CAPITOLO 2: CENNI SULLA SPEDIZIONE FRANCO-TOSCANA IN EGITTO E SULLA PUBBLICAZIONE DE I MONUMENTI DELL’EGITTO E DELLA NUBIA
2.2. LA VISIONE DELL’EGITTO FARAONICO PRIMA DELLA SPEDIZIONE
L’interesse nei confronti di una civiltà come quella dell’antico Egitto affonda le radici nel periodo greco-romano e fa parte di un lungo processo che termina con la nascita della scienza dell’Egittologia. Il saggio di Emanuele Ciampini,105 ad esempio, rimuovendo quella patina di favola e di esotico che ha avvolto la civiltà egizia nel corso degli anni, vuole dimostrare quanto di quel mondo sopravviva ancora nella cultura occidentale e quanto invece si è perduto per sempre. Nonostante l’antico Egitto sia stato sentito, per usare le parole di Ciampini, come “un corpo estraneo” al mondo occidentale, tuttavia le ricerche e gli studi compiuti in questo settore hanno dimostrato l’esistenza di una fitta rete di contatti e di intrecci culturali che hanno coinvolto l’Egitto nei secoli che vanno dal I al IV della nostra era.
La cultura europea è il risultato di diversi elementi che sono il frutto di tradizioni e di idee antiche di secoli: per la formazione dei modelli culturali, politici e sociali dell’Europa moderna, in uso ancora oggi, sono state determinanti, secondo Ciampini, le culture del Mediterraneo orientale, sorte prima dell’epoca Ellenistica, la quale ebbe la funzione di “filtro” attraverso cui furono recepiti gli elementi orientali all’interno del mondo Mediterraneo. Le culture dell’Oriente pre-classico, precedenti al processo unificatore dell’Ellenismo, pur costituendo una tappa fondamentale nel processo di formazione di modelli culturali, politici e sociali in uso ancora oggi, sono tuttavia ancora percepite come un “corpo estraneo e, per certi versi, esotico e fantastico, rispetto a un razionale (e quindi unico) modello ellenico”.106 Un caso emblematico analizzato da Ciampini, della sopravvivenza di elementi antichi, in questo caso della civiltà egizia, nella cultura europea, è rappresentato dall’affermazione del Cristianesimo che è parte di un processo lungo e complesso di trasformazione delle antiche tradizioni pagane le quali, prima di estinguersi definitivamente, si misurarono con la nuova dottrina. Il fatto che nel momento di passaggio convivano due diversi modelli nello stesso contesto sociale dimostra per Ciampini che una comunità così caratterizzata “permetterà un agevole passaggio di forme e temi antichi che possano esprimere nuovi concetti dottrinali”.107
Rispetto al mondo orientale, l’antico Egitto ha sempre assunto un ruolo ben distinto e di prestigio, perchè la cultura classica prima e quella tardo antica dopo hanno
105 Ciampini E.M., Cercando un altro Egitto. Sopravvivenze di un’antica civiltà nella
cultura europea, Unicopli Milano 2013
106 Ibid., p. 15 107 Ibid., p. 79
guardato a quello come alla civiltà plurimillenaria che ha saputo rimanere coerente “con quelli che potevano essere considerati i suoi tratti identificativi”.108
L’Occidente ha utilizzato, nel tempo, vari termini per definire il fenomeno di riscoperta dell’antico Egitto: egittologia, egittomania e egittosofia, termine quest’ultimo creato per indicare l’attenzione rivolta all’Egitto come sede di sapienza. L’idea che la terra del Nilo fosse stata la fonte di ogni conoscenza segreta e la culla del sapere “ermetico” risale all’antichità e fu solo con la decodificazione del sistema geroglifico nel 1822 che accanto all’egittosofia che studia questo Egitto immaginario, altro, come lo definisce Hornung,109 nacque l’egittologia. Questa immagine “ermetica” dell’Egitto, le cui radici risalgono all’inizio del II millennio a.C. ha esercitato una forte attrazione sul mondo occidentale, soprattutto a partire dal Rinascimento e è continuata fino ai giorni nostri. Hornung afferma che i Testi dei Sarcofagi del Medio Regno ci fanno conoscere per la prima volta un “Libro divino di Thot”,110 in cui il dio è considerato non solo signore della sapienza e dei rituali, ma è anche autore di testi sacri. Durante il Nuovo Regno la natura di Thot fu modificata e il dio divenne origine di ogni cultura e di ogni invenzione; ma è soprattutto in epoca tarda che l’egizio Thot si trasforma nel “tre volte grande” Ermete Trismegisto, che incarna in un’unica persona la figura di divinità e quella di fondatore e predicatore religioso.
