Evidenti ragioni di riservatezza rendono difficile tracciare una “mappa” della domanda di servizi di Private Banking. Il nostro Paese presenta a livello strutturale caratteristiche tali da renderlo unico in Europa: una capacità di risparmio molto sopra la media europea, un margine rilevante di sviluppo potenziale connesso agli ancora poco conosciuti Fondi Pensione e la presenza estesa di un segmento di piccola e media impresa che supporta la creazione di ricchezza in modo diffuso, anche se si tratta pur sempre di ricchezza molto concentrata27. In Italia abbiamo infatti un elevato numero di imprenditori con aziende di dimensioni medio - piccole, che possono arrivare a livelli di ricchezza sopra la media grazie ai ricavi derivanti dalla loro attività. Per questo troviamo un rilevante numero di imprese di dimensioni medio – piccole i cui proprietari sono potenziali clienti di servizi di Private
26 ORIANI M., Il Family Office. Il nuovo wealth management dei grandi patrimoni famigliari, Franco Angeli, 2004.
27 Il primo 10% delle famiglie italiane, detiene oltre il 60% del patrimonio totale del sistema mentre l’altro 50% delle famiglie ne detiene complessivamente meno del 10% (dati PROMETEA 2004).
Banking offerti magari in modo integrato con soluzioni di tipo corporate così da poter sfruttare la sinergia creata dalle diverse divisioni della stessa banca28.
Due sono le principali richieste manifestate da parte della clientela al private banker: da un lato la conservazione e/o l’incremento del patrimonio affidato in gestione e, dall’altro, un’elevata qualità del servizio erogato. Se questi possono essere considerati elementi comuni a tutti i clienti, diverso è comunque il significato che ad essi deve essere attribuito in relazione alla collocazione degli stessi in una delle categorie target cui viene abitualmente indirizzata l’attività del Private Banking29.
Focalizzandoci sulla prima esigenza, vale a dire il mantenimento e la crescita del capitale gestito, gli atteggiamenti che possono contraddistinguere la clientela sono piuttosto variegati:
una prima differenza risulta la sopraccitata distinzione tra investitori attivi e passivi, cui si accompagnano solitamente ulteriori suddivisioni basate in primo luogo sull’età del soggetto, sul suo atteggiamento verso il patrimonio posseduto e sulla dimensione di quest’ultimo, dalle quali emergono differenti tipologie di prodotti e servizi (Tabella 1.3) che meglio si adattano ai vari target delineati.
L’età rappresenta un fattore molto importante nel comportamento della clientela: le persone più mature tendono infatti ad assumere atteggiamenti piuttosto cauti per quanto concerne l’impiego del loro patrimonio, e ad utilizzare strumenti d’investimento di tipo tradizionale, contraddistinti da un limitato, se non quasi assente, grado di rischio, così da potersi garantire un sereno tenore di vita per gli anni a venire, e assicurarsi contro ogni possibile evento negativo (malattia, incidente, ecc.) che possa in qualche modo peggiorarlo.
Al contrario i giovani prediligono una gestione molto attiva della propria ricchezza, sono propensi a confrontarsi spesso e volentieri con il gestore sui risultati ottenuti dagli investimenti e, soprattutto più propensi al rischio.
Duplice risulta dunque il ruolo del private banker: egli deve, in primo luogo, identificare e qualificare in modo preciso e circostanziato i bisogni specifici del cliente (planning process) e, successivamente, procedere a identificare i parametri necessari per la costruzione di un portafoglio personalizzato in relazione alle esigenze manifestate (investment process)30.
28 PIETRABISSA E., FEDERICI P., Competere nel business del Private Banking: trend evolutivi e implicazioni organizzative, in Sviluppo & Organizzazione, anno 2002, fascicolo 194.
29 RESTI A., lecture note 1: la domanda e l’offerta di servizi di Private Banking: dimensioni, caratteristiche, strategie.
UniBocconi 2005.
30 BORRONI M., domanda e offerta dei servizi di Private Banking, in De Angeli Sergio: Il Private Banking in Italia, 2000, Vita & Pensiero, Milano.
Tabella 1.3: i bisogni della clientela (elaborazione da Maude – Molineux)
Ricerca del rischio Leali nella relazione di clientela
ELEVATA
Incostanti da un punto di vista relazionale
Ricerca della qualità del servizio
Costruttori Difensivi
Pragmatici Resistenti al cambiamento Neutralità verso il
Orientati al ritiro dell’attività lavorativa Scarsamente ambiziosi
GIOVANI ANZIANI
RICCHEZZA DISPONIBILE CONTENUTA
ETA’
Nella prima fase è quindi essenziale cercare di ottenere il maggior numero di informazioni possibili per far emergere con la migliore chiarezza le effettive necessità del soggetto, anche quando questi non riesca a delinearle in maniera sufficientemente precisa ed esplicita. A tale scopo, l’attività di ricerca dell’intermediario si concentrerà anzitutto su elementi di carattere demografico, quali l’età, la professione, il nucleo famigliare di appartenenza, il luogo di residenza e quello di origine, per poi approfondire quelli di natura più prettamente finanziaria, riferiti all’origine e alla dimensione del reddito percepito, all’entità e alla composizione qualitativa del patrimonio, alle eventuali posizioni debitorie, attuali e prospettiche (si pensi al caso delle spese da sostenere per l’istruzione dei figli).
