Le società locali negli anni ’90 tra la proliferazione del modello e l’affermazione del problema del fine.
IL TORTUOSO PERCORSO DELLE SOCETÀ LOCALI TRA SERVIZI PUBBLICI E SERVIZI STRUMENTALI: CONSIDERAZIONI DI SISTEMA
1. Qualche considerazione preliminare.
112/2008; l’art. 4, d.l. n. 138/2011; l’art. 34, d.l. n. 179/2012. Brevi cenni. 3. Un primo tentativo di contenimento della proliferazione delle società pubbliche locali: la distinzione tra attività amministrativa in forma privatistica ed attività di impresa di enti pubblici. 3.1. L’art. 13, d.l. n. 223/2006 tra tutela della concorrenza e del vincolo funzionale. 3.2. Un parallelismo tra società strumentali e società per i servizi pubblici locali: i problemi irrisolti attorno al vincolo funzionale. 3.3. Riflessioni sull’attuale vigenza dell’art. 13, d.l. n. 223/2006. 3.3.1. (Segue): Focus sulla situazione delle società miste strumentali. 4. L’art. 3, co. 27 e ss., l. n. 244/2007 (finanziaria 2008): un’importante svolta nel principio di funzionalizzazione dell’attività societaria locale. 4.1. (Segue): Il rapporto tra l’art. 3, co. 27, e l’attività puramente lucrativa. 4.1.2. (Segue): Il diritto positivo avalla (indirettamente) le società miste strumentali quali operatori economici tout court. 4.2. Nel “cuore” dell’art. 3, co. 27, l. n. 244/2007: il legame tra partecipazione e finalità istituzionali, e l’espressa esclusione dei servizi di interesse generale. 5. Gli interventi normativi a tutela del risparmio di finanze pubbliche: l’art. 14, co. 32, d.l. n. 78/2010. 6. Ancora nell’ottica della tutela del risparmio: l’art. 4, d.l. 6 giugno 2012, n. 95 (c.d. decreto in tema di spending
review) e la conferma dell’intangibilità delle società di gestione dei servizi pubblici locali. 6.1. (Segue): La Corte costituzionale assolutizza il principio della tutela della concorrenza. 6.2. Sulle ceneri della politica di dismissione delle società strumentali ex art. 4, d.l. n. 95/2012. 6.2.1. (Segue): La confusione regna sovrana: apprezzabili (ma inutili) tentativi del legislatore nel ridefinire le politiche di dismissione. 6.2.2. Una breve postilla sulle società strumentali alla luce di una recente pronuncia della Corte di giustizia. 7. Il processo in atto di razionalizzazione delle società pubbliche: qualche ulteriore spunto di riflessione suggerito dalla legge n. 190/2014 (legge di stabilità 2015)… 7.1. (Segue): … e dal processo di riforma della pubblica amministrazione con il c.d. d.d.l. “Madia”. Brevi considerazioni.
1. Qualche considerazione preliminare.
Sono state sinora sottolineate le agevolazioni per gli enti locali, a partire dai primi anni ’90, nella costituzione di società, dovute in buona parte alla cieca fiducia del legislatore in tale strumento. Il fibrillante entusiasmo per un nuovo modello di amministrazione più snella e tendente verso (presunti) canoni efficientistici ha annebbiato lo spirito critico delle istituzioni
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nazionali, offuscando le disarmonie che si insinuano inevitabilmente nell’incontro tra l’esperienza giuridica giuspubblicistica e giusprivatistica405
. Si registrano due conseguenze. Innanzitutto, all’inarrestabile proliferazione del modello societario, ritenuto di per sé sinonimo di amministrazione di qualità, si è affiancato il mancato controllo sul reale interesse degli enti locali nel parteciparvi. La fiducia nel modulo privatistico tradiva una devozione verso la società intesa come momento di sintesi tra scopo lucrativo ed interesse pubblico, ed un disinteresse sotto il profilo della legittimità della partecipazione dei singoli soci.
