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L’affidamento diretto del servizio a società strumentali.

Le società locali negli anni ’90 tra la proliferazione del modello e l’affermazione del problema del fine.

4. L’affidamento diretto del servizio a società strumentali.

Le perplessità sin qui mostrate con riguardo alla commistione tra servizi pubblici ed attività imprenditoriali sembrano più che legittime.

Innanzitutto, l’ampliamento per via normativa delle prestazioni che le società potevano svolgere ha determinato, già di per sé, importanti riflessi sulla proliferazione. Queste, benché costituite per la gestione dei servizi pubblici, erano autorizzate ad eseguire anche attività accessorie, e dunque economiche, da affidarsi per via diretta. La novità non era di poco conto, dato che tale affidamento sarebbe stato giustificato solamente a fronte di un

263 Per l’analisi della tematica dal punto di vista giurisprudenziale, si rinvia a Corte cost., 1 agosto 2008, n. 326, con nota di R. URSI, La Corte costituzionale traccia i confini dell’art. 13 del decreto Bersani, in Giorn. dir.

amm., 2009, 12 ss., e più recentemente Corte cost., 23 luglio 2013, n. 229, con commento di M.DUGATO, La

legge dei rapporti economici nella giurisprudenza della Corte costituzionale: una strana e complessa teogonia, in Munus, 2013, 3, 439 ss.

264 Così, per tutti, F.M

ASTRAGOSTINO, Le concessioni di servizio, cit., 277 ss. 265 In sintesi, è questo il pensiero desumibile anche dal lavoro di M. D

UGATO, Le società a partecipazione

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servizio che riflettesse la manifestazione di una potestà amministrativa266, non un esercizio di stampo imprenditoriale; ciò in conformità ai due distinti modelli di società locale267, il cui regime giuridico mutava in dipendenza dall’oggetto sociale. Inoltre, la questione appare ancor più significativa se confrontata con quanto il legislatore avrebbe disposto nel decennio successivo con l’art. 13, d.l. n. 223/2006, c.d. decreto Bersani, con cui sarebbero state limitate le ipotesi di affidamento in via diretta alla società locale strumentale268.

La possibilità di svolgere, ai sensi degli artt. 22, co. 3, l. n. 142/90 o 12, l. n. 498/92, oltre al servizio pubblico anche altre attività ad esso accessorie consentiva agli enti locali di costituire società dall’oggetto multiforme, il che non avrebbe certamente disincentivato il ricorso a tale modello. Tuttavia, in quelle ipotesi, pur non essendo sempre evidente quale prestazione fosse da considerarsi preminente, correndosi dunque il rischio che l’attività preponderante fosse quella economica anziché il servizio pubblico legittimante l’affidamento diretto, non si è dubitato del fatto che la società erogasse, seppur parzialmente, le prestazioni per cui era stata costituita ai sensi di legge.

In seguito, si è prospettata una ulteriore possibilità, ben più preoccupante: l’ente locale poteva costituire, o quantomeno acquisire quote, in una società che, di contro alle apparenze269, nulla aveva a che spartire con la manifestazione di una potestà amministrativa, essendo invece paragonabile ad un vero e proprio imprenditore di natura pubblica. Chiaramente, la possibilità per le società locali di svolgere attività esclusivamente economiche senza necessità di espletare la gara, nascondendosi dietro la qualifica di servizio pubblico della prestazione fornita, rappresentava, da un lato, un forte incentivo per gli enti alla loro creazione270. Dall’altro, i privati erano chiaramente depauperati di notevoli opportunità di

266 I

D, Le concessioni di pubblici servizi tra provvedimento e contratto, cit., 381 ss. 267 V. O

TTAVIANO, Le società per i servizi locali, cit., 5 ss, distingue tra società locali costituite per la gestione di servizi pubblici e società costituite per il semplice esercizio di attività imprenditoriale.

268

Vd. nota 262.