Gli autori greci e latini furono fondamentali per diffondere la conoscenza non solo di un Egitto considerato la culla dell’Ermetismo, ma anche della sua antica civiltà. Riguardo all’approccio antico all’Egitto faraonico così scrive Emanuele Ciampini nel suo saggio: “La nascita di un’idea culturale di Egitto è il frutto della sedimentazione di notizie e dati raccolti nel corso dei secoli da viaggiatori, storici e scrittori che a più riprese visitarono il paese; questa messe di informazioni è stata affrontata dalla critica come indicatore di un interesse che nel tempo rese l’Egitto una realtà particolare, patria del mito e di una realtà storica che sfumava nel tempo degli dei”.111 Erodoto di Alicarnasso fu il primo autore antico a visitare intorno alla metà del V sec. a.C. la terra dei faraoni, prima dell’arrivo di Alessandro Magno. Le sue informazioni derivarono da sacerdoti e da scribi dei santuari di Sais, Menfi e Tebe, ed è probabile che abbia conosciuto direttamente anche le regioni dell’Alto Egitto. Infatti, nell’episodio in cui riferisce del discorso di Ecateo con i sacerdoti tebani, afferma di
108 Ibid., p. 16
109 Hornung E., Egitto esoterico. La sapienza segreta degli Egizi e il suo influsso
sull’Occidente, Torino 2006
110 Ibid., pp. 16-17 111 Op. cit., p. 51
aver parlato con loro (II, 143) e inoltre dichiara di aver appreso tante altre notizie, essendosi spinto fino ad Elefantina, dove aveva ottenuto informazioni e si era affidato a racconti (II, 29).
Erodoto fu colpito durante il suo viaggio in Egitto soprattutto dalla differenza tra la cultura egizia e quelle mediterranee e dalla straordinaria “longevità” di quest’antica civiltà, mentre non vi è traccia di elementi esoterici nelle sue Storie. Riguardo all’ascendente dell’antico Egitto sulla cultura greca, ho trovato interessante la tesi di Moyer secondo cui Erodoto fu influenzato dalla concezione del tempo e della storia propria dei sacerdoti egizi. Il racconto di Erodoto dell’incontro tra Ecateo e i sacerdoti tebani rappresenta qualcosa di più di a Greek’s exoticizing evocation of the wonders of Egypt, come afferma Moyer,112 in quanto in questo episodio i sacerdoti egizi presentano il loro passato e la vastità della loro cronologia. Queste genealogie facevano parte di una particolare auto-presentazione sacerdotale nei confronti della cultura egizia del periodo tardo e che continuò attraverso il periodo persiano durante il quale va inserita la figura di Erodoto. La successione ereditaria del sacerdozio si affermò in Egitto durante il Terzo Periodo Intermedio, un momento in cui diminuì l’importanza del patrocinio regale nell’assicurare e nel mantenere la condizione sociale e la funzione di sacerdote. In questo modo, la permanenza di questa carica probabilmente cominciò a dipendere dalla tradizione e dalla ereditarietà. La pratica culturale che sta dietro l’episodio delle 345 generazioni di sacerdoti è perciò condizionato da particolari circostanze storiche. Quando Erodoto visitò l’Egitto, probabilmente durante la fine del regno di Artaserse I (465-424 a.C.), egli incontrò una civiltà che, uscita dal Terzo Periodo Intermedio, aveva avuto un periodo di rinascita sotto la dinastia Saita, ma anche un secolo di dominazione persiana. La forte auto-consapevolezza egiziana del proprio passato era dunque passata attraverso profondi cambiamenti: nel caso delle lunghe genealogie sacerdotali, volgersi al passato era una risposta a specifiche rotture politiche e sociali causate dal declino della XX dinastia e dal periodo di dominazione libica. Per Moyer, dunque, sembra che Erodoto fosse stato profondamente colpito dalla consapevolezza del passato durante il periodo tardo della storia egizia, e l’impatto con le rappresentazioni sacerdotali di questo fenomeno “cannot be isolated from the matahistorical work Herodotus carries out in his second book –work which became fundamental to the formation of Western historiographical traditions”.113
112 Moyer I., op. cit., p. 68 113 Ibid., p. 37
Inoltre, è presente per la prima volta in Erodoto il sincretismo che consiste nell’identificazione di dei e miti egizi con modelli greci. A tal proposito così scrive Ciampini: “Proprio il sincretismo può essere un indicatore importante per riconoscere i modi di formazione di ciò che la critica definisce una memoria del passato: questi dèi che appartengono alla più alta antichità sono inseriti in un quadro vitale, e per rendere efficace il legame, Erodoto impiega il sincretismo come procedimento culturale capace di tradurre modelli divini in una cultura diversa da quella originaria”.114
