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Capitolo 3: La certificazione della qualità

3.6. Costi di impiego delle denominazioni

Nel momento in cui si ha intenzione di richiedere la certificazione di un prodotto come Dop o Igp, è necessario fare delle attente valutazioni relativamente ai costi di costituzione ed uso necessari per la stessa. Non sono rare infatti le casistiche in cui inizialmente vengono trascurati o presi “sotto gamba” tutti quei costi ex-post certificazione che un produttore è continuamente obbligato a sostenere per usufruire del marchio Comunitario.

Nella Tabella 3.2 sono richiamate le principali voci di spesa che un’azienda agroalimentare è tenuta a sopportare per ottenere e mantenere un marchio comunitario.

Tabella 3.2: Principali costi delle DOP e IGP.

Costi preliminari

Costi per l’analisi delle componenti chimiche ed organolettiche; Spese per analisi ambientali;

Spese per consulenze di esperti;

Spesa per la ricerca degli aspetti storici, scientifici, tecnici ed ambientali; Predisposizione dei documenti necessari all’iter di registrazione;

Oneri di tempo e risorse umane per raggiungere un accordo sui contenuti del disciplinare; Costi organizzativi e di transazione per l’attività di animazione territoriale e di promozione delle

relazioni tra aziende. Costi diretti

Costi di supporto alla certificazione. Costi indiretti

Costi di adattamento strutturale e di riorganizzazione; Costi per la gestione del processo produttivo;

Costi di non conformità10. Costi complementari

Costi promozionali, pubblicitari, di sorveglianza e per eventuali sanzioni; Costi per l’attività di valorizzazione e difesa da parte dei Consorzi di tutela.

Fonte: Belletti G., Marescotti A., 2007

Come è possibile notare oltre ai costi di controllo risultano ulteriori importanti voci di spesa, di difficile quantificazione, da sopportare per ottenere e mantenere la certificazione di un prodotto. Si inizia con un insieme di costi antecedenti al riconoscimento, riguardanti tutte le pratiche necessarie per richiedere la denominazione come Dop o Igp. Tali costi hanno principalmente una natura fissa ovvero sono indipendenti dal quantitativo di produzione e dal numero di imprese che decidono di utilizzare la denominazione stessa. Spesso sono le stesse amministrazioni pubbliche ad incentivare e sostenere le aziende nell’intraprendere questo percorso, proprio per l’immagine che il territorio può guadagnare attraverso una corretta e mirata valorizzazione di tali produzioni.

La categoria dei costi diretti riguarda invece tutte le spese di controllo e di supporto alla certificazione connessi ad attività imputabili in parte all’azienda promotrice e in parte all’organismo di controllo. In questo caso si parla per lo più di costi variabili a seconda del prodotto considerato, poiché molto dipende dal disciplinare di produzione e da come questo si traduce in termini di controlli (Arfini F., Belletti G., Marescotti A., 2010). D’altro canto se il quantitativo prodotto risulta di una certa rilevanza, si riusciranno a diminuire tali costi grazie alla ripartizione degli stessi tra tutte

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le unità di produzione ottenute (Nomisma, Palomba P., 2009). Questo aspetto deve far attentamente riflettere tutti quei produttori invogliati a registrare un prodotto ma consapevoli di non conseguire quel quantitativo necessario che permetta una remunerazione sufficiente per sostenere i vari costi di controllo e promozione del prodotto, ottenendo dalla denominazione stessa più svantaggi che vantaggi11. In questo caso sarà quindi più logico utilizzare le proprie risorse per valorizzare e differenziare il prodotto attraverso vie alternative e focalizzate al mercato locale di riferimento. Tale situazione non deve però essere vista solamente come un limite, ma come un’opportunità di valorizzazione connessa, ad esempio, alla peculiarità e rarità di un prodotto che trova la sua massima espressione nel consumo direttamente nel territorio di origine.

Per quanto concerne le attività di supporto alla certificazione vi sono casi in cui le imprese mettono in atto azioni a livello collettivo, partecipando ai relativi costi attraverso delle “quote di adesione” periodiche verso i Consorzi di tutela o comunque verso quelle associazioni rappresentanti i produttori di un prodotto Dop/Igp. Questo tipo di attività comporta il vantaggio di svolgere con maggiore efficienza tutte quelle attività istruttorie di certificazione che ogni produttore sarebbe costretto a svolgere individualmente, con una conseguente riduzione dei costi sostenuti grazie alle minori tariffe applicate dall’organismo di controllo interessato (Arfini F., Belletti G., Marescotti A., 2010).

Nella categoria dei costi indiretti le voci di spesa principali riguardano l’adattamento strutturale e la gestione del processo produttivo. I primi sono sostenuti da tutte quelle imprese che necessitano di una serie di adattamenti atti a consentir loro di rispettare il disciplinare di produzione. In questo caso non si parla solamente di costi monetari, ma anche di costi relativi alla riorganizzazione e formazione del capitale umano. I secondi, invece, sono costi di adattamento operativo per la gestione del

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Bisogna considerare che l’incidenza media dei costi unitari di produzione è inversamente proporzionale alla quantità certificata, di conseguenza una piccola impresa con ridotte capacità produttive non dovrebbe essere molto attratta dal Dop e Igp (Nomisma, Palomba P., 2009).

processo produttivo, per lo più conseguiti a causa di un maggiore costo delle materie prime, minori economie di scala da realizzare, maggiore controllo dei processi aziendali e delle relazioni con i soggetti a monte della filiera (ad esempio la tracciabilità ed il controllo delle materie prime necessarie per la realizzazione del prodotto).

L’ultima categoria è rappresentata dai tutti quei costi complementari necessari per realizzare attività di promozione, valorizzazione e di vigilanza rispetto al corretto uso della denominazione nei diversi mercati di interesse. Si tratta quindi di una serie di costi per attività non direttamente dipendenti alle varie normative comunitarie e nazionali, a carico delle stesse imprese e per lo più sostenuti attraverso i Consorzi di tutela di riferimento o comunque attraverso altre organizzazioni collettive (Arfini F., Belletti G., Marescotti A., 2010).