269 Su questo aspetto della problematica si sofferma anche L.R.P

ERFETTI, Nozione di servizio pubblico locale e

fini sociali. Revirement del Consiglio di Stato, in tema di servizi pubblici locali, cit., 1004, in cui si afferma che

la miopia del giudice nazionale, deciso a sottovalutare la capacità definitoria dei “fini sociali” rispetto al servizio pubblico locale, comportava evidenti ricadute sulla possibilità di procedere o meno ad affidamento diretto dell’attività.

270 D’altronde, non vi poteva essere vantaggio più grande rispetto a quello dell’affidamento diretto del servizio. V.MARTELLI, ult. op. cit., 153-154, sottolinea che per gli enti locali sia più conveniente costituire società che svolgono attività economica, in quanto soggette a meno controlli e legittimate a fruire di uno schema atipico. Stando a quest’ottica, è palese che, se a queste facilitazioni si aggiunge anche l’affidamento diretto della medesima attività economica, gli incentivi per i Comuni fossero assoluti.

Sui vantaggi dell’utilizzo del modello societario per la gestione dei servizi pubblici locali (fondamentalmente l’affidamento diretto), G.ROSSI, I servizi pubblici locali, in Scritti in onore di Guarino, cit., 506 ss.

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lucro, trovandosi a competere con veri e propri operatori economici pubblici su un piano di disparità271.

Sulla base di queste premesse, la conclusione è che le società locali, in via potenziale, godevano dell’affidamento diretto dell’attività (puramente) economica a due sole condizioni: o questa risultava accessoria, oppure veniva illegittimamente qualificata come servizio pubblico. La seconda ipotesi, in particolar modo, induce a ritenere che la commistione tra le due categorie non fosse realmente in grado di favorire una miglior competizione economica sul libero mercato.

Tuttavia, non sembra che le ragioni della proliferazione delle società locali siano state dovute solamente alla crescente difficoltà di stabilire ciò che fosse o meno servizio pubblico. Infatti, in alcune ipotesi il modello societario veniva utilizzato per eseguire, in via esclusiva, delle attività pacificamente considerate come strumentali, e dunque riconducibili al novero degli appalti, senza che fosse necessario invocare erroneamente la categoria del servizio pubblico per legittimarne l’affidamento in via diretta. O, che dir si voglia, senza che vi fosse incertezza alcuna circa la qualificazione dell’istituto. In altre parole, le vicende giuridiche succedutesi nel nostro ordinamento hanno agevolato l’insediamento, a livello locale, anche di società a partecipazione pubblica di natura strumentale, appositamente costituite, cui venivano affidate senza gara attività da svolgersi nei confronti della sola amministrazione. Anche in questa circostanza, l’ordinamento europeo non sembra del tutto esente da colpe.

La qualifica delle società locali in termini di amministrazione aggiudicatrice272, nonostante qualche non convincente orientamento di segno opposto273, contribuiva in modo

271 M.C

AMMELLI, Gli appalti pubblici di servizi e le società a partecipazione pubblica, cit., 56 ss, interrogandosi sulla possibilità per le società costituite per la gestione dei servizi pubblici locali ad ottenere in via diretta l’affidamento di servizi strumentali da prestare all’ente costitutore, ammette l’eventualità solo nei limiti in cui si delinei uno stretto rapporto di accessorietà rispetto all’oggetto del servizio pubblico. Altrimenti, tale soluzione non sarebbe accettabile, perché la formula organizzativa societaria verrebbe utilizzata in chiave elusiva del principio di concorrenza, esautorando spazi del libero mercato da destinarsi agli operatori privati.

272 Sulla qualifica di una società per la gestione dei servizi pubblici locali a prevalente capitale pubblico in termini di amministrazione aggiudicatrice si veda il contributo di M.CAMMELLI, Gli appalti pubblici di servizi e le società a partecipazione pubblica, cit., 56 ss.

Per ulteriore bibliografia sul tema, si rinvia alle opere citate nella successiva nota, critiche nei confronti della pronuncia “Siena Parcheggi”, la quale aveva, a contrario, privato le società locali a capitale pubblico maggioritario della qualifica di amministrazioni aggiudicatrici.

