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La transizione della società mista: da modulo organizzativo del servizio pubblico locale a strumento puramente imprenditoriale.

Le società locali negli anni ’90 tra la proliferazione del modello e l’affermazione del problema del fine.

LE REAZIONI DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE ALLA PROLIFERAZIONE DI SOCIETÀ LOCALI.

2. L’art 35, l 28 dicembre 2001, n 448 Un primo (inutile) tentativo di compressione del numero di società locali, e l’esigenza nazionale di enti locali competitivi sul profilo

2.3. La transizione della società mista: da modulo organizzativo del servizio pubblico locale a strumento puramente imprenditoriale.

Le considerazioni svolte sull’assimilazione della capacità imprenditoriale pubblicistica a quella privatistica con l’entrata in vigore dell’art. 35 suggeriscono qualche ulteriore spunto.

Dopo qualche anno dalla sua definizione, stava acquisendo maggior credibilità un orientamento definito dalle Sezioni Unite338, ma a più riprese sconfessato dal giudice amministrativo339, con cui veniva denunciata la visione esclusivamente privatistica delle società miste, intese come soggetti dotati di capacità imprenditoriale a tutti gli effetti, sganciati funzionalmente dalla collettività di riferimento. Con tale affermazione non si vuole esprimere un giudizio di valore ed abbracciare la tesi promossa dalla Suprema Corte, tutt’altro; il giudizio così reso è semplicemente di fatto. Il sistema delineato dall’art. 35 attribuiva, tuttavia, maggiore attendibilità alle conclusioni raggiunte dal Giudice di legittimità.

L’esito non desta eccessivo stupore. La soppressione dell’affidamento diretto non poteva determinare il solo obbligo di ricercare sul mercato – auspicio comunque per certi

conseguenza, questa pare l’unica ipotesi in cui il partenariato pubblico-privato nell’attività di erogazione del servizio fosse necessariamente legato all’individuazione del socio privato con gara.

338 Corte cass., Sez. Un., 6 maggio 1995, n. 4991, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1996, 1266, con commento di C. VOLPE, Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione di nuovo sulla strada della teoria dell’organo indiretto:

abbandono temporaneo o addio definitivo?, in Riv. trim. app., 1995, 207, in cui la Suprema Corte afferma che le

società miste create ai sensi dell’art. 22, co. 3, lett. e), l. n. 142/90 operano come persone giuridiche di diritto privato, nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico, nei confronti del quale hanno assunto l’obbligo di gestire il servizio. Si evidenzia la similitudine tra la predetta pronuncia e la celebre, e più volte citata, “Siena Parcheggi”, Corte cass., Sez. Un., 6 maggio 1995, n. 4989, secondo cui la società a capitale pubblico maggioritario non doveva considerarsi organismo di diritto pubblico, ma soggetto la cui veste privatistica doveva ritenersi prevalente rispetto ai connotati pubblicistici.

339 Cons. St., sez. V, 25 giugno 2002, n. 3448, in Giur. amm., 2002, 1405; in termini simili la più volte citata Cons. St., sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586, in Cons. Stato, 2001, I, 1949, la quale – si ricorda – aveva tuttavia il pregio di tentare di fornire una visione intermedia. Infatti, tale pronuncia affermava che il vincolo funzionale debba essere di volta in volta considerato, valutandone gli effetti. Occorre, cioè, verificare concretamente se l’impegno extraterritoriale eventualmente distolga, e con quale intensità, risorse e mezzi alla resa del servizio a favore della collettività di riferimento. In questo senso, dunque, il predetto vincolo non impedirebbe in assoluto lo svolgimento di attività extraterritoriale, la quale sarebbe legittimata solo a fronte di un controllo che escluda la menomazione del servizio originario, unico vero limite per operare a livello extramoenia.

