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La creazione di Autorità indipendenti ex art 1bis, l n 474/94 non determina l’arretramento dello Stato.

2. L’impresa pubblica: una nozione nazionale contraddittoria.

3.1. La creazione di Autorità indipendenti ex art 1bis, l n 474/94 non determina l’arretramento dello Stato.

L’ultrattività del ruolo regolatore delle amministrazioni potrebbe essere contestato alla luce dell’introduzione dell’art. 1bis, l. n. 474/94, il quale subordina l’effettiva dismissione delle partecipazioni azionarie alla creazione di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe ed il controllo della qualità dei servizi di rilevante interesse pubblico. Quindi, il dubbio sollevato appare comprensibile, data la scelta del legislatore di virare su un modello di regolazione basato sull’attività di un organismo terzo anziché della pubblica amministrazione. Nonostante i legittimi dubbi in tal senso, la preoccupazione appare ugualmente infondata.

Stando al dato letterale della norma, l’art. 1bis opera solo laddove vi sia una privatizzazione sostanziale, cioè alla luce di una inversione dei rapporti di forza tra socio

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L’ovvio riferimento normativo è al d.l. 31 maggio 1994, n. 332, conv. in l. 30 luglio 1994, n. 474. 59 F.M

ERUSI, La corte di giustizia condanna la golden share all’italiana e il ritardo del legislatore, in Dir.

pubbl. comp. eu., 2000, III, 1238, sottolinea che i poteri speciali nella versione italiana hanno, appunto, condotto

ad una società di tipo “speciale”, sostenendo che ‹‹ si tratta di una disciplina che trasforma le società

privatizzate in società di diritto speciale, che la Commissione ha avuto buon gioco di censurare››.

60 Osserva R.G

AROFOLI, Golden share e authorities nella transizione dalla gestione pubblica alla regolazione

dei servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, 1, 187, che un’impostazione di tal genere comporti dei

rilevanti riflessi sia in tema di legittimità circa l’adozione degli atti in questione sia con riguardo alla loro tutela giurisdizionale.

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pubblico e socio privato all’interno della società61

: questo significa che in tutti i casi di privatizzazione solo formale, o comunque fintanto che mantiene il controllo, l’amministrazione può direttamente regolare, il che esclude la necessità di creare un organismo indipendente. La questione diviene più complessa qualora, invece, si giunga ad una effettiva dismissione delle partecipazioni: nondimeno, l’ente pubblico non ha perso, per ciò solo, il proprio ruolo regolatore per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, occorre precisare che gli artt. 1bis e 2, l. n. 474/94, quest’ultimo come noto relativo alla definizione dei poteri speciali del socio pubblico, hanno un diverso ambito di applicazione, e dunque operano in maniera differente. La logica del primo non è privare le amministrazioni di parte dei loro poteri speciali, attribuendone l’esercizio alle autorità indipendenti, bensì conciliare le privatizzazioni con la protezione dell’interesse pubblico62

. La diversa ratio esclude che le due normative si occupino della medesima tematica e, di conseguenza, ciò implica la negazione di una riduzione dei compiti dello Stato, quindi del suo arretramento nei termini in cui è stato paventato. Diversi elementi depongono a favore di questa ricostruzione. Il Consiglio di Stato nel noto parere 9 ottobre 1996, n. 2228, ha spiegato che l’art. 1bis non rappresenta il presupposto per la dismissione di tutte le società in mano pubblica, ma semplicemente di quelle che, oltre ad essere caratterizzate dalla previsione di poteri speciali ex art. 2, sono anche soggette a regolamentazione tariffaria63. Infatti, tali poteri sarebbero particolarmente deleteri nei settori in cui i prezzi dei servizi non si formano per i normali flussi di mercato. Questa riflessione è già di per sé sufficiente per confermare la permanenza del ruolo regolatore dello Stato in tutti quei settori in cui le tariffe sono formate dalle dinamiche dei liberi scambi. Tuttavia, una visione del genere sarebbe riduttiva, in quanto l’amministrazione mantiene tale ruolo a prescindere dalle caratteristiche del singolo settore economico.