273 Una posizione contraria è rinvenibile nella celebre sentenza “Siena parcheggi”, Corte cass. Sez. Un., 9 maggio 1995, n. 4989, con commento, incentrato su profili ricostruttivi, F.CARINGELLA, Le società per azioni

deputate alla gestione dei servizi pubblici: un difficile compromesso tra privatizzazione e garanzie, in Foro it.,

1996, I, 1364 ss. La Suprema Corte aveva – come noto – qualificato la società mista locale come soggetto di diritto privato, escludendone i caratteri di amministrazione aggiudicatrice.

La sentenza ha stimolato un ampio dibattito in dottrina: numerosi, infatti, sono stati i commenti, generalmente critici, ad essa dedicati. Infatti, si può rinvenire nelle diverse opinioni degli studiosi occupatisi del tema un filo conduttore che rifiuta in modo categorico l’idea, sponsorizzata dalla Corte, secondo cui la veste formale privatistica della società pubblica fosse in grado di escludere qualsiasi riflesso pubblicistico dei suoi atti, e di conseguenza, di eludere l’obbligo della procedura ad evidenza pubblica. Sul punto, si vedano i lavori di L.

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decisivo alla copiosa diffusione di società strumentali dirette affidatarie del servizio. L’affermazione merita qualche ulteriore riflessione.

L’art. 5, co. 2, lett. h), d.lgs. n. 157/95, di trasposizione dell’art. 6, direttiva n. 92/50, volta a regolare la fornitura di servizi strumentali per le stazioni appaltanti, sottraeva all’applicazione della disciplina comunitaria in tema di concorrenza gli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che fosse, per l’appunto, amministrazione aggiudicatrice274

. Non si ignora che, per espressa previsione normativa275, la deroga alla disciplina comunitaria fosse possibile solamente purché la decisione non fosse incompatibile con il Trattato; e, nella tematica qui considerata, ciò significa che l’aggiudicazione senza gara di servizi strumentali non avrebbe dovuto causare vulnera all’assetto concorrenziale del mercato. Tuttavia, pare che questa pretesa sia rimasta lettera morta, visto l’alto numero di società non svolgenti servizio pubblico registrate a livello locale, come in precedenza menzionato. Il riconoscimento della predetta qualifica di amministrazioni aggiudicatrici in capo alle società di gestione dei servizi pubblici locali276 – si premette che le seguenti considerazioni valgono anche per quelle

BOCCHI, Società per azioni a prevalente capitale pubblico locale: affidamento diretto del servizio e procedura

ad evidenza pubblica, in Foro amm., 1996, q, 41 ss; G. GRECO, Appalti di laovri affidati da S.p.A. in mano

pubblica: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche paradosso, cit., 1063 ss; B. MAMELI, Brevi

considerazioni per una interpretazione estensiva della dir. n. 89/440/CEE, in Giust. civ., 1995, I, 2993 ss; S.

MARCHI, Rapporti tra s.p.a. comunitaria ed enti di riferimento, in Riv. trim app., 1995, 329 ss.; PERINI,

L’affidamento dei pubblici servizi locali a società miste e procedura di evidenza pubblica. (Alcune riflessioni in margine ad una sentenza regolatrice della giurisdizione)., in Dir. proc. amm., 1997, 1, 90 ss.

In effetti, la pronuncia delle Sezioni Unite si prestava ad apre critiche poiché del tutto incurante del profilo sostanzialmente pubblicistico dell’ente societario a prevalente partecipazione pubblica. Non stupisce, dunque, che la stessa Corte di cassazione avesse, in altre occasioni, reso una diversa lettura (si vedano Corte cass., Sez. Un., 29 dicembre 1990, n. 12221, Corte cass., Sez. Un., 15 ottobre 1992, n. 11264), confermate anche dal Consiglio di Stato. Con riferimento alle pronunce del giudice amministrativo, si rinvia a Cons. St., sez. V, 21 ottobre 1991, n. 1250; Cons. St., sez. VI, 21 aprile 1995, n. 353; Cons. St., sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498, secondo cui ‹‹nel caso in cui la realizzazione di opere pubbliche sia stata affidata senza l’espletamento di alcuna

procedura concorsuale, qualunque imprenditore privato operante nel settore oggetto del contratto d’appalto possiede la legittimazione processuale ad impugnare la delibera di aggiudicazione››, con commenti di A.