Anche Diodoro, la cui presenza è attestata in Egitto poco dopo il 60 a.C., nel passaggio dalla dominazione tolemaica a quella romana, come Erodoro attinse alla tradizione sacerdotale, che tramandava una cultura ormai racchiusa all’interno dei santuari, con una prospettiva però diversa da quella di Erodoto, che deve aver comportato una differente rielaborazione del modello faraonico, senza tuttavia stravolgerne la natura. Lo storico fornì una lista di illustri personalità greche che avrebbero visitato l’Egitto in epoca antica così come fece anche Plutarco che incluse nell’elenco dei visitatori Solone, Talete, Platone, Pitagora e Licurgo. Secoli dopo Erodoto e Platone, toccherà a Plutarco riflettere sull’antica sapienza egizia con l’opera Iside e Osiride, considerata la più importante fonte greca sulla religione egizia, che intende svelare la sostanziale concordanza tra la dottrina sacra delle divinità venerate dai faraoni e il mito degli dei che dimorano nell’Olimpo.
Bisogna attendere il XIII secolo per vedere una rinascita di elementi architettonici egizi, in particolare le piramidi, che comparvero su tombe cristiane a Bologna, e le sfingi che, come dimostra il chiostro di S.Giovanni in Laterano, venivano utilizzate come supporto delle colonne. Inoltre le crociate sicuramente destarono un nuovo interesse nei confronti dell’Egitto e dell’Oriente, da dove passarono in Europa forme e idee nuove.
Nel tardo XV secolo con la diffusione del neoplatonismo l’interesse per l’Egitto e per l’Oriente divenne fondamentale e in questo nuovo clima culturale nacque l’ammirazione per uno stile elaborato, per l’oscurità “orientale” degli scritti neoplatonici e per l’esoterismo. La passione rinascimentale per l’Egitto scaturiva soprattutto dal fatto che proprio in quel Paese erano nati i misteri e le iniziazioni sacre. Interessati a quell’antica civiltà gli studiosi del Rinascimento ricercarono le fontes e così guardarono all’indietro, oltre la Grecia, all’Egitto. Accanto alla riscoperta di antichità egizie già presenti nella nostra penisola, eredità della Roma imperiale,
nasce in questo periodo un interesse sempre più vivo per la scrittura geroglifica, considerata lo strumento per la trasmissione di una cultura millenaria. L’accesso dei geroglifici nella cultura europea del tempo fu determinato dall’opera di Horapollo Niliaco, vissuto nel IV-V secolo, intitolata Hieroglyphica che, scoperta nel 1419 sull’isola di Andros, nel 1422 fu portata a Firenze da Cristoforo Buondelmonti e tradotta, ottenendo una grande popolarità soprattutto per la convinzione che i geroglifici fossero la scrittura dei misteri: si riteneva, infatti, che un segno comprendesse significati molteplici e che per questo la scrittura geroglifica fosse superiore agli altri alfabeti. Queste traduzioni divennero lo studio principale dell’Accademia Platonica fondata da Marsilio Ficino, così come di altre Accademie, che sorsero nelle principali città italiane ed europee. La diffusione di queste opere, come i Hieroglyphica, e la traduzione in latino del Corpus Hermeticum per opera di Marsilio Ficino determinarono il concetto rinascimentale di un’antica sapienza che dall’Egitto sarebbe passata al mondo greco-romano.
La maggior parte dei pensatori del Rinascimento riteneva che l’Egitto fosse la fonte primaria e creatrice e la Grecia un “diffusore” più tardo di parte della sapienza orientale ed egizia, come afferma Martin Bernal nel primo volume del saggio Black Athena.115
In quest’opera lo studioso sostiene che la cultura classica ha subito influssi fondamentali, soprattutto da parte di quella dell’antico Egitto e contesta la visione secondo cui la civiltà greca sarebbe stata in grado di elaborare un pensiero razionale, filosofico, artistico e scientifico superiore all’Africa e all’Asia, incapaci di riflessione autonoma e schiacciate dalla religione e dal dispotismo. La sua teoria, che ha suscitato grande interesse e un acceso dibattito soprattutto nei paesi anglosassoni, s’impernia dunque attorno alla tesi principale che le radici della cultura greca hanno la loro origine nell’Egitto e nel Levante semitico. Il titolo Black Athena, comune ai tre volumi, mette in risalto proprio la componente africana della Grecia classica.