Per un esaustivo commento della pronuncia si veda anche E. SCOTTI, Società miste, legittimazione

extraterritoriale e capacità imprenditoriale: orientamenti giurisprudenziali e soluzioni legislative al confronto,

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aspetti piuttosto ingenuo se si considera quanto sarà dedotto in seguito340 – i gestori del servizio. Questa regola avrebbe, anzi, causato anche ben altri effetti, fra cui il venir meno del controllo di stampo pubblicistico sulla società, inscindibilmente collegato341 all’aggiudicazione del servizio senza gara342. Infatti, l’obbligo per le società locali di partecipare alla procedura ad evidenza pubblica suggeriva che il partner privato non fosse valutato (rectius: controllato) per la sua capacità di fornire una corretta gestione del servizio, e ciò per due motivi. Innanzitutto, come detto, poteva risultare anche mero finanziatore; inoltre, l’ente di riferimento non avrebbe lamentato eventuali disservizi che esso stesso contribuiva a produrre, ragion per cui sarebbe stato eventualmente il mercato ad evidenziare le lacune della gestione. In questo senso, è evidente che la rinuncia al ruolo di controllore, inteso come custode delle istanze della collettività, rappresentava per il Comune il miglior sponsor della deriva in senso privatistico della sua partecipazione in società, non più incline alla cura delle esigenze del vivere civile, bensì alla disposizione di strumenti idonei per competere sul mercato.

A riguardo, è utile segnalare un’importante differenza rispetto a quanto trattato nel precedente capitolo sul tema dell’extraterritorialità. In quell’ipotesi, la dequotazione del vincolo funzionale si verificava laddove gli enti locali possedevano delle quote, senza fruire dei compiti operativi. Al contrario, in relazione all’art. 35, tale dequotazione poteva insistere (anche) sulla partecipazione degli enti locali nella società che concorreva per la gestione del servizio a favore della popolazione di riferimento. La mancanza di un effettivo monitoraggio di stampo pubblicistico sull’attività societaria, l’eventuale possesso di un numero esiguo di quote, nonché la libertà di delegare compiti operativi al solo socio privato – tutti fattori legittimamente ipotizzabili – rendevano la partecipazione dell’ente nella società che operava sul proprio territorio un mero investimento. In altre parole, non erano assicurati né il controllo pubblicistico (ovvero un controllo legato ai poteri pubblici, indipendente dalle percentuali di azioni possedute), né l’influenza effettiva sulle scelte societarie (perlomeno in via diretta), né l’effettiva gestione del servizio. Se ne deduce, da un lato, che le quote dell’ente locale rilevavano solamente sotto il profilo quantitativo, alla stregua di qualsiasi altro imprenditore

340

Vd. nota 352.

341 D’altronde, il presupposto del controllo pubblico per aggiudicare in via diretta il servizio è chiaramente il requisito richiesto per l’affidamento del servizio alla società in house, stando agli insegnamenti della sentenza

Teckal.

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Sul rapporto tra società locale quale modulo organizzativo del servizio pubblico e conseguente controllo esercitato su di essa da parte dell’ente locale, tra i tanti, G. MORBIDELLI, Società miste, servizi pubblici ed opere

accessorie, in Riv. trim. app., 1997, 496; L. GIAMPAOLINO, L’organizzazione dei pubblici servizi a mezzo delle

società miste nell’esperienza delle amministrazioni degli enti locali: problemi di concorrenza e profili istituzionali, in Riv. trim app., 1999, 16-17; S. VARONE, Servizi pubblici locali e concorrenza, cit., 146-147.

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privato. Dall’altro, che il legame funzionale con le partecipazioni veniva minacciato non solo laddove la società non svolgeva compiti operativi a favore della collettività di riferimento, ma anche in questa stessa ipotesi, poiché il legame con la cura delle esigenze della popolazione poteva risultare una mera eventualità. La transizione della società mista da un modulo organizzativo del servizio pubblico ad uno strumento meramente imprenditoriale diveniva effettiva343.