POLICE, ult. op. cit., 158 ss, il quale riserva alcuni dubbi sulla bontà della decisione; di diverso avviso, invece, B. MAMELI, Organi indiretti della pubblica amministrazione e giurisdizione amministrativa, in Giur. it., 1996, III, 166 ss, che condivide appieno le risultanze della decisione del giudice amministrativo.

Del resto, il Consiglio di Stato richiamava – nonostante le critiche in questo senso riservate da Police – per sostenere la propria tesi la sentenza Corte cost., 28 dicembre 1993, n. 466, che riconosceva alla Corte dei conti il potere di controllo nei confronti delle società per azioni costituite a seguito della trasformazione di alcuni enti pubblici economici (ENI, INA, IRI), con note di A.CERRI, La ‹‹mano pubblica›› e la gestione in forma privata

di attività economiche: problemi processuali e sostanziali in un interessante conflitto, in Giur. cost., 1992, 6,

3870 ss e di C.PINELLI, Prudenza e giurisprudenza in un’interpretazione adeguatrice, ivi, 3872 ss.

274 Si ricordi, inoltre, che una norma analoga esiste anche per i c.d. settori esclusi. Infatti, l’art. 8, co. 2 lett. a), d.lgs. n. 158/95, di recepimento della direttiva n. 93/38, afferma che l’appalto pubblico di servizi può essere affidato a dei soggetti che siano anch’essi considerati amministrazioni aggiudicatrici ai sensi dell’art. 1 lett. b) direttiva n. 92/50.

275 Il riferimento è, ovviamente, ai già citati artt. 5, co. 2, lett. h), d.lgs. n. 157/95 e 6, direttiva n. 92/50. 276

Sulla qualifica di amministrazioni aggiudicatrici delle società di gestione dei servizi pubblici locali a maggioranza pubblica, ex multis G.CAIA, Società per azioni a prevalente capitale pubblico locale: scelta dei

soci e procedure di affidamento del servizio, in Nuova rass., 1995, 1095; G.GRECO, Appalti di lavori affidati da

S.p.A. in mano pubblica: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche paradosso, cit., 1063 ss; L.

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minoritarie, benché secondo alcuni non potessero considerarsi tali277 – ha determinato risvolti di un certo rilievo. Queste non solo potevano svolgere attività ibride, che poco avevano da

pubblica ed appalti di servizi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 347 ss; S. MARCHI, ult. op. cit., 350 ss; L.

BOCCHI, Società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, cit., 50.

277 Propendono per l’impossibilità di ricondurre le società minoritarie per la gestione dei servizi pubblici locali alle amministrazioni aggiudicatrici M.CAMMELLI, Gli appalti pubblici di servizi e le società a partecipazione

pubblica, cit., 62; L. BOCCHI, ult. op. cit., 51; forti perplessità in questo senso sono evidenziate anche da A. POLICE, Dai concessionari di opere pubbliche alle società per azioni ‹‹di diritto speciale››: problemi di

giurisdizione, cit., 158 ss, che addita la società di capitali come soggetto di diritto privato, indipendentemente

dalla partecipazione pubblica; in modo analogo anche G. GRECO, Gli appalti pubblici di servizi, cit., 1286, il quale tuttavia, affermando che le s.p.a. partecipate non possano rientrare nel novero degli enti pubblici soggetti alla disciplina comunitaria degli appalti, sembra più richiamare le risultanze della sentenza “Siena parcheggi” che non abbracciarne la teoria. Del resto, lo stesso Greco, nell’apposito commento alla stessa pronuncia, Appalti

di lavori affidati da S.p.A. in mano pubblica: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche paradosso,

cit., 1065, afferma esplicitamente di non condividere la tesi per cui tale società non vanta alcun connotato pubblicistico.

