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L‟acquisizione della marca di classico: gli agenti consacrant

Nota 2: a seconda dell‟ampiezza, dello scopo a cui rispondono e della leggibilità, le citazioni tratte

1.2 Canone e traduzione: il classico come “testo sacro”

1.2.3 L‟acquisizione della marca di classico: gli agenti consacrant

Immortale e autorevole, “sacro” e inviolabile, il classico gode di uno status che sembra originare dalle sue caratteristiche intrinseche. In realtà, al di là del valore delle singole opere, l‟attribuzione della marca di canonicità fa affidamento su molteplici agenti esterni. Di fronte alla scelta tra “canonical” (“canonico”) e “canonized” (“canonizzato”), “the former suggesting the presence of inherent features in certain works, a „primordial nature‟, the latter emphasizing the process through which canonization is achieved as the result of some activity,” Even-Zohar (1979/1990: 15-6)65 accorda la preferenza al secondo termine, a sottolineare come la canonicità non abbia a che fare con la “natura primordiale” di un‟opera, ma sia invece frutto di un processo e di una serie di attività. A questa visione non sfugge neppure il testo biblico, la cui marca di sacralità dipende in larga parte dalla percezione di chi lo riconosce – e lo riceve – come “voce dello Spirito”. Come afferma la Salmon:

Tradurre la Bibbia evidentemente non è la stessa cosa che tradurre un articolo di giornale: ma non perché la Bibbia è la “parola di Dio”, bensì perché verrà recepita come tale dalla maggior parte dei destinatari della traduzione. Le due cose sono profondamente diverse. (Salmon 2003: 69)

Ovvero, niente che sia inerente al testo è davvero sacro di per sé: la canonicità è per molti versi una marca acquisita, conferita e mantenuta nel tempo dalle istituzioni socio-culturali, e consolidata dalla ricezione sacrale che viene riservata all‟opera canonizzata.

Prendendo come punto di riferimento la ricezione di Nathaniel Hawthorne presso il pubblico americano, Jane Tompkins (2001) contesta l‟idea diffusa in base alla quale il Grande Libro trascende immutato tempo e circostanze, e sostiene l‟assunto opposto: “a literary classic is a product of all those circumstances of which it has traditionally been supposed to be independent” (Tompkins 2001: 133): il classico letterario sarebbe proprio il risultato di tutte quelle circostanze da cui viene tradizionalmente ritenuto indipendente. Se la percezione del classico come opera di eccellenza non muta nel tempo, quello che cambia è il terreno su cui poggia quella percezione:

65 “Il primo a suggerire la presenza di caratteristiche inerenti a certe opere, una „natura primordiale‟, il secondo a

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The Scarlet Letter is a great novel in 1850, in 1876, in 1904, in 1942, and in 1966, but each time it is great for different reasons. In the light of this evidence, it begins to appear that what we have been accustomed to think of as the most enduring work of American literature is not a stable object possessing features of enduring value, but an object that – because of its place within institutional and cultural history – has come to embody successive concepts of literary excellence. (Tompkins 2001: 149)66

In altre parole, secondo Tompkins, la permanenza del classico nelle varie culture discende in prevalenza dai valori di cui le istituzioni sociali e culturali lo investono, usandolo come una sorta di “contenitore”, e ratificandone di volta in volta l‟eccellenza in base a criteri diversi. La durevolezza del testo canonizzato viene così assicurata dai continui processi di lettura e rilettura, pubblicazione e ri-pubblicazione, dalla produzione di testi critici e commenti, e dal mantenimento del testo canonizzato nei programmi di insegnamento (cfr. Tompkins 2001: 151). Andrebbe aggiunta, a questo panorama, l‟opera di traduzione e ri-traduzione di cui è oggetto il classico. Nella visione della Tompkins, la “durability” del classico non è dunque una funzione della sua straordinaria capacità di resistere all‟obsolescenza intellettuale. Quello che perdura è l‟idea stessa di classico nella tradizione letteraria, cosicché i Grandi Libri sono, in ultima analisi, “mirrors of culture as culture is interpreted by those who control the literary establishment” (Tompkins 2001: 151)67, specchi della cultura e del sistema letterario dominante che hanno il potere di confermare lo status di questo o di quel testo, e se ne servono per confermare quel potere. Si può quindi ipotizzare che l‟incidenza dei fattori esterni sulla ratifica del Grande Libro sia riscontrabile nel polisistema d‟arrivo anche per i classici stranieri in traduzione.

