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5/ LE POLITICHE PER LO SVILUPPO CULTURE-LED

5.4/ CREATIVE CLASS, CREATIVE CITY, CULTURAL DISTRICT

Dall’applicazione del concetto di creatività alle strategie di public policy sono emerse delle interessanti teorie sulla possibilità di sviluppo territoriale che si intrecciano con ambiti quali l’urbanistica, la geografia, la sociologia, l’economia, il marketing, l’antropologia e, come si è visto in precedenza, anche la psicologia.

In uno scenario dominato dal valore delle conoscenze come determinante per lo sviluppo economico in quanto fattore primario di competitività, la creatività diventa un elemento fondante per tale vantaggio competitivo. Il potenziale di innovazione che determina il posizionamento delle economie a livello competitivo è strettamente dipendente dal livello di creatività in esse incorporato. Il fattore creativo, infatti, permette di creare nuove idee ed è, per questo, un processo divergente. Il processo di innovazione, invece, corrisponde all’implementazione di tali nuove idee ed è pertanto un processo convergente. La creatività è un elemento archetipico all’interno della knowledge economy in quanto condicio sine qua non per lo sviluppo di nuove idee e simboli.

Gli approcci adottati per l’applicazione del fattore creativo nell’ottica della crescita economica territoriale sono stati principalmente due: uno basato sul capitale umano (creative class) e un altro basato sul fattore territoriale (creative city). I due approcci in realtà sono strettamente interconnessi. Vi è un terzo approccio, poi, che si sviluppa principalmente da principi di economia industriale (creative cluster).

5.4.1/ Creative Class

Il concetto di “creative class” è uno di quelli che più ha caratterizzato il discorso sulla creative economy, grazie, molto probabilmente, alle capacità attrattive esercitate da colui che ha elaborato tale concetto: Richard Florida. Nel 2002 esce il suo più conosciuto testo “The Rise of the creative Class. And How it’s Transforming Work, Leisure and Everyday Life” (2002), che da allora sarà citato come uno dei contributi che più hanno stimolato il dibattito sulla cultura e la creatività come fattori di sviluppo economico.

Le basi concettuali derivano dagli studi avviati da Jane Jacobs sul ruolo del capitale umano nello sviluppo regionale. Secondo Jacobs il fattore chiave dello sviluppo regionale sta nell’insediamento di persone con capacità produttive e un alto livello di formazione. La capacità di attrarre le persone viene esercitata dalle città (Jacobs, 1984). Il sistema innescato durante la prima fase di sviluppo industriale ha portato i lavoratori a orientare la scelta del proprio insediamento a seconda di dove vi erano più possibilità lavorative. Il sistema che ha preso vita nell’epoca post- industriale, invece, non vede più il fattore “possibilità di occupazione” come esclusivo, sacrificando le necessità materiali in favore di altre di natura immateriale. Una frase sul tema è esemplare e afferma: “What can people be paying Manhattan or downtown Chicago rents for, if not for being near other people?” (Lucas, 1988).

Florida propone la classe creativa come motore della crescita economica delle città. La competizione urbana si basa sull’attrattività che le città hanno per i lavoratori creativi, ma tale attrattività non è determinata in prima istanza dalle possibilità lavorative, ma dalle interazioni che si sviluppano in questi contesti. Dall’incontro nei luoghi del consumo di prodotti creativi (musei, librerie, cinema, etc.) e nelle sedi di aggregazione ad essi vicine (i cafè, i ristoranti, i locali notturni, etc.) emergono relazioni informali e quotidiane che arricchiscono di esperienze e, soprattutto di stimoli, la vita della classe creativa. Si pone l’accento sul fatto che queste interazioni siano per lo più estemporanee e che i legami tra le persone siano deboli. L’interazione è fondamentale, nell’ottica dell’incontro con il diverso che accende la creatività individuale e, di conseguenza, le società troppo coese (ovvero i legami troppo forti tra gruppi di persone) impediscono l’intromissione di diverse culture.

