Il Credit Suisse, impresa leader di mercato a livello mondiale nell’ambito dei servizi finanziari, offre ai propri clienti servizi di consulenza su tutti gli aspetti finanziari, in tutto il mondo. Credit Suisse ha da poco festeggiato i 150 anni di attività, anche se in Italia ha un insediamento recente che risale al 1999.
L’obiettivo del Credit Suisse è quello di diventare la banca leader a livello globale, conosciuta per la sua competenza nell’investment banking, nel Private Banking e nell’asset management e apprezzata per la sua consulenza, il suo spirito innovativo e la sua capacità di esecuzione.
La comprensione dettagliata e il soddisfacimento delle esigenze finanziarie della clientela è reso possibile dalle sinergie e dall’efficienza delle tre divisioni di business presenti all’interno di una struttura organizzativa integrata:
INVESTMENT BANKING
Il Credit Suisse offre un ampio spettro di strumenti e servizi finanziari di investment banking in risposta alle esigenze di clienti istituzionali, imprese ed enti governativi.
PRIVATE BANKING
Il Credit Suisse fornisce una consulenza approfondita e un ventaglio diversificato di prodotti e servizi d’investimento studiati per soddisfare le complesse esigenze degli High Net Worth Individuals a livello mondiale e della clientela privata e commerciale in Svizzera.
ASSET MANAGEMENT
Il Credit Suisse offre una gamma di prodotti che copre tutte le categorie d’investimento, dalle azioni, obbligazioni e prodotti comprendenti diverse classi di asset agli strumenti alternativi.
Con una nassa gestita di 8,5 miliardi di euro nel 2006, in crescita di oltre il 9% rispetto al 2005, la divisione di Private Banking dell’istituto elvetico inizia ad assumere connotazioni e dimensioni da grande banca. Credit Suisse è presente in Italia con 12 punti private (sedi principali a Milano e Roma), 10 portfolio managers e 330 advisors. Il
vantaggio è quello di poter contare su una struttura di gruppo in grado di fornire un know - how specifico e qualificato. I principali servizi offerti sono di natura finanziaria e si esplicitano nella gestione del portafoglio in ogni sua componente, secondo una logica di wealth management. Credit Suisse Italia propone anche servizi di corporate finance, operando in sinergia con la divisione di investment banking. Il tutto con un’ottica di consulenza globale, secondo un approccio di architettura aperta ormai consolidato nel gruppo.
4.3 Le risposte degli operatori
Dopo aver fornito alcune indicazioni sull’aspetto “strutturale” delle interviste effettuate ed aver delineato lo standing delle Banche Private rappresentate dai soggetti coinvolti nel sondaggio, si procede ora con l’esposizione di quanto si è desunto dai colloqui effettuati suddividendone il contenuto nelle rispettive aree di indagine.
4.3.1 Il Private Banking: origini e struttura
Entrambe le realtà considerate hanno una storia che va molto indietro nel tempo (il Credit Suisse ha da poco festeggiato i 150 anni di attività); nonostante ciò, l’approdo sul mercato italiano da parte delle stesse, è da ricondursi all’inizio degli anni ’90. E’ proprio in questo periodo che UBS decide di adottare un modello di business focalizzato esclusivamente su tre attività: wealth management, investment banking e asset management. Il servizio dedicato al Private Banking, com’è nella forma attuale, ovvero con un progetto che verte sullo sviluppo di mercati domestici in una serie di paesi europei (Italia, Germania, Francia, Regno Unito e Spagna), nasce nel 2000. La presenza del Credit Suisse in Italia è invece da ricondursi al 1999 quando si decise di iniziare ad operare sul mercato italiano. Le motivazioni alla base di questa scelta strategica furono principalmente le seguenti: il mercato italiano rappresentava, e continua a rappresentare, una realtà piuttosto promettente, con forti potenzialità e con una connotazione particolare; il fatto, cioè, di avere una domanda di prodotti/servizi finanziari molto distribuita sul territorio. Da un punto di vista organizzativo/distributivo, quindi, si scelse fin da subito di sfruttare due diversi canali: da una parte una rete di promotori finanziari che rispondesse all’esigenza di essere capillari sul territorio, dall’altra un apposito nucleo operativo dedicato al Private
Banking (con strutture presenti a Milano e Roma) in grado di mettere a disposizione della propria clientela una vasta gamma di prodotti/servizi, soprattutto di natura consulenziale.