Sul piano sociale, la persistenza del testi canonici e la creazione di repertori riconosciuti come fonte autorevole di verità possono essere ricondotte al bisogno delle culture di darsi dei testi di riferimento su cui fondare la propria identità. La Salmon individua a questo riguardo

una propensione antropologica (psicosociale) dei gruppi culturali a “eleggersi” dei cult texts il cui prestigio raggiunga forme di vera e propria deferenza. Si tratta di una deferenza non più connessa a una dottrina, ma a un bisogno di riferimenti mitici (si può supporre sostenuto da qualche propensione innata). Questo anelito a rafforzare l‟identità mediante miti e oggetti mitizzati è una costante culturale. Di fatto, non c‟è nulla in un testo che lo renda oggettivamente migliore di un altro: la sua supposta superiorità è contingente, è la risultante di un

66 “La Lettera Scarlatta è un grande romanzo nel 1850, nel 1876, nel 1904, nel 1942, e nel 1966, ma ogni volta è grande

per motivi diversi. Alla luce di questa evidenza, comincia ad apparire chiaro che quella che siamo stati abituati considerare l‟opera più duratura della letteratura americana non è un oggetto stabile che possiede caratteristiche di valore trascendente, ma un oggetto che – per la sua posizione nella storia culturale e istituzionale – ha finito per incorporare concetti successivi di eccellenza letteraria”.

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numero altissimo di variabili storico-culturali che agiscono nella mente dei destinatari (lettori) come unità di misura, come riferimenti tarati da alcune autorevoli “guide” (da critici, esegeti, censori e, come si direbbe oggi genericamente, opinion makers). (Salmon 2003: 71)

La propensione delle culture a identificare in alcuni testi dei “testi di culto”, e la conseguente necessità di segnalarne lo status, rimandano dunque all‟azione di guide “autorevoli”. Rientrano in questa azione, come si è visto, il commento di critici ed esegeti, la ratifica accademica e didattica, ma anche i dati paratestuali e tutte quelle forme di “rifrazione” (Lefevere 1982/2004) che rendono possibile il passaggio di testo da una cultura all‟altra e la sua conseguente accettazione nel sistema ospite. Sull‟azione di questi agenti canonizzanti gettano luce gli studi di Bourdieu (1971/1985), e – con uno sguardo più specifico volto alla traduzione – quelli di Lefevere (1982/2004, 1992a) e di Berman (1995).

In “Mother Courage‟s Cucumbers: Text, System and Refraction in a Theory of Literature”, Lefevere (1982/2004: 240) scrive: “A writer‟s work gains exposure and achieves influence mainly through „misunderstandings and misconceptions‟, or, to use a more neutral term, refractions”68

. Le traduzioni sono una prima, ovvia, forma di “rifrazione”. Ma tra le varie rifrazioni che permettono all‟opera letteraria di acquisire peso e influenza nel sistema d‟arrivo, Lefevere include anche gli adattamenti, comprese le “trasmutazioni” per lo schermo o il teatro (cfr. Jakobson 1959: 233), e le diverse forme di produzione critica e didattica:

First of all, let us accept that refractions – the adaptation of a work of literature to a different audience, with the intention of influencing the way in which that audience reads the work – have always been with us in literature. Refractions are to be found in the obvious form of translation, or in the less obvious form of criticism [...], commentary, historiography [...], teaching, the collection of works in anthologies, the production of plays. (Lefevere 1982/2004: 241)69

Come si vede, le rifrazioni accompagnano e rendono possibile il trasferimento del testo straniero dal sistema di partenza a quello d‟arrivo, e al tempo stesso influenzano il modo in cui il testo verrà recepito in base ai dettami della società ricevente. In un certo senso, afferma Lefevere, le rifrazioni

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“L‟opera di uno scrittore ottiene visibilità per lo più tramite „malintesi e fraintendimenti‟, o, per usare un termine più neutro, rifrazioni”.

69 “Innanzitutto, bisogna accettare che le rifrazioni – l‟adattamento di un‟opera letteraria per un pubblico diverso, con

l‟intenzione di influenzare il modo in cui quel pubblico legge l‟opera – hanno sempre fatto parte della letteratura. Le rifrazioni si possono trovare nella forma ovvia della traduzione, o nella forma meno ovvia della critica [...], del commento, della storiografia [...], dell‟insegnamento, della raccolta di opere nelle antologie, della produzione di drammi”.