Bernal individua due modelli: il “modello antico”, quello cioè elaborato dagli stessi greci e in seguito variamente dominante nella cultura europea fino al tardo XVIII secolo, e il “modello ariano” che nasce nell’Europa moderna e che si afferma soprattutto nel XIX secolo, secondo cui la civiltà greca sarebbe una civiltà originaria
115 Bernal M., Atena nera. Le radici afroasiatiche della civiltà classica, vol. 1, Parma 1991.
Traduzione di Black Athena: The Afroasiatic roots of classical civilisation. The fabrication of Ancient Greece 1785-1985, vol. 1, New Brunswick 1987
europea sorta in contrapposizione a un Oriente asiatico e africano visto come immobile e decadente. La tesi di Bernal è che dopo il V sec. a.C. gli antichi greci, anche se orgogliosi delle proprie realizzazioni, facevano derivare la politica, la filosofia, la scienza e la religione in particolare dall’Egitto, attraverso le antiche colonizzazioni, attorno al 1500 a.C., di Egizi e Fenici che avevano civilizzato gli abitanti autoctoni. I racconti tramandati su Cadmo, Danao e Pelope, a differenza di altre tradizioni su figure leggendarie, erano in genere accettati. Così scrive sull’argomento Vittorio Morabito nel suo articolo pubblicato nella rivista Africa:116 “Questo modello antico “è rivisto” dall’autore in alcuni punti. Le sue argomentazioni si basano essenzialmente sulla linguistica, sui nomi, sulle lingue, sui miti e sulle leggende e accessoriamente sull’archeologia”.
Bernal è dell’opinione che per ragioni di orgoglio culturale, i Greci tendessero a minimizzare la portata dell’influenza e della colonizzazione giunte dal Vicino Oriente. Non va sottovalutata, secondo l’autore, nella creazione del modello antico, anche l’espansione della religione egizia in Grecia soprattutto in epoca ellenistica e romana, un’espansione che fu definita “la conquista dell’Occidente da parte della religione orientale”.117 D’altronde, attestazioni di culti egizi erano presenti ad Atene fin dal V secolo. La dea Iside, ad esempio, era venerata a partire da questa epoca non solo dagli egizi residenti ad Atene, ma anche dagli ateniesi nativi, così come a Delos furono resi ufficiali i culti di Iside e di Anubi, anche se il regno tolemaico aveva già perso il controllo dell’isola. Per l’autore, la maggior parte delle divinità greche sarebbe una versione posteriore di divinità egizie e il sincretismo religioso che si determinò durante il periodo ellenistico in realtà non faceva altro che riprodurre paralleli già noti da secoli. Questo modello antico, per ragioni esterne, fu in seguito rifiutato e sostituito dal modello ariano, sorto sul finire del XVIII secolo, perché per il tipo di ideologie romantiche e razziste non era ammissibile che l’antica Grecia fosse concepita come il risultato della mescolanza di nativi europei e colonizzatori africani e semiti.
