific historical

41 “La tradizione è una questione di significato molto più ampio. Non può essere ereditata, e se la vuoi la devi ottenere

con grande sforzo. Comporta, in primo luogo, il senso storico [...] e il senso storico comporta una percezione non solo della „passatezza‟ del passato, ma della sua presenza; il senso storico impone a un uomo di scrivere non soltanto con la sua generazione nelle ossa, ma con il senso che l‟intera letteratura a partire da Omero e al suo interno l‟intera letteratura del proprio paese abbia un‟esistenza simultanea e componga un ordine simultaneo. Il senso storico, che è il senso di quello che è a-temporale e temporale insieme, è quanto rende tradizionale uno scrittore”.

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conditions of its canonization, this canonized repertoire is [...] widely shared, accumulative, and durable” (Sela-Sheffy 2002: 144-45)42

Sela-Sheffy individua in sostanza un repertorio durevole e condiviso di artefatti in grado di sopravvivere alle mode passeggere e alle lotte che le varie sottoculture ingaggiano per ottenere potere e visibilità. Si tratta di un serbatoio i cui tratti principali sono la longevità e la persistenza, creato per accumulo dalle società fino a configurarsi come una serie di “unshakably sanctioned cultural reservoirs, which reservoirs we call canons” (Sela-Sheffy 2002: 145)43.

Ma quale posizione occupa – e quale funzione svolge – il classico all‟interno del sistema culturale che lo riconosce come tale e lo preserva nel tempo? Se Kermode propone una visione vitale della grande opera, densa di significato e dunque in continuo movimento e aperta a diverse letture, Sela-Sheffy ne sottolinea invece la sospensione dal mercato culturale, mostrando come lo status elevato del classico ne inaridisca paradossalmente il potere generativo e lo escluda di fatto dall‟uso comune (Sela-Sheffy 2002: 147). Estendendo la riflessione dalle grandi opere letterarie ai vari prodotti socio-culturali che rientrano nella categoria di “classico”, Dan Hooley (2008) esprime una posizione simile:

Thinking through literary classics back to [...] many other classics, one might notice a not entirely inconsistent implication of timelessness or durability through time. Classic style in general, as it applies to cars, music, clothing and much else, may have this consistency. Yet there is implication, too, of the retro in all this. A classic dress, or suit, or auto may be acceptable, even prized in certain contexts (posh soirées, law firms, auto rallies), but is still a niche currency, apart from the norm, the really contemporary. Hence, a suggestion of the quaint: decorous, restrained, polished, perhaps even (discreetly) beautiful, a little normative but harmlessly so because no longer really with us. (Hooley 2008: 243)44

42 “È centrale nella concezione popolare del canone l‟idea che questo possa sempre essere rigettato e spostato. [In

realtà] gli oggetti canonizzati mantengono la loro posizione come punti di riferimento nel mercato culturale indipendentemente dalle loro vicissitudini [...]. In altre parole, non si può ignorare il fatto che c‟è sempre un corpo più solido di prodotti e modelli d‟azione che godono di un più ampio consenso nella società, e che persistono per periodi più lunghi, anche in casi in cui specifiche ideologie contemporanee tendano a rigettarli. Al di là delle specifiche condizioni storiche della sua canonizzazione, questo repertorio canonizzato è [...] ampiamente condiviso, cumulativo, e

durevole”.

43 “Depositi culturali ratificati in modo irremovibile, a cui diamo il nome di canoni”

44 “Risalendo dai classici letterari a [...] molti altri classici, si potrebbe notare una implicazione non del tutto incoerente

di a-temporalità o permanenza attraverso il tempo. È possibile che lo stile classico in generale, applicato alle macchine, alla musica, ai vestiti e a molto altro, abbia questa coerenza. Eppure, tutto questo implica anche qualcosa di rétro. Un vestito, un‟automobile o un abito classico possono essere accettabili, persino apprezzati in certi contesti (serate di gala, rally automobilistici, studi legali), ma sono valuta di nicchia, lontana dalla norma, da quello che è davvero