Vi è spazio per qualche ulteriore riflessione sul punto.

Il mancato affidamento diretto per le società partecipate e la tendenziale privatizzazione della capacità imprenditoriale pubblica partorivano nuove problematiche, incidenti su profili che venivano considerati oramai pacifici. Si pensi alla tematica degli organismi di diritto pubblico344 ed alla riconduzione delle società miste, anche minoritarie, all’interno di questa categoria, sulla base della considerazione che i bisogni di interesse generale non aventi carattere commerciale e industriale non fossero da riferirsi alla modalità con cui la prestazione veniva resa quanto piuttosto alle finalità che l’attività dell’organismo, anche di stampo imprenditoriale, doveva soddisfare345. In questa prospettiva, anche le società miste incaricate dalla gestione dei servizi pubblici locali, volte ad assicurare obiettivi di

343 Del resto, sembra che questa lettura sia resa anche da C. V

OLPE, Le società miste nei servizi pubblici locali:

evoluzione o involuzione di un modello?, cit., 714 ss. 344

Sul punto, ex multis, V. CAPUTI JAMBRENGHI, L’organismo di diritto pubblico, in Dir. amm., 2000, 13 ss; R. CARANTA, Organismo di diritto pubblico e impresa pubblica, in Giur. it., 2004, 2415 ss; R. GAROFOLI,

Organismo di diritto pubblico: criteri di identificazione e problemi di giurisdizione, in Urb. e app., 1997, 960 ss;

G. GRECO, Gli affidamenti ‹‹in house›› di servizi e forniture, le concessioni di pubblico servizio e il principio

della gara, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, 1461 ss; ID, Ente pubblico, impresa pubblica, organismo di diritto

pubblico, ibidem., 2000, 839 ss; ID, Organismo di diritto pubblico: atto primo, ibidem, 1999, 153 ss; ID,

Organismo di diritto pubblico: atto secondo, le attese deluse, ibidem, 1999, 184 ss; G. GUCCIONE, Affidamenti in

house e nozione di organismi di diritto pubblico, in Riv. trim. app., 2004, 1073 ss; L. RIGHI, La nozione di

organismo di diritto pubblico nella disciplina comunitaria degli appalti: società in mano pubblica ed appalti di servizi, ibidem., 1996, 347 ss; E. SCOTTI, I nuovi confini dell’organismo di diritto pubblico alla luce delle più

recenti pronunce della Corte di Giustizia, in Foro it., 1999, IV, 140 ss.

345 In questo senso S. V

ARONE, Servizi pubblici locali e concorrenza, cit., 162 ss; F. CINTIOLI, “Di interesse

generale e non avente carattere industriale e commerciale”: il bisogno o l’attività?, in Serv. pubbl. app., 2004,

79 ss; F.GAFFURI, Brevi considerazioni sulla riconducibilità delle società miste nella categoria degli organismi

di diritto pubblico, in Dir. proc. amm., 2000, 255 ss; S. COLOMBARI, Organismo di diritto pubblico e

delegazione interorganica tra diritto comunitario e diritto nazionale, in Urb. e app., 2003, 1147. Le posizioni

così richiamate sono generalmente concordi e richiamano quanto espresso in modo analogo dalla giurisprudenza comunitaria. Infatti, la Corte di giustizia ha – comprensibilmente se si pensa alla ferrea volontà comunitaria di garantire il più possibile il rispetto della procedura ad evidenza pubblica – più volte ricordato come le finalità di interesse generale non aventi carattere commerciale ed imprenditoriale possono essere assolutamente svolte attraverso metodo imprenditoriale, in quanto i due apetti non si escludono vicendevolmente. A riguardo, si vedano, a titolo di esempio, Corte giust., 22 maggio 2003, C-18/01, in Urb. e app., 2003, 1139, in cui si precisa (punto 51) che la mancata influenza pubblica impedisce la qualifica di una società quale organismo di diritto pubblico; in termini analoghi, e cioè escludendo che la finalità commerciale impedisca la qualificazione della struttura societaria quale organismo di diritto pubblico, Corte giust., 27 febbraio 2003, C-373/00, in

