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La situazione dei primi anni duemila: la copiosa presenza di società locali e la necessità di un loro utilizzo più limitato.

Le società locali negli anni ’90 tra la proliferazione del modello e l’affermazione del problema del fine.

LE REAZIONI DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE ALLA PROLIFERAZIONE DI SOCIETÀ LOCALI.

1. La situazione dei primi anni duemila: la copiosa presenza di società locali e la necessità di un loro utilizzo più limitato.

Come dimostrato nel precedente capitolo, la proliferazione di società locali negli anni ’90 si è affermata per diverse ragioni, il cui minimo comun denominatore può rinvenirsi nella dequotazione del vincolo funzionale. I fattori determinanti sono stati rinvenuti sia nel disinvolto utilizzo della formula societaria, sia nella commistione nell’oggetto sociale di plurime attività, appartenenti a diverse categorie del diritto amministrativo, con caratteristiche e nature difformi.

La necessità di contenere il fenomeno e di tracciare un’inversione di rotta era dovuta a due motivi. Da un lato, si rendeva opportuno un decurtamento degli investimenti così da garantire un maggior risparmio di risorse pubbliche; dall’altro, la progressiva affermazione dei principi comunitari imponeva un più convinto rispetto del modello concorrenziale nella gestione dei servizi pubblici nonché una crescente apertura del settore ad operatori privati. Certamente, simili aspettative non potevano soddisfarsi a fronte di una massiccia presenza dell’imprenditore pubblico. La direzione da intraprendere veniva suggerita anche dalla presa di posizione della Corte di giustizia che, nel celeberrimo caso Teckal285, indicava i rigidi presupposti dell’affidamento diretto del servizio pubblico a società costituite dagli enti locali.

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Corte giust., 18 novembre 1999, C- 107/98, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, 1393 ss., in cui il giudice europeo, come noto, ricordava che l’affidamento diretto del servizio a società pubbliche poteva non considerarsi lesivo della concorrenza a due condizioni: l’ente locale deve mantenere sulla società un controllo analogo a quello svolto sulle proprie strutture interne, e la stessa deve svolgere la parte più importante della propria attività a favore dell’ente (o degli enti) costitutore.

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Considerata l’importanza del leading case, unitamente all’elevato numero di società pubbliche per la gestione dei servizi, non stupiscono le reazioni riservate dall’ordinamento italiano nei confronti di tale istituto. Su tutte, oltre all’ovvio adeguamento della giurisprudenza nazionale alle determinazioni comunitarie, spicca per importanza l’art. 35, l. 29 dicembre 2001, n. 448 (finanziaria 2002)286.

La norma, è noto, modificando in maniera consistente l’art. 113 TUEL, eleggeva come unica modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale287 lo strumento della società di capitali tramite procedura ad evidenza pubblica288. Ad una preliminare valutazione, era difficile non intravedervi una finalità deflattiva dell’utilizzo della società pubblica ed, al contempo, un intento di adeguarsi all’impostazione pro-concorrenziale sovranazionale289, il che, per di più, giustificava l’invasivo intervento legislativo statale290. Tuttavia, sarebbe oltremodo riduttivo ritenere che la riforma del 2001 cullasse lo spontaneo desiderio del legislatore italiano di allineare i due sistemi. Il nuovo regime normativo veniva

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Per un commento sulla riforma della gestione dei servizi pubblici locali, tra i tanti e senza pretese di completezza, AA.VV., La riforma dei servizi pubblici locali, in Nuove leggi civ. comm., 2003, 8 ss; L. BENVENUTI, Discrezionalità amministrativa e gestione dei servizi pubblici locali, in Dir. reg., 2002, 331 ss; G.E. BERLINGERIO, Studi sul servizio pubblico, Milano, Giuffrè, 2003, 191 ss; G. CAIA, Le società con

partecipazione maggioritaria di Comuni e Province per la gestione dei servizi pubblici locali (dopo la legge finanziaria 2002), in giustizia-amministrativa.it; M. CAMMELLI, Concorrenza, mercato e servizi pubblici: le due

riforme, in Riv. trim. app., 2003, 517; M.P. CHITI, Le forme di gestione del servizio idrico integrato dopo la

finanziaria 2002, in Urb. e app., 2002, 379 ss; R. DAMONTE, La gestione dei servizi pubblici locali dopo la