Le opinioni provocatrici espresse da Martin Bernal hanno generato forti controversie tra gli studiosi che hanno dato vita ad alcune pubblicazioni tra le quali Black Athena rivisited,118 dove una ventina di studiosi delle materie toccate da Bernal hanno riunito
116 Morabito V., È l’Africa nera all’origine dell’Egitto e della Grecia antichi? Confronti
sull’afrocentrismo e su “atena nera”, in Africa LIV, 2 1999, pp. 264-275
117 Bernal M., op. cit., p. 141
118 Lefkowitz M. R. e McLean Rogers G.(a cura di), Black Athena revisited, Chapel Hill e
le loro considerazioni per evitare, come afferma Morabito,119 “di essere accusati
impunemente di eurocentrici e di elitisti, muovendo al tempo stesso pesanti critiche alle affermazioni dell’autore. Pur riconoscendo utili al progresso delle conoscenze gli stimoli provenienti da nuove opinioni, gli autori lanciano alle affermazioni di Bernal pesanti critiche che suonano come appelli ad isolare un ragionamento a risonanze ideologiche piuttosto che scientifiche”.120
La generale ammirazione per l’antico Egitto occupò dunque un ampio periodo, dal XV al XVII secolo, in cui gli europei dimostrarono un maggiore interesse per i viaggi in Egitto rispetto a quelli in Grecia come è testimoniato le oltre 250 descrizioni dell’Egitto pubblicate da parte di viaggiatori occidentali. Tra questi possiamo citare John Greaves, professore di astronomia a Oxford che, nel 1638-39, misurò accuratamente le piramidi, iniziando così una valutazione scientifica dei monumenti; oppure Jean de Thévenot che partì nel 1652 per l’Egitto e che sospettò che nell’area da lui visitata dovesse sorgere l’antica Menfi. L’ermetismo e la passione per l’Egitto continuarono dunque a fiorire per tutto il XVII secolo al punto da diventare un’ossessione per il gesuita tedesco Athanasius Kircher, la cui impresa maggiore fu quella di tentare di svelare i segreti dei geroglifici, che lui considerava non solo deposito di antica sapienza, ma scrittura ideale.121 Mentre gli altri studiosi tentarono un’interpretazione dei geroglifici secondo la maniera neoplatonica, basandosi sulle allegorie anziché sulle testimonianze storiche, il dotto gesuita enunciò una teoria sulla base della quale i testi geroglifici andavano letti nella chiave della dottrina cristiana, che aveva permeato in qualche modo il pensiero dei popoli pagani. Sul piano della lettura egli capì che la scrittura egizia sarebbe stata utilizzata oltre che per “allegoria”, per un uso “volgare” e che tale lingua era madre di quella copta. L’opera del Kircher fu importante, perché in essa compaiono già due direttrici, quella filologica e quella archeologica, che in seguito saranno tenute nella massima considerazione dagli studiosi di egittologia.
Il Settecento si contraddistinse, oltre che per i progressi compiuti soprattutto in campo filologico, anche per un rinnovato spirito nell’esplorazione del territorio: i viaggi diventarono così un elemento legato a una cultura che favoriva l’esperienza diretta rispetto alla cognizione tradizionale e che riponeva fiducia nelle capacità del singolo di arrivare alla verità. A molti di questi viaggiatori furono affidate le missioni
119 Morabito V., op. cit., p. 270 120 Ibid., p. 270
121 Donadoni S., Curto S., Donadoni Roveri A. M., L’Egitto dal mito all’egittologia, Milano
dai loro stessi sovrani e queste si svolsero in un periodo in cui la situazione interna in Egitto era meno rischiosa di un tempo e il muoversi era meno avventuroso. Complementare ai viaggi fu anche un’intensa attività che si svolse all’interno delle pareti delle collezioni private e che permise, attraverso l’osservazione e lo studio dei materiali, di porre le basi per la decifrazione dei geroglifici: ormai la conoscenza della civiltà egizia era sempre più legata alle cose e sempre meno ai miti.122
Il XVIII secolo vide il picco dell’egittofilia ma anche il suo declino, a partire dalla fine del secolo stesso. L’interesse per la storia dei popoli orientali va spiegato anche alla luce dei rapporti economici, politici, militari e culturali che l’Occidente intrattenne con l’Oriente. Il termine “Orientalismo” infatti, come chiarisce Edward Said nel suo saggio,123 può assumere varie definizioni: dall’accezione più comune che è quella di natura accademica, basata sull’insieme delle discipline che studiano i costumi, la letteratura e la storia delle popolazioni orientali, a una più ampia del termine che comprende uno stile di pensiero fondato sulla distinzione tra l’Oriente da un lato e l’Occidente dall’altro, per finire con il considerare l’Orientalismo come modo occidentale di esercitare il proprio predominio politico, economico e culturale sull’Oriente.
Francia e Inghilterra avevano dominato il Mediterraneo orientale all’incirca dalla fine del XVII secolo ed esse furono le nazioni pioniere nel campo degli studi sull’Oriente; questo fu possibile proprio grazie alle due più grandi reti di domini coloniali mai esistite prima del XX secolo. L’Europa ebbe una funzione di predominio nei confronti dell’Oriente che fu considerato dai dominatori occidentali come un partner debole a livello politico, economico e religioso. Fu nelle terre abitate dagli arabi, dove era l’Islam a stabilire le caratteristiche razziali e culturali, che francesi e inglesi ebbero i più importanti e difficili contatti con questi popoli.
La chiave di volta dei nuovi rapporti tra Europa e Vicino Oriente va ricercata nell’invasione napoleonica dell’Egitto nel 1798, un’invasione che divenne il modello