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CRONOLOGIA SACRA E PROFANA: I PRINCIPALI STUDI COMPIUTI DAL XVI SECOLO ALLA PRIMA METÀ DEL XIX SECOLO

Per cominciare a vedere dei risultati negli studi sulla cronologia antica, bisogna iniziare da Giuseppe Scaligero, la cui opera segna un cambiamento radicale rispetto agli studi dei suoi predecessori e si distingue anche da quella dei suoi successori, poiché ad un metodo cronologico, scientificamente fondato, associa un metodo filologico.

Un   importante   lavoro   su   quest’argomento   è   rappresentato   dall’articolo   di   Anthony Grafton,   il   quale   focalizza   l’attenzione   sulla   disciplina   della   cronologia   storica,   iniziando dalla sua nascita con Giuseppe Scaligero fino al declino che seguì i suoi studi.146

Prima dello Scaligero, gli studiosi di cronologia seguivano o la sola Bibbia o incrociavano   la   testimonianza   del   testo   sacro   con   l’opera   di   Annio   di   Viterbo,   Antiquitatum variarum, dove sono contenuti scritti falsamente attribuiti ad autori molto antichi, come Berosso, Manetone, Fabio Pittore e altri sulla cui autenticità nacquero presto dubbi che furono poi confermati dallo Scaligero. Annio, religioso e umanista del XV secolo, tendeva a screditare gli storici antichi greci e romani, sostenendo che gli unici degni di fede erano i sacerdoti egizi, compilatori di annali pubblici; se le storie sacerdotali si trovavano in disaccordo ad esempio con Giuseppe Flavio o Erodoto, allora questi ultimi dovevano aver sbagliato e la loro testimonianza doveva essere respinta.

Anche prima dello Scaligero si era sempre saputo da fonti letterarie e patristiche che i sacerdoti egizi della tarda antichità avevano rivendicato per le loro dinastie più antiche   un’età   molto   più   lunga   di   quella   biblica.   Il   problema   del   lungo   passato   egiziano rispetto alla brevità della tradizione cronologica greca è analizzato da Ian S. Moyer nel suo interessante saggio Egypt and the Limits of Hellenism.147 Il punto da cui   parte   la   trattazione   di   Moyer   è   Erodoto   e   il   celebre   racconto   dell’incontro   di   Ecateo di Mileto, e poi di Erodoto, con i sacerdoti tebani.148 Dopoché lo storico

Ecateo ebbe esposto la sua genealogia, facendo risalire la sua famiglia a un dio come sedicesimo ascendente, i sacerdoti egizi confutarono le affermazioni di Ecateo

146 Grafton A., Joseph Scaliger and Historical Chronology: the Rise and Fall of a Discipline,

in History and Theory, Vol. 14, n°2 1975, pp. 156-185

147 Moyer Ian S., Egypt and the Limits of Hellenism, New York, Cambridge University

Press 2011, cap. I-III

e  gli  opposero  nel  computo  un’altra  genealogia.  Gli  mostrarono  345  statue  di  legno   rappresentanti  un’unica  famiglia  di  sacerdoti  egiziani,  ciascuno  erede  della  carica  del   proprio padre: tutti quelli che le statue rappresentavano erano stati uomini e non divinità. Questo aneddoto, afferma Moyer,149 rappresentò   l’inizio   sia   di   una   visione   dell’Egitto come fonte della sapienza, una sapienza che deriva dalla grande antichità della civiltà egizia, che si è conservata attraverso le testimonianze di una cultura che affonda le radici in un passato lontano, sia della presa di coscienza per Erodoto della “giovinezza”  della  civiltà  greca  rispetto  alla  grande  antichità  di  quella  egizia.

Con   l’uscita   dell’opera   sulla   cronologia   dello   Scaligero,   il   Thesaurus temporum del 1606, le dinastie egizie diventarono un problema strettamente cronologico.

