UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO Facoltà di Scienze Bancarie, Finanziarie e Assicurative
Corso di Laurea Specialistica in Economia dei Mercati e degli Intermediari Finanziari
LE NUOVE ESIGENZE DELLA CLIENTELA HIGH AFFLUENT: IL PASSAGGIO DAL PRIVATE BANKING AI
SERVIZI DI WEALTH MANAGEMENT
Tesi di Laurea di Paolo SERTORELLI Matr. N°3306971
Relatore: Chiar.mo Prof. Alberto Banfi
Anno Accademico 2005/2006
Ai miei genitori e a mia sorella, a mio nonno, a Marianna.
Rivolgo un sincero ringraziamento al Chiar.mo Prof. Alberto Banfi per la disponibilità e le opportunità offertemi.
Un sentito grazie è inoltre rivolto alla Dott.sa Marta Bongini per il fondamentale supporto nell’impostazione dell’elaborato e nella supervisione costante e attenta dello stesso.
Un ringraziamento è rivolto anche alla Dott.sa Paola Biscaldi (UBS) e alla Dott.sa Alessandra Tollemeto (Credit Suisse) per la professionalità e la disponibilità accordatemi.
Ringrazio i miei familiari per aver creduto in me ed avermi sostenuto fino al sospirato traguardo.
Milano, Dicembre 2006.
INDICE
Premessa ...9
CAPITOLO 1: il Private Banking...11
INTRODUZIONE...11
[1.1] Definizione di Private Banking ...11
[1.2] Aspetti peculiari del mercato del Private Banking ...12
[1.3] La segmentazione del mercato del Private banking ...15
[1.4] La domanda nel Private Banking e il ruolo del private banker...21
[1.5] I prodotti tradizionali del Private Banking...26
[1.6] Profili strutturali – organizzativi – strategici nel Private Banking...37
CAPITOLO 2: DAL PRIVATE BANKING AL WEALTH MANAGEMENT ...46
INTRODUZIONE...46
[2.1] Il Private Wealth Management...46
[2.2] La value proposition nel wealth management ...50
[2.3] Oltre il wealth management: il family office...54
[2.3.1] Aspetti organizzativi nel family office ...56
[2.3.2] Il Family Office: un fenomeno in evoluzione...64
CAPITOLO 3: il Private Banking nel mercato italiano...69
INTRODUZIONE...69
[3.1] Il Private banking: scenari di mercato...69
[3.2] Il Private banking: un quadro globale ...71
[3.3] Il Private banking: il mercato in Italia...76
[3.3.1] La situazione attuale: il mercato ...76
[3.3.2] La clientela private italiana ...80
[3.3.3] Le strutture private in Italia ...87
[3.4] Il Private banking: i mercati off-shore ...93
CAPITOLO 4: competitors a confronto...100
INTRODUZIONE...100
[4.1] Survey tra competitors...100
[4.2] Gli operatori coinvolti nell’inchiesta...101
[4.3] Le risposte degli operatori ...104
[4.3.1] Il Private Banking: origini e struttura ...104
[4.3.2] Analisi dell’offerta alla clientela High Net Worth...108
[4.3.3] Rilevanza della tecnologia nelle soluzioni organizzative e nello sviluppo dell’offerta di Private Banking ...112
Conclusioni ...114
Appendice (A) Testo integrale dei quesiti posti agli operatori private intervistati...119
Appendice (B) Patrimonio gestito dalle principali realtà di Private Banking in Italia...123
Bibliografia...125
Indice delle tabelle
CAPITOLO 1
Tabella 1.1 – Profili di investitori a confronto in relazione alla propensione alla delega 19 Tabella 1.2 – I criteri qualitativi per la segmentazione della clientela private 21
Tabella 1.3 – I bisogni della clientela 23
Tabella 1.4 – Tipologie di attori del Private Banking 38
Tabella 1.5 – Vantaggi dei diversi modelli operativi di Private Banking 39
Tabella 1.6 – La classifica del Private Banking in Italia 40
Tabella 1.7 – Vantaggi comparati del modello della banca universale e della banca di nicchia 42
CAPITOLO 2
Tabella 2.1 – Private Banking “tradizionale” e wealth management 49 Tabella 2.2 – La struttura organizzativa nel wealth management 54
Tabella 2.3 – Business model di Family Office a confronto 59
APPENDICE
Tabella in appendice (B) – Patrimonio gestito dalle principali realtà di Private Banking che
operano in Italia 123
Indice dei grafici
CAPITOLO 1
Grafico 1.1 – Classi di clienti nel segmento private secondo classificazione PWC 2005 18
Grafico 1.2 – Le fasi di costruzione del piano della ricchezza (Wealth Plan) 25
Grafico 1.3 – Norme fiscali e ruolo del private banker 36
Grafico 1.4 – Modelli organizzativi 41
Grafico 1.5 – Modelli strategici adottati dalle strutture private 43
CAPITOLO 2
Grafico 2.1 – Correlazione fra distribuzione della ricchezza e servizi offerti 50
Grafico 2.2 – Scelte strategiche nel Family Office 66
Grafico 2.3 – Fattori di scelta del Family Office 67
CAPITOLO 3
Grafico 3.1 – Spesa annua individuale per la formazione dei customer relationship managers 71
Grafico 3.2 – Individui HNW per area geografica 72
Grafico 3.3 – Fattori determinanti la crescita del flusso di ricavi 73
Grafico 3.4 – Scelte di “make or buy” 74 Grafico 3.5 – Customer relationship managers e competenze fiscali 75
Grafico 3.6 – Trend del margine di profitto degli operatori private 76
Grafico 3.7 – Trend del mercato del Private Banking in Italia 77 Grafico 3.8 – Trend del mercato del Private Banking in Italia nel corso dell’ultimo triennio 78 Grafico 3.9 – Quota del mercato HNWI detenuta da strutture dedicate 79 Grafico 3.10 – Quota del mercato HNWI in Italia detenuta dalle sottocategorie di strutture
dedicate 79
Grafico 3.11 – Ripartizione delle famiglie HNWI in Italia per fasce di ricchezza 80 Grafico 3.12 – Ripartizione delle famiglie per tipologia di clientela 81 Grafico 3.13 – L’Italia della ricchezza: ripartizione geografica della ricchezza depositata 82 Grafico 3.14 – Il mercato degli HNWI in Italia: l’asset mix della ricchezza 83 Grafico 3.15 – Asset mix delle attività finanziarie della clientela retail 83 Grafico 3.16 – Asset mix delle attività finanziarie della clientela private 84
Grafico 3.17 – Prodotti risk taker e prodotti risk adverse 85 Grafico 3.18 – Evoluzione nella composizione qualitativa della clientela private 86
Grafico 3.19 – Il mercato mondiale dei fondi Hedge 87 Grafico 3.20 – Crescita delle strutture private: open architecture Vs prodotti in House 88
Grafico 3.21 – Crescita delle strutture private indipendenti: open architecture Vs prodotti in
House 88
Grafico 3.22 – Analisi del modello strategico dei competitors 89 Grafico 3.23 – Analisi del modello dedicato: assetti competitivi 90
Grafico 3.24 – Analisi del modello dedicato: legal entity 90
Grafico 3.25 – Come accrescere le quote di mercato 91
Grafico 3.26 – Intenzioni di crescita all’estero nei prossimi due anni 92
Grafico 3.27 – Strategia di crescita internazionale 92
Grafico 3.28 – Importanza dei centri off-shore crescente o decrescente 93
Grafico 3.29 – The international off shore market 95
Premessa
l Private Banking rappresenta senza dubbio uno dei segmenti di mercato maggiormente cresciuto nel corso degli ultimi anni. Un mercato, quello del Private Banking , al quale, sembra che nessun intermediario voglia rinunciare. Oggi il Private Banking in Italia vale circa 820 miliardi di euro, secondo le ultime stime elaborate dall’Associazione Italiana Private Banking, e la Price Waterhouse Coopers Advisory, con una crescita rispetto al 2005 del 4,3%.