Il proliferare di questa classe creativa e il suo aumento di entità fino a fare massa critica, permette alle città di sviluppare quelle attività legate alla cultura e alla creatività che nell’ambito della creative economy sono state individuate come driver di sviluppo.

Chi sono, dunque, i membri della classe creativa? Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare la classe creativa non si compone esclusivamente di persone che lavorano nel settore delle industrie creative. Per la precisione artisti e creativi, per quanto importanti, corrispondono a una sottogruppo di quella classe di lavoratori cha ha a che fare con il processo creativo. La creative class, infatti, si compone principalmente di tutti quei lavoratori capaci di utilizzare la creatività come processo di problem solving o, molto spesso, di problem finding10. Non solo professioni legate alla cultura e alla creatività, dunque, ma tutte quelle professioni knowledge- based, dove il capitale umano e le sue conoscenze diventano essenziali. Scrive Florida (2003):

« The distinguishing characteristic of the creative class is that its members are engaged in work whose function is to “create meaningful new forms”. The super-creative core of this new class includes scientists and engineers, university professors, poets and novelists, artists, entertainers, actors, designers and architects as well as the “though leadership” of modern society: non-fiction writers, editors, cultural figures, think-tank researchers, analysts and other opinion-makers. Members of this super-creative core produce new forms of or designs that are readily transferable and broadly useful, such as designing a product that can be widely made, sold and used; coming

up with a theorem or strategy that can be applied in many cases; or composing music that can be performed again and again.

Beyond this core group, the creative class also includes “creative professionals” who work in a wide range of knowledge based occupations in high-tech sectors, financial services, the legal and the health-care professions, and business management. These people engage in creative problem- solving, drawing on complex bodies of knowledge to solve specific problems. »

Florida individua anche delle condizioni grazie alle quali le città diventano creative e aumentano la loro attrattività nei confronti della creative class. Le condizioni sono riassunte nel celeberrimo modello delle 3T, ovvero “Technology”, “Talent” e “Tolerance”. Ogni caratteristica è necessaria e da sola insufficiente a garantire lo sviluppo economico della città creativa. La tecnologia, come si è visto, è diventata fondamentale per lo sviluppo di network per aziende e consumatori (b2b, b2c, c2c); l’attuale boom dei social network, ad esempio, giustificherebbe la diffusione dei mezzi tecnologici per comunicare nonché la ricerca di legami deboli nella società contemporanea, soprattutto per i giovani. Il talento individua le capacità dei membri della classe creativa che generalmente hanno una formazione scolastica medio-alta. La terza “T” è, forse quella più acuta, dal momento che riesce a cogliere la necessità per una città di essere open-minded nei confronti della diversità partendo dal presupposto che il confronto con l’altro è fondamentale per stimolare il pensiero creativo. Tale tolleranza, dunque, si riferisce a qualsiasi tipo di diversità (sociale, etnica, sessuale, etc.).

Lo studio di Florida ha condotto poi all’elaborazione di un indice in grado di valutare, sulla base di indicatori sviluppati a partire dalle 3T, il livello di creatività di una città. I membri della creative class negli Stati Uniti sono, secondo le stime proposte nel testo di Florida, il 30 % del totale dei lavoratori (ovvero 38,3 milioni di persone). Tuttavia l’autore ci tiene a sottolineare che tutti gli esseri umani possiedono in loro stessi una certa dose di creatività e possono diventare in potenza membri della classe creativa.