Questo lavoro era iniziato in origine per ricostruire la Cronaca greca di Eusebio che era andata perduta, mentre era sopravvissuta nella versione latina del secondo libro di Gerolamo e in una completa versione armena. In un primo momento, lo Scaligero intendeva ricostruire la versione greca perduta da quella latina superstite. In seguito, però, egli scoprì e pubblicò gli estratti di Eusebio riportati nella Cronaca bizantina di Giorgio Sincello, che aveva conservato le parti del I libro di Eusebio, non tradotte da Gerolamo. Lo Scaligero fu particolarmente interessato al frammento che conteneva le   trentuno   dinastie   che   Eusebio   e   l’Africano   avevano   ricavato   dai   “tomoi”   di   Manetone. Queste liste erano ricche di dettagli, ma erano anche piuttosto sconcertanti. Sincello fornì, in parallelo, liste divergenti delle dinastie di Manetone, rispetto   a   quelle   date   da   Eusebio   e   dall’Africano.   Inoltre,   aveva   presentato   un’ulteriore  lista,  presumibilmente  compilata  dallo  studioso  alessandrino  Eratostene,   che differiva notevolmente dalle altre due versioni della lista di Manetone: egli dava infatti alle dinastie i nomi delle città –ad esempio, III dinastia dei menfiti- senza spiegare   né  l’ordine  in  cui  apparivano  i  nomi  delle  diverse   città  né  che  cosa  i  nomi   significassero. Per lo Scaligero, la durata complessiva delle dinastie di Manetone rappresentò   un   grosso   problema,   perché,   come   egli   scrisse   “queste dinastie precedono il racconto mosaico della Creazione di un lungo intervallo di tempo”,   precisamente di 1336 anni. Le dinastie indicate da Manetone avrebbero avuto inizio in   un   tempo   che   oltrepassava   i   limiti   e   l’inizio   del   Periodo   Giuliano.150 Lo Scaligero basava la sua teoria su un calcolo, fondato su cognizioni astronomiche, che lo aveva portato a determinare il periodo cosiddetto Giuliano (un ciclo  di  7980  anni)  con  l’anno  

149 Op. cit., p. 42

150 Scaligero G., Thesaurus temporum, Isagogici Canones,   274:   “Dynastiae   Aegyptiorum  

4713 a.C. come punto di partenza, risultato della moltiplicazione del ciclo solare, lunare e di indizione. In questo modo, egli riusciva a stabilire le corrispondenze tra i tre diversi cicli di datazione e permetteva di stabilire conversioni tra metodi diversi di datazione, ottenendo per ogni evento la cronologia assoluta e relativa secondo il suo periodo Giuliano. Nella sua opera, le prime quattro dinastie egizie venivano a trovarsi anteposte al periodo Giuliano; in questo modo le dinastie avrebbero avuto inizio non solo prima della creazione del mondo, che lo Scaligero pone nel 3949 a.C., ma addirittura prima del 4713 a.C. Lo studioso cercò di risolvere il problema cronologico, creando   il   “tempo   prolettico”,   uno   spazio   in   cui inserire quelle dinastie, postulando l’esistenza  di  possibili  infiniti  “periodi  giuliani”,  la  cui  collocazione  non  concordava  con   la tradizione biblica.

Una delle conseguenze più importanti fu che lo Scaligero con il suo lavoro aprì la questione, per gli studiosi   che   seguirono,   sull’attendibilità   o   meno   della   Bibbia   o   meglio sulla necessità, pur non rifiutando la tradizione biblica, di valutare anche l’attendibilità  delle  fonti  pagane.  

La fortuna di Manetone e della cronologia egizia cambiarono in peggio nel 1641 con l’opera   di   Gerardus   Vossius,   De Theologia gentili, dove lo scrittore suggerì che alcune delle dinastie egizie non erano successive ma contemporanee in luoghi diversi.  Il  Vossius,  turbato  dalle  accuse  d’empietà  mosse  contro  lo  Scaligero  a  causa del periodo Giuliano prolettico, distorse le parole dello Scaligero affinchè sembrasse che  anche  secondo  l’umanista  francese  alcune  dinastie  erano  contemporanee.  Il  De theologia gentili ebbe  conseguenze  ancor  più  gravi  che  non  l’alterazione  del  pensiero   del suo predecessore, perché non basava la discussione sulla cronologia su basi tecniche.