Finanziaria, in Urb. e app., 2002, 253 ss; V. DOMENICHELLI, I servizi pubblici locali tra diritto amministrativo

e diritto privato, in Dir. amm., 2002, 311 ss; M.DUGATO, I servizi pubblici degli enti locali, in Giorn. dir. amm., 2002, 218 ss; ID, I servizi pubblici locali, cit., 2581 ss; M.LUCCA, I servizi pubblici locali a rilevanza industriale

dopo la legge 448 del 28 dicembre 2001: una riforma tra regimi di monopolio pubblico ed esternalizzazione dell’azionariato privato, in Dir. reg., 2002, 407 ss; M. LAMANDINI, La nuova disciplina dei servizi pubblici

locali. La gestione dei servizi: profili di diritto commerciale, in Riv. trim. app., 2003, 541 ss; F. MERLONI, La

disciplina statale dei servizi pubblici locali dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Riv. quadr. pubbl. serv., 2003, 2-3, 17 ss; V.PARISIO, Pubblici servizi e funzione di garanzia del giudice amministrativo, Milano, Giuffrè, 2003, 167 ss; L.R. PERFETTI, I servizi pubblici locali. La riforma del settore operata dall’art. 35 della l.

n. 448/2001 ed i possibili profili evolutivi, in Dir. amm., 2002, 575 ss; ID, La riforma dei servizi pubblici locali a

rilevanza industriale tra liberalizzazione e regolazione, in L. PERFETTI, P. POLIDORI (a cura di), Analisi

economica e metodo giuridico. I servizi pubblici locali, Padova, Cedam, 2003, 27 ss; C.SAN MAURO, Il servizio

pubblico locale: strumenti, organizzazione, gestione, Milano, Giuffrè, 2003, 27 ss; ID, L’art. 35 della legge

finanziaria 2002. Prime note sui nuovi principi in tema di regolazione dei servizi pubblici locali, in Cons. St.,

2002, II, 2119; E.SCOTTI, Osservazioni a margine di società miste e servizi pubblici locali, in Foro it., 2002, III, 553 ; A. VIGNERI, Servizi pubblici locali al bivio, Dir. reg., 561 ss; C. VOLPE, Le società miste nei servizi

pubblici locali: evoluzione o involuzione di un modello?, in Urb. e app., 2003, 6, 711 ss.

287 La contrapposizione tra servizi a rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale è stata accolta con favore da chi riteneva che il precedente riferimento all’imprenditorialità del servizio fosse piuttosto equivoca, in special modo con riferimento all’espressione “servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale”. A riguardo si veda il contributo di M. ALESIO, I servizi pubblici locali: peso della tradizione e nuovo assetto

delineato dalla Finanziaria 2002, in www.lexitalia.it, 2002.

288 Il passaggio che ivi interessa è riportato dall’art. 35, co. 5, l. n. 448/2001 (che novellava l’art. 113 co. 5 TUEL): ‹‹L’erogazione del servizio, da svolgere in regime di concorrenza, avviene secondo le discipline di

settore, con riferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica››.

289 M.C

AMMELLI, Concorrenza, mercato, cit., 513, individua nell’art. 35, l. n. 448/2001 l’elezione del principio di concorrenza a principio fondamentale in materia di servizi pubblici locali.

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definito a seguito di ufficiali reclami espressi dalla Comunità europea, la quale aveva lamentato la scarna compatibilità della disciplina precedente – ovvero l’originaria versione dell’art. 113 TUEL – con i propri principi in tema di competizione economica. In special modo, essa si doleva dell’‹‹assenza di qualsiasi attenzione per la concorrenza e per il

mercato dei servizi pubblici, resa evidente dall’affidamento diretto del servizio dall’ente locale alla società e dalla potenziale illimitatezza temporale dell’affidamento stesso››291. Per questa ragione, la Commissione avanzò una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, in quanto la modalità di affidamento diretto del servizio ad una società mista non era ritenuto compatibile con le istituzioni comunitarie292.