In seconda battuta, nel disordine fino ad ora descritto, in cui ogni ente locale aveva la possibilità di assumere partecipazioni in società estranee al proprio contesto istituzionale, si sono inseriti alcuni interventi del legislatore, apprezzabili sotto il tentativo innovatore, con l’obiettivo di ridefinire lo spazio di manovra delle amministrazioni locali nei contratti associativi. Il che non è certamente cosa di poco conto, poiché si è compresa la necessità di rivisitare i termini di partecipazione di Comuni e Province.
Come si avrà modo di approfondire nel prosieguo del lavoro, le riforme hanno gradualmente condotto verso una prima soluzione: ostacolare gli enti locali nella costituzione e partecipazione in società, dipendentemente dall’oggetto sociale406
. Ne sarebbe dovuta derivare una diminuzione del numero di società pubbliche locali. Tuttavia, la scelta effettuata ha indirettamente confermato l’impostazione considerata nei precedenti capitoli, in cui il vincolo funzionale delle partecipazioni societarie è fuoriuscito dai suoi naturali sentieri per volgere verso altre rotte. Infatti, le limitazioni non sono state generalmente stabilite per le società di gestione dei servizi pubblici ma, al contrario, per quelle esercenti attività amministrative con gli strumenti del diritto privato.
Le politiche di dismissione, dunque, sono state imposte ex lege su quest’ultimo versante, mentre su quello della gestione dei servizi pubblici locali l’ordinamento ha piuttosto evitato di tangere il complesso delle partecipazioni in mano pubblica. Questa scelta si può presumibilmente motivare con l’esigenza di mantenere un governo degli enti territoriali sui servizi a fvore della collettività, altrimenti inattuabile a fronte di una politica di cessione delle quote societarie.
405 Per tutti, F.M
ERUSI, Sentieri interrotti della legalità, Bologna, Il Mulino, 2007; con specifico riferimento alla questione societaria, M.DUGATO, Le società a partecipazione pubblica degli enti territoriali: va il cavaliere per
il regno di Logres, in Quad. Ist. fed., 2011, 2, 5 ss.
406 Il riferimento è all’art. 13, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248.
Per una lettura in tal senso, si veda M.DUGATO, Le società a partecipazione pubblica, in Giorn. dir. amm., 2013, 8-9, 857.
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Un’altra soluzione proposta dal legislatore è stata quella di delegittimare le partecipazioni non compatibili con le finalità istituzionali dell’ente locale407. L’attenzione si è così focalizzata non sull’attività societaria, ma sulle ragioni della partecipazione dei singoli enti locali soci, ossia sull’effettiva corrispondenza tra i motivi di stipulazione del contratto associativo e il soddisfacimento delle finalità istituzionali. La prospettiva è chiaramente differente benché, anche in questo caso, l’intervento normativo non si è rivolto alle società per la gestione dei servizi pubblici locali.
Nel prosieguo verranno analizzate le più importanti riforme che hanno ridisegnato l’attività societaria degli enti locali, dettando importanti vincoli e preclusioni, nell’intento di ridurre il numero delle compagini e regolarizzarne l’operato. Nel fare ciò, il legislatore ha fatto leva su diversi parametri: la chiusura del mercato, il rispetto delle finalità istituzionali, il risparmio di risorse pubbliche.