I
Se inizialmente i servizi di Private Banking degli istituti italiani si limitavano alla gestione del patrimonio finanziario della clientela e si basavano su un’offerta standardizzata, veicolata da relationship manager che non si consideravano come dei problem solver dei bisogni dei clienti ma semplici gestori di una relazione, ora la situazione appare alquanto diversa. Quella del Private Banking è un’attività alla quale un gran numero di gruppi finanziari ha rivolto le proprie attenzioni nella speranza che si riveli un filone dalle grandi possibilità in termini di redditività, spesso però eccedendo nell’ottimismo ed evidenziando carenze nella valutazione di uno scenario così complesso1.
Un impulso alla crescita del mercato a livello nazionale si è avuto in conseguenza dei cosiddetti scudi fiscali, ossia il meccanismo legislativo che prevedeva l’emersione delle attività finanziarie occultate all’estero. Considerando a posteriori questi provvedimenti, se ne deve ridimensionare di molto la portata rispetto alle valutazioni fatte in passato:
1 DELIA RUSSEL T., DI MASCIO A., Wealth Management. Oltre il Private Banking: le nuove strategie integrate della gestione patrimoniale, Il Sole 24 Ore, 2002.
complessivamente i due scudi fiscali hanno permesso il rimpatrio di circa 80 miliardi di euro è cioè di una cifra piuttosto contenuta pari a meno del 10% dell’intero patrimonio del settore del Private. Gli scudi fiscali hanno comunque influito positivamente sul rimpatrio di capitale dall’estero che ha favorito l’ingresso di nuovi clienti: ciò ha determinato una forte crescita del numero di operatori attivi nel settore2.
Il titolo del presente elaborato: “ Le nuove esigenze della clientela high affluent: il passaggio dal Private Banking ai servizi di wealth management” intende analizzare questa realtà in continua evoluzione: è emersa infatti l’esigenza per le Banche di offrire un servizio al cliente in linea con le sue aspettative, quindi di effettuare una gestione completa sia dal punto di vista commerciale e di relazione che operativo.
Il passaggio dal Private Banking al wealth management non rappresenta semplicemente un cambiamento a livello terminologico, dietro di esso si cela la nascita di un nuovo modo di “fare banca”. Il fatto che molte strutture riservate alla fornitura di servizi di Private Banking “tradizionale” si siano dimostrate alle volte inadeguate nel rispondere in maniera puntuale e completa alle esigenze consulenziali espresse dalla clientela e nel soddisfare i bisogni sempre più variegati manifestati dai clienti private, ha dato vita ad una specie di
“vuoto operativo”. È in questo spazio che alcuni intermediari hanno iniziato a proporre alla clientela servizi di « wealth management, cioè servizi di gestione della ricchezza complessiva del cliente attuata con un approccio di personalizzazione estrema3».
2 NERI G., Intervista ad un partner di PWC, in Private Banking alla prova del 9, Hedge investimenti alternativi e Private Banking, novembre 2004.
3 DELIA-RUSSEL T., DI MASCIO A., Wealth management. Oltre il Private Banking: le nuove strategie integrate della gestione patrimoniale. Il Sole 24 ore, 2002.
Capitolo 1 IL PRIVATE BANKING
Introduzione
Questo capitolo è focalizzato sul concetto di Private Banking. Esso si propone, prima di tutto, di capire il significato del termine Private Banking, attraverso le definizioni date dai vari autori che se ne sono occupati per poi delineare le caratteristiche distintive del segmento private, in contrapposizione al segmento retail. Un’analisi della domanda/offerta dei prodotti di mercato unitamente alle tematiche riguardanti i possibili profili organizzativi adottati nell’ambito dell’esercizio di tale attività concludono il capitolo introduttivo dell’elaborato.
1.1 Definizione di Private Banking
La crescita ingente e rapida del mercato, il moltiplicarsi di iniziative definite di Private Banking dalle caratteristiche più variegate, hanno reso impossibile dedurre dalla pratica professionale una delimitazione condivisa di quest’area di attività.
Anche le definizioni di tipo teorico non stabiliscono confini precisi ma piuttosto propongono un insieme di caratteristiche imprescindibili per un servizio che si intende qualificare come Private Banking. Alcuni, ad esempio, affermano che il Private Banking è l’offerta di servizi personalizzati e di alta qualità ad un portafoglio limitato di clienti con un’elevata disponibilità4. Altri stabiliscono che l’espressione Private Banking sia da
4 P. MUSILE TANZI: Il manuale del Private Banker, 1998, EGEA, Milano
attribuire a quell’insieme di servizi che una banca, una sua controllata specializzata, un intermediario non bancario predispongono per soddisfare, con un elevato grado di personalizzazione, le esigenze finanziarie dei clienti che detengono cospicui patrimoni5.
Esistono indubbiamente alcuni tratti comuni e imprescindibili che derivano da queste due definizioni tra loro molto analoghe. Tali aspetti sono da ricercarsi nella personalizzazione del servizio, nell’alta qualità dello stesso e nella tipologia di clientela, che è caratterizzata dall’essere proprietaria di ingenti patrimoni e, in generale, da elevate disponibilità.
L’unica differenza che emerge riguarda la tipologia di servizi e l’ampiezza dell’offerta.
Mentre nel secondo caso si guarda al soddisfacimento dei bisogni finanziari della clientela di elevato standing, nel primo si pone l’attenzione anche alla molteplicità di servizi offerti.
Volendo riprendere le caratteristiche fino ad ora evidenziate, ponendo l’accento sulla necessità che l’offerta di Private Banking sia un insieme composito di servizi in grado di soddisfare la globalità delle esigenze manifestate dal cliente, una definizione “globale” di Private Banking potrebbe essere la seguente: “Il Private Banking è un insieme di servizi professionali finanziari e non finanziari che consentono alla clientela di elevato standing di soddisfare in modo personalizzato i bisogni legati alla gestione e alla valorizzazione del loro patrimonio” 6.
1.2 Aspetti peculiari del mercato del Private Banking
Dopo aver cercato di definire quello che è il concetto di Private Banking e quella che risulta essere la sua area di competenza, l’obiettivo primario è quello di mettere in evidenza dapprima alcuni aspetti peculiari imputabili al mercato del Private Banking per concentrarmi poi, in un secondo momento, sulle tematiche di segmentazione del mercato e di domanda / offerta dei servizi di Private Banking.
Funzionale alla comprensione delle “caratteristiche” del segmento private è sicuramente l’aver chiara la distinzione tra l’attività private e l’attività retail. Nel retail banking si fa riferimento ad un modello di attività bancaria o di intermediazione finanziaria focalizzata sulla distribuzione al dettaglio del prodotto. Il retail banking è un sistema di offerta centrato sull’efficienza delle transazioni e non sulla relazione con la clientela. Quando invece
5 S. DE ANGELI: Il Private Banking in Italia, 2000, Vita & Pensiero, Milano
6 CeTIF: Il Private Banking in Italia: aspetti organizzativi e tecnologici, Rapporto CeTIF 2002, Milano
parliamo di Private Banking, facciamo inequivocabilmente riferimento ad un “modo di essere e di fare banca” definibile con l’espressione di relationship banking7. Al Private Banking è quindi estranea la logica della mass customization che è alla base dell’odierna attività bancaria al dettaglio. Ne consegue che nel Private Banking ha attuazione un tipo di produzione di servizi che, pur appartenendo ai cosiddetti sistemi flessibili, assume una caratterizzazione particolare per l’enfasi posta sulla progettazione di un output mirato ai bisogni del singolo cliente. In termini di marketing si potrebbe argomentare che il private banker si relaziona con il cliente mediante un approccio one-to-one8.Tuttavia, nella pratica, non sempre i clienti, anche se facoltosi, sono in grado di esprimere esplicitamente al private banker ciò che si attendono dalla relazione, e in questi casi spetta all’intermediario mettere a disposizione soluzioni in certa misura standard che solo in un secondo tempo, dopo l’emersione dei bisogni, verranno personalizzate.