61 Propende in questo senso E. F

RENI, Le privatizzazioni, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto

amministrativo, cit., 3971, la quale ricorda che il Consiglio di Stato con due pareri resi, Cons. st., sez. I, 20

settembre 1995, n. 330 e Cons. St., sez. I, 9 ottobre 1996, n. 2228, ha ribadito che l’istituzione delle autorità di regolazione è necessaria solamente nei casi di privatizzazione sostanziale.

In effetti, questa sembra l’interpretazione più corretta anche se si considera il dato letterale della norma, che ha come presupposto le stesse dismissioni.

62 R.G

AROFOLI, ult. op. cit., 1998, 162, evidenzia la diversa natura delle norme di cui agli artt. 1bis e 2, l. n. 474/94, ed intravede nella creazione delle predette authorities un aspetto ideologico essenziale imposto dal legislatore affinché lo Stato possa serenamente rinunciare al suo ruolo di diretto gestore.

63 I

D, ult. op. cit., 166-167 concorda con il Consiglio di Stato, ritenendo che questo abbia correttamente affermato che ‹‹la previa istituzione delle autorità di regolazione non può operare, quale condizione strumentale

rispetto all’esperibilità delle operazioni di dismissione comportanti la perdita del controllo, in relazione a tutte le società in mano pubblica operanti nei settori di cui all’art. 2 della l. n. 474/1994, giacché molte di queste agiscono in regime di libera concorrenza, con la conseguenza che i prezzi dei beni e servizi dalle stesse prodotti sono destinati a formarsi per effetto delle normali dinamiche di mercato, non invece alla stregua di atti autoritativi di regolamentazione››.

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Il Collegio ha in particolare individuato la funzione degli organismi indipendenti nell’obiettivo di mitigare gli effetti negativi, rispetto al sistema concorrenziale, dell’attribuzione di poteri speciali64

. In altre parole, il giudice amministrativo ha ritenuto che l’obiettivo finale dell’art. 1bis di garantire un’indolore transizione dal monopolio pubblico al mercato fosse da tradursi di fatto quale necessità di controbilanciare gli effetti della golden

share. Di diverso era avviso chi, invece, sempre tenendo presente lo scopo ultimo di favorire

l’ingresso dei privati nel settore dei servizi di rilevante interesse pubblico, individuava la ratio di cui all’art. 1bis nel controllo atto ad impedire la formazione di monopoli privati e nella garanzia di standard qualitativi elevati ed accessibili, ad una spesa ragionevole65.

Tra le due impostazioni, l’intuizione dottrinale appare più soddisfacente perché, per lo meno in linea teorica, i poteri speciali sono stati pensati per facilitare il raggiungimento dell’interesse pubblico. Altro discorso è l’abuso che spesso ne è derivato, ma in sé considerati la loro presenza non dovrebbe essere ingombrante, purché essi si limitino a servire l’oggetto sociale, senza giungere a determinare ingiustificati privilegi per i soci pubblici. Se così fosse, non avrebbe senso mitigare la loro applicazione per tutelare il privato investitore. Al contrario, nell’ottica della dismissione, sembra che il precipuo compito delle autorità di regolazione fosse evitare che la privatizzazione conducesse alla peggiore delle ipotesi, ossia la transizione da un monopolio pubblico ad uno privato, ed allo stesso tempo assicurare delle prestazioni con standard quantomeno paritari a quelli pubblici. Per queste ragioni la seconda lettura appare più incisiva.

Ma indipendentemente da queste riflessioni, un aspetto della vicenda è fuori discussione: in entrambi le ricostruzioni, l’arretramento dello Stato non è rinvenibile. Infatti, se si è dell’avviso che gli organismi indipendenti siano stati creati per arginare i poteri speciali, ne deriverà logicamente che l’amministrazione sia influente: non avrebbe senso mitigare la posizione di chi non ha potere. Se, al contrario, si ritiene che le autorità indipendenti siano nate per garantire gli obblighi di servizio pubblico e certi standard qualitativi, si ritiene comunque che, nonostante il loro assoluto rilievo, l’amministrazione

64 Nel parere il Consiglio di Stato afferma che ‹‹l’alienazione delle partecipazioni detenute dallo Stato nelle

società private che erogano servizi di pubblica utilità non deve necessariamente essere preceduta dalla costituzione di un’apposita autorità di regolazione. La previa costituzione della società è indispensabile soltanto qualora sia dismessa la quota di controllo delle azioni della società e lo Stato riservi al Tesoro potestà speciali (c.d. golden share)››.

