CAPITOLO 2/ CULTURA, ECONOMIA E SVILUPPO – LA SITUAZIONE ITALIANA
4/ IL SIGNIFICATO DELLO SVILUPPO TERRITORIALE
4.7/ IL DISTRETTO CULTURALE EVOLUTO
Tra le diverse strategie messe in atto nell’ambito delle politiche per lo sviluppo, vi è quella della realizzazione di un distretto culturale. Dell’argomento se n’è già parlato a grandi linee nel Capitolo 1. In questo contesto va presentato il concetto di distretto culturale evoluto (Sacco & Ferilli, 2006a). Esso si basa innanzitutto sul contributo di tre importanti studi che riassumono i punti di forza di un distretto culturale. Vengono riprese le famose 3T di Florida (Talent, Toleance, Technology) per sottolineare come la scelta di localizzazione di persone e imprese sia influenzata da fattori quali la qualità della vita, la creatività e l’apertura del territorio. Un secondo filone, poi, prende le mosse a partire dagli studi di Porter sul vantaggio competitivo localizzato, mentre il terzo spunto deriva dal pensiero di Sen che sostiene il ruolo dell’immateriale nella società post- industriale e la crescente considerazione nei confronti degli obiettivi esistenziali che si sono affiancati se non anteposti a quelli materiali. Questa teorizzazione, poi, pone l’accento sull’importanza di considerare un distretto multi-filiera (nel quale, quindi, si intrecciano diversi tipi di produzioni culturali), a differenza dei più consueti approcci mono-filiera (che si concentrano, dunque, su un particolare tipo di produzione culturale)
Nel distretto culturale evoluto si combinano gli asset caratteristici del sistema territoriale che sono materiali, come il capitale naturale e fisico di un territorio, e immateriali, come il capitale umano, sociale e simbolico, attraverso un processo di integrazione orizzontale. La strategia punta alla creazione di una piattaforma nella quale la cultura ha un ruolo di fattore aggregativo e di innesco. Sulla piattaforma si innestano le attività di tutti gli attori del territorio locale, attivando
così processi di sviluppo trasversali (Sacco & Tavano Blessi, 2006). La cultura, intesa in questo contesto in senso ampio, ha quindi la capacità di attivare sinergie e dare impulso ad ambiti anche diversi rispetto al proprio, creando le premesse per l’ideazione di azioni di policy diversificate. Sacco e Ferilli (2006b) suggeriscono anche dodici tipi di policy indirizzate verso questi esiti che rendono manifesta la natura trasversale dello sviluppo territoriale culture driven:
1. Qualità dell’offerta culturale
2. “Capacitazione”19 e formazione della comunità locale 3. Sviluppo imprenditoriale
4. Attrazione delle imprese esterne
5. Attrazione del talento (di artisti e uomini di cultura) 6. Gestione delle criticità sociali
7. Sviluppo del talento locale
8. Partecipazione dei cittadini e della comunità locale 9. Qualità della governance locale
10. Qualità della produzione delle conoscenze 11. Networking interno
12. Networking esterno
È importante parlare del lavoro di Pier Luigi Sacco e Guido Ferilli, in quanto coordinatori di un’analisi volta a mettere in luce la presenza di distretti culturali evoluti nella Regione Veneto, territorio che comprende due delle province che saranno oggetto della ricerca proposta nel capitolo seguente. Tale analisi è stata commissionata dalla Regione Veneto all’Università IUAV di Venezia20 nel periodo 2000-2006 ed ha portato all’individuazione (“clusterizzazione”) di dodici tipi di distretto culturale evoluto21. La localizzazione di questi distretti non è conforme alle circoscrizioni amministrative provinciali (che sono sette) e sottolinea come spesso alcune culture si siano sviluppate, grazie a una comunanza di asset territoriali, in un determinato contesto che travalica i confini comunemente intesi.
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Il termine deriva dal pensiero economico di Amartya Sen incluso tra le basi del concetto di distretto culturale evoluto.
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Il progetto ha coinvolto anche una parte del territorio sloveno, sotto il coordinamento dell’Università del Litorale di Capodistria.