49 rappresenterebbero una sorta di compromesso tra i condizionamenti imposti da entrambi i sistemi (cfr. Lefevere 1982/2004: 243). Un concetto in parte sovrapponibile a quello di rifrazione è la nozione bermaniana di “translation” (Berman 1995: 17). Lo spazio in cui si muovono le traduzioni (e la critica delle traduzioni), sostiene Berman, è di necessità più ampio rispetto ai singoli bi-testi: il passaggio – la “traslazione” – di un‟opera in un‟altra lingua e in un‟altra cultura avviene anche attraverso la critica e tutte quelle trasformazioni testuali (o persino non testuali) che non sono strettamente traduttive. È l‟“insieme” di tutte queste attività, scrive Berman, che costituisce la

translation di un‟opera (cfr. Berman 1995: 17)

Nella canonizzazione dei testi letterari, e nella loro translation all‟interno della cultura d‟arrivo, le rifrazioni descritte da Lefevere hanno un ruolo cruciale. È tramite le rifrazioni che un testo può conseguire e mantenere lo status di classico, ed è tramite le rifrazioni che lo status di un testo già riconosciuto come canonico viene preservato nel sistema (cfr. Lefevere 1982/2004: 252). Le antologie letterarie sono un esempio di questo meccanismo:

[A]nthologies [...] determine which authors are to be canonized. The student entering the field, or the educated layman, will tend to accept the selections, offered in these anthologies as “classics”, without questioning the ideological, economic and aesthetic constraints which have influenced the selection [...]. Thus, formal education perpetuates the canonization of certain works of literature, and school and college anthologies play an immensely important part in this essentially conservative movement within the literary system. (Lefevere 1982/2004: 244)70

Se per un verso l‟istruzione formale, incarnata dalle selezioni antologiche delle grandi opere, contribuisce a perpetuare lo status dei classici, dall‟altro li confina all‟interno di un sistema estremamente conservatore, soggetto a un basso grado di cambiamento. In questa cornice, le rifrazioni non solo contribuiscono a ratificare la canonizzazione di un testo, ma possono essere funzionali all‟introduzione di un‟opera straniera nel canone letterario di una nuova cultura.

Significativa a questo proposito una particolare rifrazione americana delle poesie di Giuseppe Ungaretti, analizzata da Venuti in “Translation, Community, Utopia” (2004). Nel 1958, Mandelbaum traduce per il pubblico americano le poesie di Ungaretti, sottolineandone il potenziale

70 “[L]e antologie [...] determinano quali autori devono essere canonizzati. Lo studente che faccia il suo ingresso in

questo campo, o la persona mediamente colta, tenderanno ad accettare le selezioni (offerte in queste antologie come „classici‟) senza mettere in discussione i condizionamenti ideologici, economici ed estetici che hanno influenzato la selezione [...]. Così, l‟istruzione formale perpetua la canonizzazione di certe opere letterarie, e le antologie scolastiche e accademiche hanno un ruolo importantissimo in questo movimento essenzialmente conservatore all‟interno del sistema letterario”.

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dirompente e innovativo: nel commento critico che accompagna il bi-testo, il traduttore dichiara di aver seguito le orme del poeta italiano nell‟intento di “sotterrare il cadavere” della lingua letteraria, dando forma a un linguaggio economico, preciso e privo di “tutto quello che è soltanto ornamento” (cfr. Venuti 2004: 492). E tuttavia, osserva Venuti, se Mandelbaum aderisce sul piano sintattico alla tersa frammentazione ungarettiana, le sue versioni mostrano anche un‟elevazione del testo di partenza che devia dai fini esplicitati nel commento critico. Più che alla sovversione inscritta nell‟originale, la scelta poetizzante di tradurre “morire” con “perish” (perire) e non con “die”, o la resa di “sonno” con “slumber” (più elegante di “sleep”) rispondono all‟appello implicito (e alle norme) di una “domestic readership”dalle attese piuttosto conservatrici (Venuti 2004: 492):

Mandelbaum‟s translation not only positioned Ungaretti in English-language poetic traditions, but affiliated him with the dominant trends in contemporary poetry translation. [...] Mandelbaum‟s version bridged the cultural gap between Ungaretti‟s actual Italian readership and his potential American audience. Translating a modern Italian poet into the discourse that dominated American poetry translation was effectively a canonizing gesture, a poetic way of linking him – for American readers – to canonical poets like Homer and Dante (not to mention the echoes of Tennyson, Shakespeare, Marlowe). Yet this domestic inscription deviated from Ungaretti‟s significance in the Italian poetic tradition [...]. The ornate English version was addressing another audience, distinctly American, poetry readers familiar with British and American poetic traditions as well as recent translations that were immensely popular. (Venuti 2004: 494)71