La scelta di operare sul mercato italiano è stata nel tempo ripagata. Nonostante la sempre crescente pressione competitiva, con la conseguente compressione dei margini di profitto, anche considerando gli ultimi dati di mercato disponibili, emerge come il segmento private sia in costante crescita. A livello di mercato “domestico” Credit Suisse ha fatto registrare per il 2006 una crescita del 9% in termini di massa gestita, UBS ha confermato tale trend positivo con una crescita del 7% - 8%.
Al fine di avere una fotografia più dettagliata di quella che è l’attuale situazione competitiva all’interno del segmento private in Italia, viene riportata, in appendice al presente elaborato, una classifica dei principali operatori private operanti nel nostro paese, redatta considerando la massa gestita al 30/06/2006 da parte delle banche in questione.
Il mercato italiano del Private Banking è una realtà fortemente segmentata, il principale operatore detiene una quota di mercato che si aggira intorno al 4%. Altro aspetto fondamentale che deve essere tenuto in considerazione, così come è stato sottolineato da parte di entrambi i players intervistati, è la necessità di fissare molti distinguo al fine di consentire un corretto confronto tra competitors. Realtà operanti nel Private Banking ma che allo stesso tempo dispongono di una divisione retail (ad esempio Intesa ed Unicredit) hanno il notevole “vantaggio” di poter riposizionare la propria clientela affidando individui precedentemente assistiti dalla divisione retail alle cure più attente e personalizzate tipiche della divisione private. Questo non può essere fatto da parte di operatori che gestiscono una clientela fortemente omogenea in termini di esigenze e di entità del patrimonio e fanno del wealth management il proprio core business. Ecco allora che emerge chiaramente come la possibilità di “manipolare” i propri assistiti può indubbiamente incidere su quelli che sono i tassi di crescita o di decrescita fatti registrare da parte di una determinata business unit.
Sempre in termini di competizione è significativo sottolineare un altro aspetto emerso nell’ambito dell’indagine condotta. Non sempre quando si parla di concorrenza è corretto pensare ad un confronto tra masse gestite. Quello che si verifica attualmente sul mercato è anche una forte competizione in termini di possibilità di disporre delle migliori risorse umane. Realtà, come UBS e Credit Suisse, che non occupano per quanto riguarda il mercato italiano una posizione primaria ( rispettivamente 9° e 14° posto) in termini di
massa gestita, sono tuttavia in fortissima competizione tra loro in termini di reperimento delle migliori risorse umane locali.
Dai dati esposti nel 3° capitolo in materia di formazione dei propri Customer Relationship Manager emerge come la spesa annua sostenuta mediamente dagli operatori private presenti in Italia possa essere ritenuta in linea con quella affrontata dai players europei operanti nel medesimo segmento di mercato. Questo ci testimonia come la qualità dello staff manageriale è oggigiorno uno dei più importanti fattori di differenziazione in termini di competitività. Al fine di formare e di incrementare le competenze dei propri CRM, le realtà intervistate mi hanno confermato l’esistenza al loro interno di appositi programmi di induction con un contenuto non esclusivamente tecnico ma anche e soprattutto volto a trasferire alle proprie risorse una forte connotazione in termini di corporate identity. Se dal lato della formazione professionale, quindi, è possibile notare un certo attivismo da parte delle realtà analizzate, non è possibile dire la medesima cosa in termini di fidelizzazione manageriale e, più nello specifico, nell’applicazione di programmi di “employee retention”. Sia Credit Suisse che UBS non adottano strumenti di retention formalizzati quali possono essere patti di stabilità o di non concorrenza che, invece, stanno diventando piuttosto frequenti nelle realtà delle banche italiane. La scelta di UBS, ad esempio, è quella di adottare nei confronti delle proprie risorse umane, il medesimo atteggiamento tenuto dalla banca nei riguardi della propria clientela. È in quest’ottica che anche ai propri CRM la banca applica un modello che si compone di 4 fasi:
Analisi di quelli che sono gli obiettivi da un punto di vista personale e professionale di coloro che si apprestano ad operare nella realtà del gruppo;
Ricerca insieme (banca e manager) dei percorsi presenti all’interno della realtà lavorativa in grado di soddisfare i predetti obiettivi;
Abbinamento ai percorsi individuati delle necessarie risorse tecnico/formative al fine di consentire un adeguato e proficuo svolgimento della propria attività lavorativa;
Verifica finale (cadenza annuale) volta a monitorare l’operato del CRM, andando a valutare quali obiettivi sono stati raggiunti, quali altri meno e quindi quali sono i possibili margini di miglioramento per il successivo anno lavorativo. Tale verifica viene effettuata su entrambi i fronti, sia la banca nei confronti del consulente che viceversa.