www.curia.ue; Corte giust., 10 novembre 1998, C-360/96Arnhem c. B.F.I. Holding, in Foro amm., 1999, 1675

ss, in cui si afferma esplicitamente che le società a partecipazione pubblica svolgenti attività di servizio pubblico locale sono incluse nella nozione di organismo di diritto pubblico, poiché esse attuano una prestazione il cui obiettivo è favorire il benessere della collettività e lo sviluppo socio-economico della collettività di riferimento.

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benessere sociale, rientravano nella nozione sopra ricordata sulla base della lettura teleologica richiamata. Ciò era vero ad una condizione: le partecipazioni in mano pubblica non dovevano costituire un mero investimento ma, al contrario, una modalità di attuazione del servizio pubblico346. Tuttavia, l’art. 35, obbligando alla gara anche le società partecipate dagli enti locali, trascurava la logica della presenza pubblica, ossia la possibilità di affidare in via diretta il servizio. Le partecipazioni dell’ente locale, dunque, non testimoniavano la presenza di un modulo gestorio pubblico, bensì un semplice investimento. La tesi non appare drastica dato che era stato soppresso l’elemento caratterizzante la società pubblica.

Le difficoltà nel qualificarla come uno strumento organizzativo del servizio implicava conseguenze degne di nota. In assenza di un affidamento diretto, la defunzionalizzazione delle partecipazioni azionarie escludeva la qualifica della società mista alla stregua di un organismo di diritto pubblico. Infatti, la presenza pubblica nella società rappresentava una mera conseguenza della capacità imprenditoriale dell’ente, non il riflesso del controllo amministrativo nella resa del servizio; la mancanza di un affidamento diretto influiva irrimediabilmente sulla qualifica ontologica della società mista. Come nelle più classiche reazioni a catena, sorgevano molteplici effetti: se questa non poteva considerarsi un organismo di diritto pubblico sfuggiva anche alla definizione in termini di amministrazione aggiudicatrice. Ciò comportava, da un lato, che tale società non rientrava nelle categorie sottoposte al rispetto delle procedure ad evidenza pubblica in tema di appalti. Dall’altro, l’inapplicabilità nei suoi confronti dell’art. 6 della direttiva n. 92/50/CE, il quale, come noto, consentiva di derogare le norme della stessa direttiva qualora il servizio fosse stato affidato ad una amministrazione aggiudicatrice. Era evidente come il modello societario delineato dall’art. 35, non differenziando la partecipazione pubblica rispetto a quella del privato ed anzi omologandole, non consentiva agli enti locali soci neppure di fruire degli strattagemmi appositamente pensati per soggetti di matrice pubblicistica347. Anche sotto questo punto di

346

È quanto si deduce dallo scritto di N. AICARDI, Le società miste, cit., 268 ss, secondo cui le società pubbliche svolgenti attività diverse dai servizi pubblici o dagli appalti non sono soggette all’obbligo dell’osservanza delle regole della procedura ad evidenza pubblica. Il medesimo obbligo non sussiste, dunque, nel momento in cui l’attività societaria sia configurabile come meramente imprenditoriale: di conseguenza, perde di significato promuovere qualsiasi lettura teleologicamente orientata degli organismi di diritto pubblico. Infatti, l’oggetto sociale privo di qualsiasi rivolto pubblicistico frustra l’applicabilità delle regole dell’evidenza pubblica.