Il difetto di coordinamento tra le indicazioni europee e le norme interne destava preoccupazione in capo agli organi comunitari. Infatti, la società mista otteneva l’aggiudicazione diretta del servizio senza dover necessariamente rispondere dei requisiti del modello in house providing tracciati nella sentenza Teckal. Inoltre – e, verrebbe da dire, in special modo – la Commissione contestava il fatto che l’art. 113 TUEL, nella sua versione originaria, non prevedeva neppure, di contro a quanto stabilito dalle precedenti norme nazionali sul punto293, l’obbligo di selezione con gara del socio privato nella società mista294; fattore ritenuto intollerabile nell’ottica della tutela del libero mercato. L’assenza della previsione appariva piuttosto incomprensibile, dato che la giurisprudenza nazionale affermava

291 Cfr. I

D, ult. op. cit., 122.

292 È noto a riguardo l’atto di messa in mora, con conseguente avvio della procedura di infrazione ex art. 226 TCE, da parte della Commissione europea dell’8 novembre 2000, n. SG (2000) D/108243. Questa intravedeva nel regime normativo allora vigente, ovvero l’originaria versione dell’art. 113 TUEL che ricalcava le modalità di affidamento stabilite dall’art. 22, co. 3, l. n. 142/90, fra cui anche l’affidamento diretto del servizio a società mista, una violazione dei principi comunitari in tema di concorrenza. Infatti, la Commissione sosteneva che tale regime normativo fosse in contrasto con le direttive 92/50 CE (appalti pubblici di servizi) e 93/38 CE (c.d. appalti esclusi), in quanto consentiva l’affidamento diretto di servizi escludendo l’obbligo della procedura ad evidenza pubblica.

Il problema della distorsione del diritto comunitario sussisteva tanto per gli appalti quanto per le concessioni di servizi. Del resto, è pur vero – sosteneva la Commissione – che le predette direttive potevano applicarsi solo alla prima categoria e non alla seconda; tuttavia, le concessioni sono egualmente vincolate al rispetto delle norme del Trattato in tema di libera circolazione delle merci (artt. 28 ss.), libertà di stabilimento (artt. 43 ss.), libera prestazione di servizi (artt. 49 ss.), nonché dei principi sanciti dalla Corte (sentenza 18 novembre 1999, causa C- 275/98, Unitron Scandinavia) in particolare di trasparenza e di parità di trattamento o di non discriminazione. Infatti, l’ente locale avrebbe potuto procedere ad affidamento diretto solo laddove il soggetto aggiudicatario non fosse stato “terzo” secondo i criteri delineati dalla sentenza Teckal, ovvero laddove fosse intercorso un rapporto di delegazione organica tra amministrazione e gestore del servizio. Terzietà che, ovviamente, a parere della Commissione non sussisteva stando al regime delineato dall’art. 22, co. 3, l. n. 142/90, e sostanzialmente ripreso dalla versione originaria dell’art. 113 TUEL.

Per un’analisi delle ragioni dell’atto di messa in mora, G. SCIULLO, La procedura di affidamento dei servizi

pubblici locali tra disciplina interna e principi comunitari, in lexitalia.it, 2003, 12. A riguardo, si vedano anche

le riflessioni di R. URSI, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica tra outsourcing e in house providing, in Dir. amm., 2005, 1, 183-184.

293 Il riferimento è chiaramente al d.P.R. n. 533/1996, in relazione alle società miste a capitale pubblico minoritario di cui all’art. 12, l. n. 498/1992.

294 Fa cenno a questa precisa lamentela della Commissione, R.U

RSI, ult. op. cit., 186, ed in special modo nota 21.