Per quanto riguarda la gamma dei servizi di Private Banking, di cui vedremo in seguito le principali tipologie, non esiste uniformità nei comportamenti di offerta, ma ogni banca adatta le sue proposte in funzione di diverse variabili tra le quali il grado di cultura finanziaria del mercato in cui essa opera9. Ciò che fin d’ora ci deve apparire chiaro è che la numerosità dei servizi non basta a qualificare il Private Banking. Ne costituisce invece un tratto somatico la già citata modalità di gestione del singolo cliente al punto che perfino alcuni servizi retail, come gli incassi e i pagamenti per conto dell’utente, diventano parte integrante delle transazioni di Private Banking se erogati nell’ottica della personalizzazione individuale.
Un ulteriore elemento che caratterizza il Private Banking rispetto al commercial banking attiene all’elevata professionalità del personale in contatto con i clienti. In prima battuta un qualificato private banker deve essere un leader di relazione, un consulente, che abbia la capacità di entrare in confidenza con il cliente10.
I principali tratti qualitativi rilevanti del suddetto mercato potrebbe ricondursi a11:
Elevati volumi unitari, consistenti margini: in primo luogo, si tratta di un mercato che consente il controllo di notevoli volumi gestiti attraverso un numero di relazioni di clientela relativamente modesto. Tuttavia, diversamente da altri mercati all’ingrosso,
7 FORESTIERI G., MOTTURA P., Il sistema finanziario. Istituzioni, mercati e modelli di intermediazione. EGEA 2000.
8 SCOTT W.G., Marketing e competizione, Vita & Pensiero, Milano 1997.
9 S. DE ANGELI: Il Private Banking in Italia, 2000, Vita & Pensiero, Milano.
10PULEDDA V., Superpromotore e dipendente, ecco l’identikit del private banker, Rapporto sul Private Banking, Repubblica, 24 ottobre 2005.
11RESTI A., lecture note 1: la domanda e l’offerta di servizi di Private Banking: dimensioni, caratteristiche, strategie.
UniBocconi 2005.
contraddistinti da elevata trasparenza e fungibilità dell’offerta, il Private Banking conserva interessanti caratteristiche di personalizzazione del servizio e di vischiosità che rendono possibile il conseguimento di margini unitari relativamente elevati. Se è vero, infatti, che i clienti non affidano quasi mai la generalità dei propri attivi ad un unico intermediario, va detto che ciò accade, perlopiù, per desiderio di riservatezza e di diversificazione del rischio, e non tanto per indurre i diversi fornitori ad una serrata competizione sul prezzo12;
Elevati ritorni sul capitale investito: diversamente dall’attività bancaria tradizionale, incentrata prevalentemente su attività di finanziamento e trasferimento, il Private Banking fa perno sulla gestione e amministrazione di disponibilità finanziarie di proprietà del cliente: non sussiste quindi alcun sensibile rischio di credito o di mercato che imponga alla banca di detenere un elevato volume di patrimonio ai fini di vigilanza.
Ciò garantisce la possibilità di conseguire elevati rendimenti sul capitale assorbito, e fa sì che, all’interno dei grandi conglomerati finanziari, le attività di Private Banking rappresentino sovente una delle aree strategiche di affari più redditizie;
Elevata diversificazione: il cliente private accede, tipicamente, ad una gamma d’opzioni di investimento più ampia e complessa di quella richiesta dagli investitori retail. Ad un simile atteggiamento concorrono diverse motivazioni. In primo luogo le dimensioni del suo patrimonio gli consentono di collocare quote di attivi anche in settori d’investimento più redditizi contraddistinti da elevata volatilità (si spiega così l’interesse dimostrato verso strumenti a rischio medio-alto, come i titoli rappresentativi di materie prime o i fondi hedge). In secondo luogo, sempre le dimensioni assolute del patrimonio consentono opzioni d’investimento che richiedono importi minimi di sottoscrizione elevati, come l’acquisto di immobili e di terreni, sostanzialmente preclusi al piccolo risparmiatore.
Inoltre, l’elevato tenore di vita della clientela private alimenta l’interesse verso investimenti in grado di offrire benessere o prestigio sociale: il campo d’azione si allarga dunque verso attivi non strettamente finanziari, per esempio opere d’arte o preziosi.
Infine, esigenze di riservatezza o di tax planning possono indurre una maggiore diversificazione geografica, anche attraverso l’utilizzo di strutture sofisticate.
12 Con riferimento al mercato svizzero, una ricerca di Swissmoney Research citata in Timewell (1999), segnala un’elevata dispersione tra i prezzi unitari praticati, anche se per prodotti simili, dalle 14 banche analizzate. Per determinati servizi, alcune banche arrivano a richiedere prezzi dieci volte superiori al concorrente più economico.
Limitata prociclicità della domanda: anche per effetto della maggiore diversificazione del portafoglio, che lo rende meno vulnerabile all’andamento di un singolo mercato, il Private Banking si caratterizza per una limitata prociclicità, ed in particolare per una discreta “tenuta” dei volumi in presenza di fasi negative del ciclo economico13.
1.3 La segmentazione del mercato del Private Banking
La frammentazione del mercato in segmenti omogenei deve effettuarsi a discrezione dell’intermediario finanziario e, in particolare, della sua unità di marketing. Non è possibile proporre un modello di segmentazione valido per tutte le aziende; la segmentazione della domanda non è un processo oggettivo, ma una delle possibili letture del mercato che risulta tanto più efficace quanto più è soggettiva e unica per ogni azienda. I modelli di segmentazione hanno inoltre la caratteristica di essere relativi e dinamici: non è possibile immaginare che la definizione dei segmenti mantenga la sua validità a lungo nel tempo, la sua mutevolezza dipende dall’azione della concorrenza e dalla velocità con la quale cambiano le caratteristiche dei clienti acquisiti o potenziali. Periodicamente diventa quindi necessario procedere a revisioni delle chiavi di lettura adottate e all’individuazione di nuovi requisiti d’accesso14.
La segmentazione può essere definita in termini generali come: “ un processo di disaggregazione di una popolazione in gruppi, definiti segmenti, che presentano un numero di individui aventi caratteristiche omogenee, sui quali è possibile applicare una strategia di allocazione dei prodotti, o attivare azioni di marketing e commerciali” 15.
Non sembrerebbe necessario operare un processo di segmentazione in un mercato che già è possibile considerare di nicchia come quello del Private Banking, ma l’evoluzione della domanda e la crescente competizione lo hanno reso necessario. La segmentazione permette dunque di individuare le tendenze nella domanda di prodotti e servizi al fine di adattare le politiche di offerta indirizzandole ai profili caratteristici dei clienti.
13 A titolo d’esempio, ricordiamo che tra il 2000 e il 2001, mentre il risparmio “gestito” di massa conosceva una sensibile contrazione (legata essenzialmente al calo degli indici di mercato), il comparto private mostrava sostanzialmente un rallentamento nel proprio decennale trend di crescita.
14 MUNARI L., Differenziazione dell’offerta e segmentazione della domanda di servizi bancari, Giuffrè Editore, 1998.
15 RUTELLI, ZANI, INAMA, La segmentazione dei comportamenti di consumo, Franco Angeli, 2003.
Uno dei fattori chiave del successo di una private bank è da individuarsi nella relazione tra intermediario e cliente, con lo scopo fondamentale di soddisfare le molteplici esigenze di quest’ultimo. In un contesto caratterizzato da una logica customer centric una valida politica di segmentazione diviene un passaggio obbligato16.