Applicando un modello con queste caratteristiche si viene a creare un legame molto forte tra la banca e il CRM, diventa per questo molto difficile che il client advisor senta di dover “abbandonare” la realtà lavorativa all’interno della quale si trova ad operare, per mere ragioni di migliori opportunità lavorative offerte.
Il ricorso a tale accorgimento non soltanto consente di evitare l’applicazione di formali metodi di employee retention, esso consente infatti di ridurre la pressione competitiva su due fronti: quello delle risorse umane e quello della clientela. Se da un lato i CRM non avvertono l’esigenza di operare in una nuova realtà lavorativa, applicando il medesimo modello alla propria clientela, UBS è in grado di creare un forte commitment anche tra la banca e il cliente. Le 4 fasi analizzate precedentemente nell’ambito della relazione tra banca e consulente assumono la seguente configurazione nell’ambito della relazione tra banca e cliente:
Analisi delle esigenze e dei progetti, non soltanto di natura meramente finanziaria, avvertiti dal cliente;
Condivisione da parte di banca e cliente di quelli che potranno essere i percorsi da seguire per il soddisfacimento delle predette esigenze;
Abbinamento ai percorsi individuati delle necessarie risorse tecnico/consulenziali;
Verifica finale volta a monitorare il grado di soddisfacimento del cliente in funzione del prodotto/servizio erogato dalla banca.
La presenza di un modello di business definito fa sì che il cliente non si affezioni esclusivamente ad uno specifico consulente (con rischio da parte della banca di perdere il cliente qual’ora il CRM dovesse cessare l’attività lavorativa presso la banca in questione).
La banca, con il proprio modello consulenziale, diventa così l’elemento che qualifica il servizio.
Sempre nell’ambito della prima area d’indagine mi è stato possibile constatare come le due realtà considerate siano tra loro molto simili da un punto di vista strutturale/organizzativo. Entrambe le banche operano esclusivamente in 3 aree d’attività:
wealth management, asset management, investment banking. Credit Suisse è attualmente interessata da un processo riorganizzativo interno che mira a trasformare quelle che prima erano 3 entità organizzative autonome (Credit Suisse Private Banking, Credit Suisse Asset Management, Credit Suisse First Boston) in 3 divisioni facenti parte della medesima struttura organizzativa. Tale cambiamento, rilevante da un punto di vista
giuridico/organizzativo, non ha tuttavia ripercussioni sulla clientela della banca la quale, molto probabilmente, non ha nemmeno avvertito il mutamento in atto.
Un aspetto fondamentale quando si parla di struttura organizzativa, sia essa divisionale o meno, è andare a sottolineare le innegabili sinergie che si sviluppano tra le aree all’interno delle quali la banca si trova ad operare. In UBS, ad esempio, vi è una filosofia definita con il termine ONE BANK. Quando UBS si presenta al cliente essa lo fa proponendosi come una realtà in grado di soddisfare le esigenze dell’individuo in maniera tridimensionale. Molto spesso coloro che richiedono un servizio nell’area dell’investment banking, ad esempio, sono potenzialmente soggetti idonei a fruire di prodotti/servizi dalla divisione Private. Il cliente, in qualità di asset fondamentale della banca, deve essere
“trattenuto” a qualsiasi costo, le strategie di cross selling che si sviluppano tra le divisioni della banca si propongono principalmente questo obiettivo.