35 Il classico è sì durevole e senza tempo, ma a ben guardare ha qualcosa di rétro, è una “niche currency”, non è più moneta corrente, non è più davvero con noi. Nella considerazione, pure entusiastica, che Cesare Pavese riserva a David Copperfield in veste di traduttore si legge, sottotraccia, il medesimo senso di sospensione e di distanza: “Traducendo questo libro ci è accaduto di pensare più volte che di „commedie umane‟ il nostro secolo non ne scriverà più” (Copperfield 4: vii). Agli occhi di Pavese (del Pavese scrittore più ancora che del Pavese lettore) il romanzo di Dickens appare immortale, ma anche lontanissimo nel tempo, e in qualche modo “ingenuo” nella sensibilità che esprime (cfr. Copperfield 4: vii). E questa distanza segna in un certo senso, come vedremo, anche la sua traduzione del romanzo dickensiano per Einaudi (cfr. § 3.3.2).

Indipendentemente dagli intenti che l‟hanno originata e dalle lotte attraverso le quali si è imposta, l‟opera che acquista la marca di classico subisce dunque una sorta di cristallizzazione e diventa meno soggetta al consumo. Secondo Sela-Sheffy (2002: 148), “the more strongly an item is sanctioned, the lesser its availabilty”: più forte è la ratificazione culturale che investe un oggetto, più l‟opera diventa “inviolabile”, e minore è la sua reale disponibilità per il pubblico. Per descrivere questo processo Sela-Sheffy usa due nozioni e un‟immagine. L‟immagine è quella della cassaforte: “as a collective source of authority [...] the canon functions rather like a safe, into which, once an item is accepted, its value is almost irreversibly secured” (Sela-Sheffy 2002: 146-47)45. Fonte di autorità collettiva, il canone assicura longevità e prestigio a certe opere, sottraendole però al cambiamento – “pietrificandole”, come dice Even-Zohar (1979/1990: 17)46. I due meccanismi interrelati su cui poggia questa tesaurizzazione sono, secondo Sela-Sheffy quello della “objectification”47

e quello della “sanctification” (Sela-Sheffy 2002: 146-47). L‟ingresso di un‟opera nel canone ne preserva lo status, ma al tempo stesso la “oggettifica”, privandola della sua forza vitale e rendendola inattingibile. Questa idea di inattingibilità è a sua volta collegata alla

contemporaneo. Di qui, l‟idea di qualcosa di eccentrico e d‟altri tempi: decoroso, contenuto, raffinato, forse anche bello (in modo discreto), un po‟ normativo, ma innocuo perché non è più veramente con noi”.

45 “in quanto fonte collettiva di autorità [...] il canone funziona un po‟ come una cassaforte, in cui, una volta accettato,

un oggetto vede assicurato il proprio valore in modo pressoché irreversibile”.

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Scrive Even-Zohar (1990: 17): “Without the stimulation of a strong „sub-culture‟, any canonized activity tends to gradually become petrified. The first steps towards petrification manifest themselves in a high degree of boundness and growing stereotypization of the various repertoires” (“Senza lo stimolo di una „sub-cultura‟ forte, tutte le attività canonizzate tendono gradualmente a pietrificarsi. I primi passi verso la pietrificazione si manifestano con un alto grado di confinamento e una crescente stereotipizzazione dei vari repertori”).

47 Il meccanismo dell‟oggettificazione viene osservato anche da Bourdieu (1971/1985), che lo vede come centrale

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santificazione dell‟opera canonizzata. Una volta acquisita la marca di classicità, l‟opera diventa non solo oggetto, ma oggetto “sacro”, e dunque in qualche modo intoccabile. Non a caso, anche per Sela-Sheffy, l‟archetipo del classico come testo sacro è il Testo Sacro per eccellenza, cioè la Bibbia:

There are well known cases where canonized items are pronounced sacred to the extent that making use of their models is utterly unthinkable. An outstanding example for this is the status of the Scriptures at various historical points. Especially intriguing in this connection are cases where the sanctification of artifacts [sic] causes the transformation of their status [...] into [...] physical sacred objects. (Sela-Sheffy 2002: 149)48

Difficile non pensare alle implicazioni di questa visione nel polisistema italiano, dove non solo l‟accesso diretto ai testi sacri è stato per secoli attivamente scoraggiato dalla Chiesa cattolica, ma il libro stesso ha costituito fino a tempi non lontani (anche per ragioni storiche) un oggetto distante e sacrale, cui accostarsi con spirito di sacrificio e riverenza – specie se appartenente alla Grande Letteratura (cfr. cap. 2).