Per i servizi di Private Banking in particolare, rispetto a tutte le altre attività del settore bancario, il compito di individuare un target di clientela è assai complesso. La clientela di elevato standing non gradisce spesso un eccessivo numero di domande e il relationship manager deve “educare” nel tempo il proprio interlocutore: solo attraverso una profonda conoscenza dei suoi bisogni, delle sue abitudini di investimento e consumo si possono effettuare scelte consapevoli.
L’evoluzione tecnologica ha reso possibile per la clientela d’élite l’accesso ai servizi di Private Banking anche attraverso i canali elettronici oltre che attraverso il relationship manager. Pur essendo il Private Banking un tipo di servizio imperniato sulla relazione diretta e vi sia una certa prudenza degli operatori verso la fornitura di servizi di questo livello attraverso canali spersonalizzati, l’uso di siti internet dedicati costituisce lo strumento che guida il passaggio “da un modello distributivo monocanale a modelli multicanali integrati in cui è possibile ridefinire la gestione della relazione in modo proattivo”17.
I criteri di segmentazione utilizzati per suddividere i vari gruppi di clienti sono molteplici, la scelta di tali criteri è il primo elemento sul quale poggia la costruzione del modello di erogazione del servizio offerto dalla private bank18.
“I principali criteri finanziari tipicamente utilizzati per la classificazione della clientela top fanno riferimento a due variabili, una avente natura di stock, il patrimonio disponibile, l’altra avente natura di flusso, il reddito”19.
Tipicamente il cliente di Private Banking appartiene a quella categoria di individui denominata “High Net Worth Individual (HNWI)”, cioè i privati con un patrimonio sufficientemente rilevante.
Come viene riportato nel più recente report disponibile di Pricewaterhouse Coopers, oltre ai clienti HNWI si collocano tra le classi di clienti del segmento private anche i cosiddetti
16 BORRONI M., Le caratteristiche strutturali della domanda e dell’offerta dei servizi di Private Banking, in DE ANGELI S. Il Private Banking in Italia, aspetti tecnici e profili organizzativi, Vita & Pensiero, 2000.
17 MODINA M., La domanda di Private Banking in Italia e all’estero e la matrice “Clienti/Prodotti/Canali”, Edibank 2003.
18 MUSILE TANZI P., Manuale del Private Banker, EGEA 2003.
19 ORIANI M., Il Family Office. Il nuovo wealth management dei grandi patrimoni famigliari, Franco Angeli, 2004.
clienti affluent, cioè coloro che non hanno ancora una ricchezza disponibile di rilevanza sufficiente per poterli definire HNWI20. Gli affluent, nell’offerta di alcune private bank, sono entrati di pieno diritto nell’orbita dei servizi di Private Banking presentando potenzialità di crescita notevoli e allargando così la base clienti su cui spalmare i costi fissi dell’attività.
La distinzione dei segmenti tramite il criterio patrimoniale, considera la disponibilità di un soggetto di investire in attività liquide. Pur trattandosi di una grandezza misurabile, la determinazione della disponibilità patrimoniale di un individuo di elevato standing non è univoca. Spesso poi il valore “soglia minima” che viene indicata, individua un valore teorico potenziale. Le cause di questa scelta vanno ricercate nella tendenza degli individui con disponibilità finanziarie consistenti ad affidare la gestione della propria ricchezza, non esclusivamente ad un unico intermediario, ma a soggetti diversi, in una sorta di differenziazione di base del proprio investimento.
Per dare una definizione più pragmatica sulla base della ricchezza disponibile risulta possibile tracciare una classificazione della clientela, suddividendola in quattro classi principali21.
La rappresentazione del segmento private, sintetizzato da una forma piramidale (Grafico 1.1), ha alla propria base il gruppo dei cosiddetti affluent, che costituiscono la fetta più grossa del mercato in termini numerici. Vero cuore del segmento private è costituito dagli High Net Worth Individual. I due rimanenti gruppi sono composti dai clienti con disponibilità maggiore: i Very High Net Worth Individual (V-HNWI) e gli Ultra High Net Worth Individual (U-HNWI).
Come anticipato, il processo di segmentazione della clientela di Private Banking prevede, oltre all’uso del criterio patrimoniale, anche l’analisi di una variabile finanziaria con natura di flusso, il reddito. In particolare l’attenzione è posta sul reddito effettivo attuale e sulla stima di quello futuro che il soggetto sarà in grado di percepire nell’esercizio della sua attività professionale/imprenditoriale. Lo studio di una variabile di questo tipo presenta caratteri di maggiore aleatorietà rispetto al calcolo della dotazione patrimoniale. Essa, infatti, dipende da elementi che a volte possono essere difficilmente quantificabili e prevedibili come, ad esempio, la distribuzione nel tempo dei flussi di reddito percepiti da alcune tipologie di clienti private. Per questo motivo, tale tipologia di segmentazione, rispetto al
20 PWC, Italian Private Banking: Wealth Management Survey, PWC Advisory 2005.
21 PWC, Italian Private Banking: Wealth Management Survey, PWC Advisory 2005.
criterio patrimoniale, è meno indicativa per individuare coloro che possono costituire oggetto di attenzione da parte della private bank.
Grafico 1.1: classi di clienti nel segmento private secondo classificazione PWC Advisory 2005
Le segmentazioni basate su criteri di natura finanziaria vengono generalmente utilizzate dagli intermediari per analizzare la dimensione del mercato di riferimento. Questo processo può però ritenersi completo solo dopo lo studio di quegli aspetti qualitativi che contribuiscono a cogliere, in modo più attendibile, le esigenze specifiche della clientela22.
Le variabili rientranti in questa categoria sono molteplici. In genere esse si riferiscono a caratteristiche comuni di ogni individuo riguardanti la sua natura: geografica, comportamentale, storica, demografica, sociologica.
Le variabili geografiche servono per suddividere il mercato in aree territoriali, distinguendo le unità di domanda in base alle caratteristiche del loro luogo di residenza.
Questa distinzione si basa sul presupposto che in ogni ambito territoriale sono presenti fattori
22 ORIANI M., Il Family Office. Il nuovo wealth management dei grandi patrimoni famigliari, Franco Angeli, 2004.
sociali ed ambientali che possono determinare notevoli differenze nei comportamenti degli abitanti di un’area rispetto ai soggetti che risiedono in altre aree geografiche. Con l’avvento della globalizzazione questo tipo di raggruppamento a livello di singolo stato è stato sostituito a favore di una distinzione in macro aree geografiche (Europa, Nord America, America Latina, Medio Oriente, Estremo Oriente). Sempre a livello geografico esiste una distinzione tra coloro che richiedono investimenti all’estero, soprattutto in paesi con agevolazioni fiscali, detti offshore, oltre che investimenti sul mercato domestico, detti quindi onshore.
Nel descrivere il mercato del private un ruolo primario è assunto dalle variabili comportamentali, che ricavano la loro rilevanza dal fatto di riflettere direttamente le attitudini dei singoli clienti. In relazione alle modalità di fruizione del servizio, si distinguono gli investitori con elevata propensione alla delega, detti passive investor, e gli investitori poco orientati ad affidare a terzi le decisioni sul loro patrimonio, detti active investor (Tabella 1.1).
I passive investor sono clienti di tipo tradizionale, che hanno sviluppato una marcata avversione al rischio e tendono a privilegiare strumenti di risparmio gestito. Gli active investor, diversamente, sono caratterizzati da un’elevata avversione alla delega totale: sono investitori che privilegiano un consistente coinvolgimento personale nella gestione delle proprie disponibilità finanziarie e si caratterizzano per una maggiore propensione al rischio.
Tabella 1.1: profili di investitori a confronto in relazione alla propensione alla delega23
Investitori passivi
con elevata propensione alla delega sulle decisioni d’investimento
Investitori attivi
con scarsa propensione alla delega sulle decisioni d’investimento Imprenditori, professionisti con attività
proprio.
in Persone giunte ad un elevato stadio di ricchezza ad esempio ereditando il patrimonio oppure rischiando i patrimoni
altrui. Elevato coinvolgimento nella gestione
degli investimenti.