Prima di approfondire l’indagine in questa direzione, però, non si possono tralasciare alcune considerazioni sulle ultime riforme in tema di servizi pubblici locali, a partire dall’intervento “a gamba tesa” del legislatore nel 2008 con l’art. 23bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133408, cui sono seguiti gli interventi del 2011 e 2012; così
407 Il richiamo è all’art. 3, co. 27 ss., l. 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria 2008). 408 La bibliografia sul tema è molto ricca. Tra i tanti, D.A
GUS, I servizi pubblici locali e la concorrenza, in
Giorn. dir. amm., 2010, 5, 464 ss.; A.BARTOLINI, Società di gestione dei servizi pubblici locali tra art. 13 del
“decreto Bersani” ed art. 23-bis del d.l. 112/2008, in Urb. e app., 2009, 6, 742 ss.; G.BASSI, Servizi pubblici
locali e processi di liberalizzazione: la “controriforma” di fine estate. Commento al d.l. n. 135 del 25 settembre 2009, in App. e contr., 2009, 11, 8 ss.; J.BERCELLI, L’attività consultiva dell’AGCM; sull’affidamento in house
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica: il caso delle farmacie comunali, in San. pubbl. e priv., 2009,
6, 65 ss.; A. CABIANCA,I servizi pubblici locali di rilevanza economica, dalla rivoluzione permanente ad un equilibrio instabile, in Il dir. Reg., 2010, 1-2, 133 ss.; G.CHINÈ, La nuova disciplina dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica, in Il corriere del merito, 2009, 3, 237 ss.; L. CUOCOLO, I servizi pubblici locali tra
novità legislative ed iniziativa degli enti territoriali, in Quad. reg., 2009, 1, 23 ss.; ID, La Corte costituzionale
“salva” la disciplina statale sui servizi pubblici locali, in Giorn. dir. amm., 2011, 5, 485 ss.;R. DE NICTOLIS, La
riforma dei servizi pubblici locali, in Urb. e app., 2008, 10, 1109 ss.; M.DUGATO, L’imperturbabile stabilità dei
servizi pubblici e l’irresistibile forza dell’ente pubblico, in Munus, 2012, 3, 505 ss.; ID, I servizi pubblici locali
(art. 23-bis), in Giorn. dir. amm., 2008, 12, 1219 ss.; ID, La riforma dei servizi pubblici locali tra concorrenza e
conservazione, in Riv. trim. qpp., 2010, 1, 41 ss.; B.GILIBERTI, Servizi pubblici locali: durata degli affidamenti,
periodo transitorio e divieto di partecipazione alle gare, in Urb. e app., 2009, 2, 146 ss.; F. GUZZI, Servizi
pubblici locali e affidamento diretto a società miste, in Riv. amm. Rep. it., 2009, 9-10, 637 ss.; G. GUZZO, La
“travagliata” riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica tra incertezze legislative e codificazioni giurisprudenziali, in App. e contr., 2009, 8-9, 59 ss.; F.LILLI, La nuova disciplina di riforma dei servizi pubblici
locali, in Giust. amm., 2008, 3, 503 ss.; L.LUNGHI, La riorganizzazione del sistema di affidamento dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica, in Riv. amm. Rep. it., 2008, 7-8, 369 ss.; A.LUCARELLI, I servizi pubblici
locali verso il diritto pubblico europeo dell’economia, in Giur. cost., 2011, 1, 261 ss.; C.MARZUOLI, Gli enti
territoriali e la scelta del modello per la gestione dei pubblici servizi locali, in Munus, 2011, 1, 143 ss.; F.
MERUSI, Le modalità ordinarie di gestione dei servizi pubblici locali, in Nuove autonomie, 2009, 2-3, 571 ss.; ID, La tormentata vita della concorrenza nei servizi pubblici locali, in Munus, 2011, 2, 413 ss.;S.MUSOLINO, La
riforma dei servizi pubblici locali è costituzionalmente legittima e compatibile con l’ordinamento comunitario,
in Urb. e app., 2011, 1, 49 ss.; M. NICO, Servizi pubblici locali: parte la riforma, ma la concorrenza è una
strada in salita, in Nuova rass., 2009, 2, 157 ss.; D.ROSATO, I servizi pubblici locali alla luce della recente
riforma: un passo avanti verso la concorrenza?, in Rass. avv. Stato, 2008, 3, 71 ss.; G.PIPERATA, Il lento e
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da verificare se sono state risolte o meno le problematiche sul vincolo funzionale in precedenza segnalate.
Infine, sia consentita una precisazione di stile. La materia societaria è resa particolarmente complessa da molteplici interventi normativi tra loro sovrapposti, spesso di natura abrogativa, e declaratorie di illegittimità della Corte costituzionale. Il quadro giuridico di riferimento, oltre ad essere tuttora piuttosto incerto, ha risentito di notevoli cambiamenti, rendendo il lavoro di chi scrive tutt’altro che agevole. Pertanto, nel tentativo di facilitare il lettore, si segnala sin da ora che il cambio di tempi verbali è scelta ragionata e voluta: si utilizzerà un tempo passato per trattare di norme ad oggi non più in vigore, o comunque non integralmente in vigore, mentre il tempo presente indicherà delle analisi incentrate su disposizioni attualmente efficaci.