Non si ignora, dunque, la convinzione di alcuni esponenti della dottrina circa la difficoltà di ricondurre al novero delle amministrazioni aggiudicatrici la società costituita ex art. 12, l. n. 498/92. Allo stesso modo, l’ampia categoria degli organismi di diritto pubblico, adottata al fine di applicare le regole dell’evidenza pubblica anche ad organismi non qualificabili come enti pubblici in senso tradizionale, impone il perseguimento di interessi aventi carattere non industriale o commerciale. Perciò, è comprensibile l’immediata obiezione secondo cui tali obiettivi non sono assolutamente compatibili con la struttura della società minoritaria, a causa degli intenti speculativi del socio privato di maggioranza.

Tuttavia, è importante segnalare che, nonostante gli innegabili punti di contrasto, non potesse categoricamente escludersi che le società costituite ex art. 12, l. n. 498/92 non vantassero alcun requisito per essere identificate quali amministrazioni aggiudicatrici, e dunque essere soggette all’obbligo della gara nella scelta dei contraenti. Ammesso, quantomeno in via teorica, il vaglio di questa ipotesi, ne deriva che l’ente locale potesse procedere, in deroga alla regola dell’evidenza pubblica ed ai sensi dell’art. 5, co. 2, lett. h) d.lgs. n. 157/95, all’affidamento in via diretta del servizio strumentale a favore di tali società. Si tenterà di darne adeguata motivazione.

Nell’ultima opera citata, lo stesso Cammelli, pur rifiutando in definitiva l’equiparazione tra società minoritarie ed amministrazioni aggiudicatrici, riconosceva l’esistenza di evidenti punti di contatto tra le due categorie, su tutti il mantenimento di un forte vincolo organizzatorio delle prime con l’ente locale (p. 61). Una simile tesi sembra, ad esempio, riproposta anche da B. MAMELI, ult. op. cit., 170, secondo cui qualora la società, pur a fronte della perdita del controllo da parte dell’amministrazione, continui a vantare un affidamento diretto del servizio, essa permane un organo indiretto di quest’ultima. E dunque sarà ugualmente sottoposta a dei limiti nello svolgimento delle proprie azioni.

Apre ad analoga prospettiva L.RIGHI, L’ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo del d.lgs. n. 157/1995:

amministrazioni aggiudicatrici e appalti pubblici di servizi, cit., 83 ss, il quale evidenzia la necessità di prestare

maggiore attenzione, nell’ambito di applicazione soggettiva della normativa in tema di appalti pubblici di servizi, e dunque nell’ottica della qualificazione di un soggetto in termini di amministrazione aggiudicatrice, alla funzionalizzazione dell’attività dell’organismo a finalità di interesse generale. In altre parole, secondo il pensiero dell’autore, ‹‹una volta accertato il collegamento organizzativo-strutturale dell’organismo con soggetti pubblici

che lo controllano […] il requisito teleologico di cui alla prima alinea dell’art. 1, co. 1, lett. b), della direttiva verrebbe integrato qualora, pur anche in presenza di un’attività industriale o commerciale, si verifichi che l’organismo persegue istituzionalmente finalità (tenda a soddisfare bisogni) di interesse generale non aventi (tali finalità o bisogni e non tanto l’attività svolta) carattere industriale o commerciale››. Non sembra, dunque,

del tutto incompatibile con questa lettura la riconduzione delle società minoritarie al novero delle amministrazioni aggiudicatrici, in quanto l’attività da esse svolta ha certamente carattere industriale e commerciale, ma le finalità sono altrettanto indubbiamente di stampo pubblicistico; ID, La nozione di organismo

pubblico nella disciplina comunitaria, cit., 359, afferma che l’assenza del carattere industriale e commerciale

debba riferirsi non all’organismo, ma ai bisogni di interesse generale per cui lo stesso è stato istituito.