Per entrare nel canone poetico anglosassone, l‟opera di Ungaretti subisce una “domestic inscription” che da un lato la riallaccia alla tradizione della cultura ricevente, e dall‟altro la modella in base a un genere di traduzione poetica particolarmente popolare in area anglosassone. Così, le traduzioni americane di Mandelbaum riescono effettivamente a canonizzare Ungaretti negli Stati Uniti (cfr.Venuti 2004: 492), ma per garantirgli l‟accesso al pantheon dei classici stranieri il traduttore finisce per affiliarlo a un sistema tradizionale tanto riconoscibile e ratificato dalla comunità d‟arrivo quanto lontano dagli intenti dell‟originale. Con una mescolanza di innalzamento

71 “La traduzione di Mandelbaum non solo collocava Ungaretti all‟interno delle tradizioni poetiche di lingua inglese, ma

lo affiliava alle tendenze che dominavano la traduzione poetica del tempo. [...] La versione di Mandelbaum colmava la distanza culturale tra i reali lettori italiani di Ungaretti e il suo potenziale pubblico americano. Tradurre un poeta moderno italiano nel discorso che dominava la traduzione poetica americana era effettivamente un gesto canonizzante, un modo poetico di collegarlo – per i lettori americani – a poeti canonici come Omero e Dante (per non parlare degli echi di Tennyson, Shakespeare, Marlowe). Eppure, questa iscrizione domestica deviava dal significato di Ungaretti nella tradizione poetica italiana [...]. L‟ornata versione inglese si indirizzava a un altro pubblico, chiaramente americano, a lettori di poesia che avevano familiarità con la tradizione poetica inglese e americana e anche con traduzioni recenti che erano divenute immensamente popolari”.

51 e ossequio al testo di partenza che le rende simili alle versioni italiane dei grandi romanzi inglesi, le rifrazioni americane delle poesie di Ungaretti confermano l‟interazione tra la forza delle norme che agiscono nel sistema d‟arrivo e la spinta imposta dal prestigio del classico.

Per i testi letterari tradotti come per quelli non tradotti, l‟acquisizione e il mantenimento della marca di canonicità dipendono dunque in larga parte dall‟azione molteplice che fa capo alla comunità interpretante. Nel campo della produzione culturale a circolazione “ristretta”, cui si può ascrivere quel bene simbolico che è il classico letterario, Bourdieu (1971/1985: 28) individua una serie di “istituzioni consacratorie” che hanno potere canonizzante sui prodotti culturali. Tra gli agenti autorizzati che possono garantire la consacrazione di un bene simbolico, Bourdieu sottolinea il ruolo dei critici e del sistema educativo (cfr. Bourdieu 1971/1985: 32). In questo senso, la nozione bourdieusiana si interseca con il concetto di “institution” elaborato da Even-Zohar (1990):

The “institution” consists in the aggregate of factors involved with the maintenance of literature as a socio- cultural activity. It is the institution which governs the norms prevailing in this activity, sanctioning some and rejecting others. Empowered by, and being part of, other dominating social institutions, it also remunerates and reprimands producers and agents. As part of official culture, it also determines who, and which products, will be remembered by a community for a longer period of time. (Even-Zohar 1990: 37)72

L‟istituzione, nell‟interpretazione di Even-Zohar, coincide con l‟insieme dei fattori che concorrono al mantenimento della letteratura come attività socio-culturale. È l‟istituzione che determina le norme in base alle quali un prodotto viene accettato in via permanente dalla cultura dominante o, al contrario, sanzionato e rigettato dai circuiti ufficiali. È facile desumere che questo potere di consacrazione (o esclusione) di un testo nell‟ambito del polisistema letterario valga anche per la letteratura tradotta e, a maggior ragione, per la traduzione dei classici. Tra le varie forme assunte dall‟istituzione, Even-Zohar, come Bourdieu, cita i critici e tutti gli ordini di scuola, accademia compresa, insieme a “publishing houses, periodicals, clubs, groups of writers, government bodies (like ministerial offices and academies), [...] the mass media in all its facets, and more” (Even- Zohar 1990: 37)73. Si può allora ipotizzare che il sottosistema italiano dei classici in traduzione

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“L‟„istituzione‟ consiste nell‟insieme di fattori interessati al mantenimento della letteratura come attività socio- culturale. È l‟istituzione che governa le norme prevalenti in questa attività, ratificandone alcune e rigettandone altre. Rafforzata da altre istituzioni sociali dominanti, e parte di queste, l‟istituzione remunera e punisce produttori e agenti. Facendo parte della cultura ufficiale, determina anche chi e quali prodotti saranno ricordati da una comunità per un periodo di tempo più lungo”.