Scarsa propensione al rischio Elevata propensione al rischio.
Forte bisogno di “avere il controllo della situazione”.
Prevalentemente interessati ai servizi di investimento e ai servizi fiduciari.
Interesse rivolto anche ai servizi di finanziamento finalizzati ad incrementare il livello di leva finanziaria.
23 MUSILE TANZI P., Manuale del Private Banker, EGEA 2003.
In questo tipo di analisi si considerano congiuntamente le variabili comportamentali e la disponibilità finanziaria. Sulla base di questi parametri si distinguono: gli investitori cosiddetti consapevoli, con una spiccata attitudine per la gestione autonoma della liquidità, dagli investitori dipendenti, i quali sono soliti affidare integralmente ad asset manager la gestione della propria disponibilità liquida.
Terzo gruppo che questa ripartizione individua, è rappresentato dagli investitori indipendenti, connotati da una marcata propensione alla totale gestione autonoma della propria liquidità, resa possibile da un’ottima conoscenza del mercato e un accesso rapido e conveniente ai propri conti.
Il criterio storico, invece, fa riferimento alla modalità di origine della ricchezza distinguendo tra soggetti che possiedono un patrimonio frutto di una eredità (old money) ed individui che rappresentano la nuova classe imprenditoriale formatasi a seguito dell’evoluzione economica e tecnologica dei paesi industrializzati (new money). Questa distinzione, in qualche modo, coincide con quella precedentemente descritta: i primi, infatti, solitamente hanno ereditato la propria ricchezza, mentre i secondi sono generalmente artefici del proprio patrimonio24.
L’analisi sociologica individua, infine, diverse categorie di clienti in relazione all’attività lavorativa che essi svolgono, potendo dunque distinguere tra manager, professionisti, imprenditori o sportivi con reddito notevole, alla cultura finanziaria, differenziando tra coloro che hanno una conoscenza più o meno alte dei mercati e degli strumenti finanziari; ulteriore distinzione fatta con il criterio sociologico fa riferimento alla situazione e al numero di individui che compongono il nucleo famigliare.
La numerosità e la complessità dei parametri qualitativi individuati (Tabella 1.2) mostrano l’evidente criticità nel tentativo di realizzare un’efficace segmentazione della domanda del mercato del private25.
24 Secondo quanto riportato nel World Wealth Report 2005, redatto da Merril Lynch e Cap Gemini, si nota come l’Italia sia contraddistinta da un’elevata rilevanza percentuale della old money e da una percentuale di investitori passivi tra le più elevate del continente. Le ricchezze “di prima generazione” sono invece più frequenti in Spagna (anche per effetto del sensibile sviluppo economico conosciuto da questo Paese negli ultimi due decenni) e nel Regno Unito, dove tuttavia la quota di active investors appare sorprendentemente modesta. Gli Stati Uniti mostrano una sostenuta incidenza di clienti attivi e di prima generazione.
25 ORIANI M., Il Family Office. Il nuovo wealth management dei grandi patrimoni famigliari, Franco Angeli, 2004.
Tabella 1.2: i criteri qualitativi per la segmentazione della clientela private26
Tipologia Parametro Classificazione
Residenza Europa, Nord America,
America Latina, Medio Oriente, Pacifico, Asiatico.
Geografica
Ambito di operatività
finanziaria Offshore investor
Onshore investor Modalità di fruizione del
servizio Active investor
Passive investor Comportamentale
Autonomia gestionale Consapevoli, dipendenti, indipendenti.
Storica Genesi ricchezza Old Money
New Money
Attività lavorativa Professionista, manager, imprenditore, sportivo.
Cultura finanziaria Alto-basso grado di
conoscenza dei mercati e degli strumenti.
Sociologica
Situazione famigliare Numero componenti.
1.4 La domanda nel Private Banking e il ruolo del private banker
Evidenti ragioni di riservatezza rendono difficile tracciare una “mappa” della domanda di servizi di Private Banking. Il nostro Paese presenta a livello strutturale caratteristiche tali da renderlo unico in Europa: una capacità di risparmio molto sopra la media europea, un margine rilevante di sviluppo potenziale connesso agli ancora poco conosciuti Fondi Pensione e la presenza estesa di un segmento di piccola e media impresa che supporta la creazione di ricchezza in modo diffuso, anche se si tratta pur sempre di ricchezza molto concentrata27. In Italia abbiamo infatti un elevato numero di imprenditori con aziende di dimensioni medio - piccole, che possono arrivare a livelli di ricchezza sopra la media grazie ai ricavi derivanti dalla loro attività. Per questo troviamo un rilevante numero di imprese di dimensioni medio – piccole i cui proprietari sono potenziali clienti di servizi di Private
26 ORIANI M., Il Family Office. Il nuovo wealth management dei grandi patrimoni famigliari, Franco Angeli, 2004.
27 Il primo 10% delle famiglie italiane, detiene oltre il 60% del patrimonio totale del sistema mentre l’altro 50% delle famiglie ne detiene complessivamente meno del 10% (dati PROMETEA 2004).
Banking offerti magari in modo integrato con soluzioni di tipo corporate così da poter sfruttare la sinergia creata dalle diverse divisioni della stessa banca28.
Due sono le principali richieste manifestate da parte della clientela al private banker: da un lato la conservazione e/o l’incremento del patrimonio affidato in gestione e, dall’altro, un’elevata qualità del servizio erogato. Se questi possono essere considerati elementi comuni a tutti i clienti, diverso è comunque il significato che ad essi deve essere attribuito in relazione alla collocazione degli stessi in una delle categorie target cui viene abitualmente indirizzata l’attività del Private Banking29.
Focalizzandoci sulla prima esigenza, vale a dire il mantenimento e la crescita del capitale gestito, gli atteggiamenti che possono contraddistinguere la clientela sono piuttosto variegati:
una prima differenza risulta la sopraccitata distinzione tra investitori attivi e passivi, cui si accompagnano solitamente ulteriori suddivisioni basate in primo luogo sull’età del soggetto, sul suo atteggiamento verso il patrimonio posseduto e sulla dimensione di quest’ultimo, dalle quali emergono differenti tipologie di prodotti e servizi (Tabella 1.3) che meglio si adattano ai vari target delineati.
L’età rappresenta un fattore molto importante nel comportamento della clientela: le persone più mature tendono infatti ad assumere atteggiamenti piuttosto cauti per quanto concerne l’impiego del loro patrimonio, e ad utilizzare strumenti d’investimento di tipo tradizionale, contraddistinti da un limitato, se non quasi assente, grado di rischio, così da potersi garantire un sereno tenore di vita per gli anni a venire, e assicurarsi contro ogni possibile evento negativo (malattia, incidente, ecc.) che possa in qualche modo peggiorarlo.
Al contrario i giovani prediligono una gestione molto attiva della propria ricchezza, sono propensi a confrontarsi spesso e volentieri con il gestore sui risultati ottenuti dagli investimenti e, soprattutto più propensi al rischio.
Duplice risulta dunque il ruolo del private banker: egli deve, in primo luogo, identificare e qualificare in modo preciso e circostanziato i bisogni specifici del cliente (planning process) e, successivamente, procedere a identificare i parametri necessari per la costruzione di un portafoglio personalizzato in relazione alle esigenze manifestate (investment process)30.
28 PIETRABISSA E., FEDERICI P., Competere nel business del Private Banking: trend evolutivi e implicazioni organizzative, in Sviluppo & Organizzazione, anno 2002, fascicolo 194.
29 RESTI A., lecture note 1: la domanda e l’offerta di servizi di Private Banking: dimensioni, caratteristiche, strategie.
UniBocconi 2005.
30 BORRONI M., domanda e offerta dei servizi di Private Banking, in De Angeli Sergio: Il Private Banking in Italia, 2000, Vita & Pensiero, Milano.