2. Le ultime riforme in tema di servizi pubblici locali: l’art. 23bis, d.l. n. 112/2008; l’art. 4, d.l. n. 138/2011; l’art. 34, d.l. n. 179/2012. Brevi cenni.
L’art. 23bis, d.l. n. 112/2008 ha introdotto una rigida gerarchia nella scelta dei moduli di gestione per i servizi pubblici locali, stabilendo la regola dell’esternalizzazione e dell’affidamento diretto del servizio alle società miste (co. 2, lett. a e b), previa scelta con gara del socio privato cui attribuire almeno il 40% delle quote societarie. Il modello in house, invece, è stato definito come meramente residuale, ovvero utilizzabile a condizione che non risultasse proficuo il ricorso ai due precedenti moduli. In tal caso, l’ente di riferimento doveva darne conto tramite una relazione da trasmettere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per un parere obbligatorio ma – è stato ritenuto – non vincolante409.
Ripercorrendo brevemente le evoluzioni successive della vicenda, si ricorda che l’intero art. 23bis è stato abrogato nel giugno del 2011 all’esito di un referendum indetto per iniziativa popolare; stando al pensiero dei promotori, i quali avevano coniato il poco tecnico
33 ss.; ID, I servizi pubblici nel sistema locale: una risorsa economica contesa, in Ist. fed., 2009, 2, 325 ss.; G. ROSSI, Ricomporre il quadro normativo delle società di gestione dei servizi pubblici locali. Alla ricerca del filo
di Arianna, in Ist. fed., 2011, 2, 381 ss.; V.SATTA, Potere regolamentare del governo e servizi pubblici locali a
rilevanza economica nell’art. 23-bis del d.l. n. 112/2008, in Il dir. econ., 2010, 1, 147 ss.; S.TORRICELLI, Le
diverse forme di garanzia dei servizi pubblici locali tra responsabilità, autonomia e potere, in Munus, 2011, 1,
69 ss.; F. TRIMARCHI BANFI, La gestione dei servizi pubblici locali e la tutela della concorrenza, in
Amministrare, 2010, 3, 339 ss.; R.URSI, Il gioco del Monopoli e dei servizi pubblici locali, in Foro amm. CDS, 2010, 2, 466 ss.; C.VITALE, La gestione congiunta dei servizi pubblici locali. Novità legislative e tendenze del
sistema, in Ist. fed., 2009, 3-4, 33 ss.;
409
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ma certamente persuasivo slogan “acqua bene comune”, la norma avrebbe stigmatizzato il carattere pubblico del servizio idrico. La Corte costituzionale, nell’ammettere il referendum con sentenza del 26 gennaio 2011, n. 24, ha ricordato che l’eventuale vittoria del “sì” avrebbe determinato una evidente lacuna normativa nelle modalità di scelta del gestore dei servizi pubblici locali, colmabile facendo riferimento ai principi europei. In parole concrete, gli enti locali avrebbero potuto scegliere tra diverse modalità di gestione (aggiudicazione a terzi a seguito di gara, società mista, società in house) senza essere obbligati ex lege a preferire un modulo ad un altro.
Come è noto, la volontà popolare si è espressa in favore dell’abrogazione.
La vicenda è poi proseguita con la riproposizione da parte del Governo Berlusconi, pochi mesi dopo la consultazione popolare, di una norma di analogo tenore a quella abrogata. L’art. 4, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148, ha dettato una disciplina che non si discostava da quella bocciata dall’esito referendario, se non per l’espressa previsione di non riferirsi al servizio idrico, su cui invece era centrato il referendum, e per una maggiore attenzione alla concorrenza nel mercato anziché per il mercato. Troppo poco per la Corte costituzionale che, con sentenza 20 luglio 2012, n. 199, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 e delle sue successive modifiche – su tutte quelle operate con l’art. 25, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in l. 24 marzo 2012, n. 27 – per violazione dell’art. 75 Cost., e cioè per violazione dell’esito referendario410
.