73 “case editrici, periodici, circoli, gruppi di scrittori, corpi governativi (come gli uffici ministeriali e le accademie), [...]

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risenta fortemente dei condizionamenti imposti dall‟istituzione nelle sue varie forme, e che questi condizionamenti abbiano carattere più di conservazione che di innovazione.

Un‟ulteriore, articolata rielaborazione del concetto di agente canonizzante si trova in Lefevere (1992a). In Translation, Rewriting and the Manipulation of Literary Fame viene sottolineata la centralità delle istituzioni consacratorie nel processo di canonizzazione di un‟opera. “It is my contention” afferma Lefevere, “that the process resulting in the acceptance or rejection, canonization or non-canonization of literary works is dominated not by vague, but by very concrete factors that are relatively easy to discern as soon as one decides to look for them” (Lefevere 1992a: 2)74. Quali sono allora i fattori concreti che assicurano l‟accettazione di un‟opera nel canone letterario? Per spiegarlo, Lefevere adotta una visone di matrice sistemica e culturale: la letteratura è un sistema integrato in cui operano testi e agenti umani, e anche quando i testi sembrano appartenere a una dimensione sospesa e inviolabile – come nel caso dei classici – la loro permanenza nel sistema discende da tutti gli agenti che leggono, rileggono, commentano e in qualche maniera riscrivono quei testi. La consacrazione delle opere, il mantenimento stesso del sistema letterario, e il suo allineamento con gli altri sistemi culturali della società, dipendono secondo Lefevere da due fattori di controllo, uno interno e uno esterno (cfr. Lefevere 1992a: 14-5):

In concrete terms, the first factor is represented by the “professional” [...]. Inside the literary system, the professionals are the critics, reviewers, teachers, translators. They will occasionally repress certain works of literature that are all too blatantly opposed to the dominant concept of what literature should (be allowed to) be – its poetics – and of what society should (be allowed to) be – ideology.

The second control factor, which operates mostly outside the literary system as such, will be called “patronage” here, and it will be understood to mean something like the powers (persons, institutions) that can further or hinder the reading, writing and rewriting of literature. (Lefevere 1992a: 14-5)75

74 “È possibile affermare che il processo risultante nell‟accettazione o nel rifiuto, nella canonizzazione o non-

canonizzazione delle opere letterarie è dominato da fattori non vaghi ma molto concreti che sono relativamente facili da individuare, una volta che si decida di cercarli”.

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“In termini concreti, il primo fattore è rappresentato dai „professionisti‟. [...] Nell‟ambito del sistema letterario, i professionisti sono i critici, i recensori, gli insegnanti, i traduttori. All‟occasione, i professionisti reprimeranno certe opere letterarie troppo apertamente in contrasto al concetto dominante di come deve essere la letteratura (o le viene concesso di essere) – la sua poetica – e di quello che deve essere la società (o le viene concesso di essere) – l‟ideologia. Il secondo fattore di controllo, che opera per lo più fuori dal sistema letterario in quanto tale, sarà chiamato qui „patrocinio‟, e si intenderà nel significato di poteri (persone, istituzioni) che possono favorire o ostacolare la lettura, scrittura e ri-scrittura della letteratura”.

53 Quello che fa di un testo letterario un‟opera sospesa e “senza tempo” si rivela invece profondamente radicato nel tempo e nell‟azione di controllo esercitata dal duplice fattore descritto da Lefevere. Del fattore esterno – il “patrocinio”, in cui possono rientrare singole persone, case editrici, gruppi politici o religiosi, intere classi sociali, e anche i media – e dei “professionisti” che operano all‟interno del sistema letterario, Lefevere mette in luce il potere sanzionatorio. Se il

patronage può condizionare la produzione letteraria in termini economici, ideologici o di status, i