Tabella 1.3: i bisogni della clientela (elaborazione da Maude – Molineux) NUOVI
CLIENTI
CLIENTI TRADIZIONALI
Ottimizzatori Conservatori Competitivi Tradizionalisti Forte domanda di
prodotti innovativi
Cauti
Ricerca del rischio Leali nella relazione di clientela
ELEVATA
Incostanti da un punto di vista relazionale
Ricerca della qualità del servizio
Costruttori Difensivi
Pragmatici Resistenti al cambiamento Neutralità verso il
Rischio
Preoccupati
Propensione a un indebitamento di tipo controllato
Avversi al rischio
Orientati al ritiro dell’attività lavorativa Scarsamente ambiziosi
GIOVANI ANZIANI
RICCHEZZA DISPONIBILE CONTENUTA
ETA’
Nella prima fase è quindi essenziale cercare di ottenere il maggior numero di informazioni possibili per far emergere con la migliore chiarezza le effettive necessità del soggetto, anche quando questi non riesca a delinearle in maniera sufficientemente precisa ed esplicita. A tale scopo, l’attività di ricerca dell’intermediario si concentrerà anzitutto su elementi di carattere demografico, quali l’età, la professione, il nucleo famigliare di appartenenza, il luogo di residenza e quello di origine, per poi approfondire quelli di natura più prettamente finanziaria, riferiti all’origine e alla dimensione del reddito percepito, all’entità e alla composizione qualitativa del patrimonio, alle eventuali posizioni debitorie, attuali e prospettiche (si pensi al caso delle spese da sostenere per l’istruzione dei figli).
La chiarificazione dei bisogni viene solitamente ottenuta attraverso la formulazione di quattro principali tipologie di quesiti che il private banker rivolge al suo cliente, così da evidenziare le esigenze esplicite e quelle implicite:
vi sono domande che riguardano la situazione attuale del soggetto (situation questions);
alcune che mirano a far emergere elementi di difficoltà o di mancata soddisfazione riguardo taluni servizi di natura finanziaria già sperimentati in precedenza (problem questions) e che potrebbero costituire un ostacolo anche nella costruzione del rapporto attuale;
altre che toccano le eventuali implicazioni connesse alla gravità o all’urgenza di situazioni problematiche nelle quali il cliente potrebbe venirsi a trovare (implication questions);
l’ultima categorie di domande sottolinea il valore o l’utilità che il soggetto può trarre dalle soluzioni proposte, così da accentuare ancora di più i benefici che tali soluzioni possono generare (need-payoff questions).
A questo primo approccio di carattere definitorio, deve seguire l’identificazione delle aspettative e dei requisiti richiesti agli investimenti che verranno posti in essere, nell’ambito dei quali almeno due fattori rivestono un’importanza fondamentale: l’orizzonte temporale prescelto e il livello massimo di propensione al rischio che il cliente manifesta. Dovrà essere naturalmente compito del private banker eliminare qualunque possibile incongruenza tra gli obiettivi dichiarati e le attitudini manifestate e, in accordo con il soggetto, concludere la stesura del financial planning evidenziando le azioni da intraprendere per la gestione del patrimonio e le diverse tipologie di prodotti e servizi a queste riconducibili o, in qualche modo, a esse collegabili.
È facilmente intuibile come il planning process risulti essere la fase più delicata del rapporto. Le diverse fasi del planning process consentiranno al private banker di giungere alla redazione del wealth plan, strumento indispensabile per l’identificazione dei fabbisogni del cliente (Grafico 1.2).
Grafico 1.2: Le fasi di costruzione del piano della ricchezza (wealth plan)31
1) determinazione degli obiettivi
finanziari.
5) selezione della strategia finanziaria
più appropriata e relativa implementazione.
6) revisione del wealth plan su base annuale o
al verificarsi di cambiamenti significativi nella situazione personale.
4) sviluppo del wealth plan e delle strategie
relative.
3) analisi della situazione finanziaria
personale e delle preferenze individuali.
2) raccolta delle informazioni
necessarie e discussione delle possibili strategie.
Caratteristica fondamentale del piano deve essere anzitutto la flessibilità, così da consentire tempestive “correzioni di rotta” al verificarsi di situazioni contingenti impreviste.
Quanto al contenuto, va invece osservato che gli elementi in esso evidenziati devono essere :
31 BORRONI M., domanda e offerta dei servizi di Private Banking, in De Angeli Sergio: Il Private Banking in Italia, 2000, Vita & Pensiero, Milano.
il profilo finanziario del cliente dove, accanto alle sue caratteristiche comportamentali, deve essere indicata la composizione qualitativa dei suoi asset e dei flussi finanziari, in entrata e in uscita;
gli obiettivi finanziari, con particolare riguardo alla situazione pensionistica, all’accumulazione del capitale e alla gestione dei flussi reddituali futuri;
alcune proiezioni di medio – lungo periodo sull’andamento di talune variabili macroeconomiche, e sui conseguenti adattamenti delle strategie di investimento che potrebbero rendersi necessari;
il piano operativo nel quale si deve concretizzare l’azione consulenziale, attraverso l’indicazione di step successivi da porre in essere.
Una volta contattate le strutture preposte per procedere alla fase applicativa dell’investment process, il relationship manager verrà ad assumere un ruolo fondamentale di trait d’union tra la componente più squisitamente operativa dell’attività di Private Banking e il cliente stesso, cui dovrà periodicamente relazionare in merito alle politiche d’investimento adottate dal gestore del portafoglio, alle performance da questo conseguite e al raggiungimento degli obiettivi inizialmente fissati, e con il quale dovrà concordare gli eventuali cambiamenti ogniqualvolta questi dovessero rendersi necessari, per il mutare delle condizioni di partenza originariamente individuate ovvero, più semplicemente, per il normale trascorrere del tempo, che d’abitudine dà luogo a una modifica delle esigenze di carattere finanziario del cliente.
1.5 I “prodotti tradizionali” del Private Banking
«Consideriamo il Private Banking come una catena del valore per costruire soluzioni personalizzate. Questa filosofia si manifesta nella vasta gamma di prodotti e servizi erogati secondo una logica societaria strutturata»32.
Il cliente ha la possibilità di accedere ad una serie di prodotti e ad una gamma di opzioni di investimento molto più ampia e complessa di quella a disposizione degli investitori retail.
Abbiamo infatti constatato in precedenza come una peculiarità da attribuire al mercato del Private Banking è quella di essere un mercato caratterizzato da un’elevata diversificazione.
32 www.juliusbear.com
L’evoluzione della domanda di servizi di Private Banking induce a continue modificazioni del modello di offerta degli intermediari, al fine di soddisfare una clientela sempre più esigente. Anche quando non sia esattamente percepita e considerata come fattore chiave di acquisto, la componente costo assume una valenza determinante in una fase di competitività e di compressione dei ricavi. Se quindi la standardizzazione della produzione riduce i costi, aumentando la qualità tecnica dei prodotti, la differenziazione e la personalizzazione del servizio avviene nella fase di distribuzione, ovvero nella relazione con il cliente, caratterizzata da elevata professionalità, competenze specialistiche e assemblaggio su misura di prodotti/servizi dedicati. La sensibilità del cliente al pricing può essere minimizzata mediante l’offerta di prodotti più sofisticati e maggiormente adatti alle sue specifiche caratteristiche; si sta peraltro affermando nel mercato l’orientamento a meccanismi di prezzo a forfait anziché basati sul numero di transazioni o sui volumi33.
Il mutamento che, negli ultimi anni, ha caratterizzato il profilo del cliente private non ha tuttavia ridotto l’importanza e la rilevanza dei cosiddetti prodotti e servizi tradizionali, ai quali sono poi andati ad aggiungersi una quantità innumerevole di prodotti e servizi innovativi34.