Ne sono conseguiti la riaffermazione dei principi europei, a suo tempo richiamati dallo stesso Giudice delle leggi, quali strumento di orientamento nella scelta del gestore del servizio pubblico locale e, qualche mese dopo, una nuova riforma adottata con art. 34, co. 20 ss., d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221, norma tuttora in vigore, sostanzialmente riproduttiva degli insegnamenti della Corte, la quale ha prudentemente evitato qualsiasi riferimento ad un assetto gerarchico nella scelta delle modalità gestorie. .
Queste tribolate vicissitudini saranno accompagnate da qualche considerazione più tecnica nel prosieguo del lavoro, da collegare all’evoluzione del regime delle società locali411
.
410
Per una ricostruzione più approfondita dell’intero percorso, L.R.PERFETTI, La disciplina dei servizi pubblici
locali ad esito del referendum ed il piacere dell’autonomia locale, in Urb. e app., 2011, 8, 906 ss.; I.RIZZO,
Brevi considerazioni a seguito dell’abrogazione dell’art. 23-bis l. 133/2008, ibidem, 899 ss.; J. BERCELLI,
Servizi pubblici locali e referendum, in Giorn. dir. amm., 2013, 2, 155 ss.; A.AZZARITI, I servizi pubblici locali
di rilevanza economica dopo il referendum: le novità e le conferme della legge 148/2011, in Ist. fed., 2011, 3, 29
ss.; G.BASSI, F.MORETTI, L’assetto dei servizi pubblici locali dopo i referendum abrogativi – Una ricostruzione
del quadro ordinamentale, in Azienditalia, 2011, 8, inserto.
411 Per una panoramica più generale sulle sistema delle società pubbliche in quel periodo nel nostro ordinamento, si segnala il lavoro di A.MASSERA, Le società pubbliche, in Giorn. dir. amm., 2009, 8, 889 ss.
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Per ora, l’excursus storico è utile per ricostruire, ricollegandosi a quanto considerato nel precedente capitolo, se le riforme dei servizi pubblici locali nel quadriennio 2008-2012 hanno apportato interessanti novità rispetto a quelle del 2001 e del 2003. In particolare, l’interrogativo è se l’art. 23bis e gli interventi successivi hanno risolto le problematiche sopra segnalate circa il difetto del vincolo funzionale non solo con riguardo alle società di gestione del servizio, ma anche a quelle delle reti; ovvero non abbia mostrato utilità alcuna in tal senso.
Le seguenti riflessioni saranno volutamente sintetiche, data l’opportunità di dare maggiore spazio a questioni più attuali.
L’art. 23bis intendeva chiaramente favorire gli operatori economici privati, dipingendo un quadro assai più sfavorevole per la gestione pubblicistica dei servizi. È vero che il modulo di gestione esternalizzato è stato posto in via di principio sullo stesso piano della società mista. Tuttavia, il favor per l’imprenditore privato era evidente anche in questa seconda ipotesi: la previsione di una cessione delle quote a suo favore non inferiore al 40%, unita all’obbligo di assumere il ruolo di socio d’opera, è stata piuttosto sintomatica in tal senso.
Il legislatore si era mosso nell’ottica di strutturare il mercato dei servizi pubblici locali in termini fortemente concorrenziali, e nel fare ciò ha ritenuto opportuno stigmatizzare l’intervento del soggetto pubblico e, di contraltare, agevolare quello del privato. La logica pro-concorrenziale ha trovato conferma nel comma 9, con cui è stato fatto divieto alle società che in Italia o all’estero gestivano un servizio in virtù di un affidamento diretto di partecipare ad altre gare, perché altrimenti avrebbero determinato uno squilibrio partendo da una posizione di vantaggio (l’affidamento ottenuto senza gara).