La chiarificazione dei bisogni viene solitamente ottenuta attraverso la formulazione di quattro principali tipologie di quesiti che il private banker rivolge al suo cliente, così da evidenziare le esigenze esplicite e quelle implicite:
vi sono domande che riguardano la situazione attuale del soggetto (situation questions);
alcune che mirano a far emergere elementi di difficoltà o di mancata soddisfazione riguardo taluni servizi di natura finanziaria già sperimentati in precedenza (problem questions) e che potrebbero costituire un ostacolo anche nella costruzione del rapporto attuale;
altre che toccano le eventuali implicazioni connesse alla gravità o all’urgenza di situazioni problematiche nelle quali il cliente potrebbe venirsi a trovare (implication questions);
l’ultima categorie di domande sottolinea il valore o l’utilità che il soggetto può trarre dalle soluzioni proposte, così da accentuare ancora di più i benefici che tali soluzioni possono generare (need-payoff questions).
A questo primo approccio di carattere definitorio, deve seguire l’identificazione delle aspettative e dei requisiti richiesti agli investimenti che verranno posti in essere, nell’ambito dei quali almeno due fattori rivestono un’importanza fondamentale: l’orizzonte temporale prescelto e il livello massimo di propensione al rischio che il cliente manifesta. Dovrà essere naturalmente compito del private banker eliminare qualunque possibile incongruenza tra gli obiettivi dichiarati e le attitudini manifestate e, in accordo con il soggetto, concludere la stesura del financial planning evidenziando le azioni da intraprendere per la gestione del patrimonio e le diverse tipologie di prodotti e servizi a queste riconducibili o, in qualche modo, a esse collegabili.
È facilmente intuibile come il planning process risulti essere la fase più delicata del rapporto. Le diverse fasi del planning process consentiranno al private banker di giungere alla redazione del wealth plan, strumento indispensabile per l’identificazione dei fabbisogni del cliente (Grafico 1.2).
Grafico 1.2: Le fasi di costruzione del piano della ricchezza (wealth plan)31
1) determinazione degli obiettivi
finanziari.
5) selezione della strategia finanziaria
più appropriata e relativa implementazione.
6) revisione del wealth plan su base annuale o
al verificarsi di cambiamenti significativi nella situazione personale.
4) sviluppo del wealth plan e delle strategie
relative.
3) analisi della situazione finanziaria
personale e delle preferenze individuali.
2) raccolta delle informazioni
necessarie e discussione delle possibili strategie.
Caratteristica fondamentale del piano deve essere anzitutto la flessibilità, così da consentire tempestive “correzioni di rotta” al verificarsi di situazioni contingenti impreviste.
Quanto al contenuto, va invece osservato che gli elementi in esso evidenziati devono essere :
31 BORRONI M., domanda e offerta dei servizi di Private Banking, in De Angeli Sergio: Il Private Banking in Italia, 2000, Vita & Pensiero, Milano.
il profilo finanziario del cliente dove, accanto alle sue caratteristiche comportamentali, deve essere indicata la composizione qualitativa dei suoi asset e dei flussi finanziari, in entrata e in uscita;
gli obiettivi finanziari, con particolare riguardo alla situazione pensionistica, all’accumulazione del capitale e alla gestione dei flussi reddituali futuri;
alcune proiezioni di medio – lungo periodo sull’andamento di talune variabili macroeconomiche, e sui conseguenti adattamenti delle strategie di investimento che potrebbero rendersi necessari;
il piano operativo nel quale si deve concretizzare l’azione consulenziale, attraverso l’indicazione di step successivi da porre in essere.
Una volta contattate le strutture preposte per procedere alla fase applicativa dell’investment process, il relationship manager verrà ad assumere un ruolo fondamentale di trait d’union tra la componente più squisitamente operativa dell’attività di Private Banking e il cliente stesso, cui dovrà periodicamente relazionare in merito alle politiche d’investimento adottate dal gestore del portafoglio, alle performance da questo conseguite e al raggiungimento degli obiettivi inizialmente fissati, e con il quale dovrà concordare gli eventuali cambiamenti ogniqualvolta questi dovessero rendersi necessari, per il mutare delle condizioni di partenza originariamente individuate ovvero, più semplicemente, per il normale trascorrere del tempo, che d’abitudine dà luogo a una modifica delle esigenze di carattere finanziario del cliente.