347 Non che questo fosse necessariamente un male. Infatti, riprendendo le esatte parole dell’Avvocato generale Georges Cosmas, rese nelle conclusioni relative alla causa Teckal (punto 65), ‹‹se ammettiamo la possibilità per

le amministrazioni aggiudicatrici di potersi rivolgere ad enti separati, al cui controllo procedere in modo assoluto o relativo, per la fornitura di beni in violazione della normativa comunitaria in materia, ciò aprirebbe gli otri di Eolo per elusioni contrastanti con l’obiettivo di assicurare una libera e leale concorrenza che il legislatore comunitario intende conseguire attraverso il coordinamento delle procedure per l’aggiudicazione degli appalti pubblici››.

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vista, si nota facilmente l’equiparazione della capacità imprenditoriale fra soggetti di diversa natura.

In conclusione, preme evidenziare che la soppressione dell’affidamento diretto tra le modalità di aggiudicazione del servizio non sembrava sufficiente a contrastare il capitalismo municipale se non accompagnato – come in effetti non era – da altre previsioni normative in ordine ad un collegamento tra capacità imprenditoriale pubblica e soddisfazione delle finalità istituzionali.

Sarebbe comunque sbagliato ritenere che il sistema societario fosse scevro di qualsiasi elemento di pubblicità. Si pensi all’eventuale affidamento di servizi, strumentali ed accessori rispetto al servizio pubblico reso in via principale, a favore del partner privato nella società mista. La dottrina prevalente escludeva la possibilità di procedere in tal senso senza il previo esperimento di una gara348, in quanto il socio privato avrebbe dovuto risultare vincitore della procedura ad evidenza pubblica appositamente indetta. La ragione si rinveniva nel fatto che quest’ultimo rimaneva pur sempre soggetto terzo e, comunque, privilegiato rispetto ad altri aspiranti gestori, se non altro in quanto già scelto in assenza di una reale competizione. Sarebbe stato, cioè, eccessivo garantire ulteriori vantaggi connessi alla sua selezione su base fiduciaria. La tesi, così brevemente ricostruita, evidenzia il contrasto con quanto scritto sopra. L’imprenditorialità di carattere puramente privatistico delle società locali nei rapporti con il partner privato si affermava sul versante dell’oggetto sociale principale, mentre si manteneva la connotazione pubblicistica con riferimento ai servizi accessori e secondari, la cui erogazione era però del tutto eventuale. Stona, dunque, l’immagine di una selezione libera da vincoli su profili essenziali dell’attività societaria e l’imposizione di rigidi meccanismi procedurali per le attività non necessarie. Aldilà delle perplessità sul piano logico, il paradosso determinava anche altre conseguenze squisitamente giuridiche. Limitatamente ai servizi accessori il socio privato, in caso di aggiudicazione dell’attività strumentale a seguito di procedura ad evidenza pubblica, doveva svolgere compiti (anche) operativi, non essendo sufficiente la disposizione dei meri requisiti economici. Questi, dunque, si presentava come necessariamente operativo solo con riferimento a servizi la cui realizzazione era eventuale, mentre per quelli costituenti l’oggetto della società appositamente istituita poteva teoricamente risultare anche mero finanziatore.

La generalizzata capacità imprenditoriale di stampo privatistico per gli enti locali si nota, infine, anche sotto altro profilo. È pur vero che, come detto, residuavano degli influssi

348 R. V

ILLATA, Pubblici servizi. Discussioni e problemi, Milano, Giuffrè, 2001, 198 ss; V. MARTELLI, Servizi

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pubblicistici legati alla selezione con gara del privato cui demandare la resa dei servizi strumentali. Tuttavia, è altrettanto certo che l’ente locale di riferimento, a fronte della necessità della società mista di ottenere servizi accessori a quello principale, poteva eludere la gara decidendo di affidare i medesimi direttamente alla stessa società349. Ancora una volta, il diverso regime giuridico dipendeva esclusivamente dalle scelte di management che l’amministrazione eseguiva liberamente sulla base di considerazioni di politica economica che assomigliavano in modo marcato a valutazioni imprenditoriali privatistiche.