Già da queste poche battute si intuisce come il legislatore del 2008 non abbia risolto i problemi in precedenza segnalati delle riforme del 2001 e del 2003, in quanto non è in alcun modo intervenuto sul versante del principio di funzionalizzazione: non ha cioè stabilito alcun obbligo di collegamento tra la partecipazione societaria e le finalità istituzionali dell’ente socio. Non deve trarre in inganno il fatto che la norma in questione ha svantaggiato l’imprenditoria pubblica: in tutti i casi in cui il modulo della società mista veniva utilizzato, o comunque nell’ipotesi residuale di società in house, continuava a difettare una norma che subordinasse l’acquisizione di quote ad un effettivo soddisfacimento dei bisogni della collettività di riferimento. Anzi, viene da pensare che la relazione stilata dall’ente locale da sottoporre al parere obbligatorio dell’AGCM (comma 4), con cui dimostrare l’inefficacia del ricorso al mercato, fosse ben più persuasiva là dove la società a capitale interamente pubblico sommasse la forza economica di più amministrazioni locali partecipanti, indipendentemente dall’effettivo ottenimento della prestazione per ciascun ente socio.
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Certamente, la presunzione che la deminutio dell’imprenditoria pubblica garantisca un più efficace assetto competitivo del mercato è opinabile: aldilà di questo, è innegabile il totale disinteresse nei confronto del vincolo funzionale nell’attività societaria.
Il risultato non sembra mutare neppure considerando che il comma 7 affidava alle Regioni ed agli enti locali il compito di definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo, e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell’espletamento dei servizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto. La definizione dell’area, in modo analogo a quanto accade oggi con l’art. 3bis, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, attuale norma di riferimento per gli ambiti territoriali ottimali di gestione del servizio412, non imponeva il vincolo tra l’appartenenza geografica al bacino e la partecipazione societaria. Così dicendo, non si vuol certo ridurre la natura locale ad una mera connotazione topografica413. Tuttavia, la mancanza del divieto di ricomprendere nel bacino (anche) enti geo-politicamente estranei non poteva essere ignorata.
La questione non è diversa se si pensa alla disciplina delle reti414.
Il comma 5 dell’art. 23bis stabiliva infatti la regola della proprietà pubblica delle stesse, la cui gestione poteva essere affidata a soggetti privati.
È stata così introdotta una importante novità rispetto alla precedente regolazione dell’istituto, rinvenibile nell’art. 113 TUEL, così come modificato nel 2003 e nel 2001. Nella versione del 2003, l’art. 113, co. 13, TUEL, prevedeva la possibilità di conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, definendone l’incedibilità. Ancora prima, nel testo riscritto dall’art. 35, l. n. 448/2001, l’art. 113, co. 13, stabiliva la possibilità di cedere le reti e gli altri beni strumentali a società di capitali di cui gli enti locali detenevano la maggioranza del capitale, previsione condita anche in questo caso dall’incedibilità. È perciò evidente che nel corso di pochi anni, il regime della proprietà delle reti ha subito importanti variazioni: dall’ammissibilità del partenariato pubblico-privato, passando per la società a capitale interamente pubblico, si è giunti infine con l’art. 23bis, co. 5, d.l. n. 112/2008 ad imporre la proprietà delle stesse ai soli
412
Per uno studio recente sugli ambiti territoriali ottimali si rimanda a A.M. ALTIERI, I servizi pubblici locali
organizzati in ambiti territoriali ottimali, in Giorn. dir. amm., 2013, 12, 1191 ss.; L.PASSERI, L’organizzazione
dei servizi pubblici locali fra tutela della concorrenza ed efficienza della spesa pubblica, in Munus, 2012, 3, 547
ss. 413
Cfr. G.ROSSI, ult. op. cit., 382.
414 Un approfondito studio sul regime delle reti è stato svolto da G.D
ELLA CANANEA, Per un nuovo assetto delle
reti di servizi pubblici, in Munus, 2011, 1, 103 ss.
Per una ricostruzione del concetto di rete, R.GOSO, L’affidamento diretto di servizi pubblici locali in favore dei
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soggetti pubblici, escludendo dunque la possibilità che società, e cioè soggetti formalmente privati, pur a capitale pubblico totalitario, potessero detenerne delle quote.
Ritenuto che l’abrogazione dell’art. 23bis esclude una reviviscenza dell’art. 113, co.