Un decennio e mezzo dopo, il problema delle origini egizie si ripresentò con Isaac de La Peyrere che, nel suo Systema theologicum ex Praeadamitarum hypothesi (1655), ipotizzò   che   l’umanità   esistesse   già   prima   di   Adamo   e   che   la   Bibbia   non   rappresentasse dunque una testimonianza completa della storia umana.

Il problema della cronologia continuò a occupare gli studiosi molto tempo dopo che la polemica immediata destata da La Peyrere con la sua teoria si era spenta. Sempre nel XVII secolo apparve il Chronicus canon di John Marsham, che fu pubblicato nel 1672. Egli si rifece alle fonti greche e privilegiò quanto queste dicevano circa le testimonianze egizie degli antichi templi rispetto alla tradizione ebraica, affermando addirittura che essa derivava in gran parte da quella egizia. Come metodo cronologico,  ridusse  l’immensa  antichità  degli  egizi  entro   i  limiti  del  calcolo  ebraico;;  

come lui stesso affermò, se fosse riuscito a inserire tutte le dinastie entro il termine più breve consentito dalla Bibbia ebraica, allora avrebbe potuto adattarle alla cronologia dei Settanta.151 Egli  poi  formulò  un’altra  ipotesi  arbitraria  e  cioè  che  la  lista   di Eratostene fosse più affidabile delle liste di Manetone e che Giulio Africano avrebbe volutamente reso più lunghe le dinastie egizie di quanto fossero nella realtà. Con Marsham e con Pezron,152 che cercò di perfezionare la teoria di Marsham, i distretti   amministrativi   dell’antico   Egitto   si   moltiplicarono per tenere il passo con il numero sempre più crescente di dinastie parallele. Marsham acquistò credito soprattutto presso quelli che, come afferma Champollion Figeac nel suo Compendio di cronologia, “trovano più comodo di accettare ciecamente un sistema piuttosto che di esaminarne le fondamenta”.153

Fino  a  questo  punto,  gli  studiosi  affrontarono  il  problema  della  cronologia  dell’antico   Egitto senza avere avuto come obiettivo un vero e proprio recupero del passato, ma per cercare di dimostrare delle teorie che riguardavano altri ambiti come la teologia o la storia comparata delle religioni.

Poco tempo dopo Marsham, si presentò un altro riformatore della cronologia generale,  l’olandese  Perizonius  che  nel  1687  pubblicò  un  volume154 nel quale sono rigettate  tutte  le  opinioni  fino  ad  allora  prodotte  e  dove  pretese  di  ristabilire  l’antichità   dei tempi e di difenderla contro gli altri cronologisti i quali, secondo lui, seguendo la cronologia della Vulgata, si sarebbero collocati dalla parte degli ebrei contro i cristiani. Lo studioso mise in discussione il metodo di Marsham e affermò che la sola fonte   utilizzabile   per   l’Egitto   era   Manetone.   Inoltre,   secondo   lui,   per   ricostruire   la   cronologia egizia si dovevano studiare minuziosamente le varie dinastie senza limitarsi però a un elenco di nomi e di date, facilmente corruttibili nel tempo. Il risultato di questo studio, più approfondito rispetto a quelli dei suoi predecessori, portò Perizonius alla conclusione che non esistevano comunque elementi significativi per garantire una cronologia esatta.

151 Marsham, Canon, 12-13:  “Nos hac gravissima questione supersedentes, Ebraici codicis

numeros ideo sequti sumus, quod sint brevissimi. Nam si immensa Aegyptiorum cronologia intra terminos istos contineri poterit, nullum omnino superest dubium de laxioribus Graecorum  temporibus”.

152 Pezron P., L’Antiquité des temps rétablie et défendue contre les Juifs et les nouveaux

chronologistes, Paris 1687

153 Champollion Figeac, Compendio completo di Cronologia generale e particolare, Tomo I,

Milano 1832, p. 63

154 Perizonius J., Aegyptiarum originum et temporum antiquissimorum investigatio, in qua

Marshami cronologia funditus evertitur, tum illae Usserii, Cappelli, Pezronii, aliorumque, examinantur et confutantur, Leiden 1711

Dopo la pubblicazione di queste ultime due opere, per quanto riguardava la cronologia, venne accettato il testo della Vulgata come il più breve e di conseguenza anche il più comodo.