Nonostante la forte presa che il testo ha avuto a livello di studi in tutto il mondo, ma anche a livello pratico principalmente negli Stati Uniti11, vi sono state anche molte critiche al concetto di “creative class”. Innanzitutto Scott sottolinea la monodimensionalità delle teorie di Florida, che va contro un’idea consolidata di sviluppo di milieux creativi da un insieme di fattori complessi e

11 Florida ha aperto una società di consulenza, la Catalytix, che si occupa di misurare gli indici di creatività (attraverso

tavole di indici periodicamente aggiornate) delle città che ne fanno richiesta e si occupa di fornire loro delle linee guida per mettere a punto una strategia di rigenerazione urbana finalizzata all’attrazione di classe creativa.

interconnessi. Individuare nella sola presenza di una classe creativa la causa di uno sviluppo economico corrisponde in una semplificazione fuorviante del problema rispetto alla sua causalità (Scott, 2006). Un’altra questione riguarda il cosiddetto fenomeno di “gentrification” che teorie come quella promossa da Florida mettono in atto dal punto di vista sociale. L’insediamento di una classe creativa spesso corrisponde a una zona o un quartiere ben identificato nello spazio cittadino. L’entrata in scena di una classe creativa, spesso benestante, o, comunque, il solo valore simbolico che acquisisce tale zona per il fatto di aver accolto delle “persone creative”, ha degli influssi sul mercato immobiliare cittadino. Gli affitti nel quartiere creativo aumentano rendendo necessario per i lavoratori a basso reddito e bassa specializzazione un trasferimento altrove. Questa propensione a favorire le diseguaglianze sociali dovute all’appartenenza o meno alla classe creativa va a cozzare, peraltro, con la presunta tolleranza sostenuta nel modello delle 3T; permettere alle persone di esprimere liberamente il proprio orientamento sessuale diventa più importante della questione della povertà urbana (Kotkin 2003; Scott, 2006).

Sono state presentate solo alcune delle critiche attribuite al concetto di creative class a dimostrazione del fatto che esso non è universalmente condivisibile, sebbene abbia avuto un discreto ascendente sugli studiosi e su alcuni decisori politici. Non ci sono ancora abbastanza elementi, poi, per verificare nei fatti che le applicazioni pratiche delle idee di Florida e del suo team di consulenza siano la chiave interpretativa di un nuovo paradigma di sviluppo culture-led.

5.4.2/ Creative City

Per molte città la creatività è diventata un obiettivo strategico di primaria importanza. Molti autori, soprattutto dalla fine degli anni ’90 in poi, hanno cominciato a formulare dei ragionamenti sulla “creative city”. La più significativa formulazione del tema è nata dal lavoro di Charles Landry, che con il suo libro “The Creative City: A Toolkit for Urban Innovators” (2000) ha definitivamente aperto la strada alle riflessioni sul tema. Il discorso ha numerose influenze a livello urbanistico, poiché si va a teorizzare la necessità di fornire alle città delle strutture dedicate alla produzione e al consumo di cultura e creatività, ma non solo. La creatività, come si è detto in precedenza è principalmente un processo e, in quanto tale, se ne auspica l’implementazione all’interno di qualsiasi soggetto, anche non culturale.

L’argomento si snoda tra due dimensioni contrapposte, quella globale e quella locale. L’importanza del fattore creativo emerge nell’ambito di un’economia globale che neutralizza sempre di più le specificità territoriali in favore di un’omologazione generalizzata. Lo sforzo per

contrastare tale macro-tendenza avviene a livello micro, nelle città. Le città sono viste come i luoghi ideali per lo sviluppo della creatività data la loro complessità (diverse attività, diverse tipologie di persone, etc) e data la possibilità di interconnessione e reciproca influenza tra attività e persone che emerge proprio dalla sua complessità. Un ambiente cittadino, in sostanza, si presta alla generazione e alla diffusione di conoscenza.

Il contesto è un fattore di traino per la creatività. I luoghi sono ancora determinanti per le dinamiche economiche. Nonostante gli influssi della globalizzazione abbiano portato verso la creazione di spazi astratti (in particolare sotto l’influsso delle multinazionali, capaci di portare nel mondo gli stessi prodotti e le stesse infrastrutture destinate al consumo), a livello locale si punta sulla necessità di rilanciare le specificità locali come un elemento chiave a livello sia culturale che economico. Per riprendere in parte un pensiero di Florida, non è vero che “people inhabit places…economy inhabit a space” (Florida, 2004).