In questo paragrafo si presentano i prodotti che più spesso compaiono nei portafogli della clientela private, unitamente a quelle che sono le rispettive principali caratteristiche. Per comodità di esposizione, buona parte della letteratura in materia, è solita distinguere tra investimenti finanziari, servizi finanziari non d’investimento, investimenti non finanziari, altri servizi (non finanziari) diversi da quelli d’investimento35.
INVESTIMENTI FINANZIARI: tale gruppo è il più numeroso e complesso. In esso è possibile effettuare un’ulteriore distinzione tra servizi d’investimento diretto, gestioni individuali, gestioni in monte.
Investimento diretto in titoli: la private bank agisce unicamente come custode e amministratore dei titoli del cliente. Il servizio di amministrazione impone alla banca di porre in essere tutti gli adempimenti necessari per il regolare godimento dei diritti connessi con il possesso dei titoli (incasso di cedole, rimborso del capitale, esercizio di
33 ZANCANARO M., Problemi e soluzioni organizzative per l’attività di Private Banking. MK, n°5, 2003.
34 MODINA M., La domanda di Private Banking in Italia e all’estero e la matrice clienti/prodotti/canali, in Resti A., Il Private Banking. Gestione del risparmio e della clientela: strategie, strumenti ed esperienze, Edibank, 2003.
35 RESTI A., lecture note 3: prodotti e servizi per competere nel Private Banking, UniBocconi 2005.
opzioni in the money, ecc.); la banca assume inoltre l’obbligo di procedere ad un reporting periodico delle consistenze del deposito, e alla rendicontazione annua necessaria ai fini fiscali (ad esempio, per compensare debiti e crediti d’imposta derivanti da plus e minusvalenze emerse su titoli diversi). Il contratto di custodia e amministrazione richiede al cliente il pagamento di una commissione (di solito fissa); la banca guadagna inoltre provvigioni sulle singole negoziazioni disposte per movimentare il portafoglio. Attraverso un’attività di consulenza informale la banca è anche in grado di orientare gli investimenti del cliente verso strumenti finanziari interni o da fornitori esterni, in tal caso, essa può lucrare il profitto implicito nel pricing di tali strumenti; è questo il caso dei contratti d’opzione destinati al mercato dei privati (i cosiddetti covered warrants), contraddistinti da margini più elevati rispetto alle opzioni quotate in borsa;
Gestioni individuali di patrimoni mobiliari (GPM): nella gestione di patrimoni individuali un soggetto abilitato a erogare il servizio (in Italia: una banca, una SGR o una SIM) riceve dal cliente un mandato discrezionale36. Tale mandato, solitamente vincolato dall’esistenza di alcune linee guida concordate precedentemente, ha per oggetto l’investimento in strumenti finanziari37. Tra questi figurano anche le quote di fondi comuni (in tal caso si parla di GPF). Diversamente che nella gestione in monte, il patrimonio di ogni cliente (sia esso un privato o un’istituzione) è contabilmente distinto ed investito in un dossier titoli di sua diretta proprietà. Il gestore della GPF, forte del proprio potere contrattuale, può ottenere dai gestori dei fondi una riduzione sulle commissioni di sottoscrizione e di gestione (sconto che peraltro serve a compensare i maggiori oneri sostenuti dal cliente che decide di sottoscrivere fondi attraverso una GPF, pagando le relative commissioni).
Fondi comuni d’investimento: in tale categoria, oltre ai fondi aperti e fondi chiusi sono inclusi anche i fondi riservati, i fondi speculativi e le SICAV. I fondi riservati non possono essere sottoscritti dalla generalità dei risparmiatori, ma soltanto da soggetti particolarmente esperti in materia di investimenti e gestione del risparmio; tali fondi, in virtù della minore tutela richiesta dai loro sottoscrittori, possono superare le norme di frazionamento del rischio imposte invece ai fondi destinati alla generalità degli
36 Anche se la normativa prevede la possibilità che le parti stabiliscano l’obbligo di un preventivo consenso del cliente prima di ogni acquisto o vendita, nella prassi il gestore, purchè si attenga alle linee guida concordate, viene autorizzato ad operare senza sottoporre all’approvazione del cliente le singole operazioni (e si limita a rendicontarle a consuntivo).
37 Sono invece esclusi dal servizio gli investimenti diversi dagli strumenti finanziari in senso stretto (crediti, immobili o altri beni). Da questo punto di vista,dunque, la gestione in monte attraverso un fondo comune consento una maggior latitudine operativa nella scelta degli attivi in cui investire.
investitori. I fondi speculativi rappresentano la versione italiana degli hedge funds, strumenti cui fanno riscontro particolari strategie di gestione che li portano ad assumere un grado di rischio particolarmente elevato. Le SICAV, infine, sono assimilabili ai fondi comuni ma i risparmiatori, conferendo i propri risparmi, assumono la veste di azionisti della società di gestione.
Exchange traded funds: gli ETF sono strumenti d’investimento collettivo del risparmio scambiati su mercati regolamentati che mirano a replicare, con uno stretto margine di scostamento, indici finanziari noti e rappresentativi di particolari mercati azionari o obbligazionari. Sono prontamente liquidabili e vengono negoziati nel continuo alla stregua di un titolo azionario. Rispetto ai classici fondi comuni aperti, gli ETF, che non ricalibrano il proprio portafoglio se non per seguire le periodiche variazioni della composizione ufficiale dei loro indici di riferimento, hanno commissioni di gestione estremamente contenute38. Gli ETF rappresentano dunque una minaccia per i margini dei gestori, in particolare per le società di gestione abituate ad offrire ai propri clienti fondi comuni (o gestioni individuali) contraddistinti da provvigioni medio – alte;
Fondi chiusi di private equity: si tratta di fondi chiusi che investono in capitale di rischio di imprese non quotate. Il loro intervento può essere associato a particolari fasi di vita dell’impresa (si parla, in tal caso, di venture capital) o all’ingresso nella compagine azionaria del management aziendale (management buy out)39. Oltre che attraverso il venture capital e il management buy-out, i fondi di private equity possono selezionare i propri investimenti anche sul mercato secondario, acquistando quote di imprese cedute da altri fondi di private equity o dando vita a fondi di fondi. Se venture capital, management buy-out e mercato secondario rappresentano i tre principali canali di investimento, anche il disinvestimento finale delle partecipazioni acquisite avviene attraverso diverse modalità. Una è la quotazione in borsa, che richiede evidentemente un arco di tempo abbastanza ampio. Altri possibili approcci allo smobilizzo dell’investimento sono la cessione a nuovi soci, l’incorporazione in società quotate, la
38 È per questo motivo che tali prodotti compaiono con sempre maggiore frequenza nei portafogli dei clienti private di tipo
“attivo”, che accettano di pagare commissioni di gestione elevate soltanto per le componenti del proprio patrimonio (come gli hedge funds) investite secondo strategie più aggressive e labour – intensive.
39 Il venture capital può consistere nel seed financing o early-stage financing (se l’investimento avviene in imprese al debutto, o di recente istituzione).
Il management buy-out (MBO) prevede l’acquisto di un’impresa da parte del management e del fondo di private equity.
Spesso è leveraged, nel senso che comporta un forte ricorso al debito, destinato ad essere ripagato con i flussi di cassa originati dall’azienda acquisita. Si parla di management buy-in se il management non acquista l’impresa in cui lavora, ma un’azienda concorrente.
cessione delle quote al management o al socio di maggioranza e non di rado (anche se quest’ultima rappresenta chiaramente una modalità di disinvestimento “subita” e non prevista...) l’azzeramento della partecipazione a seguito di un fallimento. I fondi di private equity in Italia hanno solitamente durata decennale ed investono privilegiando aziende consolidate. Sovente, l’investimento nel fondo è riservato a investitori qualificati.