Isaac Newton155 inoltre restrinse ancora di più il sistema cronologico generale dedotto dalla Vulgata e, per quanto riguardò la cronologia egizia, si avvalse del seguente  calcolo:  premesso  che  l’età  di  tre  generazioni  è  valutabile  in  un  periodo  di   100 anni e che ciascuna di queste si riduce a 33 anni, il periodo di ogni successione dinastica si riduce a soli 18 anni.

Nel Settecento la questione rimase irrisolta, ma bisogna riconoscere a questi primi studiosi di cronologia che sono stati loro a gettare il seme di questa disciplina. Quello che ancora mancava erano gli strumenti critici per una vera e propria ricostruzione storica, strumenti che a quel tempo non esistevano ancora. Con il progresso della scienza, soprattutto della biologia e della geologia, si giunse nel XIX secolo alla consapevolezza che la Bibbia non era la sola e unica fonte per la ricostruzione della storia.

L’attendibilità   o   meno   della   Bibbia   continuò   comunque   a   essere   “messa   in   discussione”  anche  nell’Ottocento  e  mantenne  acceso  il  dibattito  tra  cronologia  sacra   e profana.

I fondamenti  della  Cronologia  sacra  per  il  mondo  cristiano  dell’Ottocento  si  trovano   nella   Bibbia   dell’Antico   e   del   Nuovo   Testamento   e   in   particolare   nella   Genesi   per   tutto  ciò  che  si  riferisce  alle  epoche  primitive  della  storia  dell’uomo.  Questo  periodo   comprendeva,   secondo   la   dottrina   dell’epoca,   i   tempi   che   trascorsero   da   Adamo   (4000 a.C.) alla nascita di Abramo (2200 a.C.). Un possibile sincretismo tra quest’ultimo  avvenimento  e  alcuni  fatti  della  storia  profana  avrebbe  gettato  una  luce   di veridicità sulla ricostruzione dei tempi posteriori al 2200 a.C. Riguardo invece ai tempi anteriori, la Chiesa regolava tutto ciò che era permesso di sapere, risalendo dalla nascita di Abramo fino al diluvio e da questo fino ad Adamo. Di questi tre termini il diluvio, che la Chiesa poneva intorno al XXIV-XXIII sec a.C, era considerato come  il  più  importante,  perché  derivavano  da  esso  l’  origine  degli  uomini  e  dei  fatti   susseguenti e la storia della specie umana non poteva –secondo la dottrina della Chiesa del tempo- pretendere di risalire più in alto. Dal 4000 al 2200 a.C. rimanevano quindi diciotto secoli di oscurità attraverso i quali, secondo la Chiesa, poteva   guidarci   solo   l’interpretazione   delle   Sacre   Scritture,   mentre   la   testimonianza  

dei monumenti, nel caso fosse stata discordante con i testi sacri non era neppure da prendere in considerazione.

Champollion prima e Rosellini dopo tentarono di oltrepassare questi limiti cronologici assolutamente imposti, ma non fecero altro che suscitare la reazione della Chiesa che si dimostrò pronta a condannare o a perdonare, secondo la posizione assunta dagli  studiosi  nei  confronti  delle  presunte  “verità”  delle  Sacre  Scritture.  