4.3.2 Analisi dell’offerta alla clientela High Net Worth
La seconda area d’indagine si focalizza sull’analisi dell’offerta alla clientela High Net Worth. Nel trattare le tematiche riguardanti l’offerta di prodotti/servizi di Private Banking nel corso dei precedenti capitoli emerge chiaramente come il cliente private abbia la possibilità di accedere ad una serie di prodotti e ad una gamma di opzioni di investimento molto più ampia e complessa di quella a disposizione degli investitori retail. Volendo richiamare velocemente la tipologia di prodotti/servizi tipici del mercato private ne viene qui di seguito fornita un’elencazione, senza nessuna pretesa di esaustività, ricordando come il forte grado di personalizzazione del servizio erogato rende difficile effettuare una classificazione completa ed oggettiva:
Prodotti di supporto al cliente (C/c, carte di credito, carte di debito, assegni);
Servizi di advisory;
Disposizioni (la banca agisce da broker puro);
Gestioni patrimoniali;
Consulenza all’investimento;
Pianificazione successoria, fiscale;
Creazione di trust.
Dagli ultimi dati di mercato appare ancora radicata la tendenza da parte degli operatori ad erogare prodotti/servizi creati in house. Questo, dovendo fornire prodotti/servizi di
qualità sempre crescente, sembra significhi che, almeno per il momento, il concetto di open architecture è da considerarsi una realtà ancora da sviluppare. Tuttavia, se consideriamo il modus operandi delle due realtà intervistate, quanto affermato precedentemente appare nettamente in contrasto con quella che è la consolidata architettura aperta adottata sia da UBS che da Credit Suisse.
In Credit Suisse la maggior parte dei prodotti è creata in house, o in asset management o direttamente nella divisione di Private Banking. Ciò per il quale si ricorre all’outsourcing sono soprattutto i servizi dedicati a clienti con particolari esigenze nell’area del wealth management (pianificazione fiscale, pianificazione successoria, …). Credit Suisse dispone di specifici accordi commerciali con partner esterni anche per quanto riguarda l’art advisory e il corporate advisory. Volendo sintetizzare la strategia della banca in materia di creazione del prodotto si potrebbe affermare che: “L’asset management è gestito interamente in house, maggiore propensione all’esternalizzazione la si ha, invece, per quanto riguarda i servizi di advisory”.
A partire dal 2000, con la creazione di Wealth Management International, anche UBS ha sposato sempre più un modello distributivo di architettura aperta. Ribadendo che il modello di business di UBS si spinge fortemente verso la consulenza, è chiaro come nell’ambito dei servizi consulenziali bisogna essere in grado di offrire al proprio cliente ciò che di meglio è disponibile sul mercato e questo rende inevitabile l’applicazione di un modello di open architecture autentico. Architettura aperta che trova applicazione anche nell’ambito dell’offerta di prodotti di asset management. In UBS viene messa a disposizione del cliente una selezione, su base mensile, a 360° dei migliori fondi creati dai principali leader di settore (Merrill Lynch, Morgan Stanley, Credit Suisse, UBS,…). In tale contesto non si crea, quindi, il rischio di “spingere” maggiormente il proprio prodotto a scapito di quello altrui.
Sempre nell’ambito delle politiche di offerta adottate da parte degli operatori private sono emersi, nel corso delle interviste effettuate, alcuni aspetti che meritano di essere menzionati. Una differenza tra le due realtà svizzere operanti sul nostro territorio riguarda la selezione della propria clientela e più specificatamente l’esistenza o meno di una soglia d’ingresso che dia diritto ad usufruire dei prodotti/servizi della divisione private. Credit Suisse fissa una dotazione patrimoniale minima di 500 mila euro come condizione necessaria per accedere alle cure dei propri customer relationship managers. In UBS,
invece, non esiste una soglia d’ingresso in quanto la ricchezza complessiva del potenziale cliente viene valutata per ogni singolo caso.
Ciò che invece accomuna entrambi i players è la mancanza di una rigida segmentazione della propria clientela. Nel momento in cui un soggetto diventa cliente della banca ha inizio un approccio olistico al cliente stesso. Il trattamento riservato ad un individuo con una dotazione patrimoniale di 500 mila euro non si discosta da quello messo a disposizione di un cliente con un patrimonio molto più consistente. Ciò a cui si guarda sono esclusivamente le esigenze dell’individuo, che ovviamente variano a seconda della dotazione patrimoniale, ma il modus operandi della banca rimane il medesimo.