21 I distretti individuati corrispondono a: Sistema centrale Padova–Venezia (distretto n. 1), Verona (2), Dorsale
Il territorio è stato mappato dal punto di vista culturale22, ma anche dal punto di vista economico, per individuarne le realtà presenti ed evidenziarne le best practices. I dati raccolti sono stati poi valutati nell’ottica di individuare i raggruppamenti territoriali che avrebbero costituito i distretti culturali di riferimento. Dallo studio sono emerse le particolari vocazioni per i diversi cluster, e sono state proposte alcune azioni che avrebbero potuto potenziare il distretto e farlo crescere. Non si vuole in questa sede riproporre nel dettaglio gli esiti dello studio, ma semplicemente mostrare come dalle teorizzazioni si possa arrivare a delle applicazioni pratiche, che diventano poi degli strumenti a disposizione dei decision makers. Il progetto ha portato non solo alla diffusione di un nuovo modello interpretativo per le politiche culturali ed economiche territoriali, ma ha permesso anche l’individuazione di una nuova identità per il territorio veneto, le cui attività sono raggruppate a seconda della cultura specifica di chi opera culturalmente ed economicamente, piuttosto che sulla base di una circoscrizione territoriale.
5/ SOSTENIBILITA’
In cosa consiste, dunque, la sostenibilità delle produzioni culturali? Innanzitutto, esse difficilmente avrebbero un peso all’infuori di sé, se non fossero in grado di sostenere economicamente loro stesse. Un soggetto culturale deve essere in grado di pianificare provvedimenti significativi nella piena consapevolezza delle proprie risorse economiche. Progetti culturali validi e innovativi, accompagnati da una gestione efficace ed efficiente delle risorse economiche disponibili sono, dunque, dei prerequisiti imprescindibili. Ma non basta affermare questo. Un soggetto culturale deve essere anche in grado di capire come assicurarsi tali risorse economiche e come renderle un vero e proprio investimento durevole non tanto per sé stesso, quanto per il territorio nel quale è inserito. Nell’ottica di generare sviluppo territoriale, le attività culturali devono essere il più possibile “localizzate”. Un’attività culturale localizzata è in grado di integrarsi con diversi attori territoriali, lavorando sulle specificità del territorio e creando progetti culturali comuni. Coloro che abitano un luogo sono in qualche modo partecipi della sua cultura e identità; lavorando su di essa e coinvolgendo il maggior numero di attori possibili si arriva all’individuazione di obiettivi che siano comuni e partecipati. Questo significa, dunque, unire
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Le tipologie di attività culturali prese in considerazione sono state diciotto: Le diciotto tipologie di attività individuate sono: industrie creative (altre), televisione e radio, arti visive, arti performative (spettacolo dal vivo), programmazione multimediale, rassegne ed eventi della tradizione sacra e laica, eventi (altri), servizi educativi e didattici in ambito culturale, documentazione di attività artigianali, design, moda, film e video, editoria, spettacoli di intrattenimento, pubblicità, architettura, musica (produzione, sale prove, ecc.).
pianificazione culturale e benefici per la collettività, alla quale vengono chieste delle risorse che sono poi re-investite per essa. L’interazione, la partecipazione e la condivisione diventano degli imperativi categorici sulla base dei quali impostare attività e progetti duraturi. Eventi e manifestazioni effimere devono essere, dunque, lo step di un processo o un mezzo di apertura e comunicazione con il territorio, non l’obiettivo finale ed esclusivo.
Sulla continuità nel tempo dei progetti culturali, poi, interviene un altro importante fattore. È necessario operare una distinzione tra le due caratteristiche principali dei soggetti culturali, ovvero, la vocazione al consumo e la vocazione alla produzione di cultura. La prima è la funzione più diffusa in quanto richiede principalmente buone capacità gestionali, mentre la seconda è quella che concretamente distingue un soggetto da un altro. La produzione di cultura si basa sulla capacità di innovare e di creare nuovi scenari inclusivi e significativi. Essa, negli ultimi anni, si è rivelata essere principalmente in mano alle imprese culturali, rivelando la maggior capacità per i soggetti privati a lanciarsi verso l’innovazione creando delle rotture costruttive con il passato. In molti casi si nota come la tradizionale offerta culturale, che ha come punto di partenza la valorizzazione di un prodotto già esistente, rimanga prerogativa delle amministrazioni pubbliche. Chi si occupa effettivamente di creare i prodotti culturali o di “modernizzarli” arricchendoli di nuovi significati o individuando nuove modalità di consumo per essi sono, invece, i privati. Tale configurazione non vuole essere un paradigma immutabile, ma intende rendere manifesti i sintomi di una maggior predisposizione, per chi ragiona attraverso logiche imprenditoriali, all’innovazione e alla produzione di prodotti (beni e servizi) innovativi. Le culture, del resto, sono in continua evoluzione ed hanno bisogno di una produzione continua e di nuove strategie per poter riaffermare la propria identità nel tempo.