Indicativo per comprendere i rapporti che intercorsero, nella prima metà dell’Ottocento,  tra  la  Chiesa  francese e gli studiosi di cronologia sacra e profana fu il “caso”  dello  zodiaco  di  Dendéra,  che  generò  grandi  timori  nei  francesi,  sovvertendo  il   terreno storico della fede religiosa e dando inizio allo scontro ideologico tra scienza e religione. Questa celebre rappresentazione, che in apparenza sembra essere una mappa del cielo su Dendéra, era situata sul soffitto della seconda cappella orientale del livello superiore del tempio. Lo studio di questo monumento per opera di Eric Aubourg156 ha mostrato come le posizioni rispettive dei pianeti illustrate sullo zodiaco indichino un periodo di tempo ben preciso, quello della fine della costruzione delle cappelle   osiriache,   che   va   dal   giugno   al   luglio   dell’anno   50   a.C.,   mentre   prima   di   questo studio, si pensava che il significato di questa rappresentazione fosse più che altro simbolico (Fig. 2)

156 Aubourg E., La date de conception  du  Zodiaque  du  Temple  d’Hathor  à  Dendera, BIFAO

Fig. 2- La rappresentazione dello zodiaco di Dendéra. (Aubourg E., BIFAO 95, 1995 )

Dopo   il   Gennaio   del   1822   a   Parigi   dunque   non   si   parlava   d’altro   che   dell’arrivo   imminente di questa enorme pietra nera di due metri e mezzo di diametro, proveniente da un tempio ancora mezzo insabbiato nel deserto e scoperta nel 1799 dalle truppe di Desaix. In mancanza di una datazione precisa, bisognava sapere se lo zodiaco   risaliva   ai   tempi   dinastici   o   a   un’epoca   più   tarda.   Gli   studiosi   laici   e   razionalisti lo consideravano un monumento astronomico molto antico, per il fatto che

il primo segno rappresentato, un leone, era la prova che il tempio di Dendéra era stato edificato quando il solstizio era nel segno del Leone e cioè verso il 4000 a.C. Molti, però, si opponevano a questa interpretazione, perchè contrastava con la cronologia biblica che impediva di risalire oltre il 2200 a.C.

La polemica riprese quando lo zodiaco arrivò nella capitale francese. Thomas Young credette   di   aver   scoperto   in   esso   l’oroscopo  della   dea   Iside,   scolpita   al   suo   fianco;;   Letronne lo considerò una testimonianza del culto dei morti. Altri studiosi, scienziati, matematici, tra i quali Edmé François Jomard, seguace di Dupois ed eminente scienziato al seguito della Spedizione napoleonica, fecero risalire lo zodiaco a molti millenni prima della data biblica della Creazione, basando la loro convinzione sul fatto che la collocazione delle figure riprodotte sullo Zodiaco dovesse rappresentare la situazione del cielo al momento della loro esecuzione. La cancelleria romana, invece, riconduceva la datazione al III secolo d.C., periodo compatibile con le Sacre Scritture.  L’arrivo  di  questo  monumento  in  Francia risvegliò le memorie sommerse e politicamente   pericolose   della   gloria   napoleonica,   per   non   parlare   dell’ostilità   repubblicana nei confronti del dogma religioso. Infuriarono così battaglie accademiche che si incrociarono con la politica, la religione e la cultura popolare, non appena lo zodiaco di Dendéra   evocò,   con   l’antico   passato   dell’Egitto,   quello   recente della Francia. I dibattiti nati intorno a questa pietra antica aprirono una finestra sui problemi di quel tempo in Francia, come il valore attribuito ai diversi modi di   conoscenza   del   passato   tra   cui   l’astronomia   e   il   calcolo   rispetto   alla   filologia   oppure  la  natura  e  il  potere  della  ricerca  scientifica  contro  l’autorità  religiosa.  Per  tutto   l’Impero  e  nel  primo  decennio  della  Restaurazione,  i  conservatori cattolici accolsero con disprezzo le varie proposte di datazione cronologica eseguiti sullo Zodiaco, spinti in parte dal loro atteggiamento verso la scienza che molti di loro temevano e detestavano.

Tra le varie teorie ottenne un discreto successo quella del matematico e astronomo francese   Jean   Baptiste   Biot   che   fissava   la   data   del   monumento   nell’anno   726   a.C.   sulla base di tre considerazioni, illustrate da Alain Faure nella sua biografia su Champollion:157 in primo luogo esso era una proiezione della sfera celeste su un piano   parallelo   all’equatore;;   in   secondo   luogo   chi   lo   aveva   realizzato   aveva   preso   come centro il polo nord; infine, al tempo della sua costruzione, la posizione di questo polo era differente da quella attuale del 1822 e la rappresentazione dei segni zodiacali coincideva, secondo lo scienziato, con la carta del cielo nel 716 a.C. In

questo modo Biot considerò lo zodiaco un monumento molto meno antico di quanto era stato ipotizzato fino a quel momento.