In termini analoghi, in giurisprudenza, Corte giust., 10 novembre 1998, C-360/96, la quale afferma che ‹‹i

bisogni di interesse non industriale o commerciale possono essere parimenti soddisfatti da imprese private››,

con nota di G.GRECO, Organismi di diritto pubblico, atto secondo: le attese deluse, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, 184 ss.

Una conferma della qualificazione delle società minoritarie come amministrazioni aggiudicatrici si desume anche da F. MASTRAGOSTINO, Dalla direttiva 92/50 CEE al d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, in ID, (a cura di),

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condividere con la potestà amministrativa, ma erano legittimate anche ad assumere, in assenza della procedura ad evidenza pubblica, prestazioni strumentali, senza che vi fosse alcuna necessità di qualificare le stesse in termini di servizio pubblico278. La lettura non è altro che una conferma di quanto precedentemente sostenuto, là dove si ammetteva che ai sensi degli artt. 22, co. 3, l. n. 142/90 e 12, l. n. 498/92, la società di gestione potesse assumere anche attività strumentali purché accessorie. Tuttavia, nel caso di specie, l’affidamento del servizio strumentale pareva poter prescindere dalla natura accessoria, ed anzi rivestire carattere autonomo rispetto a qualsiasi servizio pubblico.

normativa comunitaria ha comportato, tra le varie problematiche, anche quella dell’inserimento delle società a partecipazione pubblica, sia maggioritaria sia minoritaria, nel sistema degli appalti pubblici di servizi. Del resto, l’art. 2, co. 2, lett. b), d.lgs. n. 109/94, espressamente riferito agli appalti di lavori, individuava come soggetti aggiudicatori anche i concessionari di pubblici servizi, in cui erano ricomprese anche le società costituite dagli enti locali, anche con capitale non prevalente, che avessero ad oggetto la produzione di beni o servizi. Pertanto, esisteva anche una base normativa in virtù della quale le società minoritarie per la gestione dei servizi pubblici locali potevano qualificarsi alla stregua di amministrazioni aggiudicatrici. Per una esauriente ricostruzione sul punto, G. FERRARI, Quadro generale e singole categorie contemplate dall’art. 32 del codice dei contratti

pubblici, in Trattato sui contratti pubblici, cit., 509 ss, ed in special modo pp. 527 ss.

Inoltre, una simile impostazione si desume anche dall’art. 2, co. 1, lett. c), d.lgs. n. 158/95 (di recepimento della direttiva n. 93/38 sui settori esclusi), il quale annovera tra i soggetti aggiudicatori cui si rivolge la disciplina anche i soggetti privati che si avvalgono di diritti speciali o esclusivi. Infatti, pur riservando le perplessità sopra ricordate, M. CAMMELLI, A.ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, Maggioli, 1997, 349, riconoscono che, stando al dato normativo appena ricordato, ‹‹le .s.p.a minoritarie pubbliche sono

assimilate alle amministrazioni aggiudicatrici›› (tesi esposta anche a p. 34).

In giurisprudenza, Cons. St., sez. IV, 21 aprile 1995, n. 353, secondo cui ‹‹la nozione di impresa aggiudicatrice è

ben più estesa della nozione di ente pubblico, e comprensiva di soggetti sia pubblici che privati, individuabili secondo criteri sostanziali, preordinati alla garanzia della libera concorrenza nelle attività economiche gestite con intervento di capitali pubblici o di amministratori di derivazione pubblica››; così anche Tar Lombardia,

Milano, 7 luglio 1995, n. 353, con nota di E.CHITI, La nozione di ente pubblico tra disciplina comunitaria e

nazionale, in Giorn. dir. amm., 1996, 736 ss, il quale, prevede l’affermazione di un approccio sostanziale

nell’identificare quei soggetti da sottoporre alle procedure di evidenza pubblica in quanto amministrazioni aggiudicatrici.

Per concludere, nonostante qualche perplessità esternata da autorevole dottrina, sembra che l’ordinamento, sia comunitario sia nazionale, abbia propeso per una valutazione in senso sostanziale di amministrazione