Questo significa che la costituzione degli organismi indipendenti poteva considerarsi un utile correttivo ad un eventuale esercizio errato dei poteri speciali da parte dell’autorità ministeriale: per esempio, avrebbe evitato un deprezzamento delle quote partecipative da dismettere e, di conseguenza, un danno erariale. Obiettivamente, infatti, pochi privati sarebbero stati incentivati ad acquistare azioni se il socio pubblico di minoranza avesse mantenuto una forte capacità invasiva sulle questioni societarie.

65 In questo senso G. D

ELLA CANANEA, Privatizzazioni senza autorità di regolazione?, in Giorn. dir. amm., 1997, 5, 490 ss.

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permanga il custode ultimo della determinazione degli indirizzi generali sulle attività con riflessi pubblicistici. Simultaneamente, si esclude che essa sia stata privata in toto del potere di influenzare le decisioni assunte dagli organismi indipendenti66.

Il fine delle authorities non si discosta quindi da quello che idealmente l’amministrazione dovrebbe raggiungere, in quanto esse assicurano il controllo sui privati gestori e la tutela di prestazioni di qualità a prezzi competitivi. Pertanto, il compito di questi organismi è dedicare una scrupolosa attenzione verso un passaggio politico, ancor prima che economico, fondamentale nella storia del nostro Paese. In questo senso, essi non determinano uno svilimento della figura dell’ente pubblico ma, al contrario, ne rimarcano la centralità. Per queste ragioni l’ambito di applicazione degli artt. 1bis e 2 non è coincidente, ma neppure contrastante: semplicemente le due norme devono essere coordinate perché entrambe spingono verso l’obiettivo, seppur con compiti differenti, di assicurare un bilanciamento tra le esigenze della privatizzazione e quelle della garanzia dell’interesse pubblico. Dunque, nessuna restrizione sussiste, in quanto le autorità indipendenti curano la fase di transizione verso il mercato, svolgendo un compito che l’amministrazione non potrebbe eseguire, in quanto essa è parte del processo e non soggetto terzo.

D’altronde, la difformità dei compiti assolti dalle authorities si intuisce anche alla luce della scelta del legislatore di scindere l’attività di gestione da quella di regolazione. Si ritiene cioè che, per le svariate ragioni fin qui trattate, l’amministrazione non sarebbe stata in grado di modellare in via autonoma il passaggio ad un sistema concorrenziale, a causa degli interessi propri che l’avrebbero portata a trattenere alcuni privilegi che i tempi non le consentivano più di avere. La creazione degli organismi indipendenti è stata una risposta a queste esigenze, e non una testimonianza dell’arretramento dello Stato; la commistione dei compiti di regolazione e di definizione della transizione al mercato in capo ad un unico soggetto avrebbe confuso gli obiettivi politico-sociali da un lato e quelli dell’economicità ed efficienza dell’azione amministrativa dall’altro.

In definitiva, per rispondere all’interrogativo posto come premessa, le reazioni dell’ordinamento interno nei confronti delle privatizzazioni sono evidenti ma non giustificabili, visto il mantenimento di un ruolo di primo piano dell’amministrazione statale all’interno della politica economica del Paese.

Certamente, le riflessioni sinora riproposte valgono in special modo con riferimento al livello di governo considerato, all’interno del quale si sono verificati i cambiamenti più

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D, ult. op. cit., in commento al parere del Consiglio di Stato del 9 ottobre 1996, n. 2228, il quale ricorda che i Ministri mantengono ‹‹pregnanti potestà, tra cui il rilascio delle concessioni e la stipulazione dei contratti di

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vistosi, data la privatizzazione dei pachidermici enti pubblici presenti sul territorio nazionale da decenni. Tuttavia, è altrettanto importante considerare l’influenza della presente tematica sulla realtà locale, vero ambito di questo lavoro, dimensione in cui si è assistito ad una vera e propria trasformazione giuridica, per certi aspetti ancor più rivoluzionaria rispetto a quella verificatasi a livello statale.

4. Il modello imprenditoriale pubblico locale. Verso una effettiva capacità giuridica di