L’attuale “fotografia” del mercato private in Italia fa emergere chiaramente come l’approdo al Wealth Management non costituisce l’ultima frontiera nell’attività di gestione della ricchezza complessiva della clientela particolarmente abbiente. Il futuro del Private Banking potrebbe essere rappresentato dal Family Business. Il fenomeno dei Family Office, nato in Italia alla fine degli anni ’80, ha conosciuto una vera e propria accelerazione a partire dal 2000, tanto che negli ultimi due anni nel nostro Paese sono nate ben 47 società d’intermediazione mobiliare o banche con le caratteristiche del Family Office. A tale crescita non hanno tuttavia contribuito le due realtà intervistate. Sia UBS che Credit Suisse non dispongono all’interno del proprio perimetro di gruppo di una struttura organizzativa appositamente dedicata al Family Office.
Per UBS Italia il Family Office è visto semplicemente come un cliente che essendo un punto di aggregazione di più famiglie tende ad avere un profilo più istituzionale che di persona fisica. Al di là di questa semplice constatazione il servizio e la cura prestati all’assistito, sia esso un singolo individuo piuttosto che un’aggregazione di più famiglie, sono i medesimi. Se così non fosse si potrebbe generare un conflitto d’interesse tra la clientela individuale e le famiglie inserite in una realtà da Family Office che verrebbero ad ottenere un trattamento ulteriormente privilegiato.
Anche in Credit Suisse la gestione dei gruppi famigliari fa parte di una modalità di operare piuttosto consueta e tradizionale considerando che molto spesso non si ha a che fare con un singolo cliente ma con tutto il suo nucleo famigliare. Se un singolo nucleo famigliare si affida ad una struttura di Family Office (Single Family Office) essa viene vista da Credit Suisse come un normale cliente. Credit Suisse non è interessato a trattare con più famiglie unite tra di loro, al semplice scopo di sfruttare possibili economie di scala, ma piuttosto con singole realtà famigliari.
La tematica del business off-shore conclude l’analisi dell’offerta alla clientela High Net Worth. Ciò che emerge dagli ultimi dati di mercato è che, dopo due scudi fiscali, gli italiani hanno ripreso a trasferire il proprio denaro all’estero. Le società off-shore al mondo sono quasi 700 mila, i trust almeno 1 milione e 200 mila, ma soprattutto sono 10 mila le banche che hanno sportelli aperti nei paradisi fiscali. Le banche italiane con sedi nelle piazze off-shore sono 320, mentre più di 100 sono i gruppi residenti nei paradisi fiscali controllati da istituti di credito italiani.
Per UBS Italia, in quanto banca di diritto italiano, regolata da Banca d’Italia, l’off-shore in senso stretto non è un servizio reso alla propria clientela. Non c’è in alcun modo per il cliente del domestic una componente del servizio off-shore, questo perché l’ambizione di UBS Italia è dimostrare che il proprio business è italiano. Il fatto che la componente off-shore non sia di aiuto alcuno a livello domestico non deve portarci ad escludere l’esistenza di prodotti/servizi fruibili in ambito internazionale. Sta al cliente decidere dove essere servito. Essendo parte di un gruppo globale UBS ha la possibilità di soddisfare a pieno le esigenze della propria clientela affidandosi, di volta in volta, al soggetto maggiormente
“competente”, nel rispetto, sempre e comunque, della normativa di settore sia a livello locale che internazionale.
Il Gruppo Credit Suisse ha fatto del business off-shore una delle fonti del suo successo.
Basti considerare il notevole interesse ed impegno profuso per realizzare una costante espansione nell’area asiatica. Per quanto riguarda, invece, il mercato italiano, l’Italia è indubbiamente un mercato on-shore. L’obiettivo di Credit Suisse in Italia resta quello di
Basti considerare il notevole interesse ed impegno profuso per realizzare una costante espansione nell’area asiatica. Per quanto riguarda, invece, il mercato italiano, l’Italia è indubbiamente un mercato on-shore. L’obiettivo di Credit Suisse in Italia resta quello di