Champollion contestò le teorie di Biot con una lettera inviata il 25 luglio 1822 all’editore   della   Revue encyclopédique.158 Al contrario di quanto aveva affermato il

matematico francese, lo zodiaco non rappresentava la situazione reale del cielo così come le trentotto piccole stelle non indicavano dei corpi celesti, ma erano segni muti posti alla fine di nomi che indicavano individui o animali, con la funzione di determinativo: “L’étoile   des   légendes   de   Dendéra   est   donc   le   dernier   signe   hieroglyphe  de  chacune  d’elles,  et  doit  être  considérée, non comme la représentation d’un   astre,   mais   comme   simple   élément   de   l’écriture   hiéroglyphique;;   c’est   à   dire   comme une sorte de lettre, et non pas comme   une   imitation   d’objet”.159 Si doveva dunque  supporre  una  cronologia  “courte”,  datando  lo  zodiaco  al  periodo romano, tra giugno   e   agosto   dell’anno   50   a.C.   In   questo   modo   l’egittologo,   nel   confermare   ciò   che   avevano   sempre   sostenuto   i   cattolici,   vale   a   dire   la   relativa   “giovinezza”   della   civiltà egizia e nel dimostrare che non esisteva alcun monumento risalente a prima del 2200 a.C., rese un importante servizio al Cristianesimo.

L’atteggiamento di Champollion, inizialmente, fu abbastanza prudente. Infatti, dopo il 1822, con la pubblicazione delle due lettere relative al Museo egizio di Torino (la prima del 1824 e la seconda del 1826) restrinse il campo delle sue scoperte storiche alle dinastie post-Hyksos, iniziando la datazione egizia a partire dalla XVI dinastia - 2272 a.C. secondo la sua classificazione delle dinastie - perché non era possibile ricostruire, sulla base dei monumenti originali, le dinastie anteriori.160 Anche se Champollion e suo fratello Figeac furono attenti a non fare riferimenti a datazioni pre- bibliche   potenzialmente   imbarazzanti,   tuttavia   l’egittologo   francese,   datando   la   XVI   dinastia al 2272 a.C., presupponeva già che risalendo indietro nel tempo fino alla prima dinastia, la cronologia biblica venisse in qualche modo anticipata, attirando così  su  di  sé  l’ostilità  della  Chiesa.

Dagli scritti pubblicati da Champollion sembra che sia soltanto a partire dal 1824 che fu tentata una ricostruzione sistematica delle dinastie egizie a cominciare dalla XVI, sulla base delle fonti antiche e dei monumenti presenti nel Museo di Torino. Fu

158 Champollion J. F., Lettre à M. le Rédacteur de la Revue Encyclopédique, relative au

Zodiaque de Dendéra, in Revue Encyclopédique, Tomo xv, Paris 1822, pp. 232-239

159 Ibid., p. 237

160 Champollion Figeac, Notice Chronologique in Lettres à M. le duc de Blacas   d’Aulps  

relatives au Musée Royal égyptien de Turin. Seconde lettre-suite des monuments historiques, Paris 1826

proprio  in  questa  città  che  l’egittologo  francese,  grazie  a  Manetone e alla Tavola di Abydos,   gettò   le   fondamenta   dell’edificio   da   costruire,   vale   a   dire   la   ricostruzione   cronologica della XVIII dinastia attraverso i monumenti appartenuti a quattordici sovrani succedutisi in quella famiglia. La messa a punto della ricostruzione cronologica  di  Manetone  riguardo  a  questa  dinastia  costituiva  l’argomento  principale   della sua prima lettera al Duca di Blacas. Come afferma Hermine Hartleben,161 l’arte   egizia è al tempo stesso storia e da questo punto di vista le antichità della Collezione