Il calcolo della performance dei fondi chiusi di private equity presenta difficoltà peculiari, legate al fatto che i conferimenti di capitale ricevuti dal fondo sono spesso graduali, ed altrettanto graduale è l’emersione dei profitti, che tende a concentrarsi su scadenze lontane nel tempo. Ciò fa si che un semplice tasso di rendimento periodale potrebbe condurre a valori scarsamente significativi, quando non palesemente assurdi. Si tende dunque ad utilizzare, come misura della performance di un fondo di private equity, l’internal rate of return (IRR) calcolato sull’intero ciclo di vita del fondo (o almeno su un congruo numero di esercizi) 40.
Fondi chiusi immobiliari: rappresentano una particolare classe di fondi chiusi, divenuti operativi in Italia alla fine degli anni ‘90 e cresciuti, negli anni successivi, grazie alle negative performance registrate dai mercati finanziari tradizionali, al sostenuto incremento di prezzo degli immobili e ad un regime fiscale favorevole. In Italia i fondi comuni immobiliari devono avere durata non superiore a trenta anni, sono destinati alla quotazione in borsa e il loro patrimonio deve essere investito per almeno i due terzi in beni immobili o assimilabili41. L’investimento minimo in un fondo immobiliare è pari a 25.000 euro. Sono ammesse le sottoscrizioni in natura. Se tali sottoscrizioni sono effettuate dai soci della SGR che gestisce il fondo o dal gruppo di cui essa fa parte, è necessario rispettare una serie di vincoli imposti a guardia dei possibili conflitti di interesse.
Gli Hedge Funds o “fondi speculativi”: i fondi hedge appartengono al settore degli
“alternative investments”, investimenti contraddistinti da una bassa correlazione con i tradizionali benchmark obbligazionari ed azionari che consentono, se inseriti in un portafoglio di strumenti finanziari, di limitare la volatilità del rendimento complessivo. È a questa capacità di limitare il rischio totale di portafoglio che gli hedge funds devono il
40 Come è noto l’IRR ha il pregio della sintesi, condensando in un solo tasso di rendimento un giudizio sulla redditività complessiva di un progetto contraddistinto da flussi di entrata e di uscita significativamente scaglionati nel tempo.
41 Il termine assimilabili indica diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari. Tale limite minimo non vale per i primi due anni di attività; in tal modo, si riconosce al gestore un adeguato lasso di tempo per scegliere oculatamente i propri investimenti sul mercato.
loro appellativo di “fondi di copertura”. In realtà, un utilizzo aggressivo della leva e l’acquisto in grandi quantità di strumenti finanziari relativamente poco liquidi rendono sovente questi fondi fortemente rischiosi. Le strategie di investimento associate a tali strumenti sono molto eterogenee e presentano le seguenti caratteristiche: sono ispirate alla ricerca di rendimenti assoluti, svincolate dall’andamento complessivo del mercato finanziario; non prevedono particolari vincoli di asset allocation e di concentrazione dei rischi; investono in misura notevole in strumenti derivati; comportano alte soglie d’ingresso; offrono un’informazione scarsamente trasparente sugli investimenti effettuati, anche perché il loro successo dipende in maniera cruciale dalla possibilità di battere sul tempo gli altri investitori.
I fondi di fondi: sono “fondi di fondi” tutti quei fondi comuni (in genere aperti) che investono (anche, o esclusivamente) in quote di altri fondi: in base alla terminologia correntemente utilizzata dagli operatori, si parla di un top - tier fund che investe in più bottom - tier funds42.
Assicurazioni sulla vita: le assicurazioni sulla vita rappresentano un investimento piuttosto diffuso presso i clienti private; ciò è dovuto a determinati vantaggi sul piano legale (im pignorabilità e insequestrabilità) che le rendono particolarmente resistenti ad eventuali pretese dei creditori dell’assicurato. Inoltre, attraverso le polizze “miste” (caso vita e caso morte), il cliente acquista uno strumento di investimento che è anche una forma di protezione dal rischio di premorienza, rendendo particolarmente efficace la tutela del patrimonio famigliare. Nel mercato private risultano particolarmente diffusi i cosiddetti prodotti a “premio unico” nei quali il cliente costituisce con un unico versamento (come se acquistasse un titolo) le riserve necessarie ad alimentare la copertura assicurativa. Un altro prodotto di matrice assicurativa assai diffuso nel comparto private è dato dalle polizze unit e index linked, il cui rendimento è collegato ad un indice di mercato o a un fondo comune.
Prodotti a capitale o a rendimento garantito: si tratta di prodotti che possono assumere forme diverse (polizza assicurative,gestioni patrimoniali individuali, fondi comuni a capitale garantito, obbligazioni strutturate) ma che condividono l’impegno, da parte del gestore, alla restituzione del capitale versato, eventualmente maggiorato di un
42 Diversamente da altre legislazioni nazionali, la normativa italiana non prevede un’incidenza minima di fondi bottom – tier negli attivi del fondo principale; in diversi sistemi finanziari esteri, invece, sono fondi di fondi soltanto quelli che allocano in quote di fondi almeno il 30%-50% dei propri attivi.
rendimento minimo43. In contropartita alla garanzia del rendimento minimo, di solito il cliente accetta un costo iniziale e/o un’incompleta partecipazione agli utili della gestione.
I prodotti a capitale garantito possono creare un conflitto di interesse tra i clienti e il gestore perché questi, onde evitare di essere chiamato a ripianare eventuali perdite per garantire al cliente la restituzione del capitale, potrebbe appiattire il proprio stile di gestione su un profilo eccessivamente conservativo, rinunciando a favorevoli opportunità di guadagno per il sottoscrittore. Le gestioni garantite, inoltre, possono creare particolari problemi per la stabilità del gestore, visto che esse fanno sorgere un rischio di mercato in capo alla società di asset management44. Una fase di forte popolarità ha interessato tali prodotti dopo il calo di borsa del 2000, che ha spinto molti investitori privilegiare questa classe di prodotti, in grado di offrire utili ancorati alle variabili di mercato, e di porre nel contempo un argine alle possibili perdite.
SERVIZI FINANZIARI NON DI INVESTIMENTO: prodotti finanziari, diversi dagli investimenti, possono essere venduti con successo alla clientela high net worth. Tra questi vanno ricordati i servizi di pagamento e i crediti.
Servizi di pagamento: tra i servizi di pagamento, un esempio è costituito dalle carte di credito ad elevato massimale, spesso accompagnate da servizi accessori offerti attraverso convenzioni con compagnie aeree, catene alberghiere o prodotti di beni di lusso. Queste carte, oltre a presentare margini di redditività piuttosto elevati (grazie ai canoni annuali ad ai tassi di interesse applicati su eventuali anticipazioni di credito), comportano per la banca emittente l’ ulteriore vantaggio di indurre il cliente a detenere elevate disponibilità finanziarie liquide sul proprio conto corrente. Esse presentano, peraltro, rischi operativi più consistenti rispetto alle normali carte destinate al mercato retail, perché lo smarrimento o il furto di pochi esemplari può comportare utilizzi in assoluto consistenti45.
Un altro servizio di pagamento, di natura tipicamente offshore, è dato dai conti di transito (passtrough accounts). Si tratta di conti correnti il cui compito non è quello di fungere da
43 Essi sono dunque diversi dai prodotti (ad esempio, dai fondi comuni d’investimento) a “capitale protetto”, che non assumono un impegno formale ma si limitano a porre in essere politiche di gestione improntate alla conservazione del capitale.
44 In presenza di una garanzia, è come se il gestore scrivesse un’opzione put sul portafoglio in gestione, concedendo la facoltà di rivendere al cliente ad un prezzo prefissato e pari al capitale iniziale (più l’eventuale rendimento garantito).
45 Tale eventualità viene solitamente coperta dalle private bank con una assicurazione, i cui costi possono essere agevolmente fatturati al cliente, viste le condizioni di pricing, mediamente assai remunerative, a cui sono collocate le carte.