È necessario, dunque, pensare in modo nuovo, descrivere le cose in modo nuovo, mappare le città in modo nuovo, avviare la ricerca e lo sviluppo verso nuove direzioni, selezionare nuovi processi, rimuovere gli ostacoli, avviare un’azione equilibrata di innovazione e improvvisazione (la pianificazione razionale non è infallibile), essere consapevoli della direzione verso la quale si è deciso di andare sia seguendo una strategia sia di fronte a un’evoluzione naturale dello stato di cose) e tenere monitorato il processo di rinnovamento (Landry & Bianchini, 1995). Fornire un paradigma della rigenerazione urbana attraverso la creatività è molto difficile poiché esso si basa su specificità storiche, sociali, culturali, urbanistiche ed economiche che non possono essere ignorate. È molto importante, sempre secondo Landry, puntare all’essenzialità ed osservare con attenzione le specificità di ogni città, giacché tutto deve essere visto come una potenziale risorsa. Alcuni provvedimenti possono sembrare semplici e ovvi ex ante, ma di fatto non lo sono ex post.

5.4.3/ Cultural District

Il modello di “cultural district/cluster”, o il suo corrispondente italiano “distretto culturale”, comincia a svilupparsi a livello teorico da metà anni ’80, sebbene i primi casi pratici fossero emersi negli anni ’70. La definizione di “distretto” (Marshall, 1881; Porter, 1989; Becattini, 2000a) deriva dal settore industriale e individua degli agglomerati di imprese di piccola e media dimensione localizzati in un determinato territorio. L’attributo “culturale” denota, poi, il filo conduttore di tali attività, legate all’immateriale. Lazzaretti (2008) definisce il distretto culturale in questi termini:

«that place of art and culture where a set of economic, non-economic and institutional actors

decide to utilize some of the shared idiosyncratic resources

(artistic/cultural/human/environmental) in order to develop a common project that is simultaneously an economic project and a life project.»

Peculiare è l’idiosincrasia dei beni prodotti nei distretti, in quanto derivanti da risorse locali tangibili e intangibili, strettamente legate al tempo e allo spazio di riferimento.

Il modello del distretto diventa molto significativo in ambito italiano poiché esso è stato il pattern fondamentale dello sviluppo economico dal secondo dopoguerra in poi. Esso è un fenomeno prettamente italiano, dal momento che nel resto d’Europa si sono sviluppate principalmente le grandi industrie (Becattini, 1998).

Gli elementi di competitività a livello globale del distretto derivano dalla sua capacità di creare e diffondere conoscenza. Le reti di relazioni nel distretto fanno circolare le conoscenze in modo esplicito, ma anche e soprattutto in modo implicito (conoscenza tacita, mediante interazione diretta). Il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione, tipico degli agglomerati di imprese localizzate emerge da un’interazione creativa tra le informazioni introdotte dall’esterno e le conoscenze che si possiedono all’interno.

Nel distretto culturale la creatività è una fattore che emerge da questa rete di interazioni, complesse e interdipendenti. L’interazione non solo all’interno dello stesso settore, ma soprattutto tra settori diversi attraverso sinergie è fondamentale per l’innovazione (Sacco & Pedrini, 2003).

È interessante valutare lo start-up di un distretto culturale, che permette di distinguere due tipologie: una che nasce per così dire spontaneamente (il distretto culturale industriale) e una patrocinata da un ente pubblico locale capace di riunire più soggetti sotto un unico “marchio” (il distretto culturale istituzionale) (Santagata, 2007).

La nascita di un distretto culturale si rivela molto importante per lo sviluppo e il consolidamento di capacità culturali e produttive in loco e, pertanto, trasferibili tra diverse generazioni dando continuità, quindi sostenibilità, al processo messo in atto.

CAPITOLO 2/ CULTURA, ECONOMIA E SVILUPPO – LA SITUAZIONE