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già da qualche anno con tendenziale uniformità l’obbligo della procedura ad evidenza pubblica nella scelta del medesimo socio privato anche nelle società a capitale pubblico maggioritario295. Ecco, dunque, il fulcro del problema: il modello societario di partenariato pubblico-privato non offriva, stando al dato legislativo, neppure l’anticipazione del confronto concorrenziale al momento della scelta del socio da affiancare all’ente locale.

La riforma attuata dall’art. 35, l. n. 448/2001 – della cui incidenza non pareva potersi dubitare nonostante la contemporanea presenza di alcune normative di settore296 – tentava di risolvere alla radice le predette problematiche, imponendo l’utilizzo del solo strumento della società di capitali nella scelta del gestore del servizio. La società mista avrebbe potuto, di lì in avanti, ottenere la gestione dello stesso solamente a seguito di un effettivo confronto concorrenziale con altre imprese a capitale privato297. Senonché questo primo tentativo di adeguamento agli indirizzi comunitari si rivelò insufficiente e dovette ben presto essere rivisitato.

La Commissione, infatti, avviò in reiterazione una nuova procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, il cui nuovo regime normativo in tema di servizi pubblici locali non risultava, ancora una volta, conforme ai principi comunitari in tema di competizione economica298. L’organismo europeo segnalava l’inopportunità di una serie di fattori. Fra questi, l’affidamento diretto della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, quando separata dall’erogazione dei servizi, a società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali (ex art. 35, co. 1, l. n. 448/01, al punto 19 dell’atto di messa in mora in reiterazione); la durata (massima) del periodo transitorio, durante il quale erano fatti salvi gli affidamenti diretti effettuati in passato (art. 35, co. 2, l. n. 448/01,

295

Per tutte, Cons. St., V sez., 19 febbraio 1998, n. 192, in Foro amm., 1998, 432.

Tuttavia, contra M. CAMMELLI, Enti pubblici, società, istituzioni, cit., 349 ss; G.CAIA, Società a prevalente

capitale pubblico locale: scelta dei soci e procedure di affidamento del servizio, cit., 1082 ss.

296 A riguardo, si segnala infatti che il trasporto pubblico locale (d.lgs. n. 422/1997), il ciclo dell’acqua (l. n. 36/1994, c.d. “legge Galli”), la distribuzione dell’energia elettrica (d.lgs. n. 79/1999) e del gas (d.lgs. n. 164/2000) fossero già stati disciplinati con pregressi interventi normativi. Lo stesso art. 113, così come modificato dall’art. 35, l. n. 448/2001, affermava che ‹‹restano ferme le disposizioni previste per i singoli settori

e quelle nazionali di attuazione delle normative comunitarie››. Tuttavia, in dottrina è stato segnalato che l’art.

35, da un lato, garantiva la sopravvivenza delle discipline di settore, vista tale clausola di salvaguardia a loro favore; dall’altro, non disponeva una loro assoluta ed incondizionata prevalenza rispetto alla normativa generale delineata nella finanziaria 2002. Quest’ultima, anzi, andava interpretata come sovraordinata rispetto alle discipline settoriali, le quali potevano sopravvivere solo se non in contrasto con quanto stabilito dal predetto art. 35. Così, M.DUGATO, Proprietà e gestione delle reti nei servizi pubblici locali, in Riv. trim. app., 2003, 526; J.

BERCELLI, I servizi pubblici locali tra disciplina generale e discipline di settore (dopo l’art. 35, l. 28 dicembre

2001, n. 448, finanziaria 2002), ibidem, 742 ss.

Contra, A.TRAVI, Note introduttive, in AA.VV., La riforma dei servizi pubblici locali, in Nuove leggi civ.

comm., 2003, 11-13, secondo cui l’incidenza dell’art. 35 risulta molto limitata a causa della copiosa presenza di

normative di settore. 297 G. S

IGISMONDI, Le società miste nella disciplina dell’art. 35 l. 28 dicembre 2001, n. 448, in AA.VV., La

riforma dei servizi pubblici locali, cit., 32 ss.

298

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ai punti 21-23); l’affidamento diretto del servizio idrico integrato a società di capitali partecipate unicamente da enti locali (art. 35, co. 5, l. n. 448/01, ai punti 24-26)299. Nonostante gli sforzi del legislatore, che pur dovevano volgersi a delineare un regime normativo più compatibile con quello preteso a livello comunitario, l’ordinamento italiano non si era ancora dotato di un assetto sufficientemente rispettoso della competizione tra operatori, il che, così come era stato lucidamente previsto qualche tempo prima dell’atto di reiterazione di messa in mora300, lasciava insoddisfatta la Commissione.

Il legislatore italiano si mostrava restio ad abbandonare definitivamente il modello del partenariato pubblico-privato che aveva ottenuto grande fortuna negli anni ‘90, ritenendo che il semplice principio di separazione tra proprietà delle reti e gestione del servizio potesse soddisfare le pretese sovranazionali301. Tuttavia, le perplessità comunitarie risiedevano giustappunto nella sopravvivenza dell’affidamento diretto alla società mista, se non del servizio, della gestione delle reti, dotazioni ed impianti, a fronte della partecipazione privata in società; o, in taluni casi, addirittura dell’attribuzione della proprietà di tali beni302

. Pertanto,

299 Per un esauriente profilo ricostruttivo della posizione della Commissione nell’atto di reiterazione di messa in mora C(2002)2329, si veda R. MASSARO, L’apertura alla concorrenza dei servizi a rilevanza industriale, in

AA.VV., La riforma dei servizi pubblici locali, cit., 27 ss., in cui l’A. sottolinea che, a detta dell’organo comunitario, l’affidamento diretto della gestione delle reti costituiva uno dei maggiori “punti deboli” dell’art. 35, l. n. 448/2001, in contrasto con gli artt. 43 e 49 del TCE. Inoltre, continuando a riferirsi all’opinione della Commissione, Massaro afferma che i profili legati all’affidamento diretto non si giustificavano neppure alla luce della sentenza Teckal: infatti, il controllo analogo non poteva considerarsi configurato a fronte dell’esercizio dei soli poteri di cui dispone il socio di maggioranza secondo il diritto societario.

Ancora, lo stesso A. individua altri profili di criticità della riforma nella previsione, ex art. 113, co. 13, TUEL, secondo cui l’ente locale potrebbe conferire a società a capitale pubblico maggioritario, oltre alla proprietà delle reti, anche la gestione delle stesse in via diretta (nelle modalità di cui al co. 4 lett. a). Tuttavia, questa seconda possibilità era subordinata ad un’apposita previsione di settore che preveda la separazione tra gestione della rete ed erogazione del servizio. Ciò premesso, il punto focale della questione era comprendere quali conseguenze si sarebbero verificate là dove non vi fosse stata una norma settoriale che prevedesse tale separazione, e dunque là dove gestione delle reti ed erogazione del servizio avvenissero contestualmente. In particolare, secondo Massaro, non era chiaro se l’affidamento di entrambe le attività potesse avvenire ex co. 4, e dunque in via diretta, oppure obbligatoriamente ex co. 5, e perciò mediante procedura ad evidenza pubblica. Ritenuta preferibile quest’ultima tesi, la preferenza della prima avrebbe condotto ad esiti palesemente anti-concorrenziali: infatti, l’affidamento diretto avrebbe consentito all’ente locale, ai sensi del co. 13, di conferire allo stesso soggetto la proprietà della rete, la sua gestione e l’erogazione del servizio che non fosse stato scorporato.

In via definitiva, lo scopo dichiarato di apertura al modello della concorrenza costituiva più una millantazione che non una volontà effettiva.

Per ulteriore profili ricostruttivo delle problematiche concorrenziali segnalate dalla Commissione , G. SCIULLO,

ult. op. cit., passim; M.CLARICH, Servizi pubblici e diritto europeo della concorrenza: l’esperienza italiana e

tedesca a confronto, in Riv. trim. dir. pubbl., 2003, 1, 91 ss.

300 L.R. P

ERFETTI, I servizi pubblici locali. La riforma del settore operata dall’art. 35 della l. n. 448 del 2001 ed

i possibili profili evolutivi, cit., 631-632.

301 Per una esauriente ricostruzione della disciplina si rinvia a M.D

UGATO, I servizi pubblici locali, cit., 2592 ss. 302 Varie perplessità a riguardo sono state sollevate anche da M.D

UGATO, Proprietà e gestione delle reti nei

servizi pubblici locali, in Riv. trim. app., 2003, 519 ss, in particolar modo 528-531. Nel lavoro, l’A. evidenzia

che ai sensi dell’art. 113 TUEL, così come novellato dall’art. 35, l. n. 448/2001, al co. 4, lett. a), il privato potesse partecipare alle società a capitale pubblico maggioritario per la gestione delle reti cui, in linea teoria poteva affidarsi anche la proprietà delle stesse ex co. 13. Inoltre, continua l’A., lo stesso co. 13 consentiva agli enti locali di devolvere la proprietà delle reti a società per azioni a capitale pubblico maggioritario, cui potevano dunque accedere anche i privati. Questi, nonostante la qualifica di proprietari delle reti, impianti e dotazioni,

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il minor margine di scelta politica degli enti locali rispetto al passato circa le modalità di affidamento del servizio non era l’oggetto principale del monito della Commissione. Le incertezze potevano insistere, nel caso, sulla riduzione della discrezionalità di Comuni e Province in tema di erogazione del servizio; non su quello della valorizzazione del profilo concorrenziale. Il richiamo al solo strumento delle società di capitali rappresentava, sotto questo punto di vista, una garanzia; perlomeno apparentemente (infra).

A ben vedere, le perplessità comunitarie sulla scarna compatibilità del modello gestorio con l’assetto concorrenziale del mercato dovevano ricercarsi su altri versanti: in special modo, sull’effettiva capacità dell’ente locale socio di esercitare concretamente un penetrante controllo sulla società così costituita303. Se vi erano alcuni dubbi che la stessa partecipazione totalitaria dell’ente pubblico potesse garantire un ‹‹assoluto potere di

direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato››304

, a fortiori regnava l’incertezza laddove questo vantasse una semplice quota di maggioranza, considerato anche che ‹‹non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di

maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario››305. Detto in altro modo, gli organi comunitari non ritenevano potesse rientrare nella categoria in house providing un sistema di affidamento (con riguardo, indifferentemente, alla gestione delle reti, dotazioni

avrebbero potenzialmente potuto, al contempo, partecipare anche alla gara per l’affidamento del servizio. Ne derivavano effetti paradossali. Tali gare potevano divenire assolutamente distorsive dei principi concorrenziali là dove – come era teoricamente possibile – l’ente locale affidasse lo svolgimento della procedura ad evidenza pubblica per la scelta del gestore del servizio alla società intestataria delle reti. In questa ipotesi, il socio privato della società proprietaria di reti, impianti ed altre dotazioni sarebbe stato, qualora avesse partecipato alla gara per l’affidamento del servizio, simultaneamente arbitro e giocatore della competizione.

Ancora, vi sono altri elementi paradossali desumibili dal testo di legge dell’art. 113 TUEL, così come novellato dall’art. 35, l. n 448/2001. Si consideri innanzitutto che, ai sensi del co. 13, la gestione delle reti poteva essere delegata ad una società diversa da quella cui era conferita la proprietà delle medesime. In quest’ottica, si presti anche attenzione al fatto che, di regola, ed ai sensi dell’art. 113 co. 3, l’affidamento della gestione delle reti e dell’erogazione del servizio avveniva a favore di un unico soggetto, da individuare con gara; tuttavia, nelle discipline di settore era possibile separare le due attività, attribuendole a due diverse società. Considerando questi aspetti, si deduce che, teoricamente, e rimandando anche a quanto scritto sopra, un unico soggetto privato poteva risultare, simultaneamente, sia socio della società proprietaria delle reti (ex co. 13), sia della società gestrice delle stesse (ex co. 4, lett. a), sia gestore del servizio (ex co. 3); a condizione che, come detto, gestione delle infrastrutture ed erogazione del servizio fossero, per l’appunto